Autore: Vincenzo Emanuele

  • Comunali 2012, l’offerta politica nei capoluoghi del Sud

    di Vincenzo Emanuele

    Il 6 e 7 maggio prossimi si svolgeranno le elezioni per il rinnovo delle amministrazioni comunali in 27 comuni capoluogo. Con 12 città al voto (14 se includiamo gli altri due capoluoghi di Oristano e Lanusei che si recheranno alle urne due settimane dopo, il 20 e 21 maggio), le regioni meridionali saranno il campo di battaglia fondamentale di questa tornata elettorale, l’ultima prima delle politiche del 2013. In attesa di conoscere il verdetto delle urne e i rapporti di forza fra i partiti e le coalizioni, è possibile sviluppare alcune considerazioni sulle caratteristiche dell’offerta politica (candidati sindaci e liste) nei capoluoghi del Sud.
    Dando un rapido sguardo alle tabelle riassuntive dei singoli comuni (vedi i link delle varie città) ci si accorge subito dell’estrema eterogeneità del quadro di alleanze che emerge nelle regioni meridionali: nei 12 comuni capoluogo troviamo 12 configurazioni diverse dell’offerta politica e perfino le due coalizioni principali di centrosinistra e centrodestra risultano piuttosto fluide e flessibili all’ingresso o all’uscita dei propri componenti. Questa caratteristica di estrema disomogeneità del quadro coalizionale è dovuta principalmente a due fattori: il primo, di lungo periodo, concerne la peculiare tendenza del Sud a mostrare una maggiore frammentazione partitica e, in particolare nelle elezioni di secondo ordine, un più forte impatto dei fattori legati al contesto locale e del voto “personale”; il secondo fattore di disomogeneità, più contingente, è invece dovuto alla fase di crescente destrutturazione del sistema partitico italiano e dei blocchi politici che si sono alternati al potere durante la Seconda Repubblica. Quest’ultimo fattore trasforma la partita amministrativa in un laboratorio utile ai partiti per testare l’efficacia e la praticabilità di alleanze diverse e a volte anche inedite in vista delle politiche 2013.
    La posta in gioco più importante di queste elezioni amministrative è indubbiamente rappresentata dal comune di Palermo, in cui la poltrona di sindaco è contesa da ben 11 candidati, di cui 4 realmente competitivi. Dopo dieci anni di governo del centrodestra con il sindaco Diego Cammarata, la partita sembra aperta in quella che fino a pochi anni fa veniva definita “la città più azzurra d’Italia”. Dopo aver svolto le primarie, il centrosinistra si è diviso: Pd e Sel sostengono il vincitore, Fabrizio Ferrandelli, mentre l’Idv e Federazione della sinistra contestano la regolarità delle primarie e appoggiano Leoluca Orlando, alla quarta candidatura nelle ultime 5 elezioni. Sul fronte opposto troviamo Massimo Costa, inizialmente presentato come candidato di tutto il Terzo Polo e infine, dopo la spaccatura di quest’ultimo, sostenuto da Pdl, Udc e Grande Sud (Miccichè), con l’accordo di Cantiere Popolare (l’ex Pid di Saverio Romano) a sostenerlo all’eventuale (e assai probabile) ballottaggio, dopo aver testato la forza del proprio candidato, Marianna Caronia. Il resto del Terzo Polo (Fli, Mpa e Api) ha invece lanciato la candidatura del consigliere regionale Aricò. Nonostante la norma introdotta lo scorso anno in Sicilia che prevede il 5% di sbarramento per le liste nelle elezioni dei comuni superiori ai 15.000 abitanti, il numero totale di liste (26) è rimasto piuttosto alto, a differenza degli altri due capoluoghi dell’isola al voto nei quali invece registriamo una minore frammentazione. A Trapani lo schema è simile a quello visto a Palermo, con il centrosinistra spaccato tra Sabrina Rocca candidata di Pd e Sel, e Giuseppe Caradonna (Idv e Fds), ma, a differenza del capoluogo siciliano, il Terzo Polo rimane compatto (con Giuseppe Maurici) e aumenta la propria competitività isolando il Pdl che sostiene Vito Damiano. Ad Agrigento (appena 5 candidati sindaco e 13 liste) lo schema è del tutto diverso: qui l’uscente Marco Zambuto dell’Udc si trova a fronteggiare sia il candidato di Pdl, Grande Sud e Cantiere Popolare Pennica che Mariella Lo Bello sostenuta dal Pd e da tutto il resto del Terzo Polo, mentre la sinistra radicale e l’Idv sono riunite nella lista “Agrigento Bene Comune” con Giampiero Carta.
    Negli altri 9 comuni meridionali al voto riscontriamo un notevole aumento della frammentazione rispetto alla situazione siciliana, con il proliferare di liste civiche. La regione del Sud più coinvolta in queste elezioni è la Puglia, con ben 4 capoluoghi al voto. A Taranto (11 candidati sindaco e 32 liste) l’incumbent Ippazio Stefàno, al governo con una coalizione di sinistra, ha costruito un largo fronte che comprende anche il Pd e gran parte del Terzo Polo (Udc, Udeur, Api), ma ha perso per strada Rifondazione, finora alleata in giunta e adesso a sostegno di Dante Capriulo, e i Verdi che a sorpresa candidato il proprio leader nazionale Bonelli. Sul versante destro, il Pdl e il movimento di Fitto (La Puglia Prima di tutto) candidano Filippo Condemi, mentre il forte movimento locale At6-Lega d’Azione Meridionale, alleato con l’estrema destra, lancia il figlio dell’ex sindaco Giancarlo Cito. Il movimento della Poli Bortone (Io Sud), molto forte in questa regione, corre da solo al primo turno. Situazione meno confusa a Lecce, in cui si sono svolte le primarie in entrambi gli schieramenti: il sindaco uscente Perrone le ha stravinte con l’83% e adesso guida una larga coalizione con il Pdl, la lista di Fitto, Fli, altre civiche e soprattutto con il decisivo appoggio della Poli Bortone. Il centrosinistra è compatto a fianco di Loredana Capone, mentre l’Udc corre da solo. A Brindisi, in cui si rivota dopo tre anni per le dimissioni del sindaco Menniti, il centrodestra schiera il vicesindaco D’Attis, con il sostegno anche di Fli ed Mpa, mentre il centrosinistra si spacca: Pd e Sel sostengono il vincitore delle primarie Consales, che ottiene l’appoggio anche di Udc e Api, ma Idv e Federazione si sfilano e il consigliere regionale Brigante di Sel corre in solitario. Curiosa invece la situazione di Trani: qui il vincitore delle primarie di centrosinistra, il democratico Ferrante, è stato poi abbandonato dal grosso della sua coalizione, Pd compreso, che gli ha preferito Ugo Operamolla, sostenuto da un’ eterogenea cordata che va dalla sinistra (Idv, Sel, Verdi) al Terzo Polo (Udc, Fli). Sul versante opposto, alcune liste civiche e movimenti locali si sono coagulati attorno alla figura di Riserbato, candidato di “La Puglia Prima di Tutto” e vincitore delle primarie ai danni del candidato del Pdl, che si è poi accodato in coalizione.
    Il 6 e 7 maggio si voterà anche a Catanzaro, in seguito alla scelta del neoeletto sindaco Michele Traversa di optare per il seggio in Parlamento dopo la sentenza della Corte Costituzionale (n. 277/2011) che ha dichiarato l’incompatibilità tra la carica di sindaco di un comune sopra i 20.000 abitanti e quella di parlamentare. Il centrodestra cercherà di mantenere il possesso della città, grazie all’appeal dell’ex sindaco Sergio Abramo, mentre il centrosinistra è compatto a sostegno di Salvatore Scalzo, già candidato appena un anno fa e sconfitto al primo turno dal dimissionario Traversa. Anche il Terzo Polo è unito, e candida Giuseppe Cieli.
    Oltre a Palermo e Catanzaro, il terzo capoluogo di Regione al voto al Sud sarà L’Aquila. Nella città colpita dal terremoto di tre anni fa sembra probabile la riconferma del sindaco Massimo Cialente, che ha vinto le primarie ed è sostenuto da tutto il centrosinistra (con anche l’Api) meno l’Idv che corre da sola e i Verdi che sostengono Giorgio De Matteis, inseriti in una coalizione con il Terzo Polo, dal quale però si è sfilato Fli che appoggia un proprio candidato. In un quadro di grande frammentazione (8 candidati sindaco di cui 5 sostenuti da partiti “nazionali”) il Pdl è rimasto senza alleati e cercherà di riconquistare la città con Pierluigi Properzi.
    Molto meno confusa la situazione a Isernia, in cui il centrodestra, che nel 2007 stravinse al primo turno con quasi il 70% dei consensi, ha costruito un largo fronte con Pdl, Udc, Grande Sud, Udeur e altre liste minori in appoggio a Rosa Iorio. L’unico candidato in grado di contendergli la vittoria appare Ugo De Vivo, sostenuto da tutto il centrosinistra. In questo quadro di continuità con la Seconda Repubblica l’unica voce fuori dal coro è rappresentata da Fli che, da solo, sostiene Raffaele Mauro.
    Si voterà, infine, anche in due capoluoghi laziali. A Frosinone (8 candidati sindaco e 25 liste) l’uscente Marini del Pd cerca la riconferma cambiando i pezzi della sua coalizione: Idv (cha appoggia Marzi con il Psi), Sel e Rifondazione (con Marina Kovari) alleati finora in consiglio escono dall’alleanza, rimpolpata dall’ingresso del Terzo Polo. Pdl, Udeur e 7 liste civiche appoggiano invece Nicola Ottaviani, che ha vinto le primarie. Il centrodestra ha svolto le primarie anche a Rieti: il vincitore, Antonio Perelli sfiderà Simone Pietrangeli (Sel) sostenuto da tutto il centrosinistra, mentre il Terzo polo si divide fra Gherardi (Udc) e Mareri (Mpa) e La Destra di Storace sostiene Antonio Emili.
    Merita poi una considerazione conclusiva anche il Movimento Cinque Stelle, presente in 6 comuni su 12, in cerca di un radicamento nel Mezzogiorno dopo i successi ottenuti negli ultimi anni al Centro-Nord. Infine, da questo quadro emerge ancora una volta il carattere fortemente locale che orienta la gran parte delle consultazioni al Sud: pur trattandosi dei comuni più grandi, ben 25 candidati sindaco su 86 (il 29%) fanno riferimento esclusivamente a liste civiche o personali, senza alcun appoggio da parte dei partiti politici “nazionali” (fra i quali abbiamo incluso lo stesso Movimento Cinque Stelle, l’Adc di Pionati e perfino “Io Sud” della Poli Bortone).

  • Palermo, le primarie si vincono in periferia. La geografia del voto.

    di Vincenzo Emanuele

    Le primarie svoltesi domenica scorsa a Palermo per la scelta del candidato sindaco di centrosinistra hanno fatto registrare un’alta partecipazione al voto e una grandissimo equilibrio nel risultato finale, determinato dalla presenza di tre candidati realmente competitivi che fino alla fine hanno sperato di poter arrivare al successo. Un fatto, questo, che rappresenta un vero punto di rottura con la storia recente delle primarie italiane, che troppo spesso sono state utilizzate più come strumento di lancio del candidato già prescelto per la corsa che non come arena preliminare per la selezione del “cavallo” migliore. La costante, invece, almeno rispetto al recente passato, è rappresentata dalla sconfitta del candidato appoggiato dal Partito democratico (e da tutto l’establishment del centrosinistra palermitano, da Sel ai Verdi, dall’Idv a Federazione della sinistra), Rita Borsellino, la grande favorita della vigilia, a tutto vantaggio di Fabrizio Ferrandelli, il trentunenne outsider fuoriuscito dal partito di Di Pietro, sostenuto dall’ala destra del Pd, quella che in Regione appoggia il governo Lombardo.

    Ferrandelli ha ottenuto 9.945 voti, appena 153 in più della Borsellino, mentre Faraone, anch’egli in corsa per quasi tutto lo spoglio, si è fermato a poco più di 8.000. Il quarto candidato, Antonella Monastra, ha ottenuto 1.732 preferenze, il 5,9% del totale. Per analizzare correttamente il risultato occorre studiare la geografia del voto nelle diverse aree del territorio palermitano, che presenta caratteristiche peculiari che si perdono se ci si ferma ad uno sguardo d’insieme.

    La Tabella 1 presenta i risultati ottenuti dai quattro candidati nei 31 gazebo allestiti in città suddivisi per zona. Notiamo subito la grande variabilità nei risultati elettorali fra i vari quartieri della città. La Borsellino ha trionfato in tutti i gazebo dell’VIII circoscrizione (Politeama, Campolo, Don Bosco, Ammiraglio Rizzo), nonché in tutte le zone residenziali adiacenti al centro (Uditore, Europa) con l’eccezione di San Lorenzo. Nelle periferie, però, il suo risultato è stato alquanto modesto: risulta infatti prima solo a Calatafimi e nella borgata marinara di Sferracavallo. Così, come vediamo nella Tabella 2, a fronte di un 33,1% complessivo, ottiene il 41,5% nei seggi della “Palermo bene”, scendendo invece sotto il 30% sia in periferia che nei gazebo del vecchio centro storico (Bellini, Indipendenza, Giulio Cesare, Zisa). Confrontando le percentuali di voto ottenute nei 31 seggi dalla sorella del Pm ucciso dalla mafia con quelle raccolte dal centrosinistra (Pd, Idv, Sinistra arcobaleno) alle politiche del 2008 nelle sezioni collegate a tali seggi, notiamo una correlazione positiva molto forte (r= +.69; r2= .48) tra i due andamenti: la Borsellino ottiene dunque un voto che presenta un distribuzione assai simile a quello dell’area progressista della città. In altri termini, alla Borsellino va il voto del tipico elettore di centrosinistra palermitano.

    Tab. 1 Riepilogo risultati nei 31 seggi

    Fonte: Elaborazioni su dati ufficiali

    Tab. 2 Riepilogo risultati nelle zone della città, voti assoluti e percentuali

    Fonte: Elaborazioni su dati ufficiali

    Ferrandelli è il candidato che mostra la distribuzione del voto più omogenea. Il suo Coefficiente di variazione, una misura statistica del livello di dispersione del voto (deviazione standard/media) è il più bassa fra i quattro candidati (0,194). Vince in 14 seggi su 31 ed è secondo in altri 12. Sono i quartieri popolari a dargli il massimo sostegno: stravince infatti nella periferia sud della città (Bonagia, Calatafimi bis, Molara, Pagliarelli, Villagrazia), ma anche in alcune aree periferiche a nord (Pallavicino, Tommaso Natale) e nei quartieri “difficili” di Borgonuovo, dello Zen e di Viale Picciotti. Inoltre conquista anche parte del vecchio centro storico, grazie alle vittorie nei seggi elettoralmente “pesanti” di Piazza Indipendenza e del suo quartiere di provenienza, quello della Zisa. Ma la sua vera forza risiede nella capacità, a differenza di Faraone, di riuscire a limitare i danni al centro e nelle zone residenziali, in cui giunge sempre secondo dietro la Borsellino, ottenendo comunque quasi il 31% dei voti.

    Complessivamente, Ferrandelli ottiene 9.945 voti, pari al 33,7% dei voti validi. Certo, a differenza della Borsellino, sembra pescare consensi in aree diverse da quelle in cui generalmente la sinistra palermitana è più forte: il suo voto mostra infatti una correlazione negativa (r=-.33; r2=.11) con quello del centrosinistra alle politiche del 2008.

    Il candidato giunto terzo classificato è Davide Faraone. Il rottamatore amico di Renzi è autore di una performance che supera le più rosee previsioni, soprattutto alla luce del fatto che ha svolto una campagna elettorale in solitario, privo sia di appoggi partitici che del sostegno di forti politici locali. Ottiene il 27,3% con 8.067 preferenze, quasi doppiando i voti raccolti nella sua ultima elezione all’Assemblea regionale (allora furono 4.800). Faraone vince in ben 9 seggi, uno in più di quelli conquistati dalla Borsellino. Con l’eccezione di San Lorenzo, questi si trovano tutti concentrati in aree periferiche (Brunelleschi, Costellazione, Sperone, Montegrappa, Mondello, Arenella) o al centro storico, nella zona ad alta immigrazione di Via Maqueda, come Piazza Giulio Cesare e soprattutto Piazza Bellini, in cui la partecipazione è stata altissima (vedi l’altro articolo sulle primarie) proprio grazie all’apporto degli immigrati di origine africana. Eppure Faraone non riesce a competere fino in fondo con gli altri due candidati a causa dell’estrema debolezza nei quartieri centrali e residenziali della città (in cui è sempre terzo con appena il 19% dei voti complessivi), proprio quelli in cui la sinistra è tradizionalmente più forte: non a caso mostra la distribuzione del voto più disomogenea fra i tre principali competitors (il suo Coefficiente di variazione è di 0,322) nonché una forte correlazione negativa con il voto al centrosinistra del 2008 (r=-.51; r2=.26) e con lo stesso voto alla Borsellino (r=-.72; r2=.52), come vediamo nella Figura 1.

    Fig. 1 Andamento di Borsellino e Faraone nei 31 seggi di Palermo.

    Infine il candidato giunto quarto è Antonella Monastra, che ottiene il 5,9% pari a 1732 voti. E’ ultima in tutti i 31 gazebo, con una distribuzione fortemente squilibrata (Coefficiente di variazione = 0,620): in alcune periferie è praticamente inesistente (ottiene solo 1 voto allo Zen e meno del 2% a Costellazione, Borgonuovo e Piazza Molara), mentre ha un risultato rilevante sia al centro (8,5%, con la punta del 13% al Politeama) che in due borgate marinare (Sferracavallo e Mondello).Un dato interessante è la correlazione positiva (r= +.46; r2=.21) tra suo voto e quello alla Borsellino.

    Fig. 2 Andamento di Borsellino e Monastra nei 31 seggi di Palermo.

    Come vediamo nella Figura 2, le due candidate hanno una simile distribuzione geografica del voto, il che porta ad ipotizzare la presenza di due elettorati in larga parte  politicamente “vicini” (del resto la Monastra è stata eletta in consiglio comunale nel 2007 proprio nella lista della Borsellino, “Un’altra storia”). Ciò significa che la Monastra ha indirettamente contribuito a far perdere la Borsellino. Sarebbe bastato che appena 1 persona su 11 che ha votato la Monastra avesse esercitato un “voto utile” (era chiaro a tutti che non fosse realmente in corsa per la vittoria) convergendo sulla Borsellino per capovolgere l’esito delle primarie. Ma la storia non si fa con i se.

  • Palermo, le primarie si vincono in periferia. Un’analisi della partecipazione

    di Vincenzo Emanuele

    Domenica nel capoluogo siciliano si sono svolte le primarie per eleggere il candidato sindaco di centrosinistra alle amministrative del 6 e 7 maggio.  A sfidarsi c’erano quattro candidati, che hanno dato vita, nel mese precedente alle elezioni, ad una campagna elettorale vibrante e senza esclusione di colpi bassi, polemiche e accuse reciproche, indice del fatto che si è trattato di una competizione vera e incerta fino all’ultimo, poi certificata dall’esiguo scarto finale tra i principali concorrenti in gara.

    Il candidato principale era sicuramente Rita Borsellino, sorella dell’ex Pm ucciso nella strage di Via D’Amelio, eletta al Parlamento europeo nel 2009 come indipendente nelle fila del Pd e già candidata alla Presidenza della Regione nel 2006, quando fu sconfitta da Cuffaro. La Borsellino era sostenuta da tutto l’establishment partitico del centrosinistra siciliano, avendo ricevuto l’appoggio ufficiale della segreteria nazionale del Pd, nonché di Sel, Federazione della sinistra e Idv (con l’ex sindaco Orlando inizialmente intenzionato a scendere in campo e poi ritiratosi). A contenderle la nomination c’erano tre outsider. Il primo era Fabrizio Ferrandelli, il trentunenne enfant prodige della politica palermitana, consigliere comunale dell’Idv poi allontanato dal partito di Di Pietro e Orlando per non essersi adeguato alla linea di sostegno alla Borsellino imboccata dal partito. Ferrandelli era sostenuto da un cartello di associazioni della società civile palermitana e soprattutto da alcuni big sponsor appartenenti all’ala del Pd siciliano che appoggia il governo Lombardo alla regione: il capogruppo all’Ars Cracolici, il senatore Lumia e l’ex ministro Cardinale. Il secondo outsider era Davide Faraone, consigliere regionale del Pd in rotta con la segreteria Bersani, rottamatore amico di Renzi che in suo appoggio aveva spedito a Palermo Giorgio Gori, l’ex guru della Fininvest, per curare gli aspetti comunicativi della campagna elettorale. Infine il quarto candidato era Antonella Monastra, ginecologa ex Rifondazione impegnata nel sociale, eletta nel 2007 al consiglio comunale con la lista “Un’altra storia” facente capo proprio alla Borsellino.

    La partecipazione al voto è stata alta, ben superiore alle previsioni: quasi 30.000 palermitani si sono recati nei 31 gazebo allestiti in città. Si tratta di una cifra largamente superiore a tutte le precedenti primarie, comprese quelle omologhe del 2007, in cui parteciparono poco più di 19.000 persone. Fra i votanti, preventivamente registrati nelle sede del Pd, si annoverano anche circa 800 immigrati extracomunitari e poco più di 100 under 18.

    Dopo uno spoglio delle schede durato ore, l’equilibrio tra i tre candidati principali si è spezzato solo a notte fonda, con Ferrandelli che si è aggiudicato la vittoria con appena 153 preferenze (ma i dati non sono ancora definitivi perché è in corso il riconteggio delle schede in alcuni seggi) di scarto sulla Borsellino. Rinviamo però l’analisi del voto ad un altro articolo, preferendo concentrarci qui sulla partecipazione elettorale e le sue caratteristiche, attraverso un’analisi ecologica dell’affluenza nei 31 seggi cittadini e una comparazione con il voto alle politiche 2008.

    I 31 seggi allestiti a Palermo hanno fatto registrare livelli molto diversi di partecipazione in termini assoluti: si va dai 2053 votanti di Piazza Politeama, il “salotto buono” di Palermo, ai soli 153 della periferica Piazza Molara. Eppure, un’analisi dell’affluenza che si basi su dati assoluti risulta profondamente distorsiva: bisogna infatti tenere conto del diverso numero di sezioni elettorali associate a ciascun gazebo (si poteva infatti votare solo nel seggio corrispondente alla propria sezione), oscillanti fra le 3 di Piazza Molara e le 45 della Zisa. Non solo, ma la variabilità nel numero di elettori associati ad ogni sezione è comunque notevole (a Palermo, per una media di 920 elettori per sezione, vi sono sezioni ospedaliere con poche decine di elettori e altre con circa 1.200 aventi diritto).  Una soluzione per andare oltre alcune facili valutazioni impressionistiche sui livelli di affluenza nelle varie zone della città, dispensate in questi giorni dai quotidiani, e fornire un quadro completo e chiaro bisogna ricostruire il numero di elettori associati a ciascun gazebo. Per farlo, abbiamo utilizzato i dati di sezione delle politiche 2008, ossia le ultime elezioni che hanno fatto registrare un’alta partecipazione (71,9%). In tal modo scopriamo che i 31 seggi raggruppano una media di 17.806 elettori con un’ampia variabilità interna (coerentemente con il numero di sezioni a essi associate, si va dai 3432 elettori di Piazza Molara ai 42.263 della Zisa).

    Eppure così ancora non centriamo appieno la giusta interpretazione dei dati: si trattava infatti di primarie del centrosinistra, non riguardanti l’intero corpo elettorale ma solo una sua parte. Per risolvere l’inconveniente, abbiamo quindi deciso di provare a quantificare l’area di “elettori potenziali” in ciascun gazebo, sommando il totale dei voti raccolti alle politiche del 2008 dai partiti di centrosinistra (Pd, Idv, Sinistra arcobaleno) nelle sezioni corrispondenti a ciascun seggio allestito. Dividendo poi il numero di votanti alle primarie in ciascun gazebo per il numero di “elettori potenziali” otteniamo un Indice di partecipazione molto utile ai fini dell’interpretazione dei risultati. Esso oscilla tra 0 (nessun elettore vota) a 100 (tutti gli elettori di centrosinistra di quel seggio votano), anche se in linea puramente teorica tale limite superiore potrebbe essere stato oltrepassato, qualora si fossero recati alle urne più elettori di quelli definiti come facenti parte dell’area di centrosinistra.

    La Tabella 1 presenta l’elenco dei 31 seggi, con il rispettivo numero di sezioni, i votanti alle primarie, gli elettori e i voti validi ottenuti dal centrosinistra nel 2008 e, infine, l’Indice di partecipazione.

    A Palermo hanno votato 29.531 cittadini, circa il 22% dell’area progressista della città, composta, secondo i dati del 2008, da circa 132.000 elettori. Si tratta, come abbiamo visto, di un eccezionale risultato in termini comparati rispetto alle precedenti primarie, ma rimane ancora solo un punto di partenza verso lo sfruttamento dell’enorme potenziale di questo strumento democratico: quasi 4 elettori di sinistra su 5 non sono infatti andati alle urne.

    TAB.1 Indice di partecipazione alle primarie di Palermo nei 31 seggi.

    Fonte: Elaborazione su dati ufficiali.

    Come vediamo nella legenda in fondo alla Tabella 1, i coefficienti dell’Indice di partecipazione sono segnati con colori diversi: il rosso indica un’affluenza altissima, il giallo una partecipazione superiore alla media, il bianco un rapporto votanti-elettori progressisti nella media, l’azzurro una bassa affluenza e il blu una partecipazione molto scarsa. Osservando la tabella scopriamo come l’interpretazione frettolosa che è stata data dai giornali circa una più alta affluenza nei quartieri del centro città sia palesemente sconfessata dai numeri. Se è vero infatti che i gazebo della “Palermo bene” (Politeama, Don Bosco, Piazza Campolo, Piazza Europa) hanno fatto registrare grande affluenza in termini assoluti, è altresì vero che queste sono le zone della città dove il centrosinistra ottiene le migliori performance (tra il 43 e il 48% nel 2008) e, di conseguenza, nelle quali ci si attendeva un’alta partecipazione alle primarie. Invece accade che nessun gazebo del centro città figura tra quelli con la più alta affluenza. Al contrario, se Politeama e Don Bosco sono in media con il resto di Palermo, Piazza Campolo e Piazza Europa risultano due fra i seggi con la minore partecipazione: il rapporto tra votanti ed elettori progressisti è di circa uno a sei. La Tabella mette in chiaro un dato inequivocabile: le zone con la più alta affluenza sono in gran parte quartieri periferici, popolari, tradizionalmente di centrodestra. Sia la periferia a sud (Pagliarelli, Villagrazia, Montegrappa, Molara), sia quella a  nord (Zen, Tommaso Natale, San Lorenzo, Pallavicino), sia alcune borgate marinare (Arenella, Mondello, Sferracavallo) votano più di quanto ci si sarebbe aspettati sulla base della forza della sinistra in quelle aree. L’affluenza più alta si registra però nel seggio di Piazza Bellini, nel cuore del vecchio centro storico, in cui vota più di un elettore di sinistra su due. In realtà si tratta di un quartiere ad alta immigrazione, soprattutto africana che (non si sa se spontaneamente o sotto più o meno lecite pressioni) si è recata in massa al seggio: molti degli 800 immigrati registrati nella sede del Pd hanno votato lì, facendo così schizzare il dato dell’Indice di partecipazione. Non in tutte le periferie c’è stata comunque un’alta affluenza. In particolare, la II circoscrizione ha disertato in massa i seggi: i gazebo di Messina Marine, Piazza Giulio Cesare, Ponte Ammiraglio, Viale Picciotti e dello Sperone risultano tutti inferiori alla media cittadina.

    In generale comunque, risulta evidente che le primarie sono state vinte nelle periferie, divise, come vedremo meglio nell’articolo sul voto, tra il sostegno a Ferrandelli e quello a Faraone. Il centro cittadino, devoto a Rita Borsellino, è stato tagliato fuori, non riuscendo, a causa della modesta partecipazione, a risultare decisivo nella scelta del candidato sindaco. E così, mentre ci si interroga sulla possibile infiltrazione di militanti di centrodestra (si parla dell’Mpa e dell’Udc) nei gazebo dei quartieri popolari (il Presidente della Regione Lombardo ha dichiarato che circa 10.000 elettori non di sinistra avrebbero preso parte al voto) rimane una doppia perplessità, sia sulle regole che sullo strumento. Riguardo le regole, ci si chiede se sia opportuno mantenere la normativa vigente circa il diritto di voto per immigrati regolari e under 18, facendo così votare un corpo elettorale diverso da quello delle future elezioni comunali che rischia di avere effetti distorsivi sull’esito del voto (oltre 900 elettori a Palermo hanno scelto un candidato che poi non potranno votare, in una competizione decisa per appena 153 voti di scarto). La seconda è una più generale perplessità sulle primarie, straordinario mezzo di partecipazione democratica dei cittadini, ma che tuttavia rimangono uno strumento ancora troppo manipolabile da élite e minoranze organizzate. Nonostante l’alta partecipazione alla fine le primarie si vincono con meno di 10.000 voti (non molti di più di quelli che servono per vincere un seggio all’Assemblea regionale), mentre per diventare sindaco ne serviranno circa 200.000 (nel 2007 Cammarata vinse con 201 mila voti): troppo facile così per minoranze ben organizzate sul territorio (notabili e ras delle preferenze) determinare il risultato finale.

  • Comunali 2012, la situazione di partenza nei capoluoghi di provincia

    di Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo

    Fra poco più di due mesi ( il primo turno si svolgerà il 6  e 7 maggio) oltre 8 milioni di elettori italiani saranno chiamati alle urne per il rinnovo delle amministrazioni di circa 1000 comuni, di cui 176 superiori ai 15.000 abitanti, dei quali fanno parte 28 comuni capoluogo di provincia.

    Si tratta di un test molto importante in chiave nazionale per diverse ragioni. In primo luogo è la prima tornata elettorale dopo la fine della lunga stagione berlusconiana e l’instaurazione del “governo dei professori” guidato da Mario Monti; in secondo luogo, sarà l’ultimo banco di prova per i partiti italiani prima delle elezioni politiche del 2013 e dunque si tratterà dell’ultima occasione per sperimentare assetti coalizionali e alleanze possibili e testare la risposta degli elettori, anche alla luce della rottura della decennale alleanza Pdl-Lega che inevitabilmente aprirà nuovi scenari di competizione nel Nord del paese. Un ulteriore motivo di interesse è rappresentato dal fatto che le elezioni locali immediatamente antecedenti le politiche possono svolgere un ruolo significativo nell’orientarne l’esito in caso di affermazione netta di una delle due coalizioni, come è avvenuto più volte nel corso della Seconda Repubblica: si pensi alle regionali del 2000 che provocarono la caduta del governo D’Alema e spianarono la strada alla grande vittoria della Casa delle Libertà nel 2001, o a quelle del 2005, con il cappotto dell’Unione ai danni del centrodestra (11 regioni a 2), preludio del ritorno di Prodi a Palazzo Chigi nel 2006.

    Il 6 e 7 maggio, come detto, si voterà in 28 comuni capoluogo, un numero simile a quello della tornata elettorale del 2011 (allora furono 30), sebbene questa volta manchino le grandi metropoli (l’anno scorso votarono Milano, Napoli, Torino, quest’anno le principali città al voto saranno Palermo, Genova e Verona). In attesa della definizione dell’offerta (liste e candidati) nei diversi comuni, in molti dei quali in queste settimane si stanno svolgendo le elezioni primarie per la scelta del candidato sindaco, vediamo qual è la situazione di partenza, in termini di colore politico del sindaco e della giunta uscente, nelle 28 città al voto.

    TAB.1 Il quadro dei 28 comuni capoluogo di provincia al voto nel 2012.

    In ben 26 comuni capoluogo su 28 la precedente elezione comunale è quella del 2007, mentre le due eccezioni sono rappresentate da Brindisi (2009) e Catanzaro, in cui si è votato l’anno scorso. E’ molto importante analizzare correttamente tale dato iniziale, a partire dal suo inserimento nel ciclo politico nazionale: nella primavera del 2007, infatti, le elezioni si svolsero in una fase di generale malcontento nei confronti del governo di centrosinistra e videro una netta affermazione del centrodestra, antipasto del trionfo di Pdl e Lega alle politiche del 2008. Non deve dunque stupire il dato sui sindaci uscenti nei 28 comuni: la situazione di partenza è di 18 a 10 a favore del centrodestra, con 14 sindaci uscenti del Pdl contro i soli 7 del Pd.

    Scendendo al livello delle singole zone geopolitiche, possiamo notare la grande vittoria della coalizione berlusconiana al Nord: nelle 10 città settentrionali la situazione è di 7 a 3 in favore del centrodestra, con la sinistra che nel 2007 risultava vincente solo a ovest del Ticino, nelle due città liguri (Genova e La Spezia) e a Cuneo (sempre con sindaci esponenti del Pd), mentre le coalizioni Pdl (allora ancora Forza Italia e AN) e Lega (con l’apporto dell’Udc ovunque tranne che ad Asti) conquistavano Gorizia, Verona, Belluno, Como, Monza, Alessandria e Asti. Di questi, 5 comuni presentano un incumbent del partito di Berlusconi, mentre Verona (con Tosi) e Monza (con Mariani) vedono un esponente leghista a capo della giunta.

    Si voterà anche in 5 comuni della Zona rossa, in cui emerge una situazione di equilibrio tra le due coalizioni, con il centrodestra al governo a Lucca e a Parma (con Pietro Vignali, ex Udc a capo di una lista civica), due città che si pongono tradizionalmente ai margini della subcultura dominante nelle regioni appenniniche, e il centrosinistra che dovrà difendere le vittorie del 2007 a Piacenza, Pistoia e Carrara (l’unico caso dell’area in cui il sindaco non è del Pd: si tratta di Angelo Zubbani del Psi).

    La partita più importante di questa tornata di elezioni amministrative si giocherà nel Sud, in cui vanno al voto ben 13 comuni capoluogo, con una situazione di partenza che vede il centrodestra in vantaggio per 9 a 4 sulla coalizione rivale. In quest’area del paese la situazione coalizionale risulta più variegata rispetto alle altre zone geopolitiche. In 8 comuni su 9 governati dal centrodestra il sindaco uscente è un esponente del Pdl (sono i casi di Palermo, Trapani, Catanzaro, Lecce, Brindisi, Trani, Isernia e Rieti), con l’eccezione rappresentata dal comune di Oristano, dove il sindaco Eugenia Nonnis appartiene ai Riformatori sardi. Eppure l’omogeneità del colore politico del sindaco nasconde un’ampia varietà di formule coalizionali: in 4 comuni la giunta uscente è formata da Pdl e Udc (Lecce, Trani, Rieti e Isernia), nei due comuni siciliani (Palermo e Trapani) si affianca a questi due partiti anche l’Mpa; a Catanzaro è l’Udeur a governare insieme al partito di Berlusconi e a quello di Casini; a Brindisi infine abbiamo un monocolore Pdl. Il centrosinistra governa invece in 4 comuni meridionali, di cui due (L’Aquila e Frosinone) vedono la presenza di un sindaco del Pd ed una coalizione di supporto formata dal partito di Bersani e dagli altri partiti progressisti. A Taranto, invece, il sindaco Ippazio di Sel è al governo con una coalizione di sinistra che ha confinato il Pd fra i banchi dell’opposizione in consiglio comunale. Ancora più curioso ciò che è avvenuto nel 2007 ad Agrigento, in cui il sindaco Marco Zambuto dell’Udc è alla testa di un’eterogenea coalizione che unisce anche gli ex Ds e l’Udeur.

    Infine, c’è da sottolineare come nella scorsa tornata elettorale in ben 20 casi su 28 la competizione per la conquista della carica di primo cittadino si è decisa al primo turno, indice del fatto che si era di fronte ad alternative coalizionali di tipo catch-all che lasciavano poco spazio a forze terze in grado di far perdere voti alle due principali alternative e portare la competizione al secondo turno. In particolare erano stati assegnati al primo turno tutti e 10 i comuni del Nord, 9 su 13 del Sud e solo uno su 5 nella Zona rossa, segno evidente del generale stato di debolezza dell’Unione nella particolare contingenza politica della primavera 2007. Senza bisogno di spingerci a fare previsioni sul risultato delle amministrative non sembra difficile ipotizzare che, a causa della destrutturazione del sistema di alleanze consolidatosi nel corso della Seconda Repubblica si verificherà un aumento del numero dei ballottaggi sia nel Nord, in cui il venir meno del sodalizio Pdl-Lega svilupperà nei fatti una competizione tripolare, sia nel Sud in cui il Terzo Polo (Udc, Fli, Api ed Mpa) se rimarrà unito ed esprimerà candidati comuni potrà creare non pochi problemi ai due schieramenti principali.

  • Elezioni in Spagna, crolla il Psoe e avanzano i partiti minori

    di Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    Domenica 20 Novembre 2011 gli spagnoli si sono recati alle urne per il rinnovo delle Cortes, in anticipo di sei mesi rispetto alla scadenza naturale della legislatura prevista nel 2012. Il risultato delle elezioni è inequivocabile: la Spagna ha scelto di svoltare a destra dopo due mandati consecutivi del Psoe a guida Zapatero. Il Partito Popolare ha stravinto le elezioni ottenendo il 44,6% dei voti, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi e portando il suo leader Mariano Rajoj alla Moncloa dopo due sconfitte consecutive nel 2004 e nel 2008.

    Il primo dato rilevante da sottolineare è il calo della partecipazione: l’affluenza è diminuita di poco più di 2 punti, per un totale di circa 1,5 milioni di voti validi in meno, in parte dovuto al drastico aumento delle schede nulle, raddoppiate rispetto al 2008, forse in conseguenza dell’invito di una parte del movimento degli Indignados a votare scheda nulla o per i partiti minori.

    Passando all’esame del voto ai partiti vediamo come queste elezioni siano caratterizzate più dalla disfatta del Psoe che dall’aumento (che pure c’è stato) del PP. Il partito di Rajoj cresce di 4,7 punti rispetto al 2008, ma di “solo” 550.000 voti, mentre il partito di Rubalcaba ottiene appena il 28,7% dei voti, la percentuale peggiore dell’epoca post-franchista. In termini assoluti il Psoe perde oltre 4 milioni e 300.000 voti, probabilmente finiti in parte nell’accresciuta area del non voto e del voto nullo, e in parte alle forze minori. Rispetto al 2008, infatti, il sistema quasi-bipartitico spagnolo ha visto un incremento dei seggi guadagnati dalle altre formazioni politiche, sia nazionali che etno-regionali. In costante declino elettorale negli ultimi 15 anni (dal 10,5 del 1996 al 3,8% del 2008), Izquierda Unida ha interrotto il trend negativo risalendo al 6,9% e conquistando 11 seggi. Inoltre ha incrementato la propria rappresentanza alle Cortes anche un quarto partito nazionale, Unión Progreso y Democrazia, creatosi a partire da una scissione dal Psoe: nel 2008 aveva raccolto appena 1 seggio, il 20 Novembre ha vinto 5 seggi e ha quasi quadruplicato i voti.

    Al fianco dei partiti nazionali, la Spagna conferma un’effervescente presenza di partiti etno-regionalisti che, favoriti da un sistema elettorale con piccole circoscrizioni, riescono a conquistare seggi al parlamento nazionale ottimizzando il proprio sostegno elettorale territorialmente assai concentrato. Ben 9 partiti regionalisti hanno ottenuto seggi (erano stati solo 6 nel 2008), raccogliendo complessivamente il 15,1% dei consensi, con una crescita di quasi 4 punti rispetto alla scorsa tornata. Fra questi partiti emerge in particolare l’exploit della nuova formazione della sinistra indipendentista basca erede di Herri Batasuna, Amaiur, che ottiene 7 seggi, superando per numero di rappresentanti alle Cortes l’altro storico partito basco, il PNV, che si ferma a 5 seggi pur mantenendo la supremazia nella regione in termini di voti. Altro dato significativo è la conquista, da parte dei nazionalisti moderati catalani del CiU, del primato nella propria comunità autonoma, ottenuto superando i socialisti, per la prima volta nella storia, sia in termini di voti che di seggi conquistati (16).

    Questa tornata elettorale presenta peculiarità interessanti anche dal punto di vista della distribuzione territoriale del voto. Se nel 2008 la geografia elettorale spagnola vedeva un sostanziale equilibrio tra i due principali partiti, con il PP che deteneva il primato in 11 comunità autonome e 28 province, contro le 8 (e 24 province) del Psoe (V. Figura 1), il 20 Novembre la cartina della Spagna è diventata quasi monocolore: i popolari sono il primo partito il 17 comunità autonome e 45 province, un predominio dei conservatori mai osservato nella storia delle Spagna democratica (Figura 2). Inoltre le altre due comunità autonome dove non primeggia il PP sono la Catalogna e i Paesi Baschi, appannaggio dei partiti etno-regionalisti. La cartina enfatizza visivamente il crollo del Psoe, che non riesce a conquistare la maggioranza relativa dei voti in nessuna regione, nemmeno nei feudi storici dell’Andalusia, dell’Extremadura e della Catalogna, riuscendo solo a mantenere il primato nelle province di Barcellona e Siviglia. Le uniche altre province in cui il PP non è il primo partito sono le due basche, che vanno una ad Amaiur e una al PNV, e le altre 3 catalane (Tarragona, lleida e Girona) tutte conquistate dal Ciu.

    Fig. 1: Spagna 2008 per provincia.

    Fig. 2: Spagna 2011 per provincia.

  • Napoli, De Magistris trionfa in tutte le zone, Lettieri paga l’astensione nelle periferie

    di Vincenzo Emanuele

    Per capire lo straordinario risultato delle elezioni comunali di Napoli è importante approfondire l’analisi del voto sviscerando i dati provenienti dalle 10 municipalità del capoluogo campano. Le Tabelle 1 e 2 riassumono i risultati dei candidati rispettivamente al primo e al secondo turno nella città, mentre le Tabelle 3 e 4 illustrano il voto di primo e secondo turno nelle 10 zone.

    Il primo dato di cui tener conto è quello relativo all’affluenza, diminuita di 10 punti: al primo turno era stata del 60,3% (già in calo di oltre 6 punti rispetto al 2006), ieri del 50,6%. L’alta astensione è stata pagata duramente dal candidato di centrodestra, come vedremo tra breve. Ma nella spiegazione della disfatta di Lettieri c’è anche l’incapacità di conquistare il voto dei candidati minori[1], tanto che a distanza di due settimane, l’imprenditore berlusconiano perde addirittura consensi (quasi 40 mila), mentre De Magistris ha più che raddoppiato i propri voti, passando da 128 mila a oltre 264 mila. Alla fine in città, l’ex Pm, che partiva con 11 punti di svantaggio sul rivale, lo sopravanza di oltre 30 punti.

    Tab. 1 Napoli, voti maggioritari primo turno

    Tab. 2 Napoli, voti maggioritari ballottaggio

    Ma come si spiega questo risultato clamoroso? La chiave è confrontare il voto di questi due turni fra le varie zone della città. Al primo turno De Magistris aveva vinto in due municipalità, vale a dire a Vomero-Arenella e a Bagnoli –Fuorigrotta, mentre Lettieri, vincente nelle rimanenti 8, si era imposto con particolare forza nelle circoscrizioni periferiche (7 e 9).

    Tab. 3 Napoli, voti maggioritari primo turno distinti per municipalità

    Tab. 4 Napoli, voti maggioritari ballottaggio distinti per municipalità

    Legenda municipalità

    Al secondo turno De Magistris ha trionfato in tutte le 10 zone, con scarti in molti casi clamorosi: 45 punti a Bagnoli-Fuorigrotta e Arenella-Vomero, le due aree già fatte proprie dal candidato progressista al primo turno. Ma De Magistris va molto forte anche in altri quartieri, come nella municipalità 6, la zona in cui Morcone aveva fatto meglio (32,4%). Questo significa che l’ex Pm ha convinto gli elettori Pd a convergere su di lui. Le aree in cui De Magistris vince “di meno” sono le municipalità comprendenti i quartieri “difficili” di Secondigliano (la numero 7, 56,5%) e Pianura (la numero 9, 59,8%), oltre all’area residenziale e “borghese” di Posillipo e S. Ferdinando (59%).

    L’impressione è che per comprendere la ragione dello smisurato consenso coagulatosi attorno al candidato dell’Idv, dobbiamo guardare al dato relativo all’affluenza. A fronte del 50,6% di partecipazione complessiva, l’astensionismo ha colpito in modo asimmetrico tra le 10 municipalità. Nelle circoscrizioni di più forte consenso per De Magistris e in generale nelle zone “bene” di Napoli, l’afflusso alle urne si è mantenuto su livelli accettabili, calando solo di pochi punti: nel Vomero, il quartiere in cui il neo-sindaco è nato e cresciuto, l’affluenza, già molto più alta della media al primo turno, è scesa solo di 4 punti, rimanendo di 12 punti superiore alla media cittadina. Al contrario, la partecipazione è crollata nelle zone periferiche, più esposte all’attribuzione di un voto clientelare, o semplicemente di tipo personale, per un candidato consigliere al primo turno, ma meno motivate a recarsi alle urne al ballottaggio per esprimere una preferenza sul sindaco. Grazie soprattutto al traino del voto di lista (le liste civiche e quelle espressione di partitini locali a sostegno di Lettieri, al primo turno, hanno superato il 20% in molte municipalità) il candidato di centrodestra si era ritrovato avanti di molti punti a Pianura, Scampia, Secondigliano etc. Ieri, invece, l’affluenza è scesa al 43% nella zona 7 e ha oscillato tra il 45% e il 49% in tutte le altre zone di periferia. (https://matchkicks.com) Con questi numeri, Lettieri non avrebbe comunque potuto vincere. In più, ha anche peggiorato la propria performance in termini percentuali, segno che alcuni elettori di questi quartieri non solo non lo hanno più votato, ma hanno optato per De Magistris (che ad esempio nella zona 8 passa dal 22,4% al 63,5%), forse contagiati dal vento di cambiamento che ha soffiato in queste due settimane in città. Dunque, Lettieri era un candidato debole e in questo senso un campanello d’allarme si era già fatto sentire al primo turno, quando aveva raccolto 5 punti in meno della somma delle sue liste.

    In sintesi, il centrodestra fallisce nell’opportunità di riconquistare Napoli per la debolezza del suo candidato sindaco e per l’incapacità di mobilitare al voto gli elettori “periferici”. Il centrosinistra si conferma al potere, seppure nella discontinuità rappresentata dalla figura di De Magistris, autore di un successo la cui portata sembra richiamare la vittoria di Bassolino nel 1997: solo il tempo dirà se le speranze suscitate dalla sua leadership si tradurranno o meno in un reale cambiamento per la città.


    [1] Vedi l’analisi sui flussi di Lorenzo De Sio su questo sito

  • Napoli-Milano, la Frecciarossa che attraversa l’Italia

    di Vincenzo Emanuele

    Si è appena concluso il turno di ballottaggio delle elezioni comunali 2011. I giochi sono fatti, si possono tirare le prime somme e fare alcune considerazioni. (Zolpidem)

    Il centrosinistra ha colto un risultato eccezionale, ben al di là delle più rosee aspettative. I suoi candidati hanno vinto in 9 comuni capoluogo su 13 al ballottaggio, spesso con performances vicine al 60% e in un caso (Napoli) oltre il 65%, mentre il centrodestra arretra ovunque e riesce ad avere la meglio solo in 4 città e sempre con un margine piuttosto risicato sul candidato rivale. La Tabella 1 illustra i risultati dei 13 comuni che sono andati al voto, la coalizione vincente e i voti assoluti e in percentuale dei candidati dei due schieramenti.

    TAB.1 I risultati dei ballottaggi nei comuni capoluogo.

    Al Nord il centrosinistra vince in 4 comuni su 6 al voto. A Milano, la città nella quale più di ogni altra il voto ha assunto un significato politico nazionale (non a caso si tratta del secondo capoluogo in cui si è registrata la più alta affluenza, il 67,4%), Pisapia ha vinto con il 55% staccando la Moratti di ben 10 punti: questo dato indica che la maggior parte degli elettori del terzo Polo si è orientata verso l’avvocato penalista di Sel. I candidati progressisti vincono anche a Pordenone (con il 59,6%), Trieste (57,5%) e perfino a Novara (52,9%), città del governatore leghista del Piemonte Cota. Negli ultimi due casi, si tratta di città che cambiano colore politico, poiché fino ad oggi erano governate dal centrodestra. La coalizione berlusconiana riesce a strappare Rovigo per appena 500 voti e tiene a Varese, storica fortezza leghista, cogliendo il miglior risultato di questa tornata (53,9%). Considerando anche l’esito del primo turno, complessivamente il centrosinistra vince in 6 città su 8 al voto: nel 2006 era finita 4 a 4.

    Nella Zona rossa i due comuni al ballottaggio risultano entrambi assegnati al centrosinistra, che vince a Grosseto (57,3%) e a Rimini (53,5%), sebbene per lunga parte del pomeriggio nel capoluogo romagnolo è sembrato avere la meglio il centrodestra. Nelle 4 regioni appenniniche (Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche) si assiste dunque ad un vero e proprio cappotto dei progressisti: la situazione finale vede un 8-0 a favore del centrosinistra (nel 2006 finì 7-1).

    Al Sud andavano al ballottaggio 5 comuni capoluogo. Il centrosinistra si è imposto in 3 casi, vincendo con distacchi abissali, inimmaginabili fino a pochi giorni fa: a Cagliari Zedda e a Crotone Vallone si sono imposti entrambi con il 59,4%, partendo da una situazione di estremo equilibrio dopo il ballottaggio. Nel caso del capoluogo sardo, si tratta di una vittoria che vale doppio: la città, infatti, era governata da una giunta di centrodestra. Il vero capolavoro il centrosinistra lo compie a Napoli: nella città eletta a simbolo del “governo del fare”, in cui Berlusconi si era speso moltissimo nel tentativo di risolvere il problema dei rifiuti, De Magistris, che partiva in svantaggio di 9 punti rispetto al rivale Lettieri, supera il 65% dei consensi, quasi doppiando il suo avversario. Il crollo dell’affluenza (appena al 50% contro il 60,3% di 2 settimane fa), soprattutto nelle periferie, ha danneggiato il centrodestra, ma la chiave è stata soprattutto l’incapacità di Lettieri di riportare i propri elettori a votare (come documenta l’analisi dei flussi di voto, nell’articolo di Lorenzo De Sio). Il centrodestra si consola con le vittorie di Cosenza e Iglesias, entrambe con amministrazioni uscenti di centrosinistra. A Cosenza, storica roccaforte rossa della Calabria, i progressisti pagano la divisione all’interno del Pd locale e l’incapacità di Paolini (candidato di Idv e Sel) di conquistare i voti di Fli (4,6% al primo turno). A Iglesias l’alta affluenza (69,1%) ha facilitato il cristallizzarsi dei rapporti di forza fuoriusciti al primo turno, in cui il candidato del centrodestra aveva sfiorato la maggioranza assoluta (49,9%). Nel complesso, su 14 comuni capoluogo al voto, il centrosinistra vince in 8 e il centrodestra in 6: si tratta dell’unica area del paese in cui la coalizione berlusconiana si migliora rispetto a 5 anni fa (allora era finita 10 a 4 per il centrosinistra).

    Riassumendo, al termine di questi ballottaggi, la situazione è la seguente: si passa dal 20 a 9 a favore del centrosinistra del 2006, un risultato allora considerato eccellente, ottenuto sulla scia della vittoria dell’Unione alle politiche, al 21 a 8 di oggi. Una vittoria senza precedenti per Bersani e soci, un cambiamento repentino del corpo elettorale, impensabile fino a poche settimane fa: oggi una Frecciarossa ha attraversato l’Italia, da Napoli a Milano, e non si trattava di un treno.

  • Napoli verso il ballottaggio, il voto nelle municipalità

    di Vincenzo Emanuele

    Fra poche ore sapremo il risultato del ballottaggio nel Comune di Napoli. Intanto, nell’attesa, abbiamo approfondito l’analisi del voto del primo turno nel capoluogo partenopeo, esaminando come si è distribuito il consenso fra i principali candidati alla poltrona di Sindaco nelle 10 municipalità in cui si suddivide il Comune. La Tabella 1 riassume l’esito del voto maggioritario (per il sindaco) nella città, mentre la Tabella 2 specifica il risultato nelle 10 zone.

    Tab. 1 Napoli, voti maggioritari primo turno

    Tab. 2 Napoli, voti maggioritari primo turno distinti per municipalità
    Legenda Municipalità
    1 Chiaia – Posillipo – San Ferdinando
    2 Avvocata – Montecalvario – S. Giuseppe – Porto – Mercato – Pendino
    3 Stella – San Carlo all’Arena
    4 S. Lorenzo – Vicaria – Poggioreale
    5 Arenella – Vomero
    6 Barra – Ponticelli – San Giovanni a Teduccio
    7 Miano – S. Pietro a Patierno – Secondigliano
    8 Chiaiano – Piscinola – Marianella – Scampia
    9 Pianura – Soccavo
    10 Bagnoli – Fuorigrotta


    Il primo dato di cui tenere conto è quello dell’affluenza: in tutta la città è stata del 60,3%, in calo di 6,4 punti rispetto al 2006. Le zone in cui si è registrata una maggiore partecipazione sono state le zone 5 (66,6%) e 1 (62,8%): si tratta delle due zone “borghesi” della città, rispettivamente Vomero e Arenella da un lato e Posillipo e San Ferdinando dall’altra.

    Scendendo nel dettaglio del voto per i candidati, Lettieri risulta il più votato in 8 municipalità su 10. A fronte di una media cittadina del 38,5%, riceve i maggiori consensi nella municipalità 7 (comprendente il “difficile” quartiere di Secondigliano), in cui sfiora il 50% e nella numero 9 (44,8%), cioè l’area di Pianura, dove la proposta del centrodestra di non perseguire temporaneamente l’abusivismo edilizio sembra essere stata ricevuta in modo favorevole.

    De Magistris vince in 2 municipalità, in 6 arriva secondo, mentre in 2 è addirittura terzo, superato da Morcone. L’ex Pm è il più votato nella zona 5 e nella 10. Nei quartieri “bene” di Arenella e Vomero ottiene il suo risultato migliore, il 39,8%, distanziando di più di 10 punti Lettieri in quella che è anche la municipalità più popolosa (101.000 elettori) e nella quale, come detto in precedenza, c’è stata la maggiore affluenza. Il candidato di Idv e Federazione della Sinistra è il più votato anche nella zona 10 (Bagnoli – Fuorigrotta), con il 35,9% (3,7 punti sopra Lettieri). De Magistris è invece largamente sotto la media cittadina nella circoscrizione 7 (15,9%) e nella 6 (17,8%). Nell’area di Miano, S. Pietro a Patierno e Secondigliano accusa un distacco dal rivale di centrodestra di oltre 33 punti, mentre nella municipalità comprendente Barra, Ponticelli e S. Giovanni a Teduccio è nettamente battuto non solo da Lettieri, ma anche da Morcone. Il candidato del Pd qui fa il boom di consensi: è al 32,4%, oltre 13 punti sopra la media cittadina (19,2%) e a soli 3 punti di distacco da Lettieri. Per il resto, Morcone è ovunque sotto la propria media, oscillando tra il 15,7% della zona 1 e il 18,5% della zona 8.
    Pasquino, candidato del Terzo Polo ottiene il suo massimo risultato (12%) sia nella zona 1 che nella zona 7, mentre è meno votato nella’rea di Pianura e Soccavo (8,5%).

    Alla luce dei risultati nelle 10 municipalità il risultato del ballottaggio appare straordinariamente incerto. Entrambi i candidati risultano lontani dall’asticella del 50% dei voti e nessuno raggiunge la maggioranza assoluta in alcuna zona. In vista del ballottaggio la prima variabile di cui tenere conto sarà il livello di affluenza: non essendoci più consiglieri comunali da votare ed essendo solo due i candidati a sindaco “sopravvissuti” al primo turno, è presumibile prevedere un fisiologico abbassamento del livello di partecipazione: molti di coloro che avevano espresso un voto “personale” (per un consigliere comunale) al primo turno, difficilmente torneranno a votare. L’obiettivo dei due candidati sarà proprio quello di provare in tutti i modi a rimobilitare questa fetta di elettorato. Dunque, l’affluenza sarà in diminuzione. Ma il punto è se il calo sarà omogeneo tra le varie zone o, invece, asimmetrico: colpirà le aree di maggior consenso di De Magistris (rispettivamente prima e terza come livello di affluenza al primo turno) o quelle in cui è più forte Lettieri? E in particolare, come si comporteranno quartieri come Scampia, Secondigliano, Barra e Ponticelli?

    La seconda variabile sarà il comportamento ci coloro che al primo turno hanno votato per uno dei candidati esclusi dal ballottaggio. Quale sarà la capacità del Pd di convincere i propri elettori a convergere su De Magistris? Con i voti di Morcone, l’ex Pm acquisirebbe un potenziale 46,7% e passerebbe, sempre in linea puramente teorica, in vantaggio in 6 municipalità su 10 (Lettieri sarebbe ancora in vantaggio nelle zone 4,7,8,9). In questo contesto di grande incertezza, risulterebbero decisivi i voti del candidato centrista (9,7%): il Terzo Polo ha scelto di non fare apparentamenti, ma è nota l’antipatia di Pasquino per Cosentino, coordinatore del Pdl in Campania.
    Ancora poche ore e conosceremo l’esito della sfida.

  • Comunali 2011, il voto ai partiti a confronto con il 2010: boom delle civiche, flop di Pdl e Idv

    di Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo

    Per valutare l’andamento dei principali partiti nazionali in queste elezioni amministrative risulta utile, oltre che interessante, confrontare i risultati (espressi in valori assoluti e percentuali, come riportati nella Tabella 1) aggregati dei partiti presentatisi al primo turno nei 23 comuni capoluogo con quelli degli stessi partiti ottenuti alle elezioni regionali di un anno fa.

    TAB. 1 Confronto 2010-2011 dei risultati dei partiti, valori assoluti e percentuali.

    Il vero vincitore di queste elezioni comunali sembra essere l’aumento della frammentazione, dovuto alla sovrabbondante proliferazione di liste civiche, soprattutto al Sud. Prova ne sia che il numero di partiti in Italia, calcolato con l’indice di Laakso e Taagepera (1979), il Nepe (Numero effettivo di partiti elettorali) cresce dai 5,4 del 2010 ai 7,6[1] di quest’anno. Nel 2010 la somma di tutti i partiti nazionali (considerando fra questi, come esposto nella Tabella, anche Ps, Udeur e Movimento 5 Stelle) raggiungeva l’89,1%: solo un voto su 10 si indirizzava verso forze politiche minori o liste civiche. Nelle elezioni del 15 e 16 Maggio i partiti nazionali raggiungono tutti insieme il 77,1%: quasi un voto su 4 è andato a forze inesistenti sul piano nazionale. Liste civiche e micro partiti totalizzano insieme il 22,9% dei consensi (336.358 voti in più rispetto al 2010), una cifra che permette di definirli (provocatoriamente) il secondo partito del paese. Un dato che dovrebbe farci riflettere sulla tenuta del nostro sistema partitico e sulla natura del voto amministrativo, una competizione nella quale lo spazio per imprenditori politici e liste “fai da te”, oltre che per l’esercizio del voto di scambio, è massimo.

    Se è vero che manca un partito che possa considerarsi realmente vincitore della partita amministrativa, è però chiaro chi sono gli sconfitti: il Pdl e l’Idv.

    Il Popolo della Libertà subisce un tracollo di consensi, passando dal 31% del 2010 all’odierno 22,8%. Perde 118 mila voti e non è più il primo partito del paese (lo era sempre stato sin dalla sua nascita, nel 2008).

    L’Italia dei Valori scende al 4%, lasciando per strada 3,2 punti percentuali rispetto alle regionali e oltre 61.000 voti. Il partito di Di Pietro paga l’aumento della concorrenza tra le forze politiche che si situano a sinistra del Pd: la Sel, il partito che migliora di più in termini percentuali, dal momento che cresce di 1,6 punti (dal 3 al 4,6%) divenendo il quarto partito italiano e il Movimento 5 Stelle, che passa dal 3,1 al 3,8%. Queste due forze insieme ottengono 79 mila voti in più delle regionali, una cifra ben superiore a quella persa dall’Idv e solo in minima parte riconducibile alla flessione della Federazione della Sinistra (dal 2,8 al 2,3% e 3600 voti in meno).

    E’ evidente, dunque, che vi è stato uno spostamento di consensi verso sinistra (oltre che, come abbiamo appena visto, un rimescolamento interno), che pure non ha danneggiato il Partito democratico. Questo, sebbene ceda un punto rispetto alle regionali (un fatto quasi fisiologico, visto l’aumento delle liste civiche) è il partito che cresce di più in voti assoluti (oltre 53 mila). Soprattutto, per la prima volta da quando è nato, supera il Pdl e diventa la prima forza politica italiana con il 26,2%.

    Altra sconfitta di questa tornata elettorale è la Lega Nord. Dopo che i sondaggi fino all’inverno la stimavano in crescita galoppante, attorno al 12% e a un passo dal divenire il primo partito del Nord, la realtà è una secca battuta d’arresto (-2,2 punti e quasi 33.000 voti in meno rispetto al 2010), ancor più bruciante per Bossi perché inattesa. Mai, nella Seconda Repubblica, la Lega e il Pdl avevano perso consensi contemporaneamente: quando uno saliva, l’altro scendeva. Quest’anno, per la prima volta, sia Berlusconi che Bossi hanno perso voti. Un dato che testimonia ulteriormente il complessivo spostamento a sinistra dell’elettorato italiano.

    Infine, alcune considerazioni sul Terzo Polo. In alcune città unito, in altre diviso. Un risultato non brillante, per certi versi deludente. L’Udc è sostanzialmente stabile al 4,2% (-0,3 punti) così come l’Api di Rutelli (0,8%), mentre Futuro e Libertà, alla sua prima apparizione sulle schede elettorali, risulta fortemente ridimensionata rispetto alle euforiche aspettative iniziali (tutti i sondaggi, anche i più pessimistici, la stimavano sopra il 3%): è appena all’1,1% e il suo record non migliora di molto nemmeno se le sommiamo parte di quell’1,5% della voce “Altre liste a sostegno di candidati del Terzo Polo” (al cui interno è presente la lista “Nuovo Polo per Milano” che sosteneva il candidato sindaco di Fli, Palmeri, nel capoluogo lombardo). Nel complesso, l’esperimento del Terzo Polo non va del tutto bocciato: anche se il risultato delle sue liste è insoddisfacente, i voti di questa aggregazione sono decisivi in molti comuni al ballottaggio. Meglio sospendere il giudizio su Casini & co. e riprenderlo alle prossime politiche, quando il Terzo Polo soffrirà in misura minore (quantomeno al Senato, con questa legge elettorale) la pressione maggioritaria e il voto strategico che in queste amministrative gli hanno tarpato le ali.


    [1] Il Nepe è stato calcolato escludendo dal computo tutti i voti delle liste “Altre”, “Altri Cd”, “Altri Cs”, “Altri Tp”. Pertanto la cifra di 7,6 sottostima il numero di partiti di queste comunali.

  • Comunali 2011, il voto maggioritario nelle aree del paese

    di Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo

    Le elezioni comunali del 15 e 16 Maggio forniscono lo spunto per esaminare l’andamento del voto maggioritario (ai candidati sindaci) tra le aree del paese. I dati presentati nei grafici che seguono illustrano i risultati aggregati, per i 23 comuni capoluogo, dei voti raccolti dai candidati ci centrosinistra e centrodestra a confronto con gli aggregati dei voti raccolti dai candidati presidenti di regione negli stessi comuni nel 2010. Le Figure 1 e 2 si riferiscono all’Italia nel suo complesso: i candidati di centrosinistra ottengono un ottimo risultato, migliorando sia in termini assoluti che percentuali le performances dei candidati presidenti di regione nel 2010. Il blocco progressista passa dal 47,9% al 48,7% e cresce di quasi 150.000 voti. Il centrodestra, invece, peggiora il già non brillante risultato del 2010: perde ben 9 punti percentuali (dal 45,3 al 36,3%), mentre in valori assoluti l’emorragia di consensi appare più contenuta (136.000 voti) per via della più bassa affluenza alle regionali rispetto alle comunali . In sintesi, nei 23 comuni capoluogo, il centrosinistra è oggi avanti di 12,4 punti percentuali e di 350.000 voti.


    Fig. 1 e 2: risultati maggioritari dei candidati sindaci e Presidenti nei comuni capoluogo (dati percentuali e valori assoluti, migliaia di voti)