Regionali in Emilia-Romagna, chi può insidiare Bonaccini?

di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele

Il 9 luglio di quest’anno si è chiusa un’epoca. Quella di Vasco Errani alla Presidenza della Giunta regionale dell’Emilia Romagna. Dimessosi a seguito della condanna in appello, che giungeva dopo l’assoluzione in primo grado, per il caso Terremerse, in cui l’ex governatore era accusato di falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta che lo ha visto imputato per via di un finanziamento della Regione alla cooperativa guidata allora dal fratello del Presidente. Errani era stato eletto per la prima volta oltre 15 anni fa e da allora era stato riconfermato per ben tre volte alla Presidenza della Regione. In nessuna di queste elezioni Errani era stato messo in serie difficoltà dagli avversari, neppure negli anni di congiuntura politica particolarmente sfavorevoli al centrosinistra come accadde nel 2000 quando l’allora Presidente del Consiglio D’Alema si dimise, proprio in seguito alla sconfitta subita in occasione delle elezioni regionali. E come è accaduto 10 anni dopo, nel 2010, quando il centrodestra guidato da Berlusconi (allora Presidente del Consiglio) riuscì a vincere in 6 regioni rispetto alle 2 vinte nel 2005.

Cuore della ex “Zona rossa”, l’Emilia-Romagna non è mai stata una regione “contendibile”. Il dominio del Partito Comunista prima e dei suoi epigoni poi è sempre stato schiacciante, e le forze politiche moderate e conservatrici (la Dc prima, Forza Italia e i suoi alleati poi) sono sempre stati relegati al ruolo di opposizione permanente. Questo trend non è cambiato nemmeno negli ultimi anni, come possiamo notare osservando la Tabella 1, che mette a confronto i risultati dei partiti italiani nelle ultime 3 competizioni elettorali avvenute nella regione, ossia le Regionali 2010, le Politiche 2013 e le Europee 2014. La distanza tra centrosinistra e centrodestra (intesi come Pd e alleati contro Forza Italia e alleati) non è mai scesa sotto la doppia cifra, raggiungendo addirittura i 33 punti di scarto alle Europee del 2014. Nemmeno l’emersione del Movimento 5 Stelle, che proprio in Emilia nel 2010 ottenne il suo primo risultato rilevante (6%) è riuscita a modificare tali rapporti di forza. Anzi, il boom del partito di Grillo ha contribuito ad ampliare ancora di più il gap tra i due schieramenti principali, contendendo il ruolo di seconda forza al centrodestra berlusconiano. Ragionando in termini di voti assoluti, la coalizione guidata dal Pd ha sempre ottenuto più di 1 milione di voti validi, raggiungendo un milione e 200.000 voti alle ultime europee. Forza Italia e i suoi alleati, invece, che nel 2010 veleggiavano oltre gli 800.000 voti, hanno visto crollare il proprio consenso di più di 350.000 voti nel giro di 4 anni. Questa massiccia erosione del voto al centrodestra è avvenuta in presenza di un numero di votanti complessivamente stabile (poco meno di 2 milioni e 400.000 sia alle Regionali 2010 che alle Europee 2014).

Tab. 1 – Risultati elettorali dei principali partiti in Emilia-Romagna (2010-2014), voti assoluti e percentuali.

Oggi le cose stanno diversamente, perché il contesto politico è mutato radicalmente. Il centrosinistra anzitutto è stato colpito duramente dalle inchieste della magistratura, oltre che dalla condanna del Presidente uscente – in attesa del terzo grado di giudizio – dalle indagini che vedono coinvolti la quasi totalità dei consiglieri regionali per la gestione dei soldi pubblici derivanti dal finanziamento ai gruppi consiliari. In secondo luogo dal fatto che, almeno a partire dalle elezioni del 2013 e poi alle successive elezioni Europee, così come nei successivi test parziali di livello ammnistrativo[1], la volatilità elettorale, che misura la fluidità degli orientamenti di voto è letteralmente esplosa, producendo risultati inaspettati anche in aeree che si credevano saldamente in mano all’una o all’altra parte politica. Infine oggi una variabile che assume ancora più salienza è quella relativa all’affluenza, che per le ragioni già espresse, è prevista in drammatico calo la prossima domenica, specie se confrontata con il 68,1% delle scorse regionali. Il crollo dell’affluenza registrato alle primarie del Partito Democratico per la selezione del candidato alla Presidenza, in questo senso, non fa presagire niente di buono per le elezioni del prossimo 23 novembre.

Rispetto a cinque anni fa, a luglio di quest’anno, il Consiglio regionale ha approvato la nuova legge elettorale che mantiene l’impianto della legge precedente (la “Tatarella”, l. 43/1995) ma accoglie alcune modifiche sostanziali. La novità più importante concerne l’abolizione del cosiddetto “listino del Presidente”, ossia i seggi di premio assegnati alle liste che appoggiano il Presidente eletto. Rispetto alla Tatarella un seggio viene assegnato automaticamente al candidato Presidente arrivato secondo. Gli altri 9 (compreso il seggio per il Presidente della Giunta regionale) sono assegnati alla coalizione vincente qualora questa non raggiunga il 50% dei seggi (ovvero 25 su 50) nel riparto proporzionale (in cui, analogamente alla Tatarella, sono assegnati 40 seggi in circoscrizioni provinciali); altrimenti, se la coalizione raggiunge o supera il 50% dei seggi, ottiene un premio più che dimezzato, di 4 seggi. Altra modifica cruciale è la previsione, qualora la coalizione vincente non raggiunga i 27 seggi perfino dopo l’assegnazione del premio intero, dell’attribuzione di questi seggi aggiuntivi togliendoli da quelli attribuiti alle liste di opposizione (con la Tatarella questa fattispecie provocava invece l’aumento dei seggi consiliari). Infine un’altra novità riguarda l’espressione del voto di preferenza all’interno della lista prescelta: viene introdotta la possibilità per l’elettore di esprimere fino a due preferenze, purché riguardanti candidati di sesso distinto (è la c.d. “doppia preferenza di genere”).

Domenica prossima la poltrona di Presidente della Regione sarà contesa da 6 candidati, appoggiati complessivamente da 11 liste.  Il favorito è ovviamente Stefano Bonaccini, segretario regionale del Pd e vincitore delle discusse primarie del 28 settembre, celebrate nel bel mezzo dello scandalo sui rimborsi elettorali ai gruppi consiliari che ha investito anche il Pd emiliano. Rispetto al 2010, il perimetro delle due coalizioni principali si è ridotto: da una parte Rifondazione comunista, che appoggiava Errani nel 2010 adesso corre da sola (con Maria Cristina Quintavalla candidato Presidente), dall’altra il Nuovo centrodestra è uscito dalla coalizione berlusconiana e forma una lista comune con l’Udc[2] a sostegno di Alessandro Rondoni. Bonaccini è dunque appoggiato da 4 liste (corrispondenti all’area dell’ex centrosinistra bersaniano, con Pd, Sel e Centro democratico), mentre il suo principale sfidante, Alan Fabbri, sindaco leghista di Bondeno (FE) è sostenuto, oltre che dalla Lega stessa, anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia. E’ proprio la candidatura di Fabbri pare essere la principale novità di questa tornata elettorale, con la Lega che – spinta a livello nazionale dal consenso crescente del segretario Salvini – si candida a recitare il ruolo di principale partito del centrodestra ai danni  di una Forza Italia in netto declino. Infine, gli altri due candidati Presidente sono Giulia Gibertoni per il Movimento 5 Stelle e Maurizio Mazzanti appoggiato da una lista civica.

Tab. 2 – Regionali 2014 in Emilia-Romagna: liste e candidati Presidente.

Riferimenti bibliografici

Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), Bipolarismo addio? Il sistema partitico tra cambiamento e de-istituzionalizzazione, in A. Chiaramonte and L. De Sio, Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

De Sio, L., Emanuele, V. e Maggini, N. (a cura di) (2014), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, CISE.

 

 



[1] Si veda Chiaramonte e Emanuele (2014) per la volatilità; Cataldi e Marino per le recenti elezioni a Reggio Calabria (/cise/2014/11/07/comunali-2014-lanalisi-dei-flussi-elettorali-a-reggio-calabria) ; De Sio, Emanuele  e Maggini (2014) per un’analisi sul voto alle elezioni europee in Italia.

[2] Anche alle regionali in Calabria sta avvenendo qualcosa di simile, con Ncd che è uscito dalla coalizione berlusconiana e si presenta in una lista comune con l’Udc. Per approfondire, /cise/2014/11/16/verso-le-regionali-in-calabria-sistema-elettorale-candidati-e-struttura-della-competizione.