La tornata elettorale siciliana decifra le incognite della vigilia con un voto meno “politico”, più riflesso di assetti locali che delle tribolazioni nella formazione del governo Conte. Lo certifica in primis il diffuso calo dell’affluenza, diminuita di quasi 8 punti rispetto all’appuntamento precedente (58,4% contro 66,3%). Un regresso marcato in alcune delle grandi città chiamate alle urne: Catania (-10,2 punti) e Siracusa (-10,9 punti). In quest’ultime, svetta la minore partecipazione poiché accentuata in raffronto a quanto avvenuto invece dal 2012 alle regionali dello scorso novembre e dal 2013 alle politiche di marzo.
I grafici sottostanti riportano i livelli dell’affluenza registrati dal 2000 nei comuni capoluogo al voto domenica, distinguendo tra elezioni comunali, regionali e politiche. Dalla prima alla più recente rilevazione, il dato cala in media maggiormente proprio nelle amministrative (-16,5 punti), anziché nelle consultazioni per il rinnovo dell’ARS (-12,6 punti) e del Parlamento (-13,2 punti). Il crescente astensionismo rafforza la definizione della Sicilia quale “Isola degli astenuti” (Emanuele 2013). I flussi elettorali sanciranno chi abbia tratto vantaggio da questo fenomeno, inteso da taluni quale “modalità negativa del voto di scambio” (D’Amico 1982). Al contrario, parrebbe che stavolta dalla bassa affluenza ne esca rinvigorito il voto strutturato, a scapito di quello d’opinione prerogativa del M5S.
Fig. 1 – Affluenza elettorale nel comune di Catania 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politiche
Fig. 2 – Affluenza elettorale nel comune di Messina 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politiche
Fig. 3 – Affluenza elettorale nel comune di Ragusa 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politiche
Fig. 4 – Affluenza elettorale nel comune di Siracusa 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politiche
Fig. 5 – Affluenza elettorale nel comune di Trapani 2000-2018, elezioni comunali, regionali e politiche
L’esito del 10 giugno mostra un Giano bifronte: premia i poli di centrodestra e centrosinistra bocciandone però, al contempo, i partiti radicati sul territorio nazionale. La Tabella 1 chiarisce l’assunto: le coalizioni comprendenti Forza Italia e il Partito Democratico ottengono, fatti 100 i voti raccolti alle politiche, rispettivamente il 110% e il 155%. La logica bipolare regge, anche se monca. Le forze politiche un tempo azioniste di maggioranza dei due principali cartelli si trasformano ora in sparring partner. Non soltanto perché FI e PD raccolgono, seguendo i medesimi criteri, appena il 33% e il 27% del loro bacino elettorale delle politiche, con netti cali rispetto ai rendimenti che registravano cinque anni or sono (specie per il PD, per cui si è più che dimezzato). Il dato dirimente concerne il ridimensionamento dell’uno e dell’altro partito all’interno delle proprie coalizioni.
Tab. 1 – Rendimenti elettorali alle comunali rispetto alle politiche, 2013 e 2018
Si guardi la Tabella 2. Il centrodestra nel suo complesso ha preso il 32,8%, Forza Italia appena il 6,8%. Cinque anni addietro, l’ancora PDL s’attestava da solo a quasi il 50% del polo, che pure – si badi – nell’Isola ottenne quasi 10 punti percentuali in meno (22,9%) rispetto ad oggi che governa la Regione con Nello Musumeci.
Lo stesso trend finisce per esacerbarsi nel campo opposto, dove il PD – spesso assente col proprio simbolo e diviso in più liste a esso riconducibile – vanta ormai il 3,3%, percentuale altresì inferiore allo sbarramento del 5% previsto dalla legge elettorale regionale 17/2016. I democratici soccombono, negli equilibri in seno al centrosinistra, alle numerose realtà civiche in sostegno, talaltro, anche di suoi candidati. (www.eyesolutions.in) Esemplificativo il caso di Trapani, in cui il dem Giacomo Tranchida s’afferma già al primo turno col 70,7%, forte del coordinamento di 8 liste tutte ammesse alla ripartizione dei seggi. Uno straordinario adeguamento strategico non replicato nell’elezione dell’europarlamentare Salvo Pogliese a Catania, che riporta il centrodestra a Palazzo degli Elefanti. Rinviando ex post un approfondimento sul tema, il notevole ammontare del voto disperso ha configurato – in diversi comuni – una distribuzione degli scranni significativamente disproporzionale.
Fermo restando l’ambito locale, gli sconfitti delle amministrative siciliane rispondono a Lega e Movimento Cinque Stelle. La prima non oltrepassa il 2%, restando fuori in diversi Consigli Comunali e fallendo laddove (Licata, Rosolini, Trapani) schierava candidati sindaci diversi da quelli di Forza Italia. Il secondo conferma soltanto il 22% dello straordinario risultato risalente alle politiche di marzo, e perdura nello scontare la scarsa riconoscibilità dei propri esponenti sull’Isola. In ognuno dei 19 comuni, il rendimento del M5S si presenta sistematicamente di segno positivo. Ciò acclara, ancora una volta, la predisposizione dell’elettorato siciliano e meridionale a sfruttare il voto disgiunto, di modo da far coesistere la lealtà specifica riposta sul ceto dirigente, spesso radicato da decenni, a richiami anti-sistemici, manifestatisi in particolare nella scelta del sindaco. A ragion del vero, i Cinque Stelle perdono “meglio” di cinque anni fa, quando dal terremoto elettorale di febbraio alle comunali di giugno trassero meno del 15%. Il leader del M5S siciliano, Giancarlo Cancelleri, in un’intervista successiva al voto addita le colpe anche alla legge elettorale regionale 17/2016, promettendo d’impegnarsi in favore di una riforma che abolisca l’effetto di trascinamento.
Tab. 2 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a nelle elezioni politiche e comunali nei 19 comuni superiori siciliani chiamati al voto, 2013-2018[1] (clicca per ingrandire)
Un giudizio completo sulla performance del Movimento proverrà dai ballottaggi del 24 giugno, alla luce del rendimento dei candidati Cinque Stelle nei casi di Acireale e Ragusa. Specie quest’ultimo attrarrà su di sé molte attenzioni, tanto per lo sfidante di destra – Giuseppe Cassì, sostenuto da Fratelli d’Italia – quanto e soprattutto perché il M5S nella città iblea ha amministrato per cinque anni. La partita sarà tra le più aperte dell’Isola, considerato il ridotto scarto dei due contendenti al primo turno (1,8 punti) combinata ad un’alta disponibilità (il 56,5% dei voti del primo turno) figlia della frammentata offerta politica iniziale.
Diverse insidie attorniano l’analisi del voto alle amministrative siciliane, il cui verdetto non decreta un autentico vincitore ma un sostanziale equilibrio. Se guardiamo infatti agli 11 comuni già vinti al primo turno (ricordiamo che in Sicilia si vince con il 40% dei voti), 8 sono equamente spartiti tra centrodestra e centrosinistra e altri 3 in mano a candidati civici. Ne restano da assegnare ulteriori 8 nel secondo turno, la cui metà vedrà Forza Italia e i suoi alleati confrontarsi con aspiranti sindaco d’estrazione non politica.
La Sicilia – forse a sorpresa – non si fa laboratorio. Almeno per una volta, gli echi delle sue vicende non determineranno il futuro oltre lo Stretto.
Riferimenti bibliografici
D’Amico, R. (1982), ‘Una modalità negativa del «voto di scambio»: l’astensionismo in Sicilia’, in Quaderni dell’osservatorio elettorale, 9, pp. 143-178.
Emanuele, V. (2013). ‘Regionali in Sicilia, Crocetta vince nell’Isola degli astenuti. Boom del Movimento 5 Stelle’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, Dossier CISE(3), pp. 55-58.
Riggio, A. (2018), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/09/comunali-in-sicilia-una-legge-elettorale-sui-generis-regola-unofferta-rinnovata/
[1]Nei dati delle comunali 2018 manca una sezione a Siracusa per la quale non erano ancora disponibili i dati al momento della pubblicazione di questo articolo.
NOTA: Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).
Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).
Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.
L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.
Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.
Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).