Città spaccate dal voto: centri per il Sì, periferie per il No

di Roberto D’Alimonte e Vincenzo Emanuele

Pubblicato sul Sole 24 Ore il 6 dicembre 2016

Tra i tanti dati interessanti di questo voto referendario ce n’è uno che spiega più di altri cosa è successo effettivamente Domenica. Nei 100 comuni con la percentuale più alta di disoccupati ha vinto il NO con il 65,8%. Nei 100 comuni con la più bassa il SI ha prevalso con il 59%. E’ quello che emerge dalla analisi fatta dopo il voto da You Trend. Come si è sempre sospettato è la insoddisfazione per la situazione economica il fattore più importante per spiegare la vittoria del NO. Un altro fattore, collegato a questo, è la sorprendente affluenza alle urne.
Ci si chiedeva prima del voto quale delle due parti sarebbe stata favorita da una partecipazione elevata. Ora lo sappiamo. In Italia, senza tener conto della circoscrizione estero, ha votato il 68,5% degli elettori. Una percentuale di soli 7 punti inferiore a quella delle ultime elezioni politiche e di 10 punti superiore a quella delle europee del 2014. E tutto ciò senza che sulla scheda comparissero partiti e candidati. La regione in cui si è votato di più è stata il Veneto (76,7%) mentre quella in cui si è votato di meno è stata la Calabria (54,4). Da notare che in Veneto addirittura più che in Emilia (75,9%) e in Toscana (74,5%)
Colpisce in particolare il dato del Sud dove si è recato alle urne il 61,6% degli elettori. In questa zona, che va dal Lazio alla Sicilia, si è registrata tra l’altro la più alta percentuale di NO, e cioè il 67,4% contro il 57,3% del Nord e il 48,8% della Zona Rossa. Ed è proprio nelle regioni più periferiche del paese che la percentuale dei NO è stata la più alta in assoluto. Per esempio 72,2% in Sardegna e 71,6% in Sicilia. L’importanza del fattore marginalità emerge anche da altri dati. Nelle grandi città, quelle sopra i 100.000 abitanti, e nei capoluoghi il SI va decisamente meglio rispetto ai piccoli centri e ai comuni non capoluogo. Questo è vero soprattutto al Nord. Il caso di Milano, dove il Si ha prevalso sul NO, ci fa capire ancora meglio cosa è successo. Infatti il SI ha vinto largamente nei quartieri centrali e più agiati ma ha perso in quelli periferici. Lo stesso fenomeno si riscontra anche a Roma e a Torino, dove complessivamente il NO ha prevalso, tranne che nei quartieri del centro. In breve, questo referendum può essere assimilato alla Brexit e alla elezione di Trump. Due casi in cui si è visto bene l’impatto che hanno avuto il fattore centro-periferia e l’influenza degli elettori marginalizzati.
La politicizzazione del voto ha segnato il destino della riforma costituzionale. Una volta associata la riforma a Renzi e al suo governo è scattato in tanti elettori un riflesso partigiano. Era difficile evitare questa associazione, ma il premier è stato incauto nel rendere la cosa più facile ai suoi avversari. La sostanziale omogeneità del risultato denota che questo voto è stato percepito dalla maggioranza degli elettori come se si trattasse di una elezione politica vera e propria, anche se partiti e candidati non erano in lizza. Una prova ulteriore viene dal buon risultato del SI nelle regioni della zona rossa. In altre parole in questo voto si vede bene una componente partigiana. Dove il Pd è più forte, il SI è andato meglio. L’organizzazione territoriale conta ancora. Ma il problema è che il Pd rimane forte solo in una zona limitata. Il bilancio complessivo è che il SI ha prevalso in 12 province su 106, e 11 di queste sono situate in Emilia-Romagna e Toscana.

Fig. 1 – Il risultato referendario per comune

Un altro problema del Pd è svelato dai flussi calcolati sui dati di sezione (Tabella 1). Da questi dati emerge che, rispetto alle elezioni politiche del 2013, il Pd riesce a mobilitare in favore del SI solo circa due terzi dei suoi (ex) elettori nel centro-nord, e appena la metà a Napoli. Il SI fa invece il pieno nell’ex elettorato montiano, che risulta il più compatto in assoluto tra tutte le città esaminate. Fra i partiti a sostegno del NO, quello con le minori defezioni è il M5S che cede piccole quote verso l’astensione, ma porta a votare NO la stragrande maggioranza dei suoi elettori (fra il 76 e il 100%), con la parziale eccezione di Parma. Infatti nella città di Pizzarotti un terzo dei pentastellati non ha votato secondo le indicazioni del Movimento. Anche la Lega mostra grande compattezza, ma solo nelle sue roccaforti di Brescia e Treviso, in cui il NO leghista oscilla fra l’85 e l’89%. Viceversa, a Torino e Parma quasi la metà dei votanti leghisti del 2013 ha votato SI. L’elettorato berlusconiano del 2013 mostra la maggiore divisione interna, cedendo quote rilevanti di voti a Brescia e ad Ancona verso il SI, e a Napoli verso l’astensione. Infine, in tutte le città prese in esame, gli ex astenuti del 2013, che domenica sono andati alle urne, hanno scelto in larga maggioranza il NO.

Tab. 1 – I flussi elettorati fra politiche 2013 e referendum 2016 in alcune città

flussi referendumIn conclusione, con il senno di poi si può dire che questo è stato un referendum che difficilmente il Pd poteva vincere. Troppi fattori hanno giocato contro il premier. Ma resta il fatto che 13 milioni di voti sono tanti. E da qui può ripartire la sfida di Renzi.

Riferimenti bibliografici:

Goodman, L. A. [1953], Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui riportate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati a livello di sezione elettorale in ciascuno dei comuni considerati. I valori dell’indice VR sono riportati nei post individuali.