Serve una legge elettorale per garantire governabilità senza tradire chi vota

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 18 marzo

Ci vuole coraggio a riproporre in piena pandemia la questione della riforma elettorale. Enrico Letta lo ha fatto ben sapendo che il tema non è in cima alle priorità degli italiani. Ma ha fatto bene. Finché non si troverà il modo di stabilizzare i governi nazionali, come è stato fatto per quelli comunali e regionali, l’Italia non arresterà il declino. Non volendo cambiare la forma di governo o modificare la costituzione lo strumento da usare è il sistema elettorale.  

Attualmente è in vigore sia alla Camera che al Senato un sistema misto ma prevalentemente proporzionale, la legge Rosato. Circa due terzi dei seggi sono assegnati con formula proporzionale e un terzo in collegi uninominali dove vince il candidato che prende un voto più degli altri. La proposta di Letta è quella di incrementare la quota di collegi uninominali. Da quello che sembra di capire vorrebbe resuscitare la vecchia legge Mattarella, cioè il sistema elettorale con cui si è votato nelle elezioni del 1994, 1996 e 2001, la stagione dell’Ulivo. Nella sostanza Letta punterebbe a un sistema con una componente maggioritaria molto più robusta dell’attuale. La Mattarella prevedeva il 75% di collegi uninominali sia alla Camera che al Senato. Per il Pd si tratta di una svolta radicale rispetto al progetto che giace ancora in Parlamento per un ritorno a un sistema interamente proporzionale seppur corretto da una soglia di sbarramento. E questa è una buona notizia, visto che l’Italia in questa fase storica non ha bisogno di sistemi proporzionali da Prima Repubblica.

La cattiva notizia è che difficilmente la proposta di Letta raccoglierà molti consensi.

L’unico partito disposto ad accettarla è la Lega di Salvini. E si capisce, vista la sua forza nel Centro-Nord. Dentro lo stesso Pd prevalgono le perplessità. Infatti con un sistema elettorale con una prevalenza di collegi uninominali il Pd rischierebbe di vincere pochissimi seggi nel Nord del Paese. Nel 1994 il centrosinistra ne vinse 14 su 180, nel 2001 furono 38 su 180 (senza contare il caso particolare del Trentino-Alto Adige). Ne vinse di più nel 1996 ma solo perché il centrodestra era diviso. Eppure anche in quella elezione, l’unica vinta dall’Ulivo di Prodi, la vittoria fu risicata e fu un ‘regalo’ di Pino Rauti. Oggi il Pd avrebbe un ulteriore problema al Sud. Dando per scontato che Pd e M5s si alleino a livello nazionale prima del voto (se non lo facessero il centrodestra farebbe il pieno dei collegi) e presentino candidati comuni, il M5s, che ha il suo unico punto di forza nelle regioni meridionali, ne reclamerebbe probabilmente la fetta maggiore. Al Pd resterebbero soprattutto i collegi dell’Emilia Romagna e della Toscana e qualche collegio a Est del Ticino.

I collegi uninominali sono una buona cosa ma non sono adatti al nostro paese in questa fase. Data la distribuzione asimmetrica dei consensi sul territorio nazionale l’esito del voto finirebbe con l’essere troppo disproporzionale anche per uno come il sottoscritto che ritiene la disproporzionalità necessaria per favorire la governabilità. La Figura 1 è molto indicativa a questo proposito. Fa vedere come si sono distribuite in maniera squilibrata tra gli schieramenti le vittorie nei collegi uninominali nelle quattro elezioni in cui sono stati utilizzati. Con la legge Rosato alle prossime elezioni andrà più o meno allo stesso modo. I Cinque Stelle non vinceranno certamente l’83% dei seggi uninominali al Sud ma il centrodestra farà probabilmente il pieno dei collegi nel Nord.

Fig. 1 –  Come hanno funzionato il Mattarellum e il Rosatellum nei collegi uninominali della Camera nelle elezioni del 1994,1996,2001(Mattarellum) e 2018 (Rosatellum), % seggi per coalizioni e per zone. Fonte: cise.luiss.it

Oggi il sistema più adatto è un sistema proporzionale con premio di maggioranza a un turno o-meglio ancora-a due turni. Non è un caso che questo sia il tipo di sistema adottato nei comuni e nelle regioni. Agli elettori piace. E piace a sindaci e governatori eletti che durano in carica, nella stragrande maggioranza dei casi, cinque anni e possono dimostrare quello che sanno fare, avendo a disposizione un arco di tempo congruo per poter essere giudicati. Inoltre sistemi di questo genere generano una disproporzionalità limitata e non casuale. In breve producono un mix soddisfacente tra governabilità e rappresentatività.

La riforma di Calderoli del 2005 e quella di Renzi del 2015 andavano in questa direzione, ma avevano dei difetti. Tenendo conto dei rilievi fatti dalla Corte Costituzionale nelle sue due sentenze su quelle leggi elettorali si potrebbe battere di nuovo quella strada. Ma restiamo scettici sul fatto che si riesca a coagulare un consenso sufficiente per fare approvare una nuova legge elettorale prima delle prossime elezioni. L’ipotesi di gran lunga più probabile è che si voti con il sistema attualmente in vigore. È meglio di quello che Pd e M5s volevano introdurre fino a qualche settimana fa, ma non è il migliore dei sistemi possibili.