Gli effetti della televisione. Ma ancora dopo trent’anni?…

Lorenzo De Sio e Davide Angelucci hanno recentemente pubblicato una ricerca – The Cultural (Even More Than Political) Legacy of Entertainment TV – in cui indagano gli effetti di lungo termine dell’esposizione precoce alla televisione di intrattenimento (in particolare Mediaset) sui valori dei cittadini. Qui una breve intervista di Matteo Boldrini ai due autori.

Gli effetti della televisione sulle opinioni, in particolare politiche, e quindi sul voto. Fu un argomento molto discusso negli anni Novanta, all’indomani della discesa in campo di Berlusconi, ma oggi diciamo che non sembra un argomento molto attuale. Da dove è nata l’idea dell’articolo?

Lorenzo De Sio: Beh, in effetti è vero… l’idea ci è venuta qualche anno fa, dopo aver letto uno studio sul tema di alcuni ricercatori della Bocconi [Durante, Pinotti e Tesei, ndr]. Loro avevano raccolto dei dati interessantissimi sulla potenza delle antenne Mediaset (all’epoca Fininvest) nei primi anni Ottanta, e li avevano combinati con dati sui rilievi montuosi di tutta Italia, ricostruendo in quali comuni italiani le reti di Berlusconi (all’inizio solo Canale 5) si vedevano già dal 1979, e in quali invece arrivarono solo anni più tardi. Incrociando questi dati con dati di sondaggio raccolti vari anni dopo, hanno testato se nei comuni che avevano ricevuto Mediaset per più anni c’erano differenze nelle opinioni delle persone, rispetto agli altri comuni. E hanno scoperto che effettivamente c’era una maggiore tendenza (anche se lieve) ad avere opinioni più “populiste”, a votare Forza Italia, o addirittura a votare il Movimento 5 Stelle nel 2013, trent’anni dopo…

Ricordo questo studio uscito anni fa. Ma fu molto controverso; suscitò un dibattito in cui prese posizione anche il giornalista Enrico Mentana in termini molto critici…

Infatti. I dati erano effettivamente solidi (anche se con effetti non molto forti), ma la polemica è nata perché gli autori sostenevano che uno degli effetti di Mediaset fosse l’abbassamento dei livelli cognitivi dovuto a una programmazione di bassa qualità, che quindi avrebbe predisposto le persone verso atteggiamenti populisti; e questo scatenò un acceso dibattito. Siamo partiti da questo punto perché i dati erano interessanti e i risultati solidi, ma c’era qualcosa che non ci convinceva nel meccanismo esplicativo.

Che cosa esattamente non condividevate della spiegazione offerta dagli studiosi della Bocconi?

Davide Angelucci: Secondo noi, la vera causa non era l’abbassamento del livello cognitivo. Da tante ricerche elettorali sappiamo con chiarezza che Forza Italia nel corso dei decenni è stata in grado di mobilitare gli elettori su temi specifici, come ad esempio precise preferenze economiche (ad esempio la tutela dei lavoratori autonomi e delle imprese), anche tra classi sociali diverse, e ovviamente non solo tra le persone meno istruite o politicamente disimpegnate. Quindi secondo noi il meccanismo dietro all’effetto dell’esposizione mediatica a Mediaset doveva essere un po’ diverso. In quel periodo, i primi anni ’80, Mediaset tra l’altro presentava contenuti esclusivamente di intrattenimento. Il punto però è che questi programmi promuovevano specifici stili di vita e un sistema di valori che era molto diverso da quello promosso dalla Rai, che anche nell’intrattenimento aveva un’impostazione molto più pedagogica, e legata ad altri valori.

LDS (interrompe): … io c’ero e me li ricordo bene: le prime serie come Dallas [che peraltro iniziò con pochi episodi in Rai, ma fu subito cancellata e passò su Canale 5 che la trasmise con grande successo per molti anni, ndr] e Dynasty, con stili di vita individualisti, lussuosi e moralmente molto disinvolti… programmi come OK il prezzo è giusto, che inneggiavano al consumismo; varietà come Drive In… tutte cose che sulla Rai non si sarebbero mai viste, tanto che uno dei più celebri programmi di Mediaset (anche se qualche anno più tardi) si chiamerà proprio Non è la Rai

DA: Ecco: l’idea è che anche i programmi di intrattenimento veicolano degli stili di vita e quindi dei valori; e quindi che l’esposizione a questi programmi possa avere un impatto sui cittadini e sui loro valori. Da questo punto di vista, abbiamo costruito la nostra argomentazione basandoci su un’ampia letteratura scientifica che mostra come gli individui differiscano tra loro su un’ampia gamma di valori, che influenzano anche la politica e le scelte di voto. In questo senso, quindi, la nostra idea ruota attorno al fatto che l’impatto di una maggiore esposizione a Mediaset non è legato a un abbassamento delle capacità cognitive dei cittadini, ma piuttosto alla sua capacità di influenzare i valori di riferimento di molti di questi cittadini.

Voi parlate di effetti sui valori. Ma come si possono misurare i diversi valori in cui credono le persone?

LDS: La vera sfida è proprio questa. Ma su questo c’è stata tanta ricerca, soprattutto in psicologia: la ricerca sui valori delle persone ha sviluppato scale di misurazione che vengono somministrate in numerose indagini. Un contributo particolarmente affascinante viene dallo psicologo israeliano Shalom Schwartz, che negli anni Novanta ha proposto una serie di domande per valutare l’orientamento degli individui verso dieci diversi valori fondamentali. Ad esempio, questi valori includono l’importanza dell’edonismo, del raggiungimento del potere, del successo, del conformismo, dell’espressione della benevolenza verso gli altri, eccetera. E, per l’appunto, ci ricordavamo che queste domande erano state inserite in un’indagine del gruppo di ricerca ITANES [cui partecipano anche studiosi CISE, ndr] su un campione di italiani, svolta nel 2006. A quel punto abbiamo incrociato i dati ITANES sui valori dei cittadini con i dati sulle antenne di Mediaset dei primi anni ’80, raccolti dai ricercatori della Bocconi. Abbiamo quindi identificato quali intervistati vivevano in comuni che avevano ricevuto Mediaset per anche cinque o sei anni in più, all’inizio degli anni ’80, per scoprire se – a distanza di vent’anni – le loro opinioni effettivamente erano un po’ diverse da quelle degli altri. In sostanza, abbiamo replicato l’analisi condotta dai nostri colleghi, ma esaminando in particolare l’impatto sui valori. Con l’idea di fondo che, anche se magari quegli intervistati non avevano personalmente guardato le reti Mediaset (magari anche perché erano troppo piccoli), questo era accaduto alle loro famiglie, ai loro vicini, ai loro compagni di scuola o colleghi di lavoro, quindi di fatto potendo influire sugli orientamenti di valore di intere comunità.

E quindi, quali sono stati i risultati?

DA: I risultati sono estremamente interessanti. Abbiamo scoperto che l’esposizione a Mediaset, in particolare quella a lungo termine, ha avuto un impatto sensibilmente più ampio, e statisticamente più solido, sui valori dei cittadini rispetto a quanto trovato dai nostri colleghi relativamente al populismo: questi intervistati sono risultati più individualisti e più conservatori rispetto agli altri. Questo sembra sostenere la nostra tesi che l’eredità culturale della televisione di intrattenimento sembra più forte delle sue implicazioni politiche, e probabilmente le precede. Questo non vuol dire che non abbia anche implicazioni politiche, ma ha anche implicazioni più ampie per le trasformazioni culturali e i valori. Vale la pena notare che nel periodo – cruciale per la nostra analisi – in cui si vedeva solo in alcune città (i primi anni ’80), Mediaset si concentrava esclusivamente sulla programmazione di intrattenimento, senza alcun contenuto politico o di cronaca. Questo ci porta a riflettere sull’importanza, in un sistema democratico, di garantire una pluralità di visioni del mondo, anche nei contenuti non direttamente politici.

Ma oggi, soprattutto i giovani, non usano così tanto la TV. La vostra ricerca ha ancora implicazioni rilevanti?

LDS: Questo è un punto importante. In realtà, sappiamo: 1) che la TV continua a rimanere estremamente rilevante per vari segmenti della popolazione; ma soprattutto 2) che i contenuti televisivi sono ormai diffusi in molti modi diversi, ad esempio attraverso lo streaming anche in mobilità, e per questo continuano ad essere molto popolari e importanti. Ad esempio, una serie molto seguita tra i più giovani, come “Mare Fuori”, ha paradossalmente avuto più successo in streaming che sulla TV via etere. E spesso molti contenuti televisivi circolano molto anche attraverso i social media; ecco quindi che la TV riveste ancora una grande importanza. Ma soprattutto va sottolineata l’importanza dei programmi non politici nell’influenzare i valori. Visto che abbiamo trovato effetti significativi a distanza di vent’anni, la domanda è: quali valori vengono trasmessi da tutti i contenuti mediatici in cui siamo immersi? E che impatto hanno sui nostri valori? Anche gli spettacoli comici come LOL e le serie disponibili su Netflix, che impatto hanno sui nostri valori? Perché un impatto evidentemente ce l’hanno. Tra l’altro noi stiamo anche lavorando a un ampio progetto di ricerca con altre tre università italiane [il progetto POSTGEN, ndr] in cui vogliamo analizzare il possibile impatto sulla politica degli influencer sui social media (anche e soprattutto non politici, come ad esempio Chiara Ferragni). Più in generale, questo deve farci riflettere sulla questione del pluralismo, ovvero sulla rappresentazione di diversi valori, anche nei programmi di intrattenimento e anche sui social. Quindi, un’agenda di ricerca per il futuro è quella di esaminare i tipi di valori associati ai contenuti più diffusi, per capire se stiamo subendo una forte influenza in una certa direzione e non ne siamo ancora consapevoli.