di Lorenzo De Sio e Vincenzo Emanuele
Abbiamo aperto questo volume cercando di tratteggiare al meglio il contesto in cui si svolgono le imminenti elezioni politiche, alla ricerca di una chiave con cui delineare le possibili interpretazioni del risultato. Di conseguenza ci siamo trovati di fronte alla scelta pressoché obbligata di tenere conto di tre elementi chiave. Anzitutto il contesto internazionale, osservato attraverso le lenti dell’influenza della crisi economica sui risultati elettorali in alcuni importanti paesi europei. In secondo luogo, le elezioni siciliane dell’ottobre 2012, in grado di anticipare importanti segnali e dinamiche delle successive elezioni politiche, dato il peso di questa regione. Infine, le elezioni primarie del centrosinistra, come testimonianza di una dinamica di rimobilitazione dell’elettorato di questa parte politica.
I primi elementi in grado di orientare le nostre interpretazioni emergono inevitabilmente dal contesto internazionale. Come abbiamo visto nel corso del volume, la nostra analisi ha incluso paesi eterogenei tra loro per diverse caratteristiche: Spagna e Francia sono due grandi democrazie europee, ancorché caratterizzate da percorsi di democratizzazione molto diversi tra loro; Olanda e Grecia sono invece paesi più piccoli, tuttavia divisi anch’essi da ben diversi percorsi di democratizzazione e oggi estremamente distanti riguardo alla dimensione chiave del rigore nella gestione dei bilanci pubblici, divenuta cruciale nell’attuale crisi economica e finanziaria. Infine, di questi paesi tre (Spagna, Francia, Grecia) hanno una dinamica competitiva essenzialmente bipolare, mentre l’Olanda è uno dei più classici esempi di sistema partitico multipolare.
In un campione tanto eterogeneo diventa difficile ma particolarmente stimolante cercare chiavi di lettura comuni. Tuttavia appare abbastanza chiaro (anche in relazione all’evoluzione della situazione italiana fino ad oggi) che tanto la crisi economica e finanziaria, quanto le politiche di austerità che ne sono seguite, hanno fatto pagare un prezzo molto pesante ai governi uscenti. In Spagna anzitutto, dove il partito di opposizione (in questo caso il Partido Popular di Mariano Rajoy) è riuscito non solo a battere il partito di governo ma a ottenere immediatamente una netta maggioranza parlamentare, fatto che non avveniva dal 1982. E analogamente in Francia, dove, di nuovo per la prima volta dal 1981, il presidente in carica è stato sconfitto dal suo principale avversario già alla fine del primo mandato. E il peso della crisi non ha risparmiato Grecia e Olanda, pur se con dinamiche più complesse. Il caso più eclatante è quello della Grecia, in cui la violenta esplosione della crisi ha prodotto una vera e propria frantumazione di quello che era un sistema partitico bipolare, con la quasi scomparsa dello storico PASOK (oggi ridotto a poco più di un quarto del suo peso elettorale), la crescita impetuosa della sinistra radicale e l’emersione di movimenti xenofobi, in un quadro di difficile governabilità in costante tensione con le autorità europee riguardo alle durissime misure di austerità. Infine la stessa Olanda ha visto importanti cambiamenti, pur filtrati attraverso le complesse dinamiche di un sistema multipolare basato su delicate trattative coalizionali: si tratta del crollo del CDA – grande partito cristiano storicamente perno di molte coalizioni di governo – ridotto oggi a quinta forza del paese confermando una dinamica già emersa nel 2010 (a crisi già iniziata) in cui gli elettori avevano duramente punito l’allora premier Balkenende. Le dinamiche di questi quattro paesi ci suggeriscono quindi come l’evoluzione fino a oggi degli orientamenti di voto in Italia non sia inattesa: la drammatica crisi del centrodestra del 2011, seguita dall’insediamento del governo Monti, è in linea (pur con le specificità italiane, in particolare la crisi della leadership di Berlusconi) con effetti visti in tutti gli altri paesi europei che abbiamo considerato; e così gli attuali equilibri registrati dai sondaggi, che vedono in questo caso in vantaggio l’opposizione di centrosinistra, e predicono un forte successo del Movimento 5 Stelle.
E l’analisi del voto siciliano fornisce ulteriori elementi in questa direzione. Il risultato, come emerge dalle analisi presentate nel volume, è in effetti di portata storica: per la prima volta dal 1947 una coalizione di centrosinistra riesce a vincere le elezioni ed arrivare al governo dell’isola. Si tratta di un risultato che emerge da diversi fattori: un incremento massiccio dell’astensione; il grande successo del Movimento 5 Stelle (primo partito); la confusione nel centrodestra, che lo porta a correre diviso e a perdere molti consensi rispetto al passato. È interessante notare come nessuno di questi elementi sia davvero specifico della Sicilia: le complesse lotte interne del centrodestra sono in gran parte il riflesso della drammatica crisi di leadership del Pdl nazionale in tutto il 2012; ma soprattutto sia l’aumento massiccio dell’astensione che il successo del Movimento 5 Stelle sembrano suggerire un radicale cambiamento degli equilibri nei rapporti tra cittadini e partiti, in parte anche a causa della crisi economica e delle politiche di austerità. Una possibile ipotesi (da controllare in modo rigoroso, ma già suggerita ad esempio da alcune analisi di elezioni comunali nella primavera 2012) è quella di una (temporanea?) eclissi delle forme più strutturate di intermediazione e organizzazione del voto clientelare, dovuta da un lato a crisi e divisioni nelle élite partitiche, dall’altro all’ormai scarsa disponibilità di risorse da distribuire in cambio di consenso. In questo senso non sarebbe difficile spiegare il fortissimo aumento dell’astensione, e al tempo stesso la riemersione di una voce storicamente presente nella politica siciliana, ovvero il grido di protesta contro i partiti e contro la corruzione del sistema, questa volta – totalmente in linea con le dinamiche nazionali – incanalato nel Movimento 5 Stelle. Per certi versi questi elementi suggeriscono dinamiche simili anche per le imminenti elezioni politiche, tuttavia con l’importante novità, emersa solo all’inizio del 2013, della fine della confusione nel centrodestra, in cui la leadership di Berlusconi (e una minima coesione nel Pdl) appare di fatto ripristinata, con effetti che quindi potrebbero differenziarsi da quanto visto in Sicilia[1].
Infine, l’ultimo elemento è relativo al risultato delle primarie del centrosinistra. Sono state elezioni combattute che hanno portato a una forte rimobilitazione dell’elettorato di quest’area, e all’avvicinamento anche di fette di elettorato non tradizionalmente legate a questo schieramento politico, in particolare grazie alla capacità di Matteo Renzi di attrarre consensi tra gli elettori di centro e centrodestra. Tanto da portare il Pd a registrare livelli molto alti nelle intenzioni di voto, nelle settimane immediatamente successive alle primarie. Tuttavia, e veniamo oggi all’attualità, ci troviamo di fronte ad alcuni interrogativi. Il primo è relativo all’effetto di mobilitazione delle primarie. E’ vero che l’elettorato di centrosinistra si è riavvicinato ai propri leader a causa delle primarie, tuttavia è anche vero che paradossalmente il rientro alla normalità della politica (e il fatto che le primarie venissero superate da altri eventi della campagna elettorale: l’ingresso in politica di Mario Monti e il ritorno in primo piano di Berlusconi) potrebbe aver in parte fatto abbassare il livello di interesse e mobilitazione degli elettori di centrosinistra (magari tentati da altre scelte come l’astensione o il Movimento 5 Stelle), anche a causa di una campagna del leader-eletto Bersani che non si è distinta per forza ed aggressività. In secondo luogo, uno dei problemi per il centrosinistra potrebbe essere paradossalmente proprio la sconfitta di Renzi, e quindi il possibile allontanamento dal centrosinistra di alcuni elettori di altri orientamenti, che avevano visto nel sindaco di Firenze una possibile scelta, e che oggi potrebbero addirittura essere tentati da un ritorno verso Berlusconi. E quest’ultimo aspetto suggerisce un ultimo elemento interrogativo, ovvero il fatto che la grande visibilità vissuta dal centrosinistra durante le primarie si è svolta in un contesto essenzialmente di assenza di altre proposte politiche, con Monti impegnato nell’attività di governo, Berlusconi ancora completamente assente dalle scene (e il Pdl nella totale incertezza, con addirittura la possibile scelta delle primarie), e Grillo in silenzio.
Sappiamo che nelle ultime settimane la situazione è completamente cambiata, con l’ingresso (o il ritorno) nell’agone politico di Monti e Berlusconi, e una forte ripresa dell’iniziativa del Movimento 5 Stelle. L’esito di queste elezioni appare a questo punto legato al bilanciamento di questi fattori. Muoversi per ultimi a volte può rappresentare un vantaggio, oscurando quanto fatto dai propri avversari in precedenza; ma al tempo stesso è rischioso, perché il tempo può non bastare per recuperare il terreno necessario. Mancano ormai pochi giorni e sapremo come è andata a finire.
Riferimenti bibliografici
Bellucci, P. Costa Lobo, M. e Lewis-Beck, M. S. [2012], Economic crisis and elections: the European periphery, in «Electoral Studies», vol. 31, 3, pp. 469-471.
Nezi, R. [2012], Economic voting under the economic crisis: Evidence from Greece, in «Electoral Studies», vol. 31, 3, pp. 498-505.
[1] Tutto ciò è vero a livello nazionale, ma paradossalmente non in Sicilia, dove la tradizionale area del centrodestra è di fatto frammentata, con importanti esponenti presenti in più liste, in diverse coalizioni.