Effetto Renzi? Una grande turbolenza nelle intenzioni di voto

di Lorenzo De Sio e Aldo Paparo

Turbolenza. Secondo noi è questa la parola chiave che meglio identifica in questo momento le intenzioni di voto degli elettori italiani, così come sono state fotografate dall’indagine Osservatorio Politico del Dicembre 2013 (con interviste condotte tra il 16 e il 22 dicembre, quindi dopo l’acquisizione del risultato dell’elezione di Renzi a segretario del Pd, e prima della pausa natalizia).

Turbolenza che fa registrare in questo momento intenzioni di voto molto alte per il Pd. Ben oltre quei sei punti di “effetto Renzi” individuati da vari istituti nelle ultime settimane. Tanto da spingerci, per la prima volta nella nostra serie di rilevazioni, a non presentare i risultati relativi alle intenzioni di voto.

Non si tratta tuttavia di una decisione dovuta a scarsa fiducia nella qualità della rilevazione, analoga a quelle precedenti. Anche perché – e qui emerge un dato davvero significativo – le alte intenzioni di voto al Pd permangono anche quando si pondera il campione rispetto al voto espresso a febbraio. Spesso infatti – a causa di una maggiore reticenza degli elettori di centrodestra a farsi intervistare – accade che i campioni di intervistati siano sbilanciati verso il centrosinistra: tuttavia la ponderazione rispetto al voto espresso in passato (aumentare il peso degli elettori di centrodestra) corregge quasi sempre in modo adeguato le intenzioni di voto. Ma non in questa rilevazione. Perchè?

Guardando in modo più attento i dati si scopre un motivo molto semplice. Ci sono forti flussi di voto in varie direzioni, che indicano una mobilità significativa – al limite della turbolenza – rispetto al voto espresso appena pochi mesi fa. Un dato per tutti: su 1257 rispondenti che dichiarano il voto espresso a febbraio, appena il 51% rivoterebbe lo stesso partito. Se si considerano le coalizioni, questo tasso di fedeltà sale, ma si ferma comunque al 55%. Poco più di un elettore su due oggi pensa che confermerebbe la coalizione votata a febbraio. Gli altri pensano che cambierebbero coalizione o che si asterrebbero[1].

Ovviamente questo risultato è differenziato in base alla coalizione votata. La Tabella 1 mostra, per gli elettorati delle diverse coalizioni votate a febbraio, le percentuali di coloro che oggi sceglierebbero le diverse possibili opzioni di voto.

Tab. 1 – Destinazioni nelle intenzioni di voto degli elettori delle varie coalizioni delle politiche

Come si può osservare, il centrosinistra è di gran lunga la coalizione che può vantare gli elettori più fedeli. L’80% dei suoi elettori di febbraio dichiarano l’intenzione di rivotare uno dei suoi partiti. Identica è la fedeltà verso il Partito Democratico fra i suoi  elettori (qui non riportata). L’unica defezione rilevante, per il centrosinistra, è quella verso l’astensione: circa un elettore ogni sei.

Il centrodestra e il M5s presentano invece una situazione ben diversa, e in questo sono molto simili. Per entrambi si registrano tre aspetti netti: 1) una fedeltà alla coalizione inferiore al 50%; 2) un flusso verso l’astensione superiore ad un terzo del proprio elettorato; 3) rilevanti passaggi diretti verso il centrosinistra. Quest’ ultima categoria appare significativa: si tratta di un sesto degli elettori di Grillo (47 intervistati su 277: non sono pochi), ma anche, tra chi aveva scelto Berlusconi, di uno su otto (39 intervistati su 300). Situazione ancora più grave – stavolta in modo prevedibile – quella del terzo polo, in cui gli elettori fedeli sono circa un terzo. Questo a causa di due importanti flussi verso l’astensione e verso il centrosinistra, e di un piccolo flusso verso il Ncd di Alfano.

Infine, appare interessante che oltre un decimo di quanti si erano astenuti a febbraio, dichiari oggi l’intenzione di votare per il Pd: si tratta di 53 rispondenti su 421.

Come valutare questi dati? Da un lato ovviamente è necessaria molta prudenza. Tutte le rilevazioni delle intenzioni di voto si basano infatti su una evidente finzione: all’intervistato viene infatti tipicamente chiesto “se ci fossero elezioni domani mattina, lei per quale partito voterebbe?”. E’ evidente, tuttavia, che le elezioni non sono la mattina dopo. I partiti non sono in campagna elettorale (anche se sempre di più le nostre democrazie sono in una situazione di campagna permanente); non hanno fatto scelte chiare in termini di alleanze, programmi, candidature; non hanno ancora mobilitato le proprie energie. Gli stessi elettori, in periodo non elettorale, non si sforzano di farsi un’idea, perché sanno di essere lontani dalle elezioni.

Tuttavia, al tempo stesso, appare sorprendente che – a pochi mesi dal voto di febbraio – quote molto importanti di elettori riferiscano che cambierebbero voto. E a nostro parere è difficile non mettere i dati osservati in relazione con l’emersione nel centrosinistra della leadership innovativa (nelle forme senza dubbio, nei contenuti ancora da chiarire) di Renzi. Si sa da tempo che Renzi ha una capacità di comunicazione che va oltre il bacino tradizionale del centrosinistra, e i dati sembrano confermare questa ipotesi. In altre parole, se possiamo prendere queste intenzioni di voto come un indicatore di attenzione, appare chiaro come – con la nuova leadership del Pd – nuovi segmenti di elettorato stiano mostrando attenzione verso questa proposta politica. Se poi – quando arriveranno le elezioni – questa attenzione si tradurrà in effettivi voti, è ancora presto per dirlo.

Riferimenti bibliografici

Barisione, Mauro, Patrizia Catellani, e Lorenzo De Sio. 2011. «La scelta degli indecisi». In Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, a c. di Paolo Bellucci e Paolo Segatti. Bologna: Il Mulino, 359–79.

Corbetta, Piergiorgio, Arturo Parisi, e H. Schadee. 1988. Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche. Bologna: Il Mulino.

De Sio, Lorenzo. 2008. «Il secondo motore del cambiamento: i flussi di voto». In Il ritorno di Berlusconi. Le elezioni politiche 2008, a cura di Itanes, 57–70. Bologna: Il Mulino.

De Sio, Lorenzo, e H. M. A. Schadee. 2013. «I flussi di voto e lo spazio politico». In Voto amaro: disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013., a cura di ITANES, 45–55. Bologna: Il Mulino.

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[1] In generale, è abbastanza normale che un partito – anche vincente – registri tassi di fedeltà ben inferiori al 100%. Storicamente, nelle ultime tornate elettorali italiane – ed escludendo il terremoto del 2013, i partiti vincenti registrano un tasso di fedeltà di circa l’80% rispetto alle elezioni precedenti, mentre i perdenti sono su livelli sensibilmente più bassi, intorno al 60% (De Sio 2008; vedi più in generale Corbetta, Parisi, e Schadee 1988). Questi valori sono tuttavia relativi al confronto elezione su elezione: nel periodo intermedio tra un’elezione e l’altra è normale che la fedeltà nelle intenzioni di voto sia su livelli sensibilmente più bassi.