di Roberto D’Alimonte
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 7 gennaio 2014
Adesso viene il bello. La partita vera sulla riforma elettorale comincia ora. Matteo Renzi ha fatto una proposta chiara. Ha fissato un paletto. Il nuovo sistema elettorale deve essere un sistema con forti effetti maggioritari. In altre parole deve consentire agli elettori di scegliere allo stesso tempo chi li rappresenta e chi li governa. L’esito del voto deve essere chiaro, decisivo. Non deve lasciar spazio né a larghe intese né a estenuanti trattative parlamentari per la formazione del governo. Questo è un punto non negoziabile. Sul resto si può trattare. Per facilitare l’ accordo il segretario del Pd ha proposto tre modelli molto diversi tra loro ma accomunati dal fatto di soddisfare il requisito essenziale della decisività del voto. Per questo motivo tutti prevedono un premio di maggioranza.
Sono modelli in cui molti ‘dettagli’ sono lasciati indefiniti. E si sa che in questa materia i ‘dettagli’ sono cruciali. Ma questo non è il momento dei ‘dettagli’. E’ il momento delle scelte di fondo. Ora tocca ai partiti presenti in parlamento rispondere. Sono loro a dover scegliere tra questi modelli o a proporne un altro, purchè produca gli stessi effetti. E tocca ai parlamentari dello stesso Pd constatare quello che è realisticamente possibile fare in una situazione in cui il Pd non ha i voti per far approvare la sua riforma ‘ideale’.
I tre modelli offrono ampia libertà di scelta. Il primo è un sistema proporzionale con premio di maggioranza del 15 %. A differenza del vecchio sistema elettorale si tratta di un premio fisso e limitato. La Consulta è accontentata. Nel cosidetto porcellum infatti il premio era variabile e potenzialmente illimitato. La chiave di questo modello sta nella dimensione delle circoscrizioni. Ne sono previste 118 il che vuol dire che con una Camera di 630 membri verrebbero eletti 4 o 5 deputati per circoscrizione. Sono pochi. Insieme al premio, questo è il meccanismo che caratterizza questo sistema elettorale in senso maggioritario. Infatti con circoscrizioni così piccole qualunque formula proporzionale per la trasformazione dei voti in seggi avvantaggia i partiti maggiori e penalizza significativamente tutti gli altri. Tanto più che viene prevista anche una soglia di sbarramento nazionale del 5%. Questo è il modello che non solo favorisce il bipolarismo, ma che nel medio periodo produce anche una forte spinta verso il bipartitismo.
La seconda proposta è una riedizione della legge Mattarella. I tre quarti dei seggi (475) sono assegnati in collegi uninominali in cui il seggio va a chi prende un voto più degli altri. Esattamente come è stato tra il 1994 e il 2001. Scompare lo scorporo e appaiono un premio del 15 % da assegnare alla lista vincente e una quota del 10 % da ripartire tra i partiti minori come diritto di tribuna. Anche in questo caso la combinazione di collegi uninominali e premio assicura che il sistema produca un forte effetto maggioritario.
La terza proposta, come la prima, è un modello che prevede liste di partito e non collegi maggioritari. La differenza sta nel fatto che i seggi non vengono assegnati in piccole circoscrizioni come nel primo modello. Quindi i partiti piccoli e medi non sono penalizzati. Dovranno solo fare i conti con la eventuale soglia di sbarramento a livello nazionale. Anche in questo caso è previsto un premio di maggioranza che però viene assegnato con un doppio turno e assicura il 60 % dei seggi. I partiti si possono presentare da soli o in coalizione . Se nessuno arriva ad una certa soglia di voti scatta il ballottaggio tra i primi due. Il vincente incassa il premio. I perdenti si dividono proporzionalmente i seggi restanti. E’ stato indicato come il modello con cui si eleggono i sindaci. Ma non è così. Quel modello prevede l’elezione diretta del sindaco. Questo non prevede l’elezione diretta del presidente del consiglio. In realtà questo modello è il doppio di lista di cui si è parlato a lungo sulle pagine di questo giornale.
Come si vede, ce n’è per tutti i gusti. E la stessa cosa vale per l’altro aspetto importante di qualunque sistema elettorale: la modalità di selezione dei candidati. Anche su questo punto Renzi non prende una posizione precisa. Lascia libertà di scelta. Il vecchio sistema prevedeva liste lunghe bloccate. Il nuovo sistema potrebbe includere liste bloccate corte, il ritorno del voto di preferenza, le liste flessibili o, nel caso del primo e del terzo modello, i collegi usati per eleggere i consiglieri provinciali.
L’obiettivo dichiarato è quello di raccogliere il consenso più ampio possibile su uno di questi modelli. E questo dipenderà dalle convenienze dei vari partiti. Ma tutto ciò non basta. Oltre alla riforma elettorale sul tappeto ci sono anche la riforma del Senato e quella del titolo V. Sembra di capire che la trattativa tra i partiti debba essere su tutto il pacchetto. Ma forse il segretario del Pd si rende conto che potrebbe essere un programma troppo ambizioso. Per questo forse nei suoi tre modelli elettorali è ancora prevista una Camera con 630 membri. Altrimenti che senso avrebbe cancellare l’attuale Senato e non ridurre il numero dei deputati ? L’unica risposta plausibile è che in ogni caso si debba fare la riforma elettorale. Anche a costituzione vigente. Anche correndo il rischio di una Camera e di un Senato eletti da corpi elettorali diversi. Poi si vedrà.