Per i futuri senatori resti l’elezione indiretta

di Roberto D’Alimonte

Pubblicato sul Sole 24 Ore del 4 maggio 2014

Come verrà eletto il nuovo Senato delle autonomie?  Fino alla settimana scorsa alla domanda si poteva rispondere sulla base della proposta presentata dal governo Renzi il 31 Marzo scorso . Adesso non più perché dopo i contatti dentro e fuori la maggioranza di governo il premier ha deciso di accettare delle modifiche. Non è una sorpresa. Il pragmatismo di Renzi è una delle sue virtù.  Di queste modifiche però non si conosce ancora il contenuto. Circolano voci. E’ pericoloso commentare solo delle voci ma qualche volta vale la pena di farlo per mettere in guardia lettori e decisori da tentazioni mal riposte.

            Una di queste voci riguarda la composizione del futuro Senato delle autonomie. Come è noto, il modello originale è basato su una doppia parità: quella tra le regioni e quella tra i rappresentanti regionali (presidenti e consiglieri) e quelli delle autonomie locali (sindaci). A parte il Trentino Alto Adige che per ragioni ignote dovrebbe avere 8 senatori tutte le altre regioni ne hanno 6.  Come avevamo scritto su questo giornale tempo fa (13 Aprile) la parità tra le regioni non regge. Nel nostro caso non ha senso che Valle d’Aosta e Lombardia  abbiano gli stessi senatori. L’altra parità – quella tra i rappresentanti delle regioni e quelli dei comuni- è un pallino del premier, Non è uno scandalo,  ma neanche questo è un elemento necessario del modello. E lo stesso vale per la nomina presidenziale di 21 esponenti della società civile. Sono troppi ed è giusto che il loro numero sia ridotto. Se- come pare- ci saranno modifiche su questi aspetti non cambieranno la sostanza delle cose. Anzi la miglioreranno.

            Quello che invece preoccupa, tra le voci che circolano, è che il nuovo Senato non sarebbe più eletto dai presidenti di regione, consiglieri regionali e dai sindaci.

 Si parla infatti di una elezione dei futuri senatori contestuale a quella dei consiglieri regionali.  In questo caso gli elettori chiamati alle urne per l’elezione dei presidenti delle giunte regionali e dei consigli voterebbero anche per i senatori spettanti alla regione. In altre parole sarebbero gli elettori a scegliere i senatori e non i consigli regionali. Sui  rappresentanti dei comuni non si sa nulla.

            Diciamolo chiaramente: questa modalità di elezione dei futuri senatori viola il  principio della elezione indiretta. Sarebbero i cittadini a scegliere i senatori e non i consigli regionali. Suona bene, ma è sbagliato. E non è quello per cui Renzi si è battuto fino ad oggi. Ci azzardiamo ad immaginare che più o meno il meccanismo funzionerebbe in questo modo.  Il giorno delle elezioni regionali i cittadini sarebbero chiamati a esprimere il loro voto per uno dei candidati alla presidenza della regione , per una lista di consiglieri a lui collegata che faranno i consiglieri regionali e per una lista di consiglieri che in realtà saranno destinati a fare i senatori. Non sarà facile conciliare tutto ciò sul piano tecnico ma conoscendo la fantasia di Calderoli in materia una qualche soluzione sarà trovata.

            Il punto vero è politico. Un sistema così congegnato non è né carne nè pesce o, come direbbe Sartori,  non è né un cane né un gatto. Sarebbe un ‘cangatto’.  Ma in realtà se il cane è l’elezione diretta sarebbe più un cane che un gatto. Si potrebbe dire un finto ‘cangatto’. E’ vero che l’elezione dei senatori non avverrebbe in una unica tornata elettorale, visto che le regioni votano in tempi diversi , ma questa differenza è marginale. Quello che conta è che i futuri rappresentanti delle regioni nel nuovo Senato sarebbero eletti direttamente e sarebbero senatori a tempo pieno. Che poi si dica che le loro indennità verrebbero pagate dalle regioni fa sorridere. Da chi prendono i soldi le regioni per pagarle?  Questo per dire che con questa modifica non solo salta il principio della elezione indiretta ma anche quello della riduzione dei costi della politica.

            E’ solo una voce. E forse è una voce infondata. In questo caso ci scusiamo con i decisori e soprattutto con i lettori per aver sollevato un problema inesistente. Ma su certe cose è meglio parlare prima piuttosto che lamentarsi dopo. Questa è una di quelle.

 

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.