di Roberto D’Alimonte
Due fattori hanno contribuito in maniera decisiva al successo del Pd di Renzi. Il primo è stato la sua capacità di portare a votare i suoi elettori, quelli che avevano votato Pd nel 2013. Un altro Pd. Il secondo è stato la sua capacità di allargare la base di consensi del suo partito, nonostante questo tipo di consultazione sia difficile per un partito di governo in tempo di crisi. Il primo fattore ha pesato più del secondo.
A mano a mano che diventano disponibili i voti ai partiti a livello di singole sezioni elettorali si riesce a capire meglio come sono andate effettivamente le cose. Sono cinque per ora le città in cui grazie a questi dati si sono potuti calcolare i flussi tra i partiti e dai partiti verso l’astensione. La base di riferimento sono le elezioni politiche dell’anno scorso. Si tratta di una consultazione ovviamente molto diversa da quella delle europee, ma per quello che ci interessa questo non è molto rilevante. E’ ben noto che alle europee si è sempre votato meno che alle politiche, ed è stato così anche questa volta. Ma questo non altera le conclusioni della analisi sui flussi perché questa comprende per l’appunto anche i movimenti dal voto al non voto e viceversa.
In fondo non è molto complicato spiegare come Renzi ha vinto. In un contesto in cui i votanti in queste elezioni sono stati circa 6.500.000 in meno rispetto al 2013 il Pd ha conquistato 2.500.000 in più. L’affluenza è andata giù e Renzi è andato su. Semplice. E’ più complicato spiegare perché questo è successo. Perché gli altri partiti hanno perso voti – ad eccezione della Lega che ne ha guadagnati circa 300.000 – e Renzi ne ha presi di più? Cosa dicono i flussi di voto nelle nostre 5 città? Da dove vengono i voti del Pd?
Il dato più chiaro è che vengono in primo luogo dal Pd stesso. Il tasso di fedeltà del suo elettorato in queste elezioni è stato straordinario. Quelli che lo avevano votato nel 2013 sono tornati quasi tutti a votarlo nel 2014. Una mobilitazione molto efficace. E tanto più sorprendente perché queste erano elezioni europee e non politiche. Anche tenendo conto del fatto che l’elettorato Pd è più propenso a votare anche in questo tipo di consultazione un tasso di fedeltà così elevato è inusuale. Questo è stato il primo merito di Renzi e la base principale del suo successo. Infatti, la prima- e più importante- regola per vincere è quella di portare a votare i propri elettori. Renzi c’è riuscito. Gli altri no.
A Firenze hanno votato Pd oggi addirittura il 95% dei suoi vecchi elettori. E questo- sia detto per inciso- spiega anche lo straordinario successo di Dario Nardella, neo sindaco. Il tasso di fedeltà più basso si è registrato a Palermo – e non è una sorpresa- ma siamo sempre al 71%. Il confronto con gli altri partiti è impietoso. A Venezia il Pdl ha perso il 58% del suo elettorato verso l’astensione, a Palermo il 61%. Va meglio-si fa per dire- a Torino con il 35% e a Firenze con il 20%, ma perché qui la base di consensi era inferiore. Più o meno la stessa cosa è successa al M5s. A Venezia non sono tornati a votarlo il 25% di quelli che lo avevano scelto nel 2013, a Firenze il 38%, a Palermo il 45% e così via.
Questo fenomeno va sotto il nome di astensionismo asimmetrico. Renzi avrebbe vinto anche solo grazie a questo fattore. Ma ha vinto ancora meglio perché è scattato un altro meccanismo. Per vincere – o per vincere bene- si devono conquistare nuovi elettori e non solo tenersi i vecchi. E qui si vedono i frutti della capacità di attrazione del premier. Come avevamo anticipato ieri, e come si vede nei dati di oggi nelle 5 città, il Pd ha pescato in misura variabile nell’elettorato di quasi tutti i partiti rivali. Ma, tra tutti, c’è un flusso che è particolarmente significativo, ed è quello che proviene da Scelta Civica. La vecchia formazione di Monti praticamente non esiste più. Una buona parte dei suoi elettori sono andati verso il Pd, ma molti non si sono recati alle urne. A Torino ha ceduto al partito di Renzi il 60% del suo elettorato del 2013 mentre un 15% è andato al partito di Alfano. In questa città il flusso verso l’astensione è minimo. Stessa cosa più o meno a Firenze. Ma non è così a Palermo. Qui oltre alle defezioni verso il Pd e il Ncd, si nota anche un flusso verso Forza Italia (11%) e verso l’astensione (14%). E così grazie a Scelta civica una quota di elettori moderati sono stati traghettati gradualmente verso il centro-sinistra, destinazione prima Monti e poi Pd. Ma senza Renzi non sarebbe successo.
I flussi verso il Pd non si fermano qui. Agli elettori di Scelta civica vanno poi aggiunti anche quelli del M5s e di Fi. Sono passaggi di voto di entità più modesta, pare. Ma tutto fa brodo. Nel complesso sembra che il movimento di Grillo sia stato relativamente più ‘generoso’ nei confronti del partito di Renzi. A Firenze il 17% dei suoi vecchi elettori ha scelto il Pd, mentre ha fatto la stessa cosa il 12% degli elettori Pdl. A Torino i dati sono rispettivamente 12% e 9%. Da ultimo anche una parte degli elettori della Lega ha ‘tradito’ contribuendo a ingrossare le fila del Pd. A Torino il 12%, a Venezia addirittura il 36%, a Parma il 14%. Sono tutti questi rivoli che hanno portato Renzi ad uno storico 40,8%.
Fig. 1 – Destinazioni degli elettorati delle Politiche 2013 alle Europee 2014
Queste elezioni erano per Renzi un passaggio difficile e delicato che ha voluto affrontare senza nemmeno mettere il suo nome sulla scheda. Le europee sono elezioni rischiose per i grandi partiti e soprattutto per quelli di governo. Si è visto quello che è successo in quasi tutti i paesi della Unione, ad eccezione della Germania dove in realtà anche la Merkel ha preso meno voti rispetto alle scorse politiche.
Adesso la sfida per Renzi è quella di consolidare questo successo. Se ci riesce, ci ricorderemo di queste elezioni come di una tappa importante verso la costruzione, intorno al Pd, di un nuovo blocco sociale e elettorale, tendenzialmente maggioritario. In questo Renzi è, tra l’altro, facilitato dal fattore tempo. Da qui al 2018 non ci sarà più un turno di elezioni a carattere nazionale. Infatti una volta c’erano le elezioni regionali. Chi non ricorda le dimissioni di D’Alema dopo il cattivo risultato per il centro-sinistra delle regionali del 2000? Ma allora la gran parte delle regioni andava al voto nello stesso giorno. Il prossimo anno non sarà così. A causa di vari scioglimenti anticipati ci sono ben 9 regioni in cui non si voterà il prossimo anno. Questo orizzonte temporale rappresenta una grande occasione per portare avanti un programma di governo di medio termine senza distrazioni elettorali. In un paese dove governare è molto difficile anche questo aiuta.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 28 maggio 2014