di Luca Carrieri
Nelle ultime elezioni europee l’alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici (S&D) ha conseguito un esiguo incremento di seggi (+7 rispetto al 2009) ed è rimasto stabile al 25% dei suffragi all’interno dell’eurozona. Le distanze rispetto ai rivali storici del PPE si sono notevolmente accorciate. Infatti, se nel 2009 i popolari potevano contare su 265 eletti contro i 184 dei socialisti (una differenza di circa 80 seggi), nel 2014 i rapporti di forza si sono riequilibrati e la forbice tra i due principali euro-partiti è scesa a 23 seggi, sempre in favore dei popolari. La percentuale in termini dei seggi dei socialisti e progressisti è passata dal 25% al 25,4%.
Fig. 1 – Percentuale di seggi dei S&D alle elezioni europee del 2009 e del 2014.
Nonostante la tendenziale stabilizzazione del voto socialista in Europa e le consistenti perdite dei popolari, non si può parlare di un successo elettorale per il PSE. La candidatura del tedesco Martin Schulz (Spd), ex presidente del Pe, alla presidenza della Commissione europea (Ce), sostenuta da tutti i partiti dell’alleanza socialista e progressista, che mirava a strappare ai popolari la guida dell’esecutivo dell’Unione attraverso delle proposte moderatamente anti-austerity, non ha avuto un effetto trascinante. Evidentemente anche gli esponenti del PSE si sono configurati come veri e propri incumbents, alla stregua dei rivali popolari. Infatti, anche i socialisti detengono delle importanti posizioni di potere e responsabilità all’interno della Ce e la linea di confine politica rispetto al PPE è apparsa spesso opaca. Non sorprende quindi che l’ondata anti-europeista abbia travolto anche i socialisti, ritenuti, a torto o a ragione, come un pezzo dell’establishment dell’UE. E’ probabile che nell’immediato futuro si assisterà alla formazione di una grande coalizione PPE-PSE, con un esponente popolare alla guida della Ce.
Tab. 1 – Risultati elettorali (% di voti e seggi) dei S&D nei paesi membri e differenze con il 2009.
In quattro paesi i partiti del S&D hanno registrato un significativo avanzamento, sia in termini di voti sia in termini di seggi. In primo luogo, in Italia il Pd guidato dal premier italiano Matteo Renzi, ha ottenuto 31 seggi (+10 rispetto al 2009) e costituirà la delegazione numericamente più ampia nel campo del S&D nel prossimo europarlamento. Il Pd ha senz’altro ottenuto un risultato storico e sorprendente. Pur non essendo direttamente eletto, il premier in carica ha potuto contare su un capitale di popolarità molto elevato, quasi si trattasse di una vera e propria “luna di miele” con l’elettorato italiano. Anche l’Spd ha registrato un forte incremento rispetto alle scorse europee (+4 seggi), probabilmente massimizzando elettoralmente la campagna incentrata sulla candidatura di Schulz alla presidenza del Ce. Nel Regno Unito, i laburisti sono avanzati di quasi 10 punti percentuali rispetto al 2009, ottenendo 20 seggi (+7 seggi rispetto al 2009). Sia i laburisti inglesi sia i socialdemocratici tedeschi sono rimasti, però, il secondo partito nel loro ambito nazionale. Un altro dato confortante per S&D è il il risultato della Romania, in cui una coalizione (un po’ eterogenea) di partiti costituita attorno al partito socialdemocratico rumeno, ha ottenuto il 37,6% e 16 seggi (+5 seggi). La delegazione rumena nel S&D sarà più ampia di quella francese e spagnola, paesi con un peso demografico ben superiore a quello della Romania. In generale, le elezioni in Romania rappresentano un segnale positivo per i socialisti e i progressisti, che sfondano in un paese dell’Europa dell’Est, in cui hanno sempre avuto una notevole difficoltà. Attualmente, i socialisti e i progressisti concentrano 94 seggi in questi quattro paesi, una quota imponente (48%) dei propri rappresentanti.
In Portogallo, Austria, Svezia i S&D portano a casa un rappresentante in più rispetto alla passata legislatura. Notevole il risultato portoghese, in cui il partito socialista, all’opposizione, ha conquistato il primo posto nella graduatoria dei partiti nazionali, portando a Bruxelles 8 rappresentanti. In Svezia e Austria il risultato è stato meno spettacolare. Pur incrementando i seggi, i socialdemocratici svedesi sono rimasti stabili rispetto alla scorsa legislatura (i seggi assegnati alla Svezia sono passati da 18 a 20). L’Spo austriaco ha vissuto un lieve incremento, ma rimanendo il secondo partito a livello nazionale dopo l’Ovp.
I partiti socialisti e progressisti sono rimasti stabili in 9 paesi: Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi e Ungheria. Tale stabilità non deve però essere scambiata per un dato incoraggiante. Infatti, tra i paesi in esame, solo a Malta i laburisti sono stati il primo partito e in Bulgaria il secondo. In tutti gli altri stati i risultati dei partiti afferenti ai S&D sono stati molto più modesti e nessuno di questi partiti ha superato il 20% dei voti validi. In Lussemburgo, Finlandia ed Estonia i partiti di questo schieramento sono giunti al quarto posto e nei Paesi Bassi addirittura al quinto. In Ungheria e a Cipro si presentavano due partiti appartenenti ai S&D giunti rispettivamente terzo e quarto posto. Si può notare, come in questi contesti nazionali i partiti in esame siano in una condizione di forte debolezza politica ed elettorale.
Nei restanti paesi, i partiti del PSE hanno vissuto delle perdite in termini di seggi. Nonostante la spettacolare debàcle dei socialisti in Francia rispetto alle politiche, che sono crollati al 14% dei voti validi, la portata di questa sconfitta deve essere ridimensionata. Infatti, il Ps ha perso solamente un seggio rispetto alle europee 2009. Il presidente in carica Francois Hollande è stato travolto dalla crisi economica ed ha affrontato una difficile mid-term-election. Deve essere però ricordato che quella delle europee non è stata storicamente un’arena molto congeniale per i due principali partiti francesi, che difficilmente riescono a replicare il consenso delle elezioni politiche. Il vero sconfitto nella casa dei socialisti e dei progressisti è stato il Psoe spagnolo, crollato al 23% (-15 punti percentuali rispetto al 2009) e che ha riconfermato solo 14 dei 21 eletti nel 2009. I sette seggi in meno del Psoe potrebbero pesare molto sugli equilibri politici all’interno dell’Unione. Anche il risultato dei partiti che fanno riferimento al PSE in Grecia è stato abbastanza disastroso rispetto al 2009. Il Pasok-Elia e il Fiume (To Potami) hanno ottenuto nel complesso 4 seggi e la delegazione dei socialisti greci si è dimezzata. I laburisti irlandesi, che nel 2009 avevano 3 rappresentanti, sono completamente spariti dal Pe. In Polonia, il sesto paese europeo in termini di peso demografico (che esprime ben 51 seggi), i socialisti sono sotto la soglia del 10% dei voti e perdono ben 2 seggi. Il dato polacco è esemplare della debolezza dell’alleanza socialista e progressista in molte realtà dell’Est Europa.
In Belgio, Croazia, Danimarca, Lituania, Repubblica Ceca e Croazia, i socialisti esprimevano il presidente o il primo ministro. In tutte queste realtà nazionali l’esito delle elezioni europee sembra avere punito i governi in carica. In Belgio le europee si sono tenute contemporaneamente alle elezioni per il rinnovo del Parlamento nazionale e la coalizione di governo, sostenuta dai due partiti socialisti belga (Psb e Spa), è stata sconfitta. In Danimarca i socialdemocratici hanno perso 1 seggio, apparendo profondamente destabilizzati dall’imponente crescita del partito del popolo danese. Anche nella Repubblica Ceca e in Slovacchia le perdite sono state massicce. Nella Repubblica Ceca il partito del primo ministro Botoska ha subito una vera sconfitta, perdendo 8 punti percentuali, 3 seggi e diventando il terzo partito nazionale. In Slovacchia le perdite sono state forti (-7,9 punti rispetto al 2009), anche se i socialdemocratici sono rimasti il partito di maggioranza relativa.
Complessivamente i partiti del PSE, pur dimostrando una dinamica moderatamente positiva in termini di seggi, hanno confermato quella stessa debolezza registrata alle elezioni europee del 2009. Senza dubbio, l’ottimo esito elettorale dei partiti socialisti e progressisti all’interno di alcuni paesi di grandi e medie dimensioni (Italia, Germania, Regno Unito e Romania) ha conferito una grande dote di seggi all’intero eurogruppo, consentendogli di replicare e
superare il voto del 2009. Non bisogna però dimenticare che solo in 6 paesi su 28 (Italia, Malta, Portogallo, Romania, Slovacchia e Svezia) un partito afferente al PSE è stato il primo partito nazionale. Inoltre, laddove questi hanno espresso un Presidente o un primo ministro (con l’eccezione di Italia e Malta), sono andati incontro a perdite generalizzate. Il caso della Romania appare di particolare importanza, perché un partito dell’ex blocco comunista è diventato la quarta delegazione all’interno dei S&D. La stabilità del PSE non si può però configurare come un vero e proprio successo elettorale. Tuttavia, dato il pesante arretramento dei popolari, i socialisti potrebbero aumentare il loro peso politico e negoziale, anche senza riuscire ad imporre un proprio esponente alla guida della commissione.