di Aldo Paparo e Matteo Cataldi
Dalle prime analisi sui risultati delle elezioni Europee sembra delinearsi il quadro di un successo del Pd largamente dovuto all’astensionismo asimmetrico che ha penalizzato maggiormente il centrodestra e il M5s. Certo sarebbe interessante potere verificare se questo fosse confermato dall’analisi dei flussi elettorali su tutta Italia. Ma, non potendo disporre delle oltre 60.000 sezioni elettorali in cui è diviso il territorio italiano, non è possibile determinare i flussi elettorali a livello nazionale. In questo articolo ci proponiamo di verificare se effettivamente vi sia una relazione fra l’andamento dell’astensione e le performance dei tre principali partiti a partire dai dati elettorali a livello di comuni. Naturalmente si tratta di un’analisi assai meno precisa di quella che sarebbe possibile con i dati a livello di sezione, ma comunque in grado di fornire degli spunti interessanti.
Iniziamo col dire che, in quest’ottica, dobbiamo necessariamente considerare il ruolo delle elezioni comunali. In oltre la metà dei comuni italiani, infatti, contemporaneamente alle Europee si sono svolte anche le consultazioni per il rinnovo degli organi di governo locali.
Nei circa 8.000 comuni italiani il calo medio dell’affluenza è stato di circa 13 punti fra Europe e Politiche. Guardando ai due distinti insiemi di comuni (tab. 1), quelli in cui si sono tenute anche le comunali e quelli senza, ci accorgiamo che nei primi l’affluenza è in media calata di appena 3,4 punti percentuali, mentre nei secondi il calo è stato superiore ai 23 punti. Si registra quindi una differenza pari a 20 punti percentuali nei tassi di partecipazione dei due tipi di comuni.
Sempre nella tabella 1 è possibile osservare anche il dato per zone geopolitiche. Si nota come in tutte si registri un calo supplementare di circa 15 punti laddove non ci sono state le comunali. Fa eccezione il sud. Qui si segnala innanzitutto una variazione media positiva, ovvero si è votato di più alle Europee che non alle Politiche nella maggior parte dei comuni. Inoltre si registra anche la maggior variazione nei casi senza le comunali, superiore ai 26 punti di calo nella affluenza media. L’effetto finale combinato è quindi una differenza di quasi 27 punti nelle variazioni dell’affluenza fra comuni con e senza amministrative.
Tab. 1 – Variazione media della partecipazione elettorale fra Europee e Politiche a seconda della presenza o meno delle elezioni comunali.
Appare a questo punto evidente che, per poter interpretare al meglio le variazioni dei partiti a livello di comune fra Europee e Politiche, dobbiamo necessariamente tenere conto della presenza o meno di concomitanti elezioni comunali, visto che questo fattore è così determinante per la partecipazione elettorale. Questi dati sono riportati nella tabella 2. Scopriamo così che M5s e Pd vanno peggio nei comuni in cui si vota anche per il rinnovo dei sindaci e dei consigli comunali, mentre per Fi è il contrario.
Il partito di Renzi cresce di 13 punti dove ci sono state le comunali e di quasi 16 nei comuni senza amministrative: quindi vi è una differenza di 2 punti e mezzo tra i due gruppi di comuni. Lo stesso avviene per il movimento guidato da Grillo: 5 punti in meno rispetto alle Europee nei comuni dove ci sono state le comunali e 3 invece dove queste non si sono tenute. La differenza sfiora i 2 punti percentuali. In questo caso però dobbiamo rilevare come, a differenza di quanto si osserva per il Pd, la differenza registrata sembra per lo più prodotta dalla composizione geografica dei due insiemi. Infatti nel centro-nord circa due comuni su tre avevano anche le comunali, mentre al sud, solo uno su tre. Se per il Pd ciò non ha influito sulla relazione fra presenza delle comunali e sue variazioni, che dovunque hanno lo stesso segno e sono significative, lo stesso non vale per il Movimento. Infatti, si nota come le differenze nelle variazioni del M5s nei due tipi di comuni abbiano segni variabili a seconda delle zone e non risultano mai significate, tranne che nelle regioni meridionali.
Al contrario di quanto accade con i due principali rivali, il partito di Berlusconi perde 4 punti e mezzo nei comuni senza amministrative, ma poco più di 3 negli altri casi. Quindi per Fi la presenza delle comunali ha un effetto positivo: le consente di difendersi meglio rispetto a quanto non accada altrove. E questo si ripete in tutte e 4 le zone geopolitiche del nostro paese.
Tab. 2 – Variazioni dei risultati elettorali fra Europee e Politiche per Pd, M5s e Fi a seconda della presenza o meno delle elezioni comunali
Qui l’elemento da sottolineare è che nei due tipi di comuni si sono innescati meccanismi competitivi diversi, che hanno avuto effetti differenti sull’elettorato, soprattutto in termini di mobilitazione. Dove ci sono state le comunali si è votato molto di più: ciò significa che una parte di elettori che altrimenti alle Europee si sarebbero astenuti è stata portata alle urne, senza probabilmente avere un particolare interesse verso le Europee. In questo settore dell’elettorato Renzi, ma anche Grillo, pescano meno che nel resto. Invece Berlusconi è particolarmente votato da questi elettori.
Pd e M5s paiono avere conseguito a queste Europee dei risultati “nazionali”, ovvero gli elettori che li hanno scelti hanno votato per una proposta di governo o comunque sulla base di una motivazione di carattere nazionale. In questo senso le estese campagne mediatiche e la centralità dei rispettivi leader, Renzi e Grillo, può essere stato l’elemento catalizzatore del loro consenso. Fi, invece, sembra avere raccolto anche alle Europee una considerevole quota di voti “locali”, ovvero di elettori che si sono recati alle urne per ragioni attinenti alla corsa per la poltrona di sindaco nel proprio comune, e che poi hanno votato anche alle Europee. Quindi si può dire che il catalizzatore dei voti di Berlusconi non sembra – più – essere il Cavaliere stesso, ma il notabilato locale del suo partito.
Concludendo, infatti, non possiamo che evidenziare come sia stata la mobilitazione locale a salvare Berlusconi. Fi può contare su una classe dirigente locale che, evidentemente, anche nel momento di massima difficoltà del partito sul piano nazionale è ancora in grado di mobilitare i propri elettori nei diversi contesti locali. In questo senso si può inquadrare anche la battaglia che sta avvenendo all’interno del partito in questi giorni. Come sappiamo, dopo il significativo successo personale conseguito nelle elezioni Europee, Fitto sta cercando di imporre una svolta che implichi l’introduzione delle primarie quale strumento per legittimare i futuri dirigenti attraverso il consenso. Ecco, alla luce dei dati qui presentati, preferenze e primarie sembrano la strategia migliore per massimizzare i voti di Fi, dal momento che consentirebbero di inglobare tutti i voti mobilitati localmente nel contesto della competizione fra i candidati. D’altro canto l’introduzione di simili meccanismi per il reclutamento della classe dirigente del partito significherebbe anche una perdita di controllo di Berlusconi sul partito stesso. Le preferenze – e le primarie – sono dunque sia un’opportunità che una minaccia per lo storico leader del centrodestra italiano: potrebbero rendere il suo partito maggiormente competitivo nei confronti dei partiti rivali, ma anche maggiormente competitivo al suo interno. Sarà interessante vedere come finirà la lotta politica all’interno del principale partito del centrodestra italiano soprattutto per capire che direzione intraprenderà sotto questo profilo.