di Roberto D’Alimonte
Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 20 luglio 2014
Capita spesso nel nostro paese che si discuta di massimi sistemi senza alcun riferimento fattuale. E’ il caso del dibattito sulla riforma del Senato e in particolare sul nodo della elezione diretta o indiretta dei futuri senatori. Per i critici della riforma elezione popolare e democrazia sono sinonimi. Una seconda camera eletta dai consiglieri regionali, come previsto dal disegno di legge governativo, e non dai cittadini sarebbe una istituzione sostanzialmente non democratica. Questo è un argomento privo di ogni fondamento empirico.
Tanto per cominciare la maggioranza dei paesi della Unione Europea (15 su 28) non hanno una seconda camera. In altre parole sono sistemi parlamentari monocamerali.
Tra i 13 paesi che hanno una seconda camera solo in 5 paesi i suoi membri sono eletti direttamente dai cittadini. In Spagna , tra l’altro, una parte dei membri sono designati dalle Comunità Autonome. Tra questi 5 paesi solo in Italia, Polonia e Romania si può dire che la seconda camera abbia dei poteri legislativi rilevanti. E solo l’Italia ha un sistema parlamentare in cui il Senato ha esattamente gli stessi poteri della Camera. Questo per enfatizzare ancora una volta una anomalia italiana che dura da troppo tempo.
Così come l’elezione diretta della seconda camera non è una qualità dei regimi democratici, non esiste correlazione tra elezione diretta e peso politico delle seconde camere. Nel grafico in pagina si vede bene come esistono paesi bicamerali in cui alla elezione diretta del Senato non corrisponde un suo ruolo rilevante nel processo legislativo. In Spagna e nella Repubblica ceca l’ultima parola sulla legislazione ordinaria, compresa quella relativa al bilancio, appartiene alla camera bassa. In altre parole, in caso di disaccordo tra i due rami del Parlamento, il Senato non ha potere di veto. Non è così invece in Francia e Germania. Il Bundesrat tedesco è nominato dai governi del Lander e il Senato francese è eletto da una platea di circa 150.000 grandi elettori. Eppure entrambi hanno più poteri del Senato spagnolo che è eletto direttamente dal popolo.
Ma questi fatti non bastano. Per contestare la legittimità di un Senato non elettivo la critica iperdemocratica usa due altri argomenti legati all’Italicum. Questo sistema elettorale prevede un premio di maggioranza nel caso in cui un partito o una coalizione arrivi al 37% dei voti ovvero nel caso di ballottaggio, se nessuno arriva a questa soglia al primo turno. La combinazione di premio di maggioranza e Senato non elettivo sarebbero un attentato alla democrazia. Come se solo una camera bassa eletta con sistema proporzionale fosse compatibile con un Senato non eletto direttamente dal popolo. Ma quale fondamento empirico ha una affermazione del genere ? In base a questo metro di giudizio la Gran Bretagna sarebbe un sistema ben poco democratico. Nel 2005 Tony Blair ha vinto il suo terzo mandato con il 35% dei voti (contro il 32% dei conservatori). Per la precisione , con questa percentuale il partito laburista ha ottenuto il 55% dei seggi . E la Camera dei Lords non è certamente una istituzione eletta dal popolo. Stessa cosa in Francia. Nel 2012 il partito socialista di Hollande ha conquistato il 53% dei seggi nella Assemblea Nazionale con il 29 % dei voti ottenuti al primo turno. E Il Senato francese, come già detto, non è eletto dai cittadini.
Ultimo argomento degli iperdemocratici. Un Senato non elettivo non sarebbe compatibile con un sistema elettorale , come l’Italicum, che prevede le liste bloccate. I nominati sarebbero troppi. Mettiamo da parte la questione complicata se siano preferibili le liste bloccate o il voto di preferenza e concentriamo sull’Italicum. Il fatto è che con l’Italicum buona parte dei deputati verranno eletti in collegi uninominali o al massimo binominali. Parlare di liste bloccate in questo caso è fuorviante. Gli elettori che voteranno un dato partito in un dato collegio sono nella condizione di sapere che il loro voto servirà a eleggere il primo o i primi due candidati di quel partito in quel collegio. Se quei candidati non sono graditi non voteranno il partito, come avveniva al tempo della Mattarella.
E’ giusto che una riforma costituzionale di questa portata sia sottoposta ad una analisi minuziosa e approfondita. E’ così che il testo originale proposto dal governo è stato senza dubbio migliorato, anche grazie al lavoro dei due relatori Finocchiaro e Calderoli. Ma è anche doveroso che il dibattitto tenga conto non solo di criteri normativi astratti ma di dati empirici concreti. Guardando le cose in maniera pragmatica e in chiave comparata questa riforma è un passo che ci avvicina all’Europa, eliminando finalmente una anomalia ingiustificabile del nostro sistema istituzionale.