di Aldo Paparo
Parma è una città importante nella vicenda politica nazionale. Qui si è insediata la prima amministrazione targata M5s in un comune capoluogo di provincia, quella guidata da Pizzarotti. Amministrazione che è andata avanti e ancora è in carica nonostante i continui dissidi fra il sindaco e la leadership nazionale del Movimento, culminati nella sospensione mai rientrata di Pizzarotti, che infine se ne è andato sbattendo la parta. Come vedremo, il caso del comune di Parma è stato molto interessante anche in questo referendum 2016.
Cominciamo col dire che a Parma il SI ha prevalso sul NO, seppur di un soffio. Hanno approvato la riforma il 37% degli elettori, contro il 36% che l’ha respinta. il 27% non ha votato. Certo, siamo pur sempre in Emilia-Romagna, in piena zona rossa, e stiamo guardando per di più ad un comune grande, ed abbiamo visto il maggior successo del SI nei contesti più popolosi. Tuttavia, l’ultima volta che a Parma si era votato su due opzioni secche, di cui una sostenuta dal Pd, a festeggiare furono gli altri. Pizzarotti, appunto. Ecco perché l’analisi dei flussi elettorali a Parma appare interessante: per comprendere come si sia determinato questo successo, seppur di misura. Anche in considerazione del fatto che la coalizione di Bersani nel 2013 non andò oltre il 36%.
Il quadro del capoluogo emiliano mostrato dalla mappa circolare della Figura 1 appare piuttosto simile a quello della non lontana Torino, caratterizzato da una chiara contrapposizione fra governo e opposizioni con l’eccezione della minoranza Pd. Infatti, il fronte del SI è formato dalla maggioranza (70%) degli elettori Pd, la totalità della coalizione Monti, e una piccola porzione (20%) del Pdl 2013 (che, ricordiamolo, comprendeva Ncd). A questi si sommano, e risultano decisivi per fare vincere il SI nel comune di Parma, gli elettori 2013 del M5s che ha votato SI in questo referendum.
Parma si segnala in chiave comparata proprio per la eccezionalmente bassa percentuale di elettori del M5s nel 2013 che hanno votato NO alla riforma. Stiamo comunque parlando di ben oltre la metà, i due terzi in effetti. Però un terzo non ha seguito le indicazioni di partito. E di questi, una metà ha votato per il SI. Questi rappresentano una quota di elettorato non marginale: un elettore ogni 25. Ovvero un decimo del totale dei voti per il SI.
Questi elettori dissidenti pentastellati compensano, anche se solo parzialemente, quelli della minoranza Pd, che hanno votato NO andando contro le indicazioni della segreteria. Circa un quarto del bacino 2013 del partito oggi guidato da Renzi ha votato NO. La compensazione è solo parziale perché i dissidenti Pd sono il 6% dell’elettorato comunale, e quindi per ogni dissidente del M5s che ha votato SI, ce ne sono uno e mezzo che hanno votato NO provenendo dal Pd.
La composizione del fronte del NO è ancor più simile a quella evidenziata nel caso piemontese. Il 40% sono elettori 2013 del M5s, un quinto proviene dal Pdl (i cui tre quinti ha respinto la riforma) e altrettanti dal Pd. La principale differenza con Torino è che in questo caso l’ultimo gruppo è, leggermente, meno numeroso. Un 10% vale poi la quota di astenuti 2013 mobilitatisi per votare NO, mentre i due terzi degli elettori di partiti a sinistra del Pd che hanno votato NO pesano per circa il 7%.
Ancora una volta del tutto similarmente al caso torinese, il piccolo elettorato 2013 della Lega si è qui spaccato a metà fra SI e NO.
Fig. 1 – Mappa circolare dei flussi fra elezioni politiche 2013 e referendum costituzionale 2016
Riferimenti bibliografici:
Corbetta, P.G., e H.M.A. Schadee [1984], Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.
Goodman, L. A. [1953], Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.
Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 207 sezioni del comune di Parma. Il valore dell’indice VR è pari a 3,5.