Aldo Paparo & Lorenzo De Sio (2017) PTV gap as a new measure of partisanship: a panel-data, multi-measure validation showing surprising partisanship stability,
Contemporary Italian Politics, 9:1, 60-83, DOI: 10.1080/23248823.2017.1289733
Intervista di Andrea Maccagno a Aldo Paparo
Il concetto che sta alla base dell’articolo è quello dell’identificazione di partito. Di che si tratta?
Le Interviste CISE mirano a divulgare l’attività di ricerca del CISE che produce pubblicazioni scientifiche in ambito italiano e internazionale. La formula dell’intervista, condotta da giovani tirocinanti del CISE, permette di presentare in modo semplice i contenuti delle pubblicazioni, superando le difficoltà del linguaggio tecnico e di strumenti statistici spesso sofisticati.
Il concetto di identificazione di partito è fondamentale negli studi sugli atteggiamenti verso la politica e sui comportamenti di voto. Fu introdotto nel volume The American Voter (di Campbell, Converse, Miller, Stokes). L’idea è che molti elettori tendono a identificarsi con un partito in particolare, per una serie di caratteristiche quali il gruppo sociale di appartenenza o per alcune esperienze formative negli anni di approccio alla politica. Questa identificazione risulta quindi essere un fattore in parte ascrittivo: sostanzialmente, se sono figlio di elettori democratici e passo l’adolescenza in un ambiente prevalentemente democratico, voterò democratico in modo abbastanza stabile. Negli Stati Uniti questo concetto viene tradotto operativamente, nelle indagini basate su questionario, con una scala elaborata a partire da una domanda fondamentale, in cui si chiede se l’intervistato si definirebbe democratico, repubblicano o indipendente. Questa misura tuttavia in Europa non si può utilizzare facilmente in virtù dell’assetto multipartitico dei paesi europei. Negli anni ’70 si è quindi cercato di individuare una misura analoga, basata sulla domanda “c’è un partito a cui ti senti più vicino?”: si parla quindi di prossimità al partito, ed è una misura che tuttavia presenta alcuni problemi. Da queste premesse, abbiamo cercato di sviluppare una nuova misura che possa adattarsi tanto al contesto statunitense quanto a quello europeo. Il nostro è quindi un progetto comparato in chiave transatlantica. Abbiamo svolto degli studi sugli Stati Uniti che ci incoraggiano in questa direzione, e volevamo estendere le nostre analisi a sistemi multipartitici europei.
L’articolo studia il contesto italiano tra fine 2012 e inizio 2013: concentrandosi cioè su un paese multipartitico in un periodo particolarmente turbolento data la prossimità delle elezioni politiche. A cosa si deve la scelta?
Scegliere un periodo turbolento come fatto per il nostro studio serve a dare maggior affidabilità alla validazione della nuova misura che proponiamo. Il contesto italiano è servito invece perché in questo paese c’è un forte multipartitismo, con una tradizione di un pluralismo quasi estremo. Si pensi solo che il nostro panel [indagine in cui le stesse persone vengono intervistate più volte, dette ondate, ndr] prevede quattro ondate e all’inizio Scelta Civica non era ancora nata, subentrando solo successivamente. Oppure ancora al Movimento 5 Stelle, che nella prima ondata è intorno al 4% e nell’ultima registra un 25%. È quindi una sfida interessante per testare una misura che ha l’ambizione di trovare degli atteggiamenti di lungo periodo. Il caso italiano nel periodo in questione permette di effettuare un test particolarmente severo della nuova misura adottata.
E allora ci spieghi cos’è la PTV e cosa la PTV-gap che voi introducete, nonché l’esigenza da cui parte tale scelta.
Le PTV (“propensity-to-vote”, propensione al voto) sono domande, introdotte per la prima volta in Olanda negli anni ’80, che chiedono all’intervistato quanto è probabile che in un futuro possa votare un determinato partito. La domanda viene ripetuta per tutti i partiti del sistema. L’intervistato darà quindi diversi punteggi, generalmente da 0 a 10, indipendenti gli uni dagli altri. L’introduzione di tali misure ha potuto spiegare come può funzionare la competizione tra partiti, la sovrapposizione tra elettorati di diversi partiti o i bacini potenziali dei partiti stessi. Le PTV, quindi, altro non sono che una misura per ogni partito della propensione di ogni rispondente a votare per quel partito. Per misurare però se e quanto il rispondente sia “identificato” con un certo partito, ecco la necessità di introdurre il concetto di gap, cioè la differenza nei punteggi che egli attribuisce al partito preferito (quello con la PTV più alta) e il secondo partito preferito. Questo PTV-gap può essere 10 se un partito ha PTV=10 e tutti gli altri PTV=0, oppure può essere addirittura 0 quando ai due partiti più alti viene attribuito lo stesso punteggio di PTV. Il PTV-gap è quindi lo scarto nei punteggi di PTV fra il partito con la PTV più alta e quello subito dietro. Bisogna poi però capire la soglia minima con la quale si può definire il rispondente come identificato con quel partito. Nel nostro paper appena pubblicato abbiamo testato diverse possibili soglie e alla fine abbiamo valutato come un PTV-gap di almeno 2 sia una soglia opportuna. Il fatto positivo è che questa misura può essere applicata a qualsiasi contesto partitico.
Riassumendo, può dirci quindi da quali ipotesi muove la ricerca?
La ricerca vuole testare la validità della nuova unità di misura, comparandola con la prossimità al partito, tradizionalmente usata nei sistemi multipartitici europei. Per validare la nuova misura ci attendiamo che le performance riscontrate per le due misure siano almeno simili. Sono due le dimensioni su cui confrontiamo le performance delle due misure, entrambe estremamente rilevanti nel concetto di identificazione di partito: la stabilità nel corso del tempo, e la capacità di prevedere il comportamento di voto.
A quali risultati giunge la ricerca? Sono in linea con le aspettative iniziali? Si può dire che il PTV-gap sia un buon indicatore di identificazione di partito?
I risultati ci hanno reso molto soddisfatti del comportamento della nostra misura. Infatti dal punto di vista della stabilità nel tempo abbiamo trovato che sia la misura standard sia la nostra mostrano una stabilità superiore al voto, in linea con la teoria (in base alla quale il voto è più volatile, perché soggetto anche a dinamiche di breve termine). Questo è già un risultato interessante, perché smentisce alcune ricerche olandesi degli anni ’70 che sconsigliavano di adottare la teoria dell’identificazione di partito per l’Europa (essendo in quel caso più stabile la scelta di voto rispetto all’identità di partito). Con i nostri dati vediamo invece, in linea con la teoria, che c’è più turbolenza sul voto che non sull’identificazione di partito.
Le due misure poi sulla stabilità sono assolutamente comparabili (intorno al 70% per il voto; superiore all’80% per la misura tradizionale, poco al di sotto dell’80% per la nostra nuova misura; queste ultime sono quindi simili e comunque superiori a quella del voto). Venendo invece alla capacità di prevedere il comportamento di voto, abbiamo trovato che le due misure sono abbastanza simili, ma la nostra è meno influenzata dal voto. Quindi, su questo piano, la nostra misura funziona anche lievemente meglio di quella tradizionale.
Di conseguenza, questi risultati sono estremamente promettenti dal punto di vista della ricerca futura. Il PTV-gap appare potenzialmente come una buona misura di identificazione di partito, e questo – visto che le PTV possono essere facilmente utilizzate sia nei sistemi multipartitici che in quelli bipartitici come quello degli Stati Uniti – permetterà secondo noi un significativo avanzamento in termini di ricerca comparata tra Europa e Stati Uniti. Infine, la natura numerica della nuova misura permetterà anche di utilizzare strumenti statistici più sofisticati. A questo punto il nostro orizzonte futuro è quello di convalidare questa misura anche su altri paesi, e soprattutto sugli Stati Uniti, su cui abbiamo già alcuni primi risultati incoraggianti.