Leoluca Orlando è eletto sindaco per la quinta volta. Vince al primo turno con il 46,3% sostenuto da tutto il centrosinistra. Il rivale Ferrandelli, ex Pd ora sostenuto dal centrodestra si ferma al 31,2%. Il Movimento Cinque Stelle, colpito dallo scandalo delle firme false, delude (16,3%). In un quadro di elevata frammentazione, trionfano le civiche, mentre l’area democristiana (Udc, Cantiere Popolare) rimane fuori dal Consiglio.
Come forse in nessun altro contesto, a Palermo la politica è ancora perfettamente sintetizzabile nell’imperitura – e spesso fin troppo abusata – espressione vergata dalla penna di Tomasi di Lampedusa ormai 50 anni fa: ‘se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi’. Una frase che restituisce la cifra di un ineluttabile immobilismo, tuttavia apparentemente celato dall’ atavica vocazione delle élites al trasformismo, nella lucida consapevolezza che il mantenimento del potere passi attraverso rivolgimenti continui per adeguarsi ai tempi che cambiano. Difficile, se non impossibile, per i non siciliani comprendere le dinamiche della politica siciliana, e palermitana in particolare, senza fare riferimento al Gattopardo. Cambiare per mantenere il potere. Così fanno da sempre i nostri politici, o meglio i nostri gattopardi.
C’è il vecchio gattopardo, quel sindaco Leoluca Orlando che si avvia a cominciare il suo quinto mandato, il quarto da quando vige l’elezione diretta del sindaco. La prima volta fu nel 1985, come esponente della DC sostenuto dal pentapartito. C’era ancora la Guerra Fredda, e molti degli elettori che ieri lo hanno confermato a Palazzo delle Aquile non erano ancora nati. Il vecchio gattopardo fu poi il protagonista della ‘Primavera di Palermo’ negli anni ’90, sostenuto dal centrosinistra. Dopo i 10 anni di governo del centrodestra, cinque anni fa fu riportato al potere a furor di popolo trionfando al ballottaggio con il 72% dei consensi. Una prova di forza degna di nota, tanto più perché realizzata con il solo sostengo della sinistra radicale. Cinque anni dopo si cambia ancora, per restare sempre allo stesso posto. Adesso tutto il centrosinistra e addirittura il partito di Alfano convergono su di lui, e poco importa se per cinque anni hanno fatto opposizione contro la sua giunta. Emblematico è il caso del Pd: il primo partito del paese non ha presentato il proprio simbolo nella quinta città d’Italia, il più grande capoluogo che è andato al voto domenica scorsa. Oltre al trasformismo, qui c’è addirittura qualcosa di più. La consapevolezza che le elezioni a Palermo, come altrove nel Sud Italia, non sono decise dal voto di appartenenza ai partiti, e meno che mai dal voto di opinione. Non conta quindi il simbolo di partito, il voto è ‘personale’, cioè dato alla persona. Ci sono due tipi di voto personale: quello al sindaco, e nessuno come Orlando riesce a mobilitare i palermitani (quasi la metà dei voti ‘solo sindaco’, ben 16.791, vanno a lui). E poi c’è il voto al candidato, e in particolare ai ‘Signori delle preferenze’ (Emanuele e Marino 2016) che trainano il voto alle liste, soprattutto nei quartieri periferici (Emanuele 2012). E’ successo anche questa volta: le liste a sostegno di Orlando hanno preso una percentuale maggiore dello stesso sindaco: sono arrivate addirittura al 48,2%. Se ad esse sommiamo il voto alla lista della candidata dei Verdi, Nadia Spallitta, il centrosinistra largamente inteso sfiora la maggioranza assoluta (nel 2012 aveva appena un terzo dei voti).
Oltre al vecchio gattopardo, c’è anche il giovane gattopardo. Dapprima delfino dello stesso Orlando, poi suo acerrimo rivale, Fabrizio Ferrandelli ha completato con la sconfitta di domenica una parabola politica che lo ha portato in pochi anni a diventare, dopo gli esordi nei movimenti di sinistra, esponente dell’Italia dei Valori, poi del Pd e infine candidato del centrodestra. Quest’ultimo ha cercato di riconquistare la città, riconfigurando una coalizione dal sapore antico, che univa Forza Italia, Udc e Cantiere Popolare, il partito di Saverio Romano. Un’operazione di ricomposizione del polo moderato dopo le divisioni di 5 anni fa (quando il centrodestra presentò ben tre candidati e rimase fuori dal ballottaggio) orchestrata dalla sapiente regia di Totò Cuffaro e Gianfranco Miccichè. Una operazione fallita: nonostante un esercito di 280 candidati al Consiglio le liste a sostegno di Ferrandelli raccolgono meno di un terzo dei voti, mentre nel 2012 le liste dell’area moderata superavano il 60% dei voti (vedi Tabella 1). Inoltre, Udc e Cantiere Popolare rimangono fuori dal Consiglio comunale, non avendo superato la soglia del 5%.
Tabella 1. Comunali di Palermo, aggregato dei voti a partiti e poli e confronto con il passato[1]
Rispetto al 2012, si è dunque replicata la stessa sfida per la poltrona di sindaco: Orlando contro Ferrandelli, sebbene sostenuti da coalizioni diverse. Ancora una volta, la conferma del trasformismo della politica palermitana e della personalizzazione della competizione: le persone (i leader) guidano, l’intendenza (i partiti) seguirà. Orlando ha distanziato Ferrandelli di circa 15 punti al maggioritario, ottenendo in percentuale poco meno di 5 anni fa (46,2% contro il 47,4% di 5 anni fa) ma riuscendo grazie alla nuova legge elettorale regionale, ad essere eletto già al primo turno[2].
I flussi realizzati dal CISE tra le politiche 2013 e le comunali 2017 mostrano inequivocabilmente la trasversalità di Orlando. Il sindaco raccoglie solo un terzo dei voti dalla coalizione di Bersani (il naturale riferimento politico delle sue liste), e pesca anche da Monti (13), Berlusconi (22), M5S (9), recuperando addirittura il 12% del proprio elettorato da ex astenuti del 2013. Dall’altra parte, invece, sorprende la permeabilità dell’elettorato del M5S nei confronti del candidato del centrodestra: un terzo del bacino elettorale di Ferrandelli proviene dai grillini. Al contrario, nonostante il suo passato di sinistra, Ferrandelli non pesca nulla dall’elettorato di Bersani, e ottiene appena un quarto dei voti di Monti (mentre Orlando ne raccoglie il 62%).
In un contesto segnato dall’estrema personalizzazione della competizione e dal ritorno ad una dinamica di tipo bipolare, il Movimento Cinque Stelle, già piagato dallo scandalo delle firme false e dai contrasti intestini per la leadership, non ha potuto far altro che recitare un ruolo da comprimario. Il candidato del Movimento, l’avvocato Ugo Forello si è fermato al 16,3%, e la lista, sebbene prima con il 13,1%, è rimasta ben lontana dal boom delle politiche (33%) e delle europee (29%). Il partito di Grillo paga, a Palermo, come in altre realtà locali, l’assenza di una strategia coalizionale e la ‘solitudine’ della propria lista, schiacciata dalle due maxi coalizioni a sostegno di Orlando e Ferrandelli. Se la conquista del consenso si riduce sostanzialmente alla mobilitazione di pacchetti di preferenze, il poter contare solo su 40 candidati contro i 280 dei rivali costituisce un deficit insormontabile. I flussi relativi al Movimento ci segnalano la debolezza della candidatura di Forello, capace di riportare al voto appena un terzo dei voti de Movimento del 2013, mentre un quarto di questi si astiene e un quarto vota Ferrandelli. Inoltre segnalano un fenomeno abbastanza in controtendenza con quanto avviene nel resto d’Italia: la documentata permeabilità fra centrodestra e grillini pare essere a senso unico: Forello non riesce a pescare significativamente nell’elettorato di centrodestra, mentre Ferrandelli fa man bassa di voti in uscita dal Movimento. Tra i voti in uscita dal Movimento, il rapporto centrodestra (includendo anche La Vardera)-centrosinistra è di quasi 3 a 1. Quest’ultimo è un ulteriore indicatore della trasformazione del bacino elettorale grillino in città negli ultimi 5 anni. Alle comunali 2012 infatti, osservando le provenienze dell’elettorato di Nuti, si rintracciava un profilo esclusivamente di sinistra radicale (Sinistra arcobaleno, Italia dei Valori) e centrosinistra (Pd) (Emanuele e Cataldi 2012).
Tabella 2. Flussi elettorali a Palermo: matrice delle destinazioni di voto degli elettori 2013
Tabella 3. Flussi elettorali a Palermo: matrice delle provenienze di voto dei candidati alle comunali 2017
Fallimento, infine, per la candidatura di Ismaele La Vardera, l’ex inviato de ‘Le Iene’ sostenuto dalla coalizione sovranista. Rappresentava l’ennesimo tentativo della Lega di Salvini di sfondare al Sud, ma si è fermato al 2,6%. Evidentemente a Palermo non è ancora tempo perché i gattopardi passino la mano.
Figura 1. I flussi elettorali a Palermo fra politiche 2013 e comunali 2017 (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)
Bibliografia
Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.
Emanuele, V. (2013), ‘Tra dinamiche territoriali e voto personale: le elezioni comunali 2012 a Palermo’, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 69, pp. 5-34.
Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.
Emanuele, V. and Cataldi, M. (2012), ‘Se il centrodestra non vota il sindaco. I flussi elettorali a Palermo’, in De Sio, L. and Paparo, A. (eds), Le Elezioni Comunali 2012, Dossier CISE (1), Rome, CISE, pp. 125-128.
Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.
NOTA METODOLOGICA
I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 600 sezioni elettorali del comune di Palermo. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (oggi o nel 2013), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Abbiamo effettuato analisi separate in quattro zone della città (identificate sulla base a criteri di omogeneità socio-politica) poi riaggregate nelle analisi cittadine qui riportate. Il valore dell’indice VR nelle quattro stime è pari a 8,4, 5,5 e due volte 4,8.
[1] Nella parte superiore di ciascuna tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari (per le comunali).
Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (comunali) o partiti (politiche ed europee) di sinistra ma non in coalizione con il Pd;
Il Centro-sinistra somma candidati (comunali) del Pd o le coalizioni (politiche ed europee) con il Pd;
Il Centro è formato da candidati (comunali) o coalizioni (politiche ed europee) sostenuti o contenenti almeno uno fra Udc, Ncd, Fli, Sc, Dc, Adc, Api, Udeur;
Il Centro-destra somma candidati (comunali) sostenuti da Fi (o Pdl) o coalizioni (politiche ed europee) contenenti Fi (o Pdl) o Direzione Italia, Gs, Mpa;
La Destra è la somma di candidati (comunali) sostenuti da Lega, Fdi o La Destra o coalizioni (politiche ed europee) contenenti almeno uno di questi.
Criteri per l’assegnazione di un candidati a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o dal Pdl (o Fi) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).
[2] La nuova legge elettorale regionale per l’elezione dei sindaci siciliani (l.r. 17/2016) consente infatti di vincere al primo turno con il 40% dei voti, non più con la maggioranza assoluta.