Prerogativa massima del far politica in Sicilia, lo studio del voto di preferenza agevola la lettura delle dinamiche elettorali regionali. Nell’Isola, la mobilitazione alle urne reca con sé stimoli flebilmente legati all’opinione e all’appartenenza ideologica (De Lucia, 2013). Lo conferma – in ultimo – lo studio sui flussi elettorali di Palermo, che attesta una iper-volatilità nelle scelte di voto nel Capoluogo siciliano (Emanuele e Paparo 2017).
Le relazioni personali intessute dai candidati all’Ars scavalcano i partiti, sostituti nella loro funzione storica di mediazione e rappresentanza degli interessi dell’elettorato. Il consistente rimescolamento nella composizione delle liste tra un appuntamento e l’altro precisa le regole di un gioco dettato dai Lords of Preferences (Emanuele e Marino 2016), sola – verrebbe a dirsi – variabile indipendente nelle consultazioni dell’Isola. Non inganni quanto leggibile in termini assoluti nella Tabella 1, col numero di preferenze alle regionali siciliane diminuito di 577.529 in sedici anni. Difatti, il dato in percentuale rivela una significativa continuità col trascorrere del tempo. Con l’esclusione dell’elezione del 2008, celebratasi in condizioni particolari poiché in concomitanza con le politiche, il tasso supera sempre il 75%. Oltre tre quarti dell’elettorato siciliano non rinuncia ad apporre il nome del candidato di riferimento affianco al simbolo della lista sbarrato.
Tabella 1 – Tasso di preferenza alle elezioni regionali siciliane (2001-2017)
La riduzione di 5,7 punti tra 2012 e 2017 rinviene alla differente consistenza elettorale del Movimento Cinque Stelle, totalmente estraneo rispetto al modus operandi politico in Sicilia. Prescindendo da ogni giudizio di valore, il M5s si distingue quale autentico fenomeno d’opinione. Quando cinque anni fa esordì col 14,8%, appena il 49,6% – ovvero meno della metà dell’elettorato – premiò un aspirante deputato regionale dopo aver votato il partito.
In linea con quanto esposto nella Tabella 2, il dato registrato lo scorso 5 novembre segna un miglioramento. Adesso, il 57,7% del bacino pentastellato sceglie anche un proprio candidato all’Ars. In questo senso, anche il Movimento si sta ‘normalizzando’.
L’anomalia del Movimento abbassa notevolmente il tasso di preferenza altrimenti registrato in sua assenza. Nel 2012 avrebbe raggiunto l’89,5% (De Lucia, 2012), mentre nel 2017 l’85,0%. Abissale il raffronto storico del M5s con gli altri quattro partiti più votati:
Tab.2: Tasso di preferenza alle elezioni regionali siciliane per i principali partiti
Forza Italia, Partito Democratico, Unione di Centro e Popolari e Autonomisti scollinano l’80%. Colpisce il Pd, per la prima volta più in alto di Fi. I dem siciliani consacrano la propria mutazione genetica, iniziata due anni addietro con la fusione di Articolo 4, il gruppo formatosi a Palazzo dei Normanni patrocinato da Lino Leanza, ex uomo di punta del Mpa di Raffaele Lombardo. Da quell’aggregazione proviene Luca Sammartino, che in Provincia di Catania sfonda il muro delle 30.000 preferenze, contando da solo quasi il 50% di quanto ottenuto nel collegio dal Partito Democratico. Nel territorio etneo, il tasso di preferenza del Pd sfiora quasi il 90%, una soglia oltrepassata esclusivamente a Trapani (91,3%) e nella roccaforte Enna (90,1%), isola di centrosinistra nell’Isola del centrodestra.
Recuperando lo smalto dei giorni migliori, Forza Italia mostra un tasso di preferenza inferiore di oltre 8 punti percentuali dal Pdl del 2012, contestualmente al raggiungimento di un migliore risultato finale (16,3 contro 12,9%). Ciò attesta la natura di un voto più politico ai forzisti, frutto della ritrovata centralità di Silvio Berlusconi. La realtà dove le preferenze incidono più marcatamente nel consenso di Fi è Messina. Nella provincia peloritana, il partito guidato da Gianfranco Miccichè beneficia delle oltre 11.000 mila preferenze dell’ex Ap Nino Germanà – rimasto comunque fuori dall’Ars – ma soprattutto delle 17.359 di Luigi Genovese, figlio di Francantonio. Curioso come nel 2012, quando l’ex deputato ancora militava tra le fila del Pd, il cognato Franco Rinaldi abbia ottenuto un consenso personale (18.664) non dissimile da quello del nipote. Questo corrobora la tesi secondo cui i pacchetti di voti siano una “dote ereditaria” tramandabile agli eredi o ai delfini del politico uscente di turno.
Gli altri due attori principali della coalizione di Nello Musumeci, migliori depositari dell’eredità democristiana nell’Isola, sforano invece il 90%, con l’Udc in calo e i Popolari e Autonomisti – contenitore costituto dal partito di Saverio Romano e dall’ex Mpa di Raffaele Lombardo – a imporsi quale lista più soggetta all’utilizzo delle preferenze (96,5%).
La restaurazione del centrodestra siciliano lancia più di un monito al Paese in avvicinamento al voto del 2018. Quello più dirompente riguarda il comparto maggioritario, da cui passano l’assegnazione del 35% dei seggi e forse delle sole possibilità di giungere alla maggioranza assoluta: il centrodestra, qualora unito e con candidati comuni nei collegi, potrebbe recitare un ruolo da grande protagonista nella prossima tornata elettorale.
Riferimenti bibliografici:
De Lucia F., “Elezioni regionali in Sicilia. Il voto di preferenza”, in “Un anno di elezioni verso le politiche 2013”, Dossier CISE N.3, 2013.
Emanuele V., Paparo A., “Come in un flipper: a Palermo elettori in frenetico movimento oltre partiti e ideologia”, CISE, /cise/2017/11/10/come-in-un-flipper-elettori-in-frenetico-movimento-nei-flussi-a-palermo/, 10 novembre 2017.
Emanuele V., Marino, B., “Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system”, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554, 2016.