Verso le Europee, il peso del modello tedesco

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 16 dicembre

Il 22 ottobre 2014 il Parlamento Europeo ha approvato la Commissione Juncker con 423 voti a favore, 209 contrari e 67 astensioni. Dei sette gruppi politici allora esistenti hanno votato a favore i popolari (PPE), i socialisti (S&D) e i liberali (ALDE). Questi sono i tre gruppi rappresentati nella Commissione. Hanno votato contro i verdi (Greens-EFA), la sinistra (GUE-NGL) e i sovranisti del gruppo di Farage (EFDD). I conservatori si sono divisi. I socialisti spagnoli, pur appartenendo al gruppo dei Socialisti e Democratici, si sono astenuti. La Commissione Juncker ha potuto contare su una maggioranza pari a circa il 56% dei seggi, più o meno in linea con il sostegno che hanno avuto le commissioni precedenti. Cosa succederà dopo le prossime elezioni europee? La futura Commissione sarà ancora espressione di una grande coalizione di centro, formata da popolari, socialisti e liberali?

A distanza di molti mesi dal voto, e in una situazione di grande volatilità, non è semplice rispondere a queste domande. Basterebbe un grave attentato in uno dei paesi dell’Unione poco prima del voto per modificare gli orientamenti fotografati oggi. Ciò premesso, il CISE ha provato a stimare il risultato delle elezioni di maggio utilizzando i sondaggi più recenti disponibili nei 27 paesi. A differenza della precedente tornata questa volta il totale dei seggi da assegnare è 705 invece di 751. È la conseguenza della Brexit. Dei 73 seggi assegnati alla Gran Bretagna 46 sono stati aboliti mentre i restanti 27 sono stati redistribuiti tra vari paesi. All’Italia sono toccati 3 seggi in più.

Nell’attuale Parlamento i partiti al ‘governo’, cioè quelli presenti in commissione, popolari, socialisti e liberali, possono contare su 476 seggi su 751, cioè su una maggioranza superiore al 60%. In base alle nostre stime a maggio i loro seggi dovrebbero essere 414 su 705, cioè poco sotto il 60%. La cosa interessante è che questo risultato sarebbe frutto di una dinamica elettorale diversa tra i sette paesi più grandi dell’Unione (Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania, Paesi Bassi) e gli altri. Nei primi, che eleggono 424 parlamentari, popolari, socialisti e liberali prenderebbero 218 seggi (il 51,4%) mentre negli altri 20, dove i seggi in palio sono 281, ne prenderebbero 196 (il 69,7%).

Tab. 1 – Stima della composizione del prossimo Parlamento Europeo sulla base dei recenti sondaggi nei diversi Stati.ep19_simIl dato è in linea con quello che sappiamo sulle difficoltà dei socialisti e dei popolari in Germania, Francia, Spagna e Italia. Negli altri paesi dell’Unione invece le cose vanno meglio per i partiti che formano la Commissione. Saranno quindi i ‘piccoli’ a compensare le perdite che ‘i governativi’ soffriranno nei paesi più grandi.

Se le nostre stime fossero corrette è molto probabile che la prossima commissione non sarebbe molto diversa dall’attuale. Il Parlamento Europeo continuerebbe ad essere governato da una grande coalizione di centro. Sarebbe ancora ‘il modello tedesco’ applicato a livello europeo, con la variante della inclusione dei liberali che a Berlino invece stanno fuori dal governo. Infatti con questi numeri è poco plausibile che i socialisti rinuncerebbero ad allearsi con popolari e liberali. Lo stesso dicasi per i liberali.

L’incognita è rappresentata dai popolari. In questo gruppo si annidano parlamentari di diverse tendenze. Si pensi che i parlamentari ungheresi eletti nel partito sovranista di Orban sono iscritti a questo gruppo. La defezione dei membri più conservatori potrebbe mettere a rischio la maggioranza di centro. Ma se la stima CISE è corretta si tratta di un evento poco probabile. Il problema è che potrebbe non esserlo.

Viviamo in un contesto instabile. Basti vedere a quanto è accaduto recentemente in Spagna con il successo di Vox nelle elezioni regionali in Andalusia (Vittori 2018).

Tra l’altro alcuni degli otto gruppi attualmente presenti in questo Parlamento potrebbero non esserlo nel prossimo. Né si conoscono per certo le future affiliazioni di diversi partiti. Per esempio, non si sa cosa farà il M5S che a un certo punto voleva entrare dentro l’ALDE. Né cosa faranno i conservatori polacchi. Ci saranno rimescolamenti ad oggi imprevedibili. E allora cosa potrebbe accadere se la grande coalizione di centro non fosse più possibile?

Questa è la speranza dei sovranisti da Salvini a Le Pen, Wilders e così via. Il loro obiettivo è chiaramente quello di poter condizionare la formazione della futura Commissione. Oggi non sembra però un obiettivo realistico. Nell’attuale Parlamento la destra sovranista è organizzata nel gruppo della Europa delle Nazioni e della Libertà (ENF), che comprende oltre alla Lega Nord e al Fronte Nazionale di Marine Le Pen vari partiti nazionalisti come il PVV olandese e il FPÖ austriaco. In totale si tratta di 35 parlamentari che sulla base della stima CISE potrebbero diventare 81. Di certo un grosso successo, ma insufficiente a cambiare significativamente gli equilibri parlamentari. E questo resta vero anche se ai loro voti si aggiungessero quelli del gruppo di ‘Europa della Libertà e della Democrazia Diretta’ di cui fa parte il M5S, oltre a quelli di Orban.

Alla fine, anche nel caso di una crescita straordinaria dei loro consensi, i partiti sovranisti non dovrebbero pesare più del 15% nel nuovo Parlamento. Non è da qui che verranno i pericoli per la stabilità dell’Unione.

Resta il fatto che l’opposizione alla grande coalizione non è rappresentata solo dai sovranisti. Su posizioni variamente critiche nei confronti della attuale maggioranza e delle sue politiche ci sono anche i Verdi, la Sinistra e i Conservatori. È poco probabile, ma non si può escludere del tutto, che la somma dei loro seggi, insieme a quelli dei sovranisti, rappresenti la maggioranza assoluta nel prossimo Parlamento.

Ciò non vuole dire però che saranno loro a esprimere la prossima Commissione. Questo è certo. Ma è altrettanto certo che con questo scenario si aprirebbe una fase nuova in cui i partiti che tradizionalmente hanno ‘governato’ l’Unione dovrebbero cercare un compromesso con forze tradizionalmente molto critiche da destra o da sinistra nei confronti dell’attuale modello europeo.

In questo caso l’ipotesi più probabile è che la grande coalizione diventi ancora più grande con l’inclusione dei Verdi o dei Conservatori. Ci sarebbero dei cambiamenti, ma si illude chi pensa che possano essere radicali.

Riferimenti bibliografici

Vittori, Davide (2018), ‘Crollo del PSOE nelle regionali in Andalusia: verso il primo governo di centrodestra?’ https://cise.luiss.it/cise/2018/12/03/crollo-del-psoe-nelle-regionali-in-andalusia-verso-il-primo-governo-di-centrodestra/

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.