Risultati Camera: l’analisi dettagliata di liste e coalizioni per regioni e zone geopolitiche

Tabella 1. Riepilogo delle percentuali del voto di lista per regione

A risultato praticamente acquisito e con solo una manciata di sezioni ancora da scrutinare, vi proponiamo le analisi del risultato elettorale alla Camera dei Deputati seguendo le classiche disaggregazioni territoriali del CISE per regioni e zone geopolitiche, guardando sia alle performance delle principali liste che a quelle delle due maggiori coalizioni. Ci concentriamo qui sui soli voti dati alle liste senza le ripartizioni dei voti ai soli candidati nei collegi uninominali, non ancora disponibili. Ciò ci consente già di tracciare una valutazione della performance di partiti e coalizioni al netto di dinamiche individuali legate ai singoli candidati.

Partiamo dalla Tabella 1, che ci fornisce il dato relativo alle percentuali di lista dei principali partiti, suddiviso per regione. Iniziamo coi vincitori, Fratelli d’Italia, che segnano performance elettorali comprese tra il 17,52% in Campania e il 32,87% in Veneto, risultando il primo partito in 12 regioni su 19 analizzate (tolte le meridionali Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sicilia, dove primeggia il Movimento 5 Stelle, e il Trentino Alto-Adige del Südtiroler Volkspartei). Ovviamente, la crescita del partito di Giorgia Meloni rispetto alla precedente tornata del 2018 è impressionante in ogni regione: dall’incremento minimo in Campania di 13,97 punti percentuali (pp) a quello massimo in Veneto di 28,58 pp.

Tra i partner di coalizione del centrodestra, esce invece ovviamente sconfitta la Lega, che ha uno share di voto minimo del 4,45% in Campania e il suo picco al 14,61% in Veneto (regge l’effetto Zaia, seppure il confronto con Fratelli d’Italia in questa regione sia impietoso). Pur confermandosi relativamente più forte al Nord piuttosto che al Sud, il partito di Matteo Salvini esce con le ossa rotte dal paragone con Fratelli d’Italia nel “proprio” Nord-Est, che perde. Emblematico, oltre al Veneto già visto, è l’11,04% contro 31,58% nel Friuli-Venezia Giulia del governatore leghista Fedriga, con uno scarto veramente notevole di oltre 20 punti percentuali. Il crollo della Lega rispetto al 2018 è proprio al Nord, con dati impressionanti: -18,28 pp in Veneto, -15,58 pp in Friuli-Venezia Giulia, -14,99 pp in Lombardia. Curiosamente, invece, la Lega “nazionalizzata” tiene proprio al Sud, con perdite contenute o piccoli incrementi (per esempio, il 2,71 pp della Basilicata e 0,16 pp della Calabria) nella maggioranza delle regioni meridionali.

Una storia simile può essere tracciata per il terzo partner di coalizione, Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi, infatti, va ben oltre il dato nazionale soprattutto al Sud, con svariate regioni addirittura in doppia cifra: Calabria (risultato massimo del 15,76%), Puglia, Molise, Sicilia e Abruzzo. In altre quattro regioni, e cioè Campania, Basilicata, Sardegna e Lazio, Forza Italia è addirittura il secondo partito della coalizione, con consensi più larghi della Lega. È soprattutto – ma non solo – al Nord, invece, dove Forza Italia è poco competitiva, come testimoniato dal 3,45% del Trentino-Alto Adige. Ciò parrebbe confermare come è proprio dove Lega e Forza Italia erano tradizionalmente più forti e sono ora più deboli che Fratelli d’Italia è cresciuta e si è presa il centrodestra. A differenza della Lega, tuttavia, Forza Italia è in perdita lungo tutto il paese rispetto al 2018, dai -3,13 pp della Basilicata ai -9,73 pp della Sicilia del contestualmente neo-eletto governatore Renato Schifani.

A sinistra, il PD è debole soprattutto al Sud, mentre è sopra al dato nazionale al centro-nord. La performance elettorale del partito di Enrico Letta varia dall’11,75% della Sicilia al 28,04% dell’Emilia-Romagna e dove il PD è più forte è soprattutto nella (fu) zona rossa toscana, umbra e marchigiana, così come in Liguria. In linea con il risultato tutto sommato piuttosto simile a quello della segreteria Renzi nel 2018, il PD lettiano cala in 9 regioni su 19 per incrementare la propria consistenza elettorale nelle rimanenti 10, variando tra i -4,19 pp dell’Umbria e i 3,49 pp della Sardegna.

Di più difficile interpretazione saranno tutti i dati relativi al Movimento 5 Stelle. È vero: rispetto al 2018, i 5 stelle sono crollati elettoralmente. Tuttavia, (almeno) due caveat sono d’obbligo: uno, lo stesso discorso non si applica al confronto, più realistico, con le Europee del 2019; e due, il Movimento 5 Stelle si è presentato questa volta come una proposta politica – apertamente “progressista”, nelle parole di Giuseppe Conte – qualitativamente diversa rispetto al 2018. Ciò detto, come sappiamo, nella performance elettorale grillina c’è una correlazione inversa praticamente perfetta tra latitudine geografica e voti ottenuti: con grande forza nelle regioni meridionali, status di primo partito nella maggioranza di esse, e clamoroso picco sopra al voto su 3 (34,78%) in Campania. Per converso, il M5S è debole al Nord, dov’è sotto il 10% ovunque meno che in Liguria e Piemonte e sprofonda al 5,09 in Trentino-Alto Adige. Ovviamente, rispetto alla performance storica del 2018, questo partito perde voti consistentemente e ovunque, dai -13,45 pp toscani ai -21,62 pp marchigiani.

Tabella 2. Riepilogo delle percentuali del voto di lista per zona geopolitica

Chiaramente, l’aggregazione nelle zone geopolitiche tradizionalmente analizzate dal CISE – Nord, (ex) Zona Rossa e Sud – riflette appieno quanto detto sopra, come evidenziato dalla Tabella 2. Fratelli d’Italia è egemone al Nord e nella Zona Rossa, mentre il Movimento 5 Stelle è – piuttosto clamorosamente, viste le previsioni di partenza in campagna elettorale e l’affermazione storica della destra di Giorgia Meloni – il primo partito al Sud. In termini percentuali, la forza della Lega è ancora più forte al Nord piuttosto che, progressivamente meno andando più verso meridione, nella Zona Rossa e a Sud. Forza Italia si mantiene un partito prevalentemente meridionalista da un punto di vista della competitività elettorale, mentre per il PD è magra consolazione il quasi testa a testa con Fratelli d’Italia in Zona Rossa.

Inoltre, anche le variazioni di zona in punti percentuali rispetto al 2018 sono illustrative. Come ovvio, Fratelli d’Italia ha un exploit ovunque, ma soprattutto al Nord, dove collassa la Lega (che perde moltissimo anche in Zona Rossa). Il PD non segna neanche qui un risultato così diverso dal 2018 renziano: cala, appena sotto al punto percentuale, al Nord e in Zona Rossa, mentre guadagna 1,67 pp al Sud, dove però si mantiene debole. Forza Italia perde consistenti share di voto in maniera piuttosto omogenea, tra oltre i 4 pp e oltre i 7 pp, in tutto il Paese, mentre – come detto – il dato del M5S è difficilmente interpretabile.

Tabella 3. Riepilogo delle percentuali di voto delle due coalizioni per regione

Passiamo al confronto fra le due principali coalizioni, ovvero centrodestra e centrosinistra. Qui, come si evince dalla Tabella 3, la forza coalizionale del centrodestra emerge prepotentemente: il risultato minimo è il 31,18% ottenuto nel peculiare contesto trentino con l’opposizione contemporanea di centrosinistra, Movimento 5 Stelle, e SVP, mentre emblematiche sono le oltre una preferenza su due espresse in Veneto (56,26%), Lombardia (50,56%) e, quasi, in Friuli-Venezia Giulia (49,87%). Ovviamente, la competitività elettorale del centrodestra unito è complessivamente trasversale lungo tutto il paese. Inoltre, la coalizione cresce altrettanto trasversalmente rispetto alle politiche del 2018, dai 1,87 pp del Trentino-Alto Adige ai 13,08 pp del Molise.

Di contro, come sopra, il centrosinistra unito di PD, Alleanza Verdi-Sinistra, Più Europa e Impegno Civico è ben più competitivo al centro-nord piuttosto che al Sud, dove i dati più emblematici provengono da Sicilia (16,42%) e Calabria (18,15%). Tuttavia, il quadro che emerge è di chiara e irrevocabile non competitività: basti pensare che il centrosinistra va sopra il 30% solamente in Liguria, Toscana e nella più redditizia Emilia-Romagna (picco di coalizione del 35,95%), mentre il centrodestra non va mai sotto al 30% e solo in due occasioni sotto al 35%. Inoltre, il centrosinistra non batte mai il centrodestra. Infine, mentre è vero che il centrosinistra unito guadagna nella maggior parte delle regioni rispetto alla precedente tornata del 2018 – complice il contestuale crollo del Movimento 5 Stelle -, fino anche a sfiorare i dieci punti percentuali di guadagno in Sardegna (9,47 pp), la coalizione addirittura perde voti in una sua storica roccaforte ormai, da qualche anno, crollata in ogni sua componente: l’Umbria.

Tabella 4. Riepilogo delle percentuali di voto delle due coalizioni per zona geopolitica

A livello di zone geopolitiche, come visibile nella Tabella 3, lo scarto tra centrodestra e centrosinistra è micidiale al Nord, dove la coalizione a guida Fratelli d’Italia domina con quasi una preferenza su due: 49,58% a 26,43%, un quasi doppiaggio. Altrettanto negativo è il bilancio del centrosinistra al Sud, dove il suo peggior dato di zona (22,28%) fa fronte ai quattro voti su 10 raccolti dal centrodestra (39,58%). E ugualmente emblematica è la Zona Rossa, l’area relativamente migliore per il centrosinistra: perché se è vero che qui ottiene più di un voto su tre (33,45%), è anche vero che le destre ne ottengono più di quattro su 10 (40,17%) e che il distacco in termini percentuali è in ogni caso un tutt’altro che banale 6,5% circa.

Infine, è interessante concludere notando come la forza relativa delle varie componenti di queste coalizioni vada in qualche modo a levigare le differenze più evidenti emerse nelle analisi più disaggregate. Infatti, il centrodestra cresce piuttosto omogeneamente in tutto il paese rispetto alle politiche del 2018, in particolar modo dove resta più debole (e dove c’è la crisi dei 5 Stelle), cioè al Sud (7,82 pp), seguito dalla Zona Rossa (7,15 pp) e dal Nord (5,17 pp). Ciò ci indica che rispetto al 2018, soprattutto nel Settentrione, a cambiare sono stati più i rapporti di forza interni alla coalizione di centrodestra piuttosto che la competitività della coalizione stessa. Di nuovo, complice il crollo del M5S, cresce anche il centrosinistra, ovunque e in modo piuttosto uniforme: soprattutto al Sud pentastellato nel 2018 (4,67 pp), poi nella Zona Rossa (2,88 pp) e al Nord (2,37 pp). Ma non cresce mai, in nessuna area, come il centrodestra.

Federico Trastulli è un dottorando in 'Politics' presso il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli, dov'è anche cultore della materia e assistente di ricerca in Scienza Politica. È Teaching Assistant in Political Science e collabora alle attività didattiche di corsi di metodi quantitativi per le scienze sociali. È un collaboratore di ricerca del CISE e membro di associazioni professionali come CES e IPSA. È stato visiting doctoral researcher presso il CEVIPOF di Sciences Po, Parigi. I suoi interessi di ricerca riguardano i partiti politici e in particolare sinistra e socialdemocrazia, cleavage e class politics, la competizione elettorale, la politica comparata, le attitudini politiche e il comportamento di voto, e i metodi di ricerca sociale. I suoi contributi di ricerca sono stati pubblicati in riviste peer-reviewed nazionali e internazionali. Precedentemente si è laureato in Studi Europei alla London School of Economics and Political Science (MSc) e in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali alla Sapienza Università di Roma (Laurea triennale).
Davide Angelucci ha conseguito un dottorato di ricerca presso l'Università di Siena ed è attualmente assegnista di ricerca presso il CISE, alla LUISS – Guido Carli. I suoi interessi di ricerca si concentrano sul comportamento e sulla partecipazione politica. Attualmente sta lavorando su class-voting e diseguaglianze politiche.