Telescope

  • Dalle elezioni al nuovo governo: un’analisi sulla Germania

    Quelle in Germania sono state elezioni da record: l’affluenza più alta di sempre dalla Riunificazione (82,5%), un partito di estrema destra (l’AfD) che supera per la prima volta il 20%, il peggior risultato da fine Ottocento nella storia ultrasecolare della Spd. Com’è potuto succedere? Quali temi si sono rivelati decisivi nella campagna elettorale? Cosa dovrebbe fare, con una maggioranza risicata al Bundestag, la Grosse Koalition (Cdu e Spd) a guida Merz per recuperare il consenso perduto? Nella nuova puntata di Telescope diamo risalto a spunti e interventi raccolti nel nostro evento alla Luiss dello scorso 6 marzo, apertosi con la relazione della Professoressa Sorina Soare (Università di Firenze) e a cui è seguita la discussione con i Professori Lorenzo De Sio e Roberto D’Alimonte (Luiss Guido Carli), Sylvia Kritzinger (Università di Vienna) ed il giornalista Michael Braun (Die Tageszeitung).  
    Riunificata, ma ancora divisa Nel giro di pochi anni, la Germania ha visto sgretolarsi le proprie certezze: l’energia prodotta col gas a basso costo della Russia, l’economia trainata (anche) dagli stretti rapporti commerciali con la Cina, la difesa garantita dagli Stati Uniti. In tutto ciò il sistema politico - incentrato su due grandi partiti mainstream (Cdu/Csu e Spd) - aveva cominciato, già molto tempo prima, a perdere pezzi ed indebolirsi. Fino al 2005 la stabilità infatti era garantita da uno schema fondamentalmente bipolare, in cui cristiano-democratici e socialdemocratici governavano alternandosi, forti di una rete di alleati intercambiabili o esclusivi. Un antidoto all’iper frammentazione, inoltre, è sempre stata l’alta soglia di sbarramento per le liste al 5%. A partire dal 2005, all’inizio dell’era Merkel, le cose cambiano: i due grandi partiti perdono voti, scendendo sotto al 70% e trovandosi costretti a formare insieme una grande coalizione. Da lì in poi prima la Spd e dopo la Cdu finiranno per ridimensionarsi. Alle ultime elezioni hanno preso insieme meno del 45%. Un risultato su cui pesa in particolare la débâcle della Spd al 16,4%: 9,3 punti in meno rispetto al 2021, mai così in basso dal 1890. La Cdu invece, pur recuperandone 4,4, registra comunque il proprio secondo peggior risultato di sempre (28,5%). Il centro si è eroso e la polarizzazione è aumentata, con la crescita di partiti challenger, ormai non più periferici, nella sinistra (Die Linke, Bsw) come nella destra (AfD) radicale, specialmente nei Länder dell’ex Germania dell’Est. La mappa elettorale del 2025 ne dà una chiara dimostrazione, segno che, se pure riunificate da 35 anni, le due Germanie continuano ad essere due mondi a sé. I cittadini dell’Est guardano con risentimento all’Ovest a causa delle politiche di privatizzazione e deindustrializzazione adottate dopo il 1990, che hanno generato malcontento e disoccupazione. La fiducia nella politica tradizionale è bassa: basti pensare che, nella zona orientale, la metà dei sindaci non è affiliata ad alcun partito.  
    Una campagna nel segno dell’immigrazione Negli anni ’80 appena il 15% dei tedeschi decideva per chi votare all’ultimo minuto, una percentuale salita ora a quasi il 50%. L’opinione pubblica, come visto nell’ultima campagna elettorale, sa rivedere in fretta le proprie priorità. Quando a dicembre 2023 il governo Scholz giunge al capolinea il tema ritenuto più importante dai cittadini era l’economia (34%), con l’immigrazione al secondo posto ma con ampio distacco (23%). A febbraio, ormai in prossimità del voto, quest’ultima aveva acquisito tuttavia molta più rilevanza (42%), per poi scendere nuovamente ad elezioni finite (26%). Nessuna forza come l’AfD ha saputo capitalizzare così bene la questione migratoria, divenuta centrale nel dibattito politico tedesco dopo che nel 2015 Merkel decise di accogliere centinaia di migliaia di stranieri, per lo più profughi siriani. L’AfD era nato come partito anti-euro e nelle sue prime elezioni federali (2013) aveva mancato per poco l’accesso al Bundestag (4,7%). In quelle successive (2017), le prime dopo l’apertura delle frontiere voluta dall’ex cancelliera, finirà per triplicare i propri voti (12,6%), usando come cavallo di battaglia proprio l’immigrazione. Oggi alla Cdu di Merz, che si trova su posizioni culturalmente più conservatrici di quanto fosse con Merkel, spetta il compito di dare una risposta al fenomeno in linea col maggior rigore richiesto dall’opinione pubblica. Lo stesso vale per il partner di governo, la Spd, sulla scia dell’esempio dei socialdemocratici danesi, capaci di rivincere le elezioni affrontando il tema con una narrazione diversa e una gestione più severa dei flussi. Sarà uno dei banchi di prova fondamentali per il nuovo governo di Berlino. Una questione che non tocca solo la sicurezza, ma anche il dibattito relativo a diritti e integrazione di chi è già nel Paese: in Germania 11,4 milioni di cittadini stranieri residenti non possono votare alle elezioni federali.  
    Flussi di voto: il caso degli elettori rimobilitati Le elezioni tedesche del 2025 verranno ricordate anche perché l’affluenza, al contrario di quanto generalmente avviene in Europa, è aumentata, e pure in modo sensibile (+5,9% sul 2021). Guardando ai flussi elettorali vediamo che diversi partiti sono stati capaci di rimobilitare ex elettori astenuti. L’AfD lo ha fatto più di tutti, e la ragione è presto detta: un partito challenger, dopo essere comparso sulla scena e aver acquisito riconoscibilità, riesce spesso a catalizzare meglio una parte di non elettori che in quel partito vedono una soluzione per rompere gli schemi. È successo, ad esempio, in Italia col Movimento Cinque Stelle, la cui affermazione ha contribuito a contenere l’astensione sia alle elezioni del 2013 che del 2018. Un effetto poi svanito negli anni successivi, dopo essersi “normalizzato” stando al governo.  Scendendo nel dettaglio del voto per fasce socio-economiche, l’AfD ha conquistato il 38% tra gli operai e il 35% tra i disoccupati, andando sotto al suo risultato (20,8%) tra pensionati e impiegati pubblici. Il voto per età presenta invece le differenze più profonde: tra i 18-24enni l’Afd ha preso il 21% e la Linke addirittura il 25%, cioè quanto Cdu (13%) ed Spd (12%) messe insieme. I due grandi partiti mainstream, al contrario, toccano quasi il 70% tra gli over 70, dove AfD (10%) e Linke (5%) si fermano al 15%. Per cristiano-democratici e socialdemocratici, questi dati non possono che costituire un campanello d’allarme sulla loro futura appetibilità elettorale.  
    La cultura del compromesso e le risposte che servono   La Germania ha dimostrato, ancora una volta, di possedere una risorsa politica estranea ad altri Paesi europei: la disponibilità al compromesso. Se Berlino avrà presto un nuovo governo è perché la Spd, dopo averlo guidato per quattro anni, è disposta ora - nonostante due milioni di voti persi - a tornarci come partner della Cdu, anziché andare all’opposizione. Non era affatto scontato. Ma attenzione: questa cultura politica del saper venire a patti è una risorsa, non un valore in sé. In democrazia i governi costruiscono la propria legittimità se riflettono un orientamento chiaro che emerge dal voto. Il governo Scholz è naufragato tra le divisioni della coalizione semaforo formata da socialdemocratici, verdi e liberali. La nuova Grosse Koalition di Merz avrà in Parlamento una maggioranza limitatissima, di appena 13 seggi, resa possibile perché un partito - il nuovo Bsw di Sahra Wagenknecht - non è entrato nel Bundestag per un soffio (lo 0,03%, pari a 13.344 voti). Ecco perché, come già anticipato, la strada maestra non potrà che essere quella di incorporare nell’azione di governo alcune delle domande degli elettori dei partiti challenger (in primis l’AfD). L’addio all’austerity, con la riforma costituzionale appena approvata che toglie il freno al debito stanziando, tra le altre cose, un fondo speciale di 500 miliardi di euro in 12 anni per modernizzare le infrastrutture, è un primo segnale che va in questa direzione. Ed è curioso che a farsene carico sia stato proprio Merz, ovvero l’erede politico dell’ex ministro delle finanze rigorista Wolfgang Schäuble. Si tratta di scelte politiche inimmaginabili fino a ieri, il cui impatto - come sempre accade con la Germania - non sarà contenuto ai suoi confini nazionali, ma avrà ripercussioni sul futuro e le politiche dell’Europa.  
  • Alleanze, legge elettorale e riforme costituzionali: intervista al Prof. D’Alimonte

    Professor D’Alimonte, ha suscitato clamore l’intervista a Repubblica di Dario Franceschini. Secondo l’ex ministro, per battere la destra alle prossime elezioni politiche i partiti di opposizione dovranno presentarsi da soli. “È sufficiente” – ha spiegato – “stringere un accordo sul terzo dei seggi che si assegnano con i collegi uninominali per battere i candidati della destra”. Col Rosatellum, l’attuale legge elettorale, è tecnicamente fattibile? E lo è politicamente?  Il punto di partenza del ragionamento di Franceschini è che a sinistra l’unità prima del voto è una chimera. Quindi tanto vale rinunciarci invece di perdere tempo in estenuanti mediazioni su programma, leader, ecc. Meglio dunque presentarsi alle elezioni divisi, ognuno per conto proprio. Dopo il voto, se la somma dei seggi ottenuti da tutti i partiti del centro-sinistra fosse la maggioranza assoluta, si vedrà che fare. Allora ci si siederà attorno a un tavolo e si cercherà di trovare la quadra su programma, presidente del consiglio, ecc. Ma visto che ci sono i collegi uninominali una qualche forma di accordo prima del voto va trovata per non ripetere la brutta esperienza del 2022, quando grazie alle divisioni del centrosinistra il centrodestra ha vinto l’80% dei collegi. Quindi, secondo Franceschini, nella arena maggioritaria gli attuali partiti di opposizione dovrebbero presentare dei candidati comuni spartendosi i collegi, come si faceva ai tempi della Mattarella. Ma allora c’era L’Ulivo che proiettava l’idea di una coalizione unita destinata a governare in caso di vittoria. Adesso l’accordo sarebbe solo tecnico, non politico. Nella sostanza la proposta di Franceschini servirebbe a ‘proporzionalizzare’ del tutto l’attuale sistema elettorale. Ci farebbe fare un passo indietro sulla strada della governabilità. Come si può pensare che gli stessi partiti che non riescono a mettersi d’accordo prima del voto su un programma e una leadership comuni possano farlo dopo garantendo una efficace azione di governo? L’attuale governo può piacere o meno, ma il Paese oggi ha trovato una stabilità che tanti in Europa ci invidiano. Questo è un valore da consolidare.   Fig. 1 - Confronto tra la percentuale di voti e la percentuale di seggi uninominali ottenuta dalle coalizioni alla Camera nel 2022
    Se il Rosatellum prevedesse allora, com’era col Mattarellum, schede elettorali diverse per il voto ai partiti nel proporzionale e per quello ai candidati nel maggioritario, se ne avvantaggerebbe il centrosinistra, proprio come ai tempi dell’Ulivo?  Ai tempi del Mattarellum la possibilità di esprimere due voti su due schede diverse nella elezione della Camera (ma non quella del Senato) ha penalizzato la coalizione di centrodestra. Questo dicono i dati. Le coalizioni di Berlusconi sia nel 1996 che nel 2001 hanno preso più voti nella parte proporzionale rispetto alla parte maggioritaria, circa un milione e mezzo. Tra l’altro questo è il motivo principale della riforma elettorale del 2005 voluta fortemente da Berlusconi, che ha eliminato i collegi introducendo il proporzionale con premio di maggioranza. Allora il fenomeno era dovuto alla scarsa coesione dei partiti del centrodestra e al relativamente basso tasso di fedeltà dei loro elettori. Oggi le cose sono cambiate ma a livello di elezioni regionali si vede ancora una tendenza per cui i candidati presidenti del centrodestra a volte prendono meno voti delle liste che li sostengono, ma tutto sommato si tratta di un fenomeno più limitato.    I giornali parlano del piano del governo di cambiare la legge elettorale. L’ipotesi di partenza è il Tatarellum, il sistema in vigore in molte Regioni: proporzionale con turno unico e premio di maggioranza che dà il 55% dei seggi alla coalizione vincente che supera il 40%. Vada per la Camera, ma come potrebbe applicarsi un premio assegnato su base nazionale al Senato, che da Costituzione è eletto invece su base regionale?    Questa sembra essere effettivamente l’idea verso cui si sta orientando la maggioranza di governo, anche se è tutto ancora avvolto nella nebbia. Diciamo subito che il sistema non può ricalcare in toto quello delle elezioni regionali perché la sentenza della Corte sulla riforma Calderoli ha stabilito che non si può assegnare un premio di maggioranza senza una soglia minima di voti per ottenerlo. La Corte non ha fissato una soglia ma si presume che il 40 % sia compatibile con la sua sentenza. Cosa succede però se nessuno arriva a questa soglia? Le soluzioni sono due. Una è il ballottaggio tra le due liste o le due coalizioni con più voti. La seconda è la assegnazione del 100% dei seggi con formula proporzionale. È presumibile che la maggioranza di governo si orienti sulla prima soluzione.   Quanto al problema del Senato mi pare di capire che ormai la maggior parte dei giuristi si sia rassegnata al fatto che si possa introdurre un premio nazionale, così come è già stata introdotta una soglia di sbarramento nazionale, a patto che ci siano altri elementi che soddisfino il requisito della regionalizzazione del sistema.     Si parla di soglia al 40 %, ma ci sembra di ricordare che la sua idea è diversa.  È così. Io penso che la soglia corretta sia il 50 %. Solo con questa soglia si può essere ragionevolmente certi che il vincente sia la vera preferenza della maggioranza degli elettori. Inoltre con questa soglia è praticamente certo che ci sarebbe un ballottaggio. E con il ballottaggio si farebbe il premierato. Infatti, in questo modo gli elettori sarebbero messi di fronte a una scelta netta e facilmente comprensibile tra due sole alternative e sarebbero in grado di scegliere il premier e la sua maggioranza. Si realizzerebbe una sorta di elezione ‘diretta’, appunto il premierato, senza modificare la Costituzione e quindi la forma di governo parlamentare, e senza toccare i poteri del capo dello Stato. Il candidato pur eletto ‘direttamente’ dai cittadini potrebbe essere comunque rimosso con un voto di sfiducia delle camere. Tra l’altro con il ballottaggio si valorizzano le seconde preferenze degli elettori.     Perché il centrodestra avrebbe interesse ad accantonare il Rosatellum, di cui ha fortemente beneficiato nel 2022? Viene da pensare soprattutto a Lega e Forza Italia: entrambi sono sovra rappresentati in Parlamento grazie ai molti seggi ottenuti in collegi uninominali blindati per il centrodestra. Un risultato figlio del maggior peso politico dei due partiti all’interno della coalizione prima delle elezioni 2022, che oggi non esiste più. Forse che, allora, possano trarre vantaggi dalla possibile riforma? I seggi in più che avrebbero nel nuovo sistema col premio di maggioranza potrebbero "pareggiare” quelli ottenuti col Rosatellum nei collegi uninominali?  Credo che le ragioni siano altre. Il Rosatellum è un sistema complicato che costringe i partiti a faticosi accordi di spartizione dei collegi. Il proporzionale con premio semplificato tutto. Ma c’è dell’altro. Il Rosatellum non può garantire che dalle urne esca una maggioranza assoluta di seggi. È successo nel 2022 per la ragione di cui abbiamo parlato sopra, e cioè le divisioni del centrosinistra. Ma se nel 2027 il centrosinistra si presentasse unito, o nella versione Ulivo 2.0 (coalizione vera) o nella versione franceschiniana (coalizione fittizia), non è detto che accada o comunque potrebbe essere una maggioranza fragile. Con il proporzionale a premio questo non succederebbe.     Una riforma del sistema elettorale potrebbe convenire anche al centrosinistra, visto che il Rosatellum non è conveniente per un’alleanza asimmetrica come quella tra Pd e M5s?  Per certi aspetti potrebbe convenire per le stesse ragioni discusse prima. Per altre no. Un proporzionale con premio di maggioranza elimina la possibilità di coalizioni fittizie del tipo proposto da Franceschini. Ogni partito si presenterebbe con la sua lista e con il suo simbolo. Ma per puntare al premio e quindi a vincere i partiti coalizzati devono dare l’idea di essere una coalizione vera, con un programma e una leadership condivisi. Questo è il nodo che il centrosinistra deve sciogliere. La riforma elettorale sarebbe una spinta in questa direzione. Se non lo facessero in maniera credibile il centrodestra ne sarebbe fortemente avvantaggiato.      Capitolo candidati: l’ipotesi caldeggiata da Antonio Tajani è che vengano eletti con le preferenze, eccetto il capolista. A quali partiti converrebbe di più?  Dipende. Per i piccoli partiti che hanno pochi seggi non cambierebbe niente. Quasi tutti i loro candidati eletti sarebbero i capilista scelti dalle segreterie di partito. Per i partiti più grandi si creerebbero due categorie di candidati: i privilegiati, che essendo capilista avrebbero il seggio garantito, e i peones, che dovrebbero conquistarsi il seggio raccogliendo preferenze. In sintesi la riforma ridurrebbe l’attuale potere assoluto dei segretari ma in misura diversa per i diversi partiti.    In generale cosa pensa del progetto di riforme istituzionali del governo Meloni?  È un progetto disorganico. Premierato, autonomia differenziata, legge elettorale sono questioni che andrebbero affrontate in maniera sistematica. A mio avviso sono tre le riforme su cui si dovrebbe puntare: superamento del bicameralismo paritario, voto degli italiani all’estero e sistema elettorale. Sono riforme collegate tra loro. La trasformazione del Senato in Camera delle Regioni servirebbe a razionalizzare il rapporto Stato-Regioni, semplificare il processo legislativo e facilitare l’adozione di un sistema a premio di maggioranza. Il voto degli italiani all’estero eliminerebbe il rischio che l’elezione del premier dipenda dal voto di elettori che risiedono stabilmente all’estero e con labili legami con il Paese. La riforma elettorale servirebbe a favorire la stabilità dell’esecutivo. Aggiungo che sarebbe molto importante che questo pacchetto di interventi fosse concordato con l’opposizione. Solo riforme condivise sono riforme destinate a durare.      Lei parla di riformare il Senato ma quale sarebbe la reazione degli attuali senatori? Non pensa che sia una riforma difficile da far digerire?  Gli attuali 200 posti di senatore vanno spostati alla Camera che da 400 deputati dovrebbe passare a 600, in linea con la composizione delle camere basse in altre grandi democrazie europee. Tra l’altro questa modifica, oltre che facilitare l’approvazione della riforma, servirebbe a migliorare anche il lavoro delle commissioni parlamentari della Camera distribuendo meglio le responsabilità tra un maggior numero di deputati. 
  • Evento – Elezioni in Germania: il risultato e le prospettive future

    Le ultime elezioni tedesche sono state elezioni da record: l’affluenza più alta di sempre dalla Riunificazione (82,5%), un partito di estrema destra (l’AfD) che supera il 20%, il peggior risultato da fine Ottocento nella storia ultrasecolare della Spd. Com’è potuto succedere? Quali scenari politici si delineano con Merz cancelliere e il probabile ritorno della Grosse Koalition? Cosa cambia in Europa? Ne parleremo giovedì 6 marzo alle 11:30 in un nuovo evento organizzato alla Luiss, presso il Campus di Viale Romania 32. Qui il link per la registrazione: elezioni_germania_risultato_prospettive_future
  • Evento – Political Trust and Distrust in France and Italy

    Qual è lo stato della fiducia nella politica dell’opinione pubblica in Italia e Francia? Esistono differenze significative tra i due Paesi? Cos’è cambiato nell’ultimo anno rispetto a trend visibili già da tempo? Per rispondere a queste e ad altre domande, il dipartimento di Scienze Politiche della Luiss, il CISE, e il BNP-BNL Paribas Chair in French and Italian Relations in Europe hanno deciso di organizzare una tavola rotonda. Nell’evento verrà presentata e discussa l’edizione 2025 del Barometro sulla fiducia politica, un’indagine annuale giunta alla sua 16° edizione pubblicata del CEVIPOF di Sciences Po e realizzata da Opinionway grazie alla partnership tra CEVIPOF, CESE, Intériale Mutuelle, CMA-France, EDF, l’Institut de l’entreprise e la Luiss. L’evento, in lingua inglese, si terrà a Roma mercoledì 26 febbraio alle 15:00, presso il Luiss Campus di Viale Romania 32. Qui il link per la registrazione: political_trust_distrust_in_france_italy
  • Chi voterà chi? Gruppi sociali e propensione di voto ai partiti

    In che modo è misurabile l’attrattività dei partiti? Quale dato, più delle intenzioni di voto, può farci capire meglio il potenziale elettorale delle forze politiche tra i diversi gruppi sociali? Nella nuova puntata di Telescope, la seconda realizzata con i dati del nostro recente sondaggio, abbiamo individuato da chi e dove i partiti hanno più possibilità di ricevere futuri consensi. Gli indicatori in questione sono le propensioni, espresse in una scala da 1 a 10, a votare un domani per uno dei cinque principali partiti italiani (FdI, Pd, M5s, Fi e Lega). Abbiamo analizzato, con un modello di regressione multivariata, l’effetto per i diversi partiti delle seguenti variabili: il sesso, la classe d’età, il livello d’istruzione, la zona geografica, il benessere economico (facilità o difficoltà ad arrivare a fine mese) e l’autocollocazione politica sull’asse sinistra-destra. Ne sono uscite conferme rispetto a caratteristiche già note degli elettorati di ciascun partito, ma anche delle sorprese, che potrebbero forse materializzarsi in termini di voto effettivo in qualche prossima elezione. Maschi o femmine? Conta di più l’età Nessun partito ha un’attrattività sensibilmente maggiore nell’elettorato maschile o in quello femminile, con valori per ciascuno racchiusi al massimo in 0,14 punti. Trend chiari appaiono invece nelle classi d’età, a partire dal Movimento Cinque Stelle, la cui attrattività diminuisce progressivamente dai più giovani (punteggio stimato di 3,67 tra i 18-29enni) ai più anziani (2,24 over 65). Al partito di Conte converrebbe quindi, almeno sulla carta, rivolgersi di più a chi ha meno di 44 anni, in particolare alla classe 18-29 anni, quella dove alle ultime europee aveva preso meno voti (8%). Un andamento anagrafico simile lo ha il Pd, attrattivo tra i giovani ma meno nelle fasce 45-54 e 55-64. Eppure, a differenza del M5s, riprende quota tra gli over 65, la classe dove non a caso ottiene di regola più voti (29% alle europee). Guardando al centrodestra, Fratelli d’Italia e Forza Italia mostrano valori più omogenei passando tra le diverse categorie. Il partito di Meloni ha una più alta attrattività tra i 30-40 e 45-54enni. Non sorprende che proprio in quest’ultimo gruppo Fdi abbia ottenuto il suo risultato migliore alle europee (ben il 37%). Pure la Lega si dimostra attrattiva negli stessi segmenti, in particolare nella fascia 30-40.
    Per l'opposizione spazi al Sud, nelle Isole e tra le persone più in difficoltà È interessante vedere come per i due principali partiti di opposizione la maggiore attrattività è al Centro e, ancor di più, nel Sud e nelle Isole, bacino elettorale di riferimento del M5s e tradizionale tallone d’Achille del Pd (almeno nelle elezioni politiche più recenti). I dati variano di meno nei tre partiti di centrodestra, in particolare per FdI (con punteggi previsti contenuti in una forbice di 0,15 punti). Anche tra chi afferma di avere più difficoltà di arrivare alla fine del mese i partiti di opposizione hanno maggiore attrattività, specie il M5s. Nella coalizione di governo non si riscontrano invece, effetti rilevanti in Fratelli d’Italia e Forza Italia, che quindi hanno un profilo trasversale rispetto al benessere economico; la Lega che risulta più attrattiva, nelle due categorie che stanno un po’ meglio, dichiarando comunque di avere una o più difficoltà ad arrivare alla fine del mese.
    L’istruzione e l’auto-collocazione politica: Pd-FdI a specchio Sul livello di istruzione il M5s non presenta picchi specifici, mentre il Pd, un po’ a sorpresa, non registra più una differenza di attrattività tra diplomati e laureati (le due categorie in cui è più attrattivo). I tre partiti di centrodestra, al contrario, sono tutti più attrattivi tra chi ha un titolo di scuola media inferiore, trend perfettamente in linea con i risultati elettorali: sempre alle europee, in questo gruppo, Fdi prese il 32%, la Lega il 13% e Fi l’11%, tutti dati superiori al loro risultato elettorale nazionale. Infine, veniamo all’autocollocazione politica sinistra-destra, dove “vincono” il Pd a sinistra (6,51) e Fratelli d’Italia a destra (7,24). Si tratta di punteggi rilevanti e fortemente caratterizzanti, perché vicini o superiori al doppio della propensione al voto media di entrambi (pari al 3,28 per il Pd e al 3,64 per FdI). Se pure di poco, la propensione a votare Pd per chi si colloca al centro è superiore a quella di FdI (3,46 contro 3,07 punti). Il M5s, impegnato ancora a chiarire la propria collocazione politica di “progressisti indipendenti”, si dimostra comunque chiaramente caratterizzato a sinistra (4,24) rispetto alla destra (1,82).

Ricerca

  • Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020)

    To cite the article: Emanuele, Vincenzo, and Federico Trastulli. 2024. “Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020).” Perspectives on Politics: 1–20. doi: 10.1017/S1537592724000628. The article is open access and can be accessed here. Abstract Despite considerable attention in the literature, existing studies analyzing the effect of left governmental power on inequalities suffer from three main limitations: a privileged focus on economic forms of inequality at the expense of political and social ones, inaccurate measurements of left governmental power, and the analyses’ narrow time spans. This article addresses such concerns through a comparative longitudinal analysis where the impact of left governmental power on different measures of political, social, and economic inequalities is investigated in 20 Western European countries across the last 150 years. Data show that, consistent with previous literature, the Left in government has significantly reduced most forms of inequalities. However, the equalizing effect of the Left in government has decreased over time and has become not significant since the 1980s. The Left is today incapable of accomplishing its historical mission of reducing inequalities. The article discusses the rationale and implications of these findings.
  • The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation

    To cite the article:

    Crulli, M., & Albertazzi, D. (2024). The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation. West European Politics, 1–30. https://doi.org/10.1080/01402382.2024.2359841

    The article is open access and can be accessed here.

    Abstract

    The aim of this article is twofold. Firstly, it offers a new definition of ‘mainstream’. Moving beyond understandings of the concept that focus exclusively on parties’ alternation in power, or their ideology/message, the article’s conceptualisation considers both supply and demand sides of politics. Hence, an attitudinal component to functional definitions is added. This implies that, to be called ‘mainstream’, certain attitudes must be shared by a majority of the public, and there must be no significant differences in their endorsement across political groups. Secondly, consideration is given to whether liberal-, social-democratic, and populist radical right (PRR) parties and attitudes meet this new reconceptualisation. While liberal- and, to a lesser extent, social-democratic parties and attitudes are indeed shown to be ‘mainstream’, the PRR is found to fall outside of the proposed definition, despite being ‘established’ on the supply side. The article concludes by underlining its wider theoretical implications.

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

    A. Chiaramonte, L. De Sio (a cura di)

    Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022

    Bologna, Il Mulino, 2024 pp. 380

    ISBN 978-88-15-38818-6

    È disponibile in libreria "Un polo solo", l' ottavo volume della serie, dedicata alle elezioni politiche, iniziata dai ricercatori CISE a partire dall'elezione del 1994.

    Un approfondito studio delle elezioni politiche del settembre 2022, ricco di dati e analisi originali, di un gruppo di ricercatori riunito su iniziativa del Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE). Dopo un'introduzione sul contesto pre-elettorale - la costruzione dell'offerta politica; le domande espresse dall'opinione pubblica; lo sviluppo della campagna elettorale - segue una dettagliata analisi dei risultati, con focus sulla partecipazione al voto, sui flussi e sui temi decisivi, sul rapporto tra territorio e voto, sul partito vincitore - Fratelli d'Italia. Una serie di contributi inquadra l'elezione in una prospettiva di lungo termine, analizzando gli effetti del sistema elettorale, la selezione della classe parlamentare e l'evoluzione del sistema partitico italiano. È sulla scorta di questa grande messe di dati e di analisi che si costruisce un'interpretazione complessiva che vede il «cambiamento» ancora protagonista, ma anche il ritorno in primo piano di una caratteristica del vecchio bipolarismo, per cui a fare la differenza nella competizione elettorale è stata la capacità dei partiti di «farsi polo». Ma è un polo solo che ha risposto a questo appello, decidendo così il risultato.

    Indice

    Premessa

    I. Partiti, coalizioni e alleanze: il ritorno del primato dell’offerta, di Matteo Boldrini, Marco Improta e Aldo Paparo

    II. Al cuore della rappresentanza. I temi in discussione, tra domanda dell’elettorato e offerta dei partiti, di Lorenzo De Sio, Nicola Maggini ed Elisabetta Mannoni

    III. Divergenti ma non troppo? Le priorità dei cittadini e le strategie dei partiti durante la campagna elettorale, di Luca Carrieri e Cristian Vaccari

    IV. Cronaca di una morte annunciata. La partecipazione elettorale in Italia, 2022, di Davide Angelucci, Federico Trastulli e Dario Tuorto

    V. Un polo solo, al comando: i risultati elettorali e i flussi di voto, di Davide Angelucci, Lorenzo De Sio e Aldo Paparo

    VI. Territorio e voto in Italia alle elezioni politiche del 2022, di Matteo Cataldi, Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    VII. Fratelli d’Italia. Radici e dinamiche di un successo annunciato, di Davide Angelucci, Gianfranco Baldini e Sorina Soare

    VIII. Maggioritario di risulta. Gli effetti del nuovo sistema elettorale alla sua seconda prova, di Alessandro Chiaramonte, Roberto D’Alimonte e Aldo Paparo

    IX. La rivincita della politica? Il ceto parlamentare alla prova della riduzione dei seggi, di Bruno Marino, Filippo Tronconi e Luca Verzichelli

    X. Un sistema partitico deistituzionalizzato, di Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele e Elisa Volpi

    Conclusioni: un polo solo, e poi?, di Alessandro Chiaramonte e Lorenzo De Sio

    Riferimenti bibliografici

  • Open selection for a 2-year post-doc position at CISE on social media analysis (deadline Apr 10)

    The selection is still open (until Apr 10). The figure we are looking for (details in the call for applications-see PDF below) will deal with quantitative social media analysis, also through computational methods, so that familiarity with Python and/or R (possibly including API access) is an important plus.

    The call for applications is for a two-year post-doctoral position at Luiss Rome within the CISE-run, nationally funded (PRIN) POSTGEN project - Generational gap and post-ideological politics in Italy. The position also offers interesting teaching opportunities; moreover, due to the geographically distributed nature of the project (the Luiss unit, headed by PI Lorenzo De Sio, coordinates three more units in Milan, Bologna and Pavia), applications by non-resident young scholars will be also very seriously considered.

    The project is highly innovative on several aspects, from theoretical framework to data collection and analysis, combining qualitative ethnographic interviews, questionnaire-based surveys, and social media analysis using algorithms and GenAI (see description below, or directly https://postgen.org/ ).

    Position description (from the call)

    The selected postdoctoral researcher will be in charge for specific tasks related to the project work package dedicated to social media, in terms of both data collection and quantitative analysis.

    The ideal candidate has:

    • a background in empirical social research with a quantitative approach;
    • familiarity with manual and automated collection of social media data (including access to social media APIs);
    • familiarity with quantitative analysis of social media data, both with human coding and with algorithmic (supervised and unsupervised) approaches;
    • familiarity with common data analysis software/programming languages (Stata, R, Python);
    • some record of scientific publications;
    • some previous participation to international research projects.

    The selected researcher will actively cooperate with the project team, and will be offered the possibility of a fully-fledged research experience within the POSTGEN project, including full participation to research activities and to the dissemination of the project, ranging from participation to international conferences to significant opportunities for scientific publications on international journals.

    Useful links

    Call for applications
    (legal document in Italian; includes English position description at the end)

    Application form
    (deadline: 14.00 CEST of April 10, 2024)

    POSTGEN in a nutshell:

    Background

    Recent, disruptive political change in the Western world (Brexit; Trump; challenger parties across Europe; the birth in 2018 Italy of the first “populist” government in Western Europe) has deeply challenged theories of voting behavior and party competition, leading most scholars to broad explanations based on populism and irrational publics.

    Recent comparative research (see the ICCP project; see De Sio/Lachat 2020) has shown more specific mechanisms: challenger parties thrive on an ability to mobilize conflict by leveraging issue opportunities across ideological boundaries. This reveals a de-ideologized context, where voters, relying less on traditional ideological alignments, reward innovative post-ideological platforms.

    Still, ICCP research only scratched the surface of a possible de-ideologization process, lacking processual focus (and missed the impact of the Covid crisis, potentially leading to further change).

    The POSTGEN Project

    POSTGEN fills this gap by offering – on the Italian case, lying at the forefront of disruptive political change – an in-depth analysis of the mechanisms and dynamics of possible de-ideologization. It adopts a generation-aware perspective (needed for understanding change) with emphasis on younger generations, and with innovative focus on:

    • time: tracing the (memory and) dynamics of the formation of political attitudes (at the individual, generational, and collective level) and their impact on political behavior;
    • meanings associated to different political issues, and the (lack of) overarching ideological organization thereof;
    • non-political actors and influencers, and their increasing influence in an age of crisis of epistemic authorities.


Volumi di ricerca

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

  • The Deinstitutionalization of Western European Party Systems

  • Conflict Mobilisation or Problem-Solving? Issue Competition in Western Europe

  • “La politica cambia, i valori restano” ripubblicato in Open Access

  • Il voto del cambiamento: le elezioni politiche del 2018

  • Cleavages, Institutions and Competition

  • Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective

  • Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013

  • Competizione e spazio politico. Le elezioni si vincono davvero al centro?

  • La politica cambia, i valori restano? Una ricerca sulla cultura politica dei cittadini toscani


Dossier CISE

  • Online il Dossier CISE “Le elezioni amministrative del 2019”

  • The European Parliament Elections of 2019 – individual chapters in PDF

  • The European Parliament Elections of 2019 – the e-book

  • “Goodbye Zona Rossa”: Online il Dossier CISE sulle elezioni comunali 2018

  • Dossier CISE “Goodbye Zona Rossa”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • “Gli sfidanti al governo”: Online il Dossier CISE sulle elezioni del 4 marzo

  • Dossier CISE “Gli sfidanti al governo”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • The year of challengers? The CISE e-book on issues, public opinion, and elections in 2017

  • The year of challengers? Individual PDF chapters from the CISE e-book

  • “Dall’Europa alla Sicilia”: Online il Dossier CISE su elezioni e opinione pubblica nel 2017