Telescope

  • Chi voterà chi? Gruppi sociali e propensione di voto ai partiti

    In che modo è misurabile l’attrattività dei partiti? Quale dato, più delle intenzioni di voto, può farci capire meglio il potenziale elettorale delle forze politiche tra i diversi gruppi sociali? Nella nuova puntata di Telescope, la seconda realizzata con i dati del nostro recente sondaggio, abbiamo individuato da chi e dove i partiti hanno più possibilità di ricevere futuri consensi. Gli indicatori in questione sono le propensioni, espresse in una scala da 1 a 10, a votare un domani per uno dei cinque principali partiti italiani (FdI, Pd, M5s, Fi e Lega). Abbiamo analizzato, con un modello di regressione multivariata, l’effetto per i diversi partiti delle seguenti variabili: il sesso, la classe d’età, il livello d’istruzione, la zona geografica, il benessere economico (facilità o difficoltà ad arrivare a fine mese) e l’autocollocazione politica sull’asse sinistra-destra. Ne sono uscite conferme rispetto a caratteristiche già note degli elettorati di ciascun partito, ma anche delle sorprese, che potrebbero forse materializzarsi in termini di voto effettivo in qualche prossima elezione. Maschi o femmine? Conta di più l’età Nessun partito ha un’attrattività sensibilmente maggiore nell’elettorato maschile o in quello femminile, con valori per ciascuno racchiusi al massimo in 0,14 punti. Trend chiari appaiono invece nelle classi d’età, a partire dal Movimento Cinque Stelle, la cui attrattività diminuisce progressivamente dai più giovani (punteggio stimato di 3,67 tra i 18-29enni) ai più anziani (2,24 over 65). Al partito di Conte converrebbe quindi, almeno sulla carta, rivolgersi di più a chi ha meno di 44 anni, in particolare alla classe 18-29 anni, quella dove alle ultime europee aveva preso meno voti (8%). Un andamento anagrafico simile lo ha il Pd, attrattivo tra i giovani ma meno nelle fasce 45-54 e 55-64. Eppure, a differenza del M5s, riprende quota tra gli over 65, la classe dove non a caso ottiene di regola più voti (29% alle europee). Guardando al centrodestra, Fratelli d’Italia e Forza Italia mostrano valori più omogenei passando tra le diverse categorie. Il partito di Meloni ha una più alta attrattività tra i 30-40 e 45-54enni. Non sorprende che proprio in quest’ultimo gruppo Fdi abbia ottenuto il suo risultato migliore alle europee (ben il 37%). Pure la Lega si dimostra attrattiva negli stessi segmenti, in particolare nella fascia 30-40.
    Per l'opposizione spazi al Sud, nelle Isole e tra le persone più in difficoltà È interessante vedere come per i due principali partiti di opposizione la maggiore attrattività è al Centro e, ancor di più, nel Sud e nelle Isole, bacino elettorale di riferimento del M5s e tradizionale tallone d’Achille del Pd (almeno nelle elezioni politiche più recenti). I dati variano di meno nei tre partiti di centrodestra, in particolare per FdI (con punteggi previsti contenuti in una forbice di 0,15 punti). Anche tra chi afferma di avere più difficoltà di arrivare alla fine del mese i partiti di opposizione hanno maggiore attrattività, specie il M5s. Nella coalizione di governo non si riscontrano invece, effetti rilevanti in Fratelli d’Italia e Forza Italia, che quindi hanno un profilo trasversale rispetto al benessere economico; la Lega che risulta più attrattiva, nelle due categorie che stanno un po’ meglio, dichiarando comunque di avere una o più difficoltà ad arrivare alla fine del mese.
    L’istruzione e l’auto-collocazione politica: Pd-FdI a specchio Sul livello di istruzione il M5s non presenta picchi specifici, mentre il Pd, un po’ a sorpresa, non registra più una differenza di attrattività tra diplomati e laureati (le due categorie in cui è più attrattivo). I tre partiti di centrodestra, al contrario, sono tutti più attrattivi tra chi ha un titolo di scuola media inferiore, trend perfettamente in linea con i risultati elettorali: sempre alle europee, in questo gruppo, Fdi prese il 32%, la Lega il 13% e Fi l’11%, tutti dati superiori al loro risultato elettorale nazionale. Infine, veniamo all’autocollocazione politica sinistra-destra, dove “vincono” il Pd a sinistra (6,51) e Fratelli d’Italia a destra (7,24). Si tratta di punteggi rilevanti e fortemente caratterizzanti, perché vicini o superiori al doppio della propensione al voto media di entrambi (pari al 3,28 per il Pd e al 3,64 per FdI). Se pure di poco, la propensione a votare Pd per chi si colloca al centro è superiore a quella di FdI (3,46 contro 3,07 punti). Il M5s, impegnato ancora a chiarire la propria collocazione politica di “progressisti indipendenti”, si dimostra comunque chiaramente caratterizzato a sinistra (4,24) rispetto alla destra (1,82).
  • “Stanchi delle guerre, contro l’immigrazione e non troppo convinti del clima che cambia: ecco gli italiani, nel nostro sondaggio”

    Come la pensano gli italiani su guerre, immigrazione, magistratura ed altre questioni di stretta attualità? È cambiato qualcosa rispetto a maggio, quando eravamo nel pieno della campagna elettorale per le elezioni europee? Nella nuova puntata di Telescope pubblichiamo la prima parte dell’analisi del nostro nuovo sondaggio, realizzato con metodo CAWI su un campione di 1.200 italiani maggiorenni. Dopo una panoramica sugli orientamenti generali dell’opinione pubblica, abbiamo scelto di approfondire le opinioni su un argomento specifico: il cambiamento climatico. Se ne parla dal secolo scorso, ma da meno di un decennio in modo diffuso, specie quando accadono eventi catastrofici. In questo caso ci ha spinto un tema d’attualità: l’ennesima alluvione in Emilia-Romagna, che peraltro segue la siccità in Sicilia, dove almeno due milioni di abitanti hanno l’acqua razionata una volta a settimana. Queste calamità hanno inciso sulla più ampia percezione del fenomeno? Si crede che si tratti di variazioni naturali, oppure di un cambiamento climatico dovuto alle attività umane? Il governo, nell'affrontare tutto ciò, è stato giudicato all’altezza? Ecco cosa dicono i dati della rilevazione.
    Gli italiani, sei mesi dopo: cresce la polarizzazione
    L’opinione pubblica italiana, oggi più che a maggio, rigetta le endless wars, i conflitti che si prolungano per anni senza una fine apparente. Ciò è chiaro per gli scenari internazionali più importanti e attenzionati dai media: l’Ucraina e Gaza. Sulla prima, due terzi del campione vorrebbero che si arrivasse a una trattativa di pace con la Russia, al costo di riconoscere i territori annessi da Putin. In Medio Oriente, una fetta ancora maggiore - pari all’81%, ben 4 punti in più che in primavera - si dice contraria alla prosecuzione dell’intervento militare israeliano. Nel mezzo di queste posizioni, non sorprende che la variazione più significativa sia stata sulla creazione di un esercito comune europeo, il cui consenso perde 7 punti, scendendo sotto la soglia del 50% (49%). Ad essere contrari sono soprattutto i Millennials (52%), cioè chi ha tra 28 e 43 anni, e i Gen X (55%) ricompresi nella fascia d’età 44-59, mentre a favore restano i gruppi più anziani over 60 e, rispetto all’auto-collocazione politica, chi si definisce di sinistra (57%). Riguardo poi a vari altri temi, rispetto alla primavera varie opinioni che già erano maggioritarie hanno acquisito ulteriore forza. Due esempi su tutti: il negare l’ingresso ai movimenti anti-abortisti nei consultori, che ora raccoglie oltre il 70% delle preferenze (era il 66,4% in primavera), e il limitare l’accoglienza degli immigrati (67,7%, era il 62,9%). Quest’ultimo tema è, da almeno 15 anni, tra i più sentiti dalle opinioni pubbliche occidentali, dimostrandosi determinante in diverse elezioni. Giusto per citarne una, quella americana del mese scorso con la vittoria di Trump. L’evidenza ormai è tale per cui alcuni partiti di sinistra, o più largamente definibili “progressisti”, stanno rivedendo le proprie posizioni in merito all’argomento. Lo ha fatto, se pure tardivamente e con scarso profitto, Kamala Harris, candidata presidente del partito democratico negli Stati Uniti. Prima di lei, e con risultati fino ad ora migliori, era successo in Danimarca, ed è successo più di recente in Germania con Sahra Wagenknecht, leader del partito BSW, che ha scalzato la Linke a riferimento della sinistra radicale tedesca. Accadrà lo stesso in Italia? Completiamo la nostra panoramica con una delle questioni più divisive: i poteri della magistratura. Le opinioni su questo tema sono difficili da scalfire, perché ormai appare chiara una polarizzazione su linee partitiche. L’orientamento sul dare ai giudici più o meno poteri è rimasto pressoché invariato (appena mezzo punto in più rispetto a maggio), nonostante il dibattito politico con relative tensioni sul ddl Nordio approvato in estate, che ha eliminato l’abuso d’ufficio.  
     
     
    Il cambiamento climatico? C'è un segmento non trascurabile di negazionisti
    C’è una questione però, visibile sopra nelle tabelle, su cui la maggioranza degli intervistati si dice d’accordo (56,3%, era il 57,8% in primavera): dare la priorità alla protezione dell’ambiente, anche a costo della crescita economica. È un tema che si ricollega al più generale tema dell’ambiente, che abbiamo voluto in particolare approfondire con una domanda chiave: di fronte all’intensificarsi di eventi meteorologici estremi degli ultimi anni, gli intervistati tracciano una connessione col cambiamento climatico oppure no? La risposta è essenzialmente “sì”, ma non unanime, e con alcune interessanti specificazioni. Intanto, abbiamo rilevato questa connessione con due domande diverse: una generica, che non faceva riferimento specificamente agli eventi di quest’anno, collocata dopo domande su altri temi; e poi una molto più specifica, alla fine di varie domande sul cambiamento climatico, e che faceva invece esplicito riferimento ai fenomeni estremi di quest’anno (alluvioni in Emilia-Romagna, siccità al Sud, ecc.). Ebbene, nel primo caso il 76% degli intervistati attribuisce gli eventi estremi degli ultimi anni a un processo di cambiamento climatico (invece che normali oscillazioni climatiche); nel secondo, l’81% degli intervistati imputa gli eventi di quest’anno in Italia al cambiamento climatico prodotto dall’uomo. Tuttavia i due dati indicano una tendenza coerente: a fronte di una stragrande maggioranza che lega i due fenomeni (in linea con il consenso unanime tra gli scienziati), esiste comunque un’area tra il 20 e il 25% degli intervistati che invece nega questo collegamento. Diventa quindi di grande interesse vedere in quali gruppi è più diffuso questo atteggiamento “negazionista”. Prendendo a parametro la domanda generale, ci sono molte conferme e qualche sorpresa. La parziale sorpresa viene da un dato generazionale: percentuali di negazionisti sopra la media si trovano tra i Millennials (28-43 anni, 34%) e nei più anziani Silent Gen (gli over 79, 25%), mentre i giovani della Gen Z (17-27 anni) sono i meno negazionisti con il 16%. Gli altri gruppi sociali mostrano invece sostanziali conferme: sono più negazionisti gli uomini delle donne (30 contro 18%), i meno istruiti (30% tra elementari e nessun titolo, 24% in tutti gli altri), i più agiati economicamente (56 e 60% nelle due categorie più agiate, rispetto a valori tra il 19 e il 27% in tutte le altre categorie); quest’ultima sovrapposizione di caratteristiche (agiatezza economica, ma minore istruzione) ricorda il profilo tipico degli elettori di centro-destra: e infatti l’auto-collocazione politica ha un effetto molto forte: la percentuale di negazionisti è solo del 7% tra chi si colloca a sinistra, mentre sale al 43% tra chi si colloca a destra. È peraltro verosimile che queste domande siano anche influenzate dalla posizione del proprio partito. Quando infatti chiediamo una questione più ampia e neutrale, ovvero se il cambiamento climatico abbia contribuito a cambiare il modo di vedere il futuro dell’intervistato, risponde di sì addirittura l’83% (rispetto al 69 di maggio): segno che alcuni che si dichiarano negazionisti forse poi alla fine credono al cambiamento climatico. E non a caso, essere colpiti da eventi climatici estremi ha un effetto sulle opinioni. Chi li ha vissuti sulla propria pelle nell’ultimo anno crede infatti molto di più al cambiamento climatico rispetto a chi invece non li ha affrontati (86 contro 70%). Inoltre, gli abitanti di una zona colpita credono maggiormente che questi fenomeni siano colpa delle attività umane (68%), rispetto a chi risiede altrove (59%). E peraltro, nella batteria di domande consultabile qui sotto, si vede che il 51,2% degli intervistati dichiara di avere fatto esperienza di alluvioni, siccità, ondate di calore. È una percentuale molto alta, che ci dà l’idea della rilevanza del fenomeno. Sui rimedi adottati, infine, il parere invece è netto, e boccia l’azione del governo Meloni: per l’81% i giudizi sono negativi o molto negativi. Quale conclusione possiamo trarre da tutto ciò? Per molti anni la protezione dell’ambiente è stato un tema politicizzato da una sola direzione, dal lato ambientalista. Negli ultimi anni, tuttavia, di fronte a provvedimenti con un rilevante impatto economico sui settori legati ai combustibili fossili, si è mobilitato un fronte contrario (con successo soprattutto tra gli elettori di destra). Il tema è quindi oggi più controverso e politicizzato, e i nostri dati ormai lo mostrano chiaramente. È una dinamica tipica della politicizzazione di questo conflitto, che a questo punto non riguarda più, ad esempio, solo gli Stati Uniti, ma sembra chiaramente presente anche in Italia.
     
     
     
     
    Nota metodologica Il sondaggio Cise-Telescope è stato somministrato con metodologia CAWI su un campione di 1.206 intervistati, tra il 20 e il 26 novembre 2024, dalla società Demetra. Il campione è rappresentativo della popolazione italiana in età di voto per combinazione di sesso e classe di età, titolo di studio e zona geografica. Successivamente il campione è stato ponderato per sesso, combinazione di classe ed età, zona geografica e ricordo del voto espresso nella precedente elezione del 2022. Il tasso di risposta in rapporto agli inviti è stato del 40%. Il margine di errore (al livello di fiducia del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità è di ± 2,8 punti percentuali.
  • Trump colpisce ancora, ed ora che succede? Gli scenari per l’America e l’Europa

    Donald Trump ha vinto le elezioni. Nessun presidente, dai tempi tardo ottocenteschi di Grover Cleveland, era tornato alla Casa Bianca dopo averle perse alla fine del primo mandato. Il tycoon ha battuto Kamala Harris in tutti e 7 gli Stati in bilico, conquistando il collegio elettorale con 312 grandi elettori e prevalendo pure, a sorpresa, nel voto popolare. Trump ha preso 2,6 milioni di voti in più della sua avversaria, come non succedeva ai repubblicani dal 2004 con George W. Bush. Il suo consenso si è nazionalizzato, come confermano gli ottimi risultati in roccaforti democratiche come la California e New York. La sua base elettorale si è allargata, specie tra giovani e latinos. Ha dimostrato, ancora una volta, di non essere un accidente della storia. Com’è stato possibile? Cosa faranno i repubblicani, che hanno anche il controllo del Congresso? E i democratici, in cerca di riscatto? Senza dimenticare i Paesi europei, in primis l’Italia.  A queste domande rispondiamo nella nuova puntata di Telescope, realizzata grazie agli spunti e alle analisi - raccolti nel corso del nostro ultimo evento - di John Ferejohn e Bruce Cain (Stanford University), Daniela Giannetti (Università di Bologna), Roberto D’Alimonte e Sergio Fabbrini (Luiss).

    Trump, un candidato diventato normale

    La vittoria di Trump non è in sé una sorpresa. Che fosse possibile e per certi versi probabile, lo sapevamo da tempo. Guardando al collegio elettorale, non registriamo cambiamenti epocali: è vero che il tycoon ha prevalso in tutti e sette gli Stati in bilico, ma in cinque di questi  (Michigan, Wisconsin, Pennsylvania, North Carolina e Georgia) lo ha fatto in realtà con un margine minimo, tra lo 0,9 e il 2%. Significa che le elezioni, pure stavolta, sono state comunque competitive, anche se meno del solito. Il successo di Trump è però significativo, oltretutto consacrato dal primato nel voto popolare. Per capirlo dobbiamo partire proprio da lui. Dopo 8 anni in politica, il tycoon è diventato un candidato “normale”, ben conosciuto dagli americani che hanno dimostrato, in larga parte, di non considerarlo un pericolo per la democrazia. Peraltro, il presidente eletto si è dimostrato capace di spostarsi al centro su questioni come sicurezza sociale e assistenza sanitaria, e di mostrarsi più neutrale sull’aborto, che era costato caro ai repubblicani nelle ultime elezioni di midterm.

    Ma soprattutto Trump è stato considerato più credibile per gestire i temi prioritari dell’opinione pubblica americana: l’immigrazione e l’economia. Su quest’ultima, dati alla mano, occorre in particolare una riflessione. Sotto l’amministrazione Biden sono stati creati 16 milioni di nuovi posti di lavoro, la disoccupazione è scesa al 4,3%, il mercato azionario è andato a gonfie vele, sono aumentati persino i salari. Ma questo non è bastato, perché la crescita economica parrebbe non aver portato a benefici diffusi, anche perché l’inflazione ha colpito con durezza i ceti meno abbienti, a partire dal rincaro su alimenti di largo consumo come bacon e uova. La lezione per i democratici è dunque quella di prestare ancora più attenzione agli effetti delle politiche economiche (è vero che Biden ha speso moltissimo per creare lavoro, ma non è riuscito ad affrontare in modo convincente il problema del costo della vita) e per certi versi di rivedere ulteriormente la propria agenda, privilegiando tematiche economiche anziché identitarie. È evidente quanto sia diverso il loro impatto: Trump, come mostrato nel grafico in basso, ha guadagnato voti tra tutte le fasce di reddito.


    L’incognita Congresso: cosa succede col trifecta

    Come se non bastasse, il tycoon godrà anche del cosiddetto trifecta government, che si ha quando un partito, oltre a esprimere il presidente, controlla anche i due rami del Congresso. I repubblicani hanno ottenuto infatti la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Per Trump è un bene, ma non è affatto garanzia per la realizzazione del suo programma. I margini di maggioranza sui democratici infatti sono esigui in entrambe le camere, e per le proposte repubblicane più estreme venire a compromessi sarà un problema, specie con due partiti così polarizzati. Tutti gli ultimi presidenti che hanno goduto del trifecta lo hanno perso alle elezioni di midterm. C’è di più: per ogni inquilino della Casa Bianca il picco di potere si raggiunge il 20 gennaio, il giorno dell’insediamento, e la luna di miele col Paese dura circa 100 giorni. Trump allora, come i suoi predecessori, non può permettersi di “partire male”, pena una probabile sconfitta tra due anni nelle elezioni di midterm, col rischio di diventare un’anatra zoppa. Non è un elemento da sottovalutare, perché il controllo o meno della Camera o del Senato incide molto sull’azione dell’amministrazione. Il Senato ad esempio, dove i repubblicani hanno una maggioranza di tre seggi, è fondamentale per la politica estera.

    L’arma dei dazi contro l’Europa

    Dal 1948 tutti i presidenti americani hanno sostenuto il processo di integrazione europea, che altrimenti non sarebbe stato possibile. Tutti, appunto, tranne Trump. Il tycoon è riflesso della tradizione risalente a Lord Palmerston, premier inglese della seconda metà dell’Ottocento, secondo il quale “non ci sono alleanze permanenti, ma solo interessi permanenti”. Trump, per perseguire i propri obiettivi da deal maker, potrebbe dividere l’Europa rafforzando i dazi su singoli prodotti, così da colpire i Paesi che ritiene più opportuno. Un approccio unilaterale come il suo penalizzerebbe l’export del vecchio continente. Esiste una soluzione politica che possa evitarlo, proposta magari dal governo italiano di centrodestra? Allo stato attuale, se ci fosse, è quantomeno complicata, perché un’alleanza transatlantica tra nazionalisti non appare logica. Uno dei tratti che meglio caratterizza Donald Trump è peraltro l’imprevedibilità, tipica di un soggetto post ideologico che combina posizioni di destra e sinistra su diversi temi. E a differenza del suo primo mandato, il contesto è cambiato, con Francia e Germania politicamente deboli, e quindi un’Europa ancora più in difficoltà. Per l’Unione Europea è un’ora decisiva, perché le toccherà rispondere a chi, forse più di chiunque altro, si è affermato grazie alla sfiducia diffusasi gli ultimi 30 anni nei confronti delle élite tradizionali, quelle che negli Stati Uniti si trovano a Washington e in Europa proprio a Bruxelles e Strasburgo.

  • Evento – The 2024 US Presidential Elections: And Now What?

    Donald Trump ha vinto le elezioni presidenziali americane. Un successo netto, con una nota sorprendente: il tycoon ha battuto Kamala Harris persino nel voto popolare, come non succedeva ai repubblicani dal 2004, anno della riconferma di George W. Bush. Per capire i motivi e approfondire i risvolti di questo risultato elettorale, il Dipartimento di Scienze Politiche della Luiss ed il CISE ospiteranno una conferenza internazionale. L'evento, interamente in lingua inglese, è previsto per giovedì 14 novembre alle 17:30 nella sede Luiss di Viale Romania 32. Qui il link di registrazione.
  • Elezioni in Liguria: crocevia d’autunno? Dati e scenari sullo scontro Bucci-Orlando

    Lo scandalo giudiziario, le dimissioni di Giovanni Toti, le elezioni anticipate con lo scontro serrato tra Marco Bucci e Andrea Orlando: la politica nazionale guarda al voto di domenica e lunedì in Liguria, crocevia importante per il centrodestra, che vuole confermare una Regione dove governa dal 2015, e per il centrosinistra, presentatosi unito con la formula del campo largo, eccetto per Italia Viva rimasta fuori dopo i dissidi tra Conte e Renzi. Sono tanti gli spunti d’interesse: dalle strategie diverse (anzi, opposte) prese dalle coalizioni nella scelta del loro candidato presidente, alla storia politica della Liguria, terra di conquiste bipartisan come poche altre nella Seconda Repubblica, fino alle possibili ripercussioni del voto a medio termine, in vista delle prossime tornate in Emilia-Romagna e Umbria.   Un’elezione bipolare? L’offerta politica e la legge elettorale Il sindaco di Genova Marco Bucci e l’ex ministro Andrea Orlando, stando agli ultimi sondaggi, vengono dati entrambi al 47%. Un acceso testa a testa. Eppure alla presidenza concorrono altri 7 candidati, tra cui diversi stimati allo 0,5%, con l’ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra intorno al 2,5%. Questi dati, se ribaditi dalle urne, confermerebbero la bipolarizzazione in corso nel sistema politico italiano: un fenomeno già evidenziato alle europee di giugno e, pochi mesi prima, alle regionali di Sardegna e Abruzzo. È un banco di prova rilevante in particolar modo per il centrosinistra: quanto può diventare competitivo con l’alleanza Pd-M5s? Alle precedenti regionali del settembre 2020 i due partiti si presentarono insieme a sostegno del giornalista Ferruccio Sansa, che perse però di 17 punti contro Giovanni Toti (56,1 contro 38,9%). Va ricordato che in quella tornata di regionali, svoltasi pochi mesi dopo lo scoppio del Covid, tutti i governatori uscenti candidati erano stati riconfermati (oltre Toti in Liguria, Zaia in Veneto, De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia). Stavolta il contesto è diverso. Quel che non è cambiato rispetto a quattro anni fa è che nessuna lista fuori dai due poli principali entrerebbe in consiglio regionale. La legge elettorale ligure prevede che 24 seggi su 30 siano ripartiti con metodo proporzionale tra le liste che abbiano superato il 3%, tranne se collegate ad un presidente con almeno il 5%. I restanti 6 seggi formano invece un premio di maggioranza ad assegnazione variabile per la coalizione del governatore vincente, garantendole però non più di 19 seggi in consiglio regionale.  
    Com’è divisa la Liguria? L’analisi territoriale Durante la Seconda Repubblica la Liguria spicca come una delle Regioni elettoralmente più contendibili e meno blindate, sulla falsariga dell’Abruzzo. Ciò non significa che manchino delle specificità territoriali. Storicamente, una chiara linea di demarcazione divide le province di Ponente, Imperia e Savona, e quelle di Levante, Genova e La Spezia. Le prime, in passato, erano caratterizzate da un’impronta democristiana, poi diventata di centrodestra. È evidente, in particolare, a Imperia, provincia dove la coalizione oggi al governo è sempre stata dal 2001 la più votata alle elezioni politiche, registrando scarti notevoli sul centrosinistra persino in contesti bipolari fortemente competitivi come nella sfida Berlusconi-Prodi del 2006 (+23,1%). Il comune di Imperia, non a caso, è il feudo elettorale dell’ex ministro berlusconiano Claudio Scajola, sindaco della città dal 2018 dopo esserlo stato già una prima volta negli anni Ottanta ed una seconda negli anni Novanta. Le province a est invece mostrano un orientamento più favorevole al centrosinistra: oltre al Pd, anche il Movimento Cinque Stelle ottiene qui solitamente i suoi risultati migliori, come successo alle politiche del 2018 e del 2022. Un ruolo importante, vista la dimensione demografica, lo ricopre la provincia di Genova, da dove arriva ben oltre la metà di tutti i votanti della Regione (circa il 55%). Vien da chiedersi cosa accadrà nella città, che è amministrata dal candidato di centrodestra Marco Bucci ma alle ultime europee ha visto i partiti del campo largo schierati ora con Orlando sfiorare il 60%.  
    Bucci vs Orlando: due diverse scelte strategiche I due principali candidati riflettono strategie molto diverse. Andrea Orlando, tre volte ministro, è un uomo fortemente di partito: guida una delle componenti del Partito Democratico, e aveva anche provato a diventare segretario nel 2017, perdendo contro Renzi. Il tema che si pone è se, oltre ai dem, gli altri partiti della coalizione lo sosterranno con la stessa forza, in primis il Movimento Cinque Stelle. La Liguria non è soltanto la terra del fondatore Beppe Grillo, ma l’unica regione del Nord Italia in cui alle ultime europee i pentastellati hanno oltrepassato il 10%. L’apporto del partito di Conte è quindi importante  e non va sottovalutato, nonostante una tradizione elettorale negativa nelle tornate locali.  Il ragionamento, al contrario, fatto dal centrodestra è stato di puntare su un federatore esterno ai grandi partiti: Marco Bucci, che forse potrebbe  rivelarsi, grazie a questo profilo, più attrattivo verso elettori indecisi e di orientamento moderato. Bucci, in passato, è stato sostenuto in giunta da liste centriste come Azione. I flussi elettorali ci diranno cosa accadrà, ora che Calenda sostiene Orlando.  Se il centrodestra vincesse, verrebbe depotenziato il valore nazionale dei successivi appuntamenti elettorali dell’autunno. L’Emilia-Romagna, per Meloni & Co., resta infatti un fortino difficilmente espugnabile, mentre l’Umbria da sola non stravolgerebbe granché. Se vincesse invece Orlando, la formula politica del campo largo, ancora lontana dall’essere praticata con continuità, verrebbe rilanciata, dando la “volata” alle altre due elezioni e aumentando le fibrillazioni politiche quando il dibattito sarà incentrato sulla legge di Bilancio. Nel tempo che rimane di questa legislatura il centrosinistra è chiamato a costruire un’offerta politica che lo renda competitivo alle prossime elezioni nazionali, di “farsi polo” come è riuscito al centrodestra negli ultimi anni, nonostante i cambiamenti nella leadership. È  prioritario evitare di ripetere gli errori del 2022, quando a prevalere fu proprio un Polo solo [Chiaramonte, De Sio 2024], quello di Meloni, Salvini e Berlusconi. Ancora una volta, quindi, una prova elettorale regionale ha importanti implicazioni nazionali.

Ricerca

  • Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020)

    To cite the article: Emanuele, Vincenzo, and Federico Trastulli. 2024. “Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020).” Perspectives on Politics: 1–20. doi: 10.1017/S1537592724000628. The article is open access and can be accessed here. Abstract Despite considerable attention in the literature, existing studies analyzing the effect of left governmental power on inequalities suffer from three main limitations: a privileged focus on economic forms of inequality at the expense of political and social ones, inaccurate measurements of left governmental power, and the analyses’ narrow time spans. This article addresses such concerns through a comparative longitudinal analysis where the impact of left governmental power on different measures of political, social, and economic inequalities is investigated in 20 Western European countries across the last 150 years. Data show that, consistent with previous literature, the Left in government has significantly reduced most forms of inequalities. However, the equalizing effect of the Left in government has decreased over time and has become not significant since the 1980s. The Left is today incapable of accomplishing its historical mission of reducing inequalities. The article discusses the rationale and implications of these findings.
  • The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation

    To cite the article:

    Crulli, M., & Albertazzi, D. (2024). The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation. West European Politics, 1–30. https://doi.org/10.1080/01402382.2024.2359841

    The article is open access and can be accessed here.

    Abstract

    The aim of this article is twofold. Firstly, it offers a new definition of ‘mainstream’. Moving beyond understandings of the concept that focus exclusively on parties’ alternation in power, or their ideology/message, the article’s conceptualisation considers both supply and demand sides of politics. Hence, an attitudinal component to functional definitions is added. This implies that, to be called ‘mainstream’, certain attitudes must be shared by a majority of the public, and there must be no significant differences in their endorsement across political groups. Secondly, consideration is given to whether liberal-, social-democratic, and populist radical right (PRR) parties and attitudes meet this new reconceptualisation. While liberal- and, to a lesser extent, social-democratic parties and attitudes are indeed shown to be ‘mainstream’, the PRR is found to fall outside of the proposed definition, despite being ‘established’ on the supply side. The article concludes by underlining its wider theoretical implications.

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

    A. Chiaramonte, L. De Sio (a cura di)

    Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022

    Bologna, Il Mulino, 2024 pp. 380

    ISBN 978-88-15-38818-6

    È disponibile in libreria "Un polo solo", l' ottavo volume della serie, dedicata alle elezioni politiche, iniziata dai ricercatori CISE a partire dall'elezione del 1994.

    Un approfondito studio delle elezioni politiche del settembre 2022, ricco di dati e analisi originali, di un gruppo di ricercatori riunito su iniziativa del Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE). Dopo un'introduzione sul contesto pre-elettorale - la costruzione dell'offerta politica; le domande espresse dall'opinione pubblica; lo sviluppo della campagna elettorale - segue una dettagliata analisi dei risultati, con focus sulla partecipazione al voto, sui flussi e sui temi decisivi, sul rapporto tra territorio e voto, sul partito vincitore - Fratelli d'Italia. Una serie di contributi inquadra l'elezione in una prospettiva di lungo termine, analizzando gli effetti del sistema elettorale, la selezione della classe parlamentare e l'evoluzione del sistema partitico italiano. È sulla scorta di questa grande messe di dati e di analisi che si costruisce un'interpretazione complessiva che vede il «cambiamento» ancora protagonista, ma anche il ritorno in primo piano di una caratteristica del vecchio bipolarismo, per cui a fare la differenza nella competizione elettorale è stata la capacità dei partiti di «farsi polo». Ma è un polo solo che ha risposto a questo appello, decidendo così il risultato.

    Indice

    Premessa

    I. Partiti, coalizioni e alleanze: il ritorno del primato dell’offerta, di Matteo Boldrini, Marco Improta e Aldo Paparo

    II. Al cuore della rappresentanza. I temi in discussione, tra domanda dell’elettorato e offerta dei partiti, di Lorenzo De Sio, Nicola Maggini ed Elisabetta Mannoni

    III. Divergenti ma non troppo? Le priorità dei cittadini e le strategie dei partiti durante la campagna elettorale, di Luca Carrieri e Cristian Vaccari

    IV. Cronaca di una morte annunciata. La partecipazione elettorale in Italia, 2022, di Davide Angelucci, Federico Trastulli e Dario Tuorto

    V. Un polo solo, al comando: i risultati elettorali e i flussi di voto, di Davide Angelucci, Lorenzo De Sio e Aldo Paparo

    VI. Territorio e voto in Italia alle elezioni politiche del 2022, di Matteo Cataldi, Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    VII. Fratelli d’Italia. Radici e dinamiche di un successo annunciato, di Davide Angelucci, Gianfranco Baldini e Sorina Soare

    VIII. Maggioritario di risulta. Gli effetti del nuovo sistema elettorale alla sua seconda prova, di Alessandro Chiaramonte, Roberto D’Alimonte e Aldo Paparo

    IX. La rivincita della politica? Il ceto parlamentare alla prova della riduzione dei seggi, di Bruno Marino, Filippo Tronconi e Luca Verzichelli

    X. Un sistema partitico deistituzionalizzato, di Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele e Elisa Volpi

    Conclusioni: un polo solo, e poi?, di Alessandro Chiaramonte e Lorenzo De Sio

    Riferimenti bibliografici

  • Open selection for a 2-year post-doc position at CISE on social media analysis (deadline Apr 10)

    The selection is still open (until Apr 10). The figure we are looking for (details in the call for applications-see PDF below) will deal with quantitative social media analysis, also through computational methods, so that familiarity with Python and/or R (possibly including API access) is an important plus.

    The call for applications is for a two-year post-doctoral position at Luiss Rome within the CISE-run, nationally funded (PRIN) POSTGEN project - Generational gap and post-ideological politics in Italy. The position also offers interesting teaching opportunities; moreover, due to the geographically distributed nature of the project (the Luiss unit, headed by PI Lorenzo De Sio, coordinates three more units in Milan, Bologna and Pavia), applications by non-resident young scholars will be also very seriously considered.

    The project is highly innovative on several aspects, from theoretical framework to data collection and analysis, combining qualitative ethnographic interviews, questionnaire-based surveys, and social media analysis using algorithms and GenAI (see description below, or directly https://postgen.org/ ).

    Position description (from the call)

    The selected postdoctoral researcher will be in charge for specific tasks related to the project work package dedicated to social media, in terms of both data collection and quantitative analysis.

    The ideal candidate has:

    • a background in empirical social research with a quantitative approach;
    • familiarity with manual and automated collection of social media data (including access to social media APIs);
    • familiarity with quantitative analysis of social media data, both with human coding and with algorithmic (supervised and unsupervised) approaches;
    • familiarity with common data analysis software/programming languages (Stata, R, Python);
    • some record of scientific publications;
    • some previous participation to international research projects.

    The selected researcher will actively cooperate with the project team, and will be offered the possibility of a fully-fledged research experience within the POSTGEN project, including full participation to research activities and to the dissemination of the project, ranging from participation to international conferences to significant opportunities for scientific publications on international journals.

    Useful links

    Call for applications
    (legal document in Italian; includes English position description at the end)

    Application form
    (deadline: 14.00 CEST of April 10, 2024)

    POSTGEN in a nutshell:

    Background

    Recent, disruptive political change in the Western world (Brexit; Trump; challenger parties across Europe; the birth in 2018 Italy of the first “populist” government in Western Europe) has deeply challenged theories of voting behavior and party competition, leading most scholars to broad explanations based on populism and irrational publics.

    Recent comparative research (see the ICCP project; see De Sio/Lachat 2020) has shown more specific mechanisms: challenger parties thrive on an ability to mobilize conflict by leveraging issue opportunities across ideological boundaries. This reveals a de-ideologized context, where voters, relying less on traditional ideological alignments, reward innovative post-ideological platforms.

    Still, ICCP research only scratched the surface of a possible de-ideologization process, lacking processual focus (and missed the impact of the Covid crisis, potentially leading to further change).

    The POSTGEN Project

    POSTGEN fills this gap by offering – on the Italian case, lying at the forefront of disruptive political change – an in-depth analysis of the mechanisms and dynamics of possible de-ideologization. It adopts a generation-aware perspective (needed for understanding change) with emphasis on younger generations, and with innovative focus on:

    • time: tracing the (memory and) dynamics of the formation of political attitudes (at the individual, generational, and collective level) and their impact on political behavior;
    • meanings associated to different political issues, and the (lack of) overarching ideological organization thereof;
    • non-political actors and influencers, and their increasing influence in an age of crisis of epistemic authorities.


Volumi di ricerca

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

  • The Deinstitutionalization of Western European Party Systems

  • Conflict Mobilisation or Problem-Solving? Issue Competition in Western Europe

  • “La politica cambia, i valori restano” ripubblicato in Open Access

  • Il voto del cambiamento: le elezioni politiche del 2018

  • Cleavages, Institutions and Competition

  • Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective

  • Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013

  • Competizione e spazio politico. Le elezioni si vincono davvero al centro?

  • La politica cambia, i valori restano? Una ricerca sulla cultura politica dei cittadini toscani


Dossier CISE

  • Online il Dossier CISE “Le elezioni amministrative del 2019”

  • The European Parliament Elections of 2019 – individual chapters in PDF

  • The European Parliament Elections of 2019 – the e-book

  • “Goodbye Zona Rossa”: Online il Dossier CISE sulle elezioni comunali 2018

  • Dossier CISE “Goodbye Zona Rossa”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • “Gli sfidanti al governo”: Online il Dossier CISE sulle elezioni del 4 marzo

  • Dossier CISE “Gli sfidanti al governo”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • The year of challengers? The CISE e-book on issues, public opinion, and elections in 2017

  • The year of challengers? Individual PDF chapters from the CISE e-book

  • “Dall’Europa alla Sicilia”: Online il Dossier CISE su elezioni e opinione pubblica nel 2017