Autore: Alessandro Chiaramonte

  • Radical-Right Surge in a Deinstitutionalised Party System: The 2022 Italian General Election

    Radical-Right Surge in a Deinstitutionalised Party System: The 2022 Italian General Election

    Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele, Nicola Maggini & Aldo Paparo (2023). Radical-Right Surge in a Deinstitutionalised Party System: The 2022 Italian General Election. South European Society and Politics

    The 2022 Italian general election marked a new step in the unprecedented instability experienced by the Italian party system over the past 15 years. This article presents and discusses the outcome of the election within the deinstitutionalised Italian party system. The most remarkable results were the unprecedented success of the radical-right FDI (Fratelli d’Italia – Brothers of Italy) led by Giorgia Meloni (who would become the first female prime minister in Italy) and a historic drop in voter turnout. In particular, by employing original individual-level survey data, we investigate the impact of territory on the vote, the individual-level dynamics behind the results, and the overall picture emerging in terms of the Italian party system.

  • Salvini’s success and the collapse of the Five-star Movement: The European elections of 2019

    Salvini’s success and the collapse of the Five-star Movement: The European elections of 2019

    Chiaramonte, A., De Sio, L. and Emanuele, V. (2020), ‘Salvini’s success and the collapse of the Five-star Movement: The European elections of 2019′, Contemporary Italian Politics, DOI:10.1080/23248823.2020.1743475.

    The European Parliament elections of 2019 in Italy can be considered as a crucial turning point for the national political system. Indeed, both the balance of power among parties and the governmental dynamics were deeply affected by the outcome of the 2019 elections. In a context of notable electoral instability, an almost perfect turnaround among the two partners of the so-called yellow-green majority occurred: Matteo Salvini’s League doubled its vote share compared to the 2018 parliamentary elections, while the Five-star Movement halved its support. By revealing the asymmetry in the distribution of power in Parliament and in the electorate between the two governing partners, the election outcome marked the beginning of the end for the first Conte government. It eventually led to the unexpected reconciliation between the M5s and the Democratic Party, which in turn resulted in the formation of the second Conte government at the end of the summer. This article analyses the outcome of the European Parliament elections of 2019 in Italy. In particular, it focuses on the context of the electoral campaign and trends in public opinion, the election results in terms of turnout and party support, and the vote shifts experienced by the main parties between 2018 and 2019. Finally, the article also discusses the implications of the election outcome for the evolution of the Italian party system

    KEYWORDS: 2019 European elections, Italy, League, Five-star Movement, vote shifts, Conte government

  • Populist Success in a Hung Parliament: The 2018 General Election in Italy

    Populist Success in a Hung Parliament: The 2018 General Election in Italy

    Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele, Nicola Maggini, Aldo Paparo, Populist Success in a Hung Parliament: The 2018 General Election in Italy, South European Society and Politics, DOI:10.1080/13608746.2018.1506513.

    The 2018 Italian general elections were a crucial test to assess the resilience of mainstream parties vis-à-vis the challenge provided by populist forces and the stabilisation of the tripolar party system emerged in 2013. The article analyses the outcome of the election, whose most remarkable result was the unprecedented success of two populist parties, the M5S and the Lega, by focusing on key aspects such as the new electoral system, the coalition-building process, the electoral campaign, the evolution of the Italian party system, and the analysis of vote shifts between parties.

  • L’onda sismica non si arresta. Il mutamento del sistema partitico italiano dopo le elezioni 2018

    L’onda sismica non si arresta. Il mutamento del sistema partitico italiano dopo le elezioni 2018

    Reduce dal ‘terremoto elettorale’ del 2013 (Chiaramonte e De Sio 2014), il sistema partitico italiano, lungi dall’assestarsi, ha subito un’ulteriore violenta scossa nelle elezioni del 2018. Più violenta di quanto fosse nelle attese della vigilia, che vedevano il consolidamento delle coalizioni di centro-destra e di centro-sinistra e del Movimento 5 Stelle (M5S) quali principali soggetti politici in competizione.

    In effetti, dal punto di vista complessivo del formato e della meccanica, il sistema partitico risultante dalle elezioni del 2018 presenta una configurazione tendenzialmente tripolare così come era stato nelle elezioni del 2013. Oltretutto, come detto, i perni del sistema sono gli stessi di cinque anni fa: centro-destra, centro-sinistra e M5S. Nel 2013 vi era anche la presenza della coalizione centrista facente capo a Monti, ma il risultato fu modesto (intorno al 10%) ed essa si dissolse ben presto. Parimenti, la corsa solitaria di Liberi e Uguali (LeU) nel 2018 non ha creato le premesse per un polo alternativo di sinistra.

    A dispetto della riconferma di un assetto tripolare – comunque di per sé non scontata a distanza di cinque anni, tenuto conto che il risultato del 2013 avrebbe potuto costituire una deviazione contingente e temporanea dal bipolarismo che si era affermato fino ad allora – il sistema partitico si caratterizza ancora una volta per alcune importanti trasformazioni.

    Innanzi tutto, sono significativamente mutati i rapporti di forza tra i partiti e tra i poli. Per quanto riguarda i partiti, la instabilità dei relativi rapporti di forza emerge chiaramente dal valore della volatilità totale, un indice che misura il cambiamento aggregato netto di voti tra due elezioni successive sommando le differenze nelle percentuali di voti ottenute dai partiti in ciascuna di esse (Pedersen 1979). Nel 2018 la volatilità totale si attesta a 26,7. Sebbene in diminuzione di dieci punti rispetto al 2013, si tratta del terzo valore più alto nella storia repubblicana, dopo quelli del 1994 (39,3) e, appunto, del 2013 (36,7) (Figura 1).

    Figura 1 – Indice di volatilità, Camera (1948-2018)

    volatilità italia

    Differentemente dalle elezioni del 1994 e del 2013, però, l’alta volatilità del 2018 si è prodotta in assenza (o quasi) di ‘innovazione’ (Emanuele e Chiaramonte 2016). Come si può vedere infatti dalla Figura 2, in cui sono mostrate le percentuali di voto ottenute dai partiti autenticamente nuovi per ogni elezione dal 1953 ad oggi (ossia in discontinuità organizzativa con i pre-esistenti), nel 2018 nessun nuovo soggetto politico di rilievo ha fatto irruzione sulla scena elettorale come invece era stato con Forza Italia nel 1994 e con il M5S nel 2018. Dunque, la grande volatilità che si è manifestata in queste ultime elezioni è stata generata da spostamenti di voto tra partiti già esistenti che hanno profondamente alterato i rispettivi rapporti di forza.

    Figura 2 – Innovazione del sistema partitico, Camera (1948-2018)

    innovazione italia

    La volatilità prodottasi nel voto ai partiti ha determinato un notevole mutamento dei rapporti di forza anche a livello di poli elettorali. Dal 2013 al 2018 il centro-sinistra è passato da primo a terzo, il M5S da terzo a secondo, il centro-destra da secondo a primo. Oltretutto, il sensibile arretramento del centro-sinistra e l’altrettanto sensibile crescita del centro-destra e del M5S hanno reso il sistema partitico, seppur tripolare, per così dire più bipolare di quanto non fosse nel 2013. Lo si può osservare nella   Figura 3, che riporta i valori dell’indice di bipolarismo – vale a dire la somma delle percentuali di voto (e di seggi) ottenute dalle due coalizioni principali – a partire dal 1994. Dopo aver toccato il livello più basso proprio nel 2013 (58,7% e 75% rispettivamente nelle arene elettorale e parlamentare), il valore dell’indice di bipolarismo risale nel 2018 (soprattutto a livello elettorale, dove raggiunge il 70%, e comunque anche a livello parlamentare, passando al 79%). In altri termini, il terzo polo del 2018 – il centro-sinistra – è più debole del terzo polo del 2013 – il M5S – mentre i due poli principali di oggi – centro-destra e M5S – sono più forti di quelli – centro-sinistra e centro-destra – di cinque anni fa.

     

    Figura 3 – Indice di bipolarismo, Camera (1994-2018)

    bipolarismo italia

    Non subisce invece grandi scossoni la frammentazione partitica, qui misurata attraverso l’indice di Laakso e Taagepera (1979). Il numero effettivo di partiti presenti nell’arena elettorale cresce rispetto al 2013, passando da 3,5 a 4,3, ma in quella parlamentare diminuisce da 5,3 a 5,1 (Figura 4). Rimane dunque distante l’epoca dell’elevatissima frammentazione – quella degli anni ’90 – ma altrettanto quella dell’illusione bipartitica, invero limitata alle sole elezioni del 2008.

    Figura 4 – Numero effettivo di partiti, Camera (1948-2018)

    frammentazione italia

    Fin qui, la prospettiva di analisi adottata è stata quella nazionale. Si tratta ora di capire se e quanto la struttura del sistema partitico sia cambiata fra il 2013 e il 2018 scendendo nel dettaglio della competizione sul territorio.

    Anche da quest’ultimo punto di vista non occorre molto per capire che i cambiamenti sono stati rilevanti. La geografia elettorale è uscita rivoluzionata dalle elezioni del 2018, come già lo era stata alle elezioni del 2013 (con l’avvento del M5S e la sua straordinaria omogeneità territoriale) e delle europee del 2014 (quando lo stivale si era tinto di rosso, con il PD capace di vincere in 106 province su 110). Nel 2018 tutto appare nuovamente mutato: nel Nord domina il centrodestra, nel Sud il M5S è il partito predominante con oltre il 43% dei voti; infine la Zona rossa, un tempo feudo inespugnabile della sinistra, risulta l’area a più alta competitività del paese (nonché l’unica). La velocità e l’intensità dei cambiamenti testimoniano come ormai l’imprevedibilità sia il tratto distintivo delle interazioni tra partiti ed elettori. Tale imprevedibilità travolge anche quelli che una volta erano considerati elementi consolidati apparentemente immutabili del sistema, come ad esempio il predominio della sinistra nella Zona rossa, o la tradizione ‘moderata e filogovernativa’ (Nuvoli 1989; Raniolo 2010) del Sud.

    A livello aggregato possiamo misurare quanto è nazionalizzato il sistema partitico con un indice, lo standardized Party System Nationalization Score (sPSNS) sviluppato da Bochsler (2010). Esso è costruito a partire dall’indice di Gini e tiene conto sia del numero che della dimensione – in termini di elettori – delle unità territoriali in cui è disaggregato il voto, oltre che della grandezza relativa dei partiti. Esso varia tra 0 e 1 e a valori alti dell’indice corrisponde un’alta omogeneità territoriale del voto. Lo sPSNS ci restituisce quindi una misura aggregata relativa all’omogeneità territoriale del consenso raccolto dai partiti del sistema. La nazionalizzazione del voto deriva da un processo storico di lungo periodo (Caramani 2004; Emanuele 2018c), è una delle dimensioni fondamentali di analisi del sistema partitico ed è legata al concetto di istituzionalizzazione o strutturazione del sistema (Sani 1992; Chiaramonte e Emanuele 2014; Lupu 2015; Emanuele 2018c). La capacità dei partiti di rappresentare gli interessi e le preferenze degli elettori su scala nazionale è infatti una delle precondizioni per lo sviluppo di un sistema partitico caratterizzato da interazioni prevedibili e stabili nel tempo. Curiosamente, nel 2013 i due fenomeni si mossero in direzioni opposte: ad una marcata de-istituzionalizzazione del sistema (Chiaramonte e Emanuele 2017; 2018) – dovuta alla vertiginosa crescita della volatilità e l’emergere di nuovi partiti rilevanti – si associò un aumento del livello di nazionalizzazione del voto, essenzialmente dovuto alla straordinaria omogeneità territoriale del M5S (Chiaramonte e Emanuele 2014; Emanuele 2015). In un’ottica di lungo periodo (Figura 5), nel 2013 lo sPSNS faceva segnare un livello comparabile a quello della Prima Repubblica, molto lontano dalla de-nazionalizzazione degli anni della transizione fra Prima e Seconda Repubblica (1992-1996). Nel 2018 assistiamo ad una marcata diminuzione del valore dell’indice (da 0.862 a 0.822), che scende al livello più basso dal 1996 e al quarto valore più basso dal 1948. Si nota una territorializzazione di tutti i principali partiti italiani: Forza Italia passa dallo 0.897 del 2013 (allora Pdl) a 0.868, il Pd da 0.890 a 0.860, mentre il M5S passa da 0.912 a 0.837. Il partito di Grillo era il più ‘nazionalizzato’ della storia d’Italia Repubblicana insieme alla Democrazia Cristiana degli anni ‘50-’70. Il partito di Di Maio perde la trasversalità territoriale, si meridionalizza risultando così il partito con il consenso più disomogeneo fra le principali forze politiche italiane. In un’ottica diacronica, non è mai esistito in Italia un partito con più del 20% dei consensi e una così marcata territorializzazione del consenso.

    Figura 5 – Nazionalizzazione del sistema partitico, Camera (1948-2018)

    nazionalizzazione italia

    Per comprendere meglio come si è strutturata la competizione a livello territoriale, ci avvaliamo di uno strumento, noto co­me triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una se­rie di informazioni riguardanti il grado di bipolarismo (ossia di concentrazione percentuale di voti sui primi due candidati) e di competitività (ossia di scarto percentuale di voti tra i primi due candidati) nei 232 collegi uninominali della Camera (Figg. 6, 7 e 8). Si tratta di un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ognuno dei quali rappresenta un collegio – è deter­minata da due coordinate: la percen­tuale di voti conseguita dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la per­centua­le di voti conseguita dal can­didato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (i collegi) finiscono per collocarsi per l’appunto all’interno di un triangolo isoscele, i due lati uguali del quale hanno le seguenti pro­prietà:

    – il lato di sinistra è caratterizzato dall’uguaglianza di voti dei due candidati più forti. Tutti i collegi che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad uno scarto di voti tra 0 e 10%) sono collegi competitivi. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a sinistra, si tratta di collegi caratterizzati da una competizione multipolare, in cui cioè ‘terze forze’ ricevono percentuali di voto ‘rilevanti’.

    – il lato di destra caratterizza invece i collegi dove sono presenti solo due candidati. Tutti i collegi che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati maggiori compresa tra 90 e 100%) sono collegi bipolari. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a destra, si tratta di collegi non competitivi, in cui cioè la differenza percentuale di voto tra i due candidati più forti è ‘rilevante’.

    Oltre a ciò, vale la pena sottolineare che: 1) il rombo al vertice superiore del triangolo, racchiude i comuni che sono allo stesso tempo bipolari e competitivi; 2) l’area non compresa all’interno delle fasce laterali definisce un ampio spettro di situazioni caratterizzate comunque da un certo grado di multipolarismo e di non competitività.

    Figura 6-7-8 – Il triangolo di Nagayama applicato alla competizione nei 232 collegi uninominali suddivisi tra Nord, Zona rossa e Sud (Camera 2018)

    nagayama 2018 nord

    nagayama 2018 zr

    nagayama 2018 sud

    Il Nord appare come una zona multipolare e non competitiva. Infatti nella Figura 6 la maggioranza dei collegi cade nell’area centrale del triangolo isoscele, quella non compresa all’interno delle fasce laterali. I collegi competitivi, ossia quelli con meno di 10 punti di scarto fra primo e secondo classificato, sono appena 22 su 91. Si trovano racchiusi nella fascia sinistra della figura. Il collegio di Aosta si trova nettamente staccato dagli altri, in basso a sinistra, indicando competizione unita ad estrema multipolarità (i primi due candidati totalizzano appena il 45.8%). Si tratta inoltre dell’unica sfida fra M5S e centrosinistra di tutto il Nord. Per il resto la competizione vede sempre il centrodestra protagonista, in 50 collegi contro il M5S (12 competitivi) e in 40 contro il centrosinistra (9 competitivi).

    Nel Sud la competitività è maggiore, dal momento che riguarda 40 collegi su 101. Qui la competizione è tutta fra M5S e centrodestra: in 96 collegi su 101 (37 competitivi) si ripropone questa sfida, mentre il centrosinistra compare fra i primi due classificati del collegio solo in 5 occasioni (3 volte in collegi competitivi). Peraltro in 4 di questi 5 collegi la sfida è fra centrosinistra e centrodestra, rafforzando così l’idea che oggi la sinistra soprattutto al Sud può essere competitiva solo in alternativa al M5S come competitor del centrodestra, l’unico blocco ad essere primo o secondo in ben 100 collegi su 101. Rispetto al Nord, inoltre, i collegi non competitivi si collocano più in alto nella figura, ossia più vicini al rombo posto nel vertice superiore del triangolo e indicante situazioni di bipolarismo competitivo. Questo elemento sta ad indicare una più marcata tendenza al bipolarismo nel Sud, dovuta alla debolezza del centrosinistra: in ben 29 collegi la somma delle percentuali fra i primi due classificati (sempre M5S e centrodestra) supera l’80% dei voti. Insomma, in questa parte del paese, al centrosinistra restano le briciole.

    Infine, sorprendentemente, la Zona rossa, dove per la prima volta dal dopoguerra il centrosinistra perde lo scettro di coalizione più votata, diventa l’area più competitiva del paese. Qui ben 31 collegi su 40 sono competitivi. Il centrosinistra, poi, in ben 14 collegi su 40 (9 competitivi) è addirittura terzo e la partita si gioca tra quelli che una volta erano gli outsider, il centrodestra e il M5S. La classica sfida fra le due coalizioni che hanno dominato la Seconda Repubblica si ripropone in 24 occasioni (19 volte in collegi competitivi), mentre anche qui la sfida tra centrosinistra e cinque stelle è residuale (2 collegi).

    Complessivamente, l’Italia presenta una dinamica tripolare e parzialmente competitiva, con 93 collegi in cui i primi due classificati sono arrivati a meno di 10 punti percentuali di distanza. Nel restante 60% dei collegi, però, un blocco domina sugli altri due, con il centrodestra predominante nel Nord e il M5S nel Sud. Due opposizioni che hanno sfidato (e sconfitto), per dirla in termini rokkaniani, il ‘centro’ del sistema’ rappresentato dal centrosinistra governativo e filoeuropeo. Due opposizioni che raccolgono il consenso di due diverse ‘periferie’ in cerca di protezione: il Sud che vota M5S chiede protezione economica, mentre il Nord che vota Lega chiede protezione culturale. Due diversi sfidanti che politicizzano, con modalità diverse, lo stesso lato del cleavage integrazione-demarcazione (Kriesi et al. 2012) che ormai struttura la competizione politica anche in Italia, come in altri paesi (Emanuele 2018a; 2018b). Dall’altro lato, il centrosinistra a guida Partito Democratico rappresenterebbe (forse senza essersene reso conto fino in fondo) sempre meno la sinistra di un conflitto sinistra-destra ormai in declino e sempre più l’asse ‘integrazionista’, ossia il lato del nuovo cleavage che si batte in favore dell’Europa, dell’accoglienza e dell’integrazione degli immigrati, della globalizzazione e della ‘società aperta’. Non è un caso che la coalizione guidata da Renzi risulti vincente, con poche eccezioni, solo nei ‘centri’, ossia nei quartieri borghesi delle grandi città del paese e non è un caso che il voto al PD risulti associato positivamente alla classe sociale medio-alta, come dimostra il recente articolo di Lorenzo De Sio. Come già dimostrato in occasione delle elezioni francesi (Emanuele 2018a), la nuova frattura individuata da Kriesi è sì una frattura ‘funzionale’, che cioè divide l’elettorato e lo spazio politico sulla base di specifici interessi, ma è anche indissolubilmente legata ad una dimensione territoriale. Le vecchie fratture territoriali centro-periferia e città-campagna (Lipset e Rokkan 1967) appaiono ormai collassate in un’unica dimensione di conflitto che oppone le ‘Periferie’ in senso ampio (il Sud nel suo complesso; le aree provinciali del centro-nord; le periferie delle grandi città) al ‘Centro’, inteso come luogo simbolico che racchiude quelli che una volta Lipset e Rokkan avrebbero definito i ‘centre-builders’ ossia i costruttori della nazione, in altri termini, l’élite dominante: oggi, come allora, un’ élite liberale, urbana e laica. Un centro che è quindi luogo simbolico, ma anche fisico, corrispondente appunto alle aree residenziali e borghesi delle grandi città del Centro-Nord del paese: da Roma a Milano, da Bologna a Torino.

     

    Riferimenti bibliografici

    Bochsler, D. (2010) ‘Measuring party nationalisation: A new Gini-based indicator that corrects for the number of units’, Electoral Studies, 29: 155–68.

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    ​Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2017), ‘Party System Volatility, Regeneration and De-Institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Party Politics, 23(4), pp. 376-388.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2018), ‘Towards turbulent times: measuring and explaining party system (de-)institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Italian Political Science Review, https://doi.org/10.1017/ipo.2017.27.

    Emanuele, V. (2015), ‘Vote (de)-nationalisation and party system change in Italy (1948-2013)’, Contemporary Italian Politics, 7(3), pp. 251-272.

    Emanuele, V. (2018a), ‘The hidden cleavage of the French election: Macron, Le Pen and the urban-rural conflict’, in De Sio, L. e Paparo, A. (a cura di), The year of challengers? Issues, public opinion, and elections in Western Europe in 2017, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 91-95.

    Emanuele, V. (2018b), ‘UK voters support leftist goals, but economic left-right is not the main dimension of competition’, in De Sio, L. e Paparo, A. (a cura di), The year of challengers? Issues, public opinion, and elections in Western Europe in 2017, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 127-131.

    Emanuele, V. (2018c), Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015), London: Rowman and Littlefield/ECPR Press.

    Emanuele, V. e Chiaramonte, A. (2016), ‘A growing impact of new parties: myth or reality? Party system innovation in Western Europe after 1945’, Party Politics, Online First, DOI:10.1177/1354068816678887.

    Kriesi, H., Grande, E., Dolezal, M., Helbling, M., Höglinger, D., Hutter, S. e Wüest, B. (2012), Political Conflict in Western Europe, Cambridge: Cambridge University Press.

    Laakso, M. e Taagepera, R. (1979), ‘The effective number of parties: a measure with application to West Europe’, Comparative Political Studies, 12, pp. 3–27.

    Lipset, S. M. e Rokkan, S. (1967) ‘Cleavage structures, party systems and voter alignments: An introduction’ in S. M. Lipset e S. Rokkan (a cura di) Party Systems and Voter Alignments: Cross-national Perspectives, New York: The Free Press, pp. 1–64.

    Lupu (2015) ‘Nacionalizacion e institucionalizacion de partidos en la Argentina del siglo XX’ in M. Torcal (ed.) Institucionalizacion de los Sistemas de Partidos en America Latina: Causas y Consecuencias, Buenos Aires : Anthropos/Siglo XXI.

    Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scien­za politica, 4-6 settembre.

    Nuvoli P. (1989), ‘Il dualismo elettorale Nord-Sud in Italia: persistenza o progressiva riduzione?’, Quaderni dell’osservatorio elettorale, 23, pp. 65-110.

    Pedersen, M.N. (1979), ‘The dynamics of European party systems: changing patterns of electoral volatility’, European Journal of Political Research, 7, pp. 1-26.

    Raniolo, F. (2010), ‘Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008’, in R. D’Alimonte e A. Chiaramonte (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino, pp. 129-171.

    Sani, G. (1992), ‘1992: La Destrutturazione Del Mercato Elettorale’, Rivista Italiana di Scienza Politica, 22, pp. 237–286

  • L’illusione bipolare: il sistema partitico nelle città al voto nel 2017

    L’illusione bipolare: il sistema partitico nelle città al voto nel 2017

    I risultati delle elezioni comunali di domenica 11 giugno impongono una seria riflessione sul sistema partitico italiano e la sua evoluzione. E’ senz’altro vero che trarre indicazione nazionali a partire da un quadro di competizioni locali è sempre difficile. Eppure alcuni indicatori e il confronto con il passato possono aiutarci ad evidenziare alcune tendenze.

    Bipolarismo e frammentazione

    Bisogna innanzitutto partire dalla struttura della competizione. La Tabella 1 presenta, per i 25 comuni capoluogo al voto, i valori dell’indice di bipolarismo (la somma delle % di voto dei due candidati più forti al primo turno), di bipartitismo (la somma delle % di voto delle due liste più forti), il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti e, per ognuno di questi indicatori, il relativo confronto con le precedenti elezioni comunali.

    Tab. 1 – Bipolarismo, bipartitismo, numero di liste sopra l’1% e confronto con le precedenti comunali

    comunali 2017 sistema partitico

    Dunque, nel 2017 l’indice di bipolarismo si è attestato in media al 67,4% nell’insieme dei 24 comuni capoluogo chiamati alle urne. Non vi sono rilevanti differenze tra le tre macro-aree (Nord, Zona rossa, Sud), ma ve ne sono invece tra i singoli comuni. Si sono avuti cioè contesti profondamente diversificati delle singole competizioni locali, che, ad esempio, hanno prodotto un quasi perfetto bipolarismo a Rieti (89,1%) e, all’opposto, una estrema frammentazione multipolare a Taranto (40%).

    Il confronto con le precedenti elezioni amministrative negli stessi 24 comuni ci dice poi che l’indice di bipolarismo è nel complesso lievemente aumentato (+1,6). Ciò è vero soprattutto al Sud (+5,4), molto meno al Nord (+0,3), mentre nella Zona rossa si è avuta addirittura una diminuzione (-1,9). Ad ogni modo, i dati non consentono di corroborare l’interpretazione di un ritorno ad una configurazione bipolare della competizione politico-elettorale. Già il dato medio del 67,4 ne è una prova in sé. La differenza di + 1,6 con le precedenti elezioni negli stessi comuni ci dice poi che siamo sostanzialmente sugli stessi livelli del periodo (2012-13) in cui era emersa la progressiva crisi del modello bipolare di competizione che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica (Emanuele 2012; 2013); una crisi che ha toccato tutti i livelli di governo, culminando nel terremoto elettorale delle politiche 2013, quando l’indice scese al suo minimo storico nazionale (59,7%) (Chiaramonte e Emanuele 2014). La battuta d’arresto del Movimento 5 stelle non deve dunque trarre in inganno: è indiscutibile che in questa tornata di elezioni amministrative questo polo del sistema partitico abbia subito un ridimensionamento – soprattutto rispetto alla tornata immediatamente precedente e alla percentuale di voti “nazionale” che gli attribuiscono i sondaggi – ma è altrettanto indiscutibile che non ne sia derivata una drastica semplificazione del quadro competitivo, men che mai verso una chiara e significativa ristrutturazione bipolare[1]. In altri termini, se da un lato la diminuzione dei consensi al M5s ha favorito relativamente i candidati sindaci di centro-sinistra e centro-destra – che infatti sono spesso avanzati al turno di ballottaggio – dall’altro il panorama competitivo si è comunque rivelato variegato, caratterizzato cioè dalla presenza di candidati alternativi (soprattutto civici, ma non solo) a quelli dei due maggiori schieramenti. Dunque, il ritorno ad un assetto solidamente bipolare rimane al momento un’illusione.

    D’altro canto, la frammentazione partitica – che va poi a riverberarsi nei consigli comunali – si conferma una presenza costante delle elezioni amministrative. L’indice di bipartitismo, che calcola la somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi, si è attestato al 31,6%, in significativa ulteriore diminuzione rispetto alle elezioni precedenti negli stessi comuni (-3,8). Considerato che nella tornata delle elezioni amministrative del 2016 il valore dell’indice era stato in media del 36,3%, siamo di fronte ad un trend in chiaro aumento della frammentazione partitica, che raggiunge livelli estremamente elevati. La concorrenza delle liste civiche e localistiche, oltre a quelle personali, indebolisce significativamente i partiti nazionali, che in molti contesti faticano a raggiungere la doppia cifra, se non – addirittura – ad entrare in consiglio comunale.

    Come già in passato, è il Sud che spicca per la maggiore frammentazione: il livello di bipartitismo è di appena 25,4% e il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti è 19,3 (contro il comunque alto 16,8 della media nazionale). Si assiste peraltro ad un forte aumento della frammentazione nella Zona rossa, dove l’indice di bipartitismo registra il valore di 36,2% (ben -9 rispetto alle precedenti elezioni negli stessi comuni) e il numero di liste con più dell’1% dei voti cresce a 16 (+1,8). Nel Nord si registra invece una certa stabilità rispetto al passato, sempre però su livelli elevati di frammentazione. Si conferma, dunque, l’incapacità dei partiti nazionali di aggregare le preferenze degli elettori anche nei contesti locali, a riprova della de-strutturazione o de-istituzionalizzazione del sistema partitico in corso (Sani 1992; Chiaramonte e Emanuele 2015).

    Come cambia la struttura della competizione: il triangolo di Nagayama

    Per comprendere meglio come si è strutturata la competizione tra i candidati sindaci dei diversi partiti/schieramenti nelle città al voto in questa tornata di elezioni amministrative, ci avvaliamo qui di uno strumento, noto co­me triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una se­rie di informazioni riguardanti proprio il grado di bipolarismo (ossia di concentrazione percentuale di voti sui primi due candidati sindaco) e di competitività (ossia di scarto percentuale di voti tra i primi due candidati sindaco) nei comuni capoluogo (Figg. 1 e 2). Si tratta di un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ognuno dei quali rappresenta un comune – è deter­minata da due coordinate: la percen­tuale di voti conseguita dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la per­centua­le di voti conseguita dal can­didato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (i comuni) finiscono per collocarsi per l’appunto all’interno di un triangolo isoscele, i due lati uguali del quale hanno le seguenti pro­prietà:

    –         il lato di sinistra è caratterizzato dall’uguaglianza di voti dei due candidati più forti. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad uno scarto di voti tra 0 e 10%) sono comuni competitivi. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a sinistra, si tratta di comuni caratterizzati da una competizione multipolare, in cui cioè «terze forze» ricevono percentuali di voto «rilevanti».

    –         il lato di destra caratterizza invece i comuni dove sono presenti solo due candidati. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati maggiori compresa tra 90 e 100%) sono comuni bipolari. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a destra, si tratta di comuni non competitivi, in cui cioè la differenza percentuale di voto tra i due candidati più forti è «rilevante».

    Oltre a ciò, vale la pena sottolineare che: 1) il rombo al vertice superiore del triangolo, racchiude i comuni che sono allo stesso tempo bipolari e competitivi; 2) l’area non compresa all’interno delle fasce laterali definisce un ampio spettro di situazioni caratterizzate comunque da un certo grado di multipolarismo e di non competitività.

    Fig. 1 e 2 – Il triangolo di Nagayama applicato ai risultati delle elezioni del sindaco nei 24 comuni capoluogo, 2012-2014 (elezioni precedenti nelle stesse città) e 2017 (elezioni correnti nei 24 comuni capoluogo)

    nagayama 2017

    Possiamo adesso analizzare la dispersione dei pun­ti nel dia­gramma che consegue dall’applicazione dei risultati nei 24 comuni capoluogo, con riferimento sia alle elezioni del 2017 (Fig. 2) sia a quelle precedenti 2012-14 negli stessi contesti (Fig. 1). Le differenze che si registrano tra un’elezione e l’al­tra sono indicative delle trasformazioni che hanno avuto luogo nel­la struttura della competizione. In particolare, nel passaggio dalle elezioni del 2012-14 a quelle del 2017, si nota­ una riduzione della dispersione dei punti (comuni) nello spazio e un tendenziale spostamento verso sinistra, ossia verso l’area del multipolari­smo competitivo. Al contrario, si svuota l’area del bipolarismo competitivo di quel poco che c’era (Lecce e, non distante, Gorizia). Per il resto, registriamo come detto un aumento della competitività, ma all’interno di un quadro multipolare, in cui sono cioè più di due i contendenti «rilevanti». Non mancano però anche i comuni nei quali un polo/candidato sia dominante, ad esempio Cuneo e Frosinone.

    L’affollamento dei punti nella fascia del multipolarismo competitivo sta a significare che in molti comuni già dal primo turno c’è grande incertezza sul risultato finale. Spesso vanno al ballottaggio candidati che al primo turno hanno conseguito percentuali di voto limitate, il cui successo dipenderà in larga misura dalla loro capacità di attrarre gli elettori dei “terzi” candidati. In questa tornata di amministrative sappiamo che in molti casi il ballottaggio è tra i candidati di centro-destra e di centro-sinistra, ma la quota degli elettori che al primo turno non si è espressa per nessuno di loro è mediamente molto elevata e dunque il risultato finale in mano loro. La crescita della competitività segnala il declino delle aree-roccaforte, ma, come abbiamo visto, non si accompagna alla riaffermazione di un assetto bipolare. Ancora una volta emerge con chiarezza che, nonostante il M5s non ne sia più il catalizzatore esclusivo, vi è un’area ampia di elettori che non si riconosce né nel centro-destra né nel centro-sinistra, ma che non rinuncia a sostenere altri candidati. A livello locale l’era post-bipolare non è (ancora?) tramontata.

    Una tipologia dei ballottaggi

    In che modo la struttura della competizione analizzata finora può influenzare l’esito dei ballottaggi? Per capirlo prendiamo in considerazione due dimensioni. La prima è il distacco, in termini percentuali, tra primo e secondo candidato sindaco in ogni comune. Va da sé che la sfida del ballottaggio sarà quanto più aperta tanto minore è il distacco tra i due candidati che accedono al secondo turno. La seconda dimensione presa in esame attiene invece al potenziale di voti “disponibili” da conquistare al ballottaggio. Essa consiste nella percentuale dei voti raccolti dai candidati sindaco sconfitti al primo turno. Assumendo che la rimobilitazione di astenuti sia assente (è assai difficile che al ballottaggio l’affluenza cresca rispetto al primo turno), gli unici voti “sul mercato” sono quelli dei candidati già esclusi dalla competizione: maggiore è il numero di voti raccolti da questi candidati, più alte saranno le chances di rimonta per i candidati giunti secondi al primo turno e quindi tanto maggiore sarà lo spazio di competizione al ballottaggio. Incrociando le due dimensioni otteniamo uno diagramma che delinea quattro possibili situazioni, configurando così una vera e propria tipologia della competizione nei 20 capoluoghi al ballottaggio (vedi Figura 3).

    Fig. 3 – Tipologia della competizione nei 20 comuni capoluogo al ballottaggio

    comunali 2017 tipologia sfide

    Tanto più i punti della Figura 3 si avvicinano ai quattro angoli del grafico, tanto più i comuni possono essere accostati ad un ‘tipo’ di competizione ben delineato; tanto più, viceversa, i punti cadono vicino al centro del grafico, tanto più è difficile assegnarli ad uno dei quattro tipi.

    La parte alta della figura delinea situazioni in cui, sulla base dei voti espressi al primo turno, c’è un ampio distacco tra i due candidati al ballottaggio. In questi casi la rimonta è tanto più possibile quanto più è alta la percentuale di voti dei candidati esclusi. In altri termini, il candidato giunto secondo al primo turno ha ‘potenziale di rimonta’ se ha a disposizione un ampio bacino di voti in libertà fra i quali pescare. Altrimenti la partita tende ad essere chiusa. Date queste premesse, il contesto che più si avvicina all’idealtipo della ‘partita chiusa’ pare essere quello di Gorizia, dove il distacco percentuale tra primo e secondo candidato è sostanzialmente identico alla percentuale di voti rimasta sul mercato: ciò significa che per ribaltare l’esito del primo turno e conquistare la poltrona di primo cittadino, il candidato del centrosinistra Collini dovrebbe fare il pieno di voti in uscita dai candidati esclusi, oltre a dover rimobilitare tutti i propri. In misura minore, anche Belluno e Lecce appaiono vicini al polo della partita chiusa. Situazione invece leggermente diversa ad Asti, dove il centrodestra è avanti di oltre 30 punti sul Movimento Cinque Stelle. (valorhealthcare.com) Parrebbe la partita più chiusa fra i 22 comuni capoluogo al ballottaggio. Eppure, Asti figura più vicina al quadrante in alto a destra che a quello in alto a sinistra. In questo contesto, esiste infatti un ‘potenziale di rimonta’: il 37,1% dei voti sono infatti andati a candidati esclusi dal ballottaggio e potrebbero favorire la clamorosa rimonta di Cerruti (M5S) su Rasero (centrodestra). Trattandosi del M5S non sarebbe la prima volta, basti ricordare il caso di Ragusa di qualche anno fa. Questo ovviamente non significa che la rimonta avverrà, dal momento che altre variabili, prima fra tutte l’affluenza, entreranno nell’equazione.

    La parte bassa della figura, invece, designa situazioni competitive, in cui il distacco tra i due candidati è contenuto. Ciò che differenzia la parte sinistra dalla parte destra del diagramma è la strategia che i due candidati dovranno seguire per vincere. I comuni vicini all’estremità sinistra del grafico sono caratterizzati da un basso numero di voti espressi a favore di candidati esclusi dal ballottaggio: sono situazioni tendenzialmente bipolari, in cui i primi due candidati hanno già fatto il pieno di voti. In questo contesto, chiaramente visibile a Monza e Rieti, vi sarà una corsa alla rimobilitazione dei propri elettori: chi ne riporterà a votare il maggior numero si assicurerà la poltrona di sindaco. I comuni vicini all’estremità destra del diagramma configurano situazioni con altissima frammentazione e una struttura multipolare della competizione. Il margine tra i due candidati è basso è c’è una enorme quantità di voti liberi. In questi casi vincerà chi saprà raccogliere il maggior numero di ‘seconde preferenze’, convincendo coloro che al primo turno avevano optato per candidati poi sconfitti. Dei quattro ‘tipi’ di competizione delineati dalla tipologia, questo è certamente il più diffuso in queste comunali (lo era già l’anno scorso, vedi Chiaramonte e Emanuele 2016, 135), comprendendo circa una decina di casi, fra i quali spicca certamente il caso di Taranto. Qui il distacco tra i due poli principali è inferiore ai 5 punti, ma ce ne sono ben 60 appartenenti a candidati esclusi dal ballottaggio. La partita sarà decisa certamente dalle seconde preferenze ed ogni esito appare possibile. Anche Oristano, Verona, Lodi, La Spezia, Como, Piacenza e Alessandria appartengono a questa categoria. Ciò testimonia ulteriormente quanto già emerso in precedenza dai triangoli di Nagayama: l’ormai avvenuto passaggio dal bipolarismo ad un multipolarismo competitivo. Rispetto all’anno scorso, però, notiamo che questo multipolarismo non dà luogo, se non solo in pochi casi (Asti, Belluno, parma e Verona), a competizioni a ‘geometria variabile’, ossia alla presenza di diversi poli competitivi nelle varie città. Quest’anno a sfidarsi saranno quasi sempre le due coalizioni ‘classiche’ di centrosinistra e centrodestra. Le due coalizioni principali, dunque, sono tornate ad essere quelle del ventennio bipolare, sebbene non siano più autosufficienti, dal momento che per vincere dovranno andare a caccia degli elettori dei poli esclusi.

    Così, il sistema partito italiano a livello locale appare in un limbo: i terzi poli non sono più competitivi, ma il bipolarismo è ancora un’illusione.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2015), ‘Party System Volatility, Regeneration and De-Institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Party Politics, Online First, pp. 1-13, DOI:10.1177/1354068815601330.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016), ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, CISE, pp. 129-137.

    Emanuele, V. (2012), ‘C’era una volta il bipolarismo’, in L. De Sio, e A. Paparo, (a cura di), Le Elezioni Comunali 2012, Dossier CISE (1), Rome, CISE, pp. 53-56.

    Emanuele, V. (2013), ‘Comunali 2013: l’Italia è ancora bipolare’, in C. Cataldi e A. Paparo (a cura di), Le elezioni comunali 2013, Dossier Cise (5), Rome, CISE, pp. 43-46.

    Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scien­za politica, 4-6 settembre.

    Sani, G. (1992), ‘La destrutturazione del mercato elettorale’, Rivista italiana di scienza politica, 22(3), pp. 539-66.

    [1] Ulteriore prova del non ritorno al bipolarismo è fornita dal confronto con le comunali del 2016, quando l’indice si attestò sugli stessi livelli di questa tornata (67,8%), ma in diminuzione di oltre 12 punti rispetto alle comunali precedenti (2011), quando ancora il sistema poteva dirsi fondamentalmente bipolare (Chiaramonte e Emanuele 2016, 130).

  • Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città

    Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città

    di Alessandro Chiaramonte e Vincenzo Emanuele

    I risultati delle elezioni comunali di domenica 5 giugno impongono una seria riflessione sul sistema partitico italiano e la sua evoluzione. E’ senz’altro vero che trarre indicazione nazionali a partire da un quadro di competizioni locali è sempre difficile. Eppure alcuni indicatori e il confronto con il passato possono aiutarci ad evidenziare alcune tendenze.

    Bipolarismo e frammentazione

    Bisogna innanzitutto partire dalla struttura della competizione. La Tabella 1 presenta, per i 24 comuni capoluogo al voto[1], i valori dell’indice di bipolarismo, di bipartitismo, il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti e, per ognuno di questi indicatori, il relativo confronto con le precedenti elezioni comunali.

    Tab. 1 – Bipolarismo, bipartitismo, numero di liste sopra l’1% e confronto con le precedenti comunali

    indici 24 capoluoghi 2016

    Nel 2016 l’indice di bipolarismo, ossia la somma dei voti maggioritari raccolti dai due candidati sindaci più votati, ha raggiunto appena il 67,8%, in calo di oltre 12 punti rispetto alle precedenti comunali. Questo dato non è affatto sorprendente, e si inserisce in un trend di medio periodo che, a partire dal 2010-2011, ha visto la progressiva crisi del modello bipolare di competizione che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica e l’affermazione di nuove forze politiche alternative ai due poli principali, prima fra tutte il Movimento 5 Stelle. Questo declino del bipolarismo ha toccato tutti i livelli di governo, culminando nel terremoto elettorale delle politiche 2013, quando l’indice scese al suo minimo storico nazionale (59,7%) (Chiaramonte e Emanuele 2014). A livello locale, la corsa per la conquista della poltrona di sindaco e la presenza di incentivi alla costruzione di grandi coalizioni (la soglia di accesso ai seggi del 3% per le liste scompare se la suddetta lista fa parte di una coalizione che raggiunge il 3%) ha sempre mantenuto il bipolarismo ad un livello piuttosto alto. Confrontando infatti l’indice di bipolarismo del 2016 con quelli di altre due tornate di elezioni comunali svoltesi negli ultimi anni, ossia le elezioni del 2012 e del 2013, notiamo che il 5 giugno si è toccato il valore più basso di sempre a livello di elezioni locali: nel 2012 l’indice fu del 69,3% (-18 punti), nel 2013 fu del 71,2 (-10 punti) (vedi Emanuele 2012; 2013). Valori leggermente più alti, dunque, ma simili. In tutti e tre i casi ciò che emerge è il grande scarto con le precedenti comunali, a conferma dell’idea di una netta cesura nel sistema partitico italiano segnata dalla discesa in campo del M5S e dal progressivo sfarinamento delle due grandi coalizioni di centrosinistra e centrodestra che avevano dominato la politica italiana per un quindicennio.

    Osservando i dati dell’indice di bipolarismo nei 24 comuni capoluogo al voto si nota una grande variabilità, dipendente dai contesti profondamente differenti delle singole competizioni locali: si va dal quasi perfetto bipolarismo di Varese (89%) all’estrema frammentazione multipolare di Latina e Isernia (entrambe sul 44% con una diminuzione di oltre 40 punti). In generale, però, emerge la maggiore frammentazione del Sud (63,1%) che presenta uno scarto di ben 10 punti rispetto al resto del paese. Questa è una significativa novità se pensiamo che nel 2012 il Mezzogiorno era l’area con il più alto livello di bipolarismo e nel 2013, pur superato dal Nord, mostrava comunque un livello leggermente superiore alla media del paese. Questa trasformazione del Sud si spiega con il progressivo rafforzamento del M5S come terzo polo competitivo, ma anche con il proliferare di liste civiche che competono con i poli principali. Intendiamoci: le liste civiche al Sud non sono certo una novità di queste elezioni comunali; la novità è rappresentata dal fatto che, mentre prima facevano soprattutto da contorno all’interno di coalizioni con partiti nazionali, ora si moltiplicano i casi di coalizioni autonome di liste civiche che sfidano i partiti tradizionali.

    Anche l’indice di bipartitismo, che calcola la somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi, è notevolmente diminuito in queste elezioni, passando dal 43,1% delle precedenti comunali al 36,3%. In questo caso siamo sostanzialmente in linea con le passate tornate comunali: nel 2013 l’indice si era attestato al 40%, nel 2012 era sceso fino al 34%. E’ del tutto normale che in elezioni locali i principali partiti prendano meno voti che alle elezioni nazionali: alle elezioni amministrative, infatti, la proliferazione di liste civiche e il contesto della competizione incentivano la frammentazione e la sotto-rappresentazione dei grandi partiti. Come per il bipolarismo, è il Sud che spicca per la maggiore frammentazione, ma in questo caso non è una novità assoluta: già nel 2012 il Mezzogiorno presentava i dati più bassi, con una media del 28,6% (Emanuele 2012), sostanzialmente identica a quella registrata oggi (29,1). Il dato è anche parzialmente gonfiato dal caso di Roma, in cui l’exploit del M5S porta l’indice su valori superiori in molti casi alle città del Centro-nord (52,5%). Per il resto, in molte città del Sud, le prime due liste totalizzano poco più del 20% dei voti, o addirittura meno, come a Cosenza. La Zona rossa si conferma l’area con la maggior concentrazione bipartitica del paese, ma è Torino a spiccare in assoluto con il valore più alto dell’indice (59,7%), nonché come la città in cui il bipartitismo registra la maggiore crescita insieme a Roma.

    Al calo del bipartitismo fa da contraltare l’ulteriore crescita della frammentazione che a livello locale raggiunge ormai livelli patologici. E’ qui che emergono le maggiori differenze fra sistema partitico nazionale e comunale. Le liste che raggiungono l’1% dei voti sono in media quasi 17 nei 24 capoluoghi contro le nove delle politiche 2013. Si nota un’ulteriore crescita di tale indice rispetto alle precedenti comunali (+2). Inoltre emerge una differenziazione interna al paese: se la frammentazione è stabile o addirittura in lieve calo al Nord (-0,3), è invece in crescita nella Zona rossa (+3,3) e al Sud (+2,8), in cui già si registravano i livelli più alti. In media al Sud ben 19 liste superano l’1% dei voti, addirittura 28 a Cosenza. L’incapacità di aggregare le preferenze degli elettori in grandi contenitori partitici nazionali è un chiaro indicatore della de-strutturazione o de-istituzionalizzazione del sistema partitico (Sani 1992; Chiaramonte e Emanuele 2015). Venendo meno i partiti alle proprie funzioni di riferimento, la competizione è ormai basata, in molti contesti locali, sulla corsa sfrenata alla presentazione di liste prive di alcun riferimento politico, ma capaci di garantire agli aspiranti sindaci pacchetti di voti personali grazie alla moltiplicazione del numero di candidati al Consiglio comunale.

    Come cambia la struttura della competizione: il triangolo di Nagayama

    Appurato che i sistemi partitici locali sono divenuti sempre meno bipolari, oltre che sempre più frammentati, resta da verificare se si stia affermando una diversa struttura della competizione, ed eventualmente quale nelle diverse parti del paese. A questo fine ci avvaliamo qui di uno strumento, noto co­me triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una se­rie di informazioni riguardanti proprio il grado di bipolarismo (ossia di concentrazione percentuale di voti sui primi due candidati sindaco) e di competitività (ossia di scarto percentuale di voti tra i primi due candidati sindaco) nei comuni capoluogo (Figg. 1 e 2). Si tratta di un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ognuno dei quali rappresenta un comune – è deter­minata da due coordinate: la percen­tuale di voti conseguita dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la per­centua­le di voti conseguita dal can­didato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (i comuni) finiscono per collocarsi per l’appunto all’interno di un triangolo isoscele, i due lati uguali del quale hanno le seguenti pro­prietà:

    –           il lato di sinistra è caratterizzato dall’uguaglianza di voti dei due candidati più forti. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad uno scarto di voti tra 0 e 10%) sono comuni competitivi. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a sinistra, si tratta di comuni caratterizzati da una competizione multipolare, in cui cioè «terze forze» ricevono percentuali di voto «rilevanti».

    –           il lato di destra caratterizza invece i comuni dove sono presenti solo due candidati. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati maggiori compresa tra 90 e 100%) sono comuni bipolari. Inoltre, tan­to più quanto più vicini sono al vertice in basso a destra, si tratta di comuni non competitivi, in cui cioè la differenza percentuale di voto tra i due candidati più forti è «rilevante».

    Oltre a ciò, vale la pena sottolineare che: 1) il rombo al vertice superiore del triangolo, racchiude i comuni che sono allo stesso tempo bipolari e competitivi; 2) l’area non compresa all’interno delle fasce laterali definisce un ampio spettro di situazioni caratterizzate comunque da un certo grado di multipolarismo e di non competitività.

    Fig. 1 e 2 – Il triangolo di Nagayama applicato ai risultati delle elezioni del sindaco nei 24 comuni capoluogo, 2011-2013 e 2016.


    nagayama 2011-2013

    nagayama 2016

    Nota: i punti delle figure presentano colori diversi che indicano le diverse configurazioni politiche nelle varie città: il nero indica che i primi due candidati sono di centrosinistra e centrodestra; il giallo indica la presenza del Movimento 5 Stelle fra i due candidati più votati; il grigio è una categoria residuale comprendente tutte le altre formule coalizionali possibili (centro, destra, sinistra, candidati civici).

    Possiamo adesso analizzare la dispersione dei pun­ti nel dia­gramma che consegue dall’applicazione dei risultati nei 24 comuni capoluogo, con riferimento sia alle elezioni del 2016 (Fig. 2) sia a quelle precedenti 2011-13 negli stessi contesti (Fig. 1). Le differenze che si registrano tra un’elezione e l’al­tra sono indicative delle trasformazioni che hanno avuto luogo nel­la struttura della competizione. In particolare, nel passaggio dalle elezioni del 2011-13 a quelle del 2016, si nota­ una tendenziale maggiore dispersione della «nuvola» dei comuni ed il suo progressivo spostamento verso il basso e verso sinistra, ossia verso l’area del multipolari­smo competitivo. Si svuota del tutto l’area del bipolarismo competitivo, che peraltro già nelle elezioni precedenti era popolata solo dai casi di Cagliari, Isernia, Milano, Olbia, a testimonianza del fatto che l’assetto bipolare che aveva caratterizzato il quindicennio precedente stava entrando in crisi già da allora ma si è poi sgretolato ulteriormente. Oggi, solo Milano e Varese presentano livelli di concentrazione del voto sui due candidati maggiori che richiamano, seppur vagamente, una logica bipolare. Per il resto, registriamo come detto un aumento della competitività, ma all’interno di un quadro multipolare, in cui sono cioè più di due i contendenti «rilevanti». Non mancano però anche i comuni nei quali un polo/candidato sia dominante: così a Rimini, Cosenza e, soprattutto, Salerno nel 2016, Carbonia e ancora Salerno nelle elezioni precedenti.

    L’aumento della dispersione dei punti sta inoltre a significare che aumenta la varietà delle situazioni competitive, il che dimostra che a livello locale l’era post-bipolare non è più caratterizzata da un modello di competizione prevalente, bensì da una pluralità di modelli. Questo lo si può vedere anche in base alla natura dello scontro tra le formazioni maggiori, ossia alla combinazione del colore politico dei due candidati sindaco con più voti. Con riferimento alle Figure 1 e 2, i comuni marcati con il segno nero vedono una competizione tra centro-sinistra e centro-destra e passano da 21 del 2011-13 a 15 nel 2016 (oltretutto con una maggiore variabilità nella composizione interna alle coalizioni), mentre i comuni caratterizzati da una competizione con attori diversi aumentano considerevolmente: nel 2016 ve ne sono 3 (quelli marcati con il segno in giallo) che vedono sfidarsi il Movimento 5 Stelle e il centro-sinistra ed altri 6 (erano 3 nelle precedenti elezioni) con ulteriori schieramenti o coalizioni civiche tra i primi due protagonisti. In definitiva, il quadro che emerge da questa analisi è quello di un multipolarismo a geometria variabile.

    Una tipologia dei ballottaggi

    In che modo la struttura della competizione analizzata finora può influenzare l’esito dei ballottaggi? Per capirlo prendiamo in considerazione due dimensioni. La prima è il distacco, in termini percentuali, tra primo e secondo candidato sindaco in ogni comune. Va da sé che la sfida del ballottaggio sarà quanto più aperta tanto minore è il distacco tra i due candidati che accedono al secondo turno. La seconda dimensione presa in esame attiene invece al potenziale di voti “disponibili” da conquistare al ballottaggio. (https://punandjokes.com/) Essa consiste nella percentuale dei voti raccolti dai candidati sindaco sconfitti al primo turno. Assumendo che la rimobilitazione di astenuti sia assente (è assai difficile che al ballottaggio l’affluenza cresca rispetto al primo turno), gli unici voti “sul mercato” sono quelli dei candidati già esclusi dalla competizione: maggiore è il numero di voti raccolti da questi candidati, più alte saranno le chances di rimonta per i candidati giunti secondi al primo turno e quindi tanto maggiore sarà lo spazio di competizione al ballottaggio. Incrociando le due dimensioni otteniamo uno diagramma che delinea quattro possibili situazioni, configurando così una vera e propria tipologia della competizione nei 20 capoluoghi al ballottaggio (vedi Figura 3).

    Fig. 3 – Tipologia della competizione nei 20 comuni capoluogo al ballottaggio

    tipologia sfide ballottaggi 2016

    Tanto più i punti della Figura 3 si avvicinano ai quattro angoli del grafico, tanto più i comuni possono essere accostati ad un ‘tipo’ di competizione ben delineato; tanto più, viceversa, i punti cadono vicino al centro del grafico, tanto più è difficile assegnarli ad uno dei quattro tipi.

    La parte alta della figura delinea situazioni in cui, sulla base dei voti espressi al primo turno, c’è un ampio distacco tra i due candidati al ballottaggio. In questi casi la rimonta è tanto più possibile quanto più è alta la percentuale di voti dei candidati esclusi. In altri termini, il candidato giunto secondo al primo turno ha ‘potenziale di rimonta’ se ha a disposizione un ampio bacino di voti in libertà fra i quali pescare. Altrimenti la partita tende ad essere chiusa. In questo senso il contesto di Roma e di Torino è molto diverso pur in presenza di distacchi simili (attorno ai 10 punti) fra i due candidati al ballottaggio: ragionando dal punto di vista meramente numerico, emerge che Giachetti ha più chances della Appendino di rimontare. Questo perché a Roma i voti ‘disponibili’, cioè quelli appartenenti ad altri candidati sindaco, sono molti di più e c’è dunque un più ampio margine di rimonta. Questo ovviamente non significa che la rimonta avverrà, dal momento che altre variabili, prima fra tutte l’affluenza, ma anche gli eventuali apparentamenti, entreranno nell’equazione. Così, allo stesso modo, la partita di Bologna è più aperta di quella di Napoli. In generale, comunque, nessuna sfida può definirsi completamente chiusa, dal momento che il numero di voti dei candidati esclusi è sempre più molto alto di quello che separa i due competitors al ballottaggio.

    La parte bassa della figura, invece, designa situazioni competitive, in cui il distacco tra i due candidati è contenuto. Ciò che differenzia la parte sinistra dalla parte destra del diagramma è la strategia che i due candidati dovranno seguire per vincere. I comuni vicini all’estremità sinistra del grafico sono caratterizzati da un basso numero di voti espressi a favore di candidati esclusi dal ballottaggio: sono situazioni tendenzialmente bipolari, in cui i primi due candidati hanno già fatto il pieno di voti. In questo contesto, chiaramente visibile a Milano e Varese, vi sarà una corsa alla rimobilitazione dei propri elettori: chi ne riporterà a votare il maggior numero si assicurerà la poltrona di sindaco. I comuni vicini all’estremità destra del diagramma configurano situazioni con altissima frammentazione e una struttura multipolare della competizione. Il margine tra i due candidati è basso è c’è una enorme quantità di voti liberi. In questi casi vincerà chi saprà raccogliere il maggior numero di ‘seconde preferenze’, convincendo coloro che al primo turno avevano optato per candidati poi sconfitti. Dei quattro ‘tipi’ di competizione delineati dalla tipologia, questo è certamente il più diffuso in queste comunali, comprendendo almeno sette casi: Novara, Savona, Latina, Isernia, Brindisi, Olbia e Crotone. Ciò testimonia ulteriormente l’ormai avvenuto passaggio dal bipolarismo a una competizione multipolare a geometria variabile: i poli competitivi sono sempre più di due e non sono gli stessi nelle varie città. Così a Isernia ci sarà una sfida all’interno del polo di destra, a Olbia e Savona tra centrosinistra e centrodestra, a Novara tra destra (Lega Nord e Fratelli d’Italia senza Forza Italia) e centrosinistra, a Crotone tra centrosinistra e centro, a Brindisi tra centrosinistra e una coalizione guidata dal movimento di Raffaele Fitto e infine a Latina una coalizione di destra sfiderà una coalizione civica.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2015), ‘Party System Volatility, Regeneration and De-Institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Party Politics, Online First, pp. 1-13, DOI:10.1177/1354068815601330.

    Emanuele, V. (2012), ‘C’era una volta il bipolarismo’, in L. De Sio, e A. Paparo, (a cura di), Le Elezioni Comunali 2012, Dossier CISE (1), Rome, CISE, pp. 53-56.

    Emanuele, V. (2013), ‘Comunali 2013: l’Italia è ancora bipolare’, in C. Cataldi e A. Paparo (a cura di), Le elezioni comunali 2013, Dossier Cise (5), Rome, CISE, pp. 43-46.

    Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scien­za politica, 4-6 settembre.

    Sani, G. (1992), ‘La destrutturazione del mercato elettorale’, Rivista italiana di scienza politica, 22(3), pp. 539-66

    [1] Villacidro è esclusa in quanto comune inferiore ai 15.000 abitanti. Consideriamo che i 24 comuni capoluogo qui analizzati pesano, in termini di elettori, il 73% dei comuni superiori andati al voto nel 2016.

  • The unfinished story of electoral reforms in Italy

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2015). The unfinished story of electoral reforms in Italy. CONTEMPORARY ITALIAN POLITICS, 7, 10–26.

    Over the course of past twenty years during Italy’s Second Republic, three electoral reforms have taken place and a fourth one is underway. The first reform occurred in 1993, providing for the abandonment of the First Republic’s long-established proportional representation (PR) system and the introduction of a mixed electoral system. The second reform was approved in 2005, when the previous mixed electoral system was replaced with a new, mixed electoral system. The third electoral reform was introduced at the beginning of 2014, when the Constitutional Court ruled out the constitutionality of a number of provisions of the 2005 electoral system (while leaving others intact) and introduced de facto a PR system. A fourth electoral reform is now making its way through Parliament, and if approved, will reinstate a mixed electoral system similar to the one of 2005, but (hopefully) in a constitutionally compatible form. In this article, I analyse the reasons why, and under what circumstances, these electoral reforms have taken place and account for their relevant features and effects. The main goal is to assess the extent to which each of them has contributed, or has the potential to contribute, to reshaping the party system and the process of government formation into a more majoritarian ‘pattern’ or ‘vision’ of democracy.

  • Il sistema partitico italiano tra cambiamento e stabilizzazione su basi nuove

    di Alessandro Chiaramonte e Vincenzo Emanuele

    Il sistema partitico italiano è ormai da qualche anno in uno stato di accelerata de-istituzionalizzazione (Chiaramonte e Emanuele 2014), caratterizzato dal disallineamento tra elettori e partiti e dunque da una forte fluidità nei comportamenti di voto (e di non voto). Lo abbiamo visto in modo eclatante in occasione delle elezioni politiche del 2013, quando il Movimento 5 stelle si è affermato a scapito dei partiti mainstream conquistando oltre 8 milioni e mezzo di nuovi elettori. Ne abbiamo avuto un’ulteriore conferma con le elezioni europee del 2014, che – certo – non sono elezioni politiche, ma che altrettanto indiscutibilmente sono state molto influenzate dalle dinamiche interne.
    Dopo il clamoroso risultato elettorale del 2013, dalle elezioni del 2014 ci si sarebbe potuti aspettare un consolidamento dei rapporti di forza allora delineati, ovvero un riflusso allo status quo ante. La prima ipotesi avrebbe prefigurato una sorta di re-istituzionalizzazione del sistema partitico su basi diverse dal passato e quindi lontano dall’assetto tipicamente bipolare della Seconda Repubblica. La seconda ipotesi avrebbe invece relegato il dato del 2013 ad uno shock episodico, ossia ad una sorta di deviazione temporanea da un tracciato prestabilito. Nessuna delle due ipotesi regge in realtà al riscontro empirico, sia pure tenendo conto della diversa posta in gioco, del diverso livello di partecipazione al voto e del diverso sistema elettorale delle europee rispetto alle politiche.
    In effetti, i rapporti di forza tra i partiti sono stati nuovamente e consistentemente alterati, ma non sono affatto mutati nella direzione di un ritorno alla fase precedente al 2013. Il Movimento 5 stelle ha sì subito un lieve arretramento, ma con oltre il 21% dei voti ha di fatto riaffermato la sua rilevanza all’interno del sistema partitico italiano. Il centro-destra ha più o meno conservato la quota di voti ricevuta l’anno prima, ma – complice il sistema elettorale proporzionale – si è presentato alquanto diviso e privo di un orizzonte unitario. Il Pd ha aumento significativamente i suoi consensi sia in termini assoluti (2,5 milioni di voti in più), sia in termini relativi (+15,4 punti percentuali), superando il livello del 40% dei voti che in tre sole precedenti occasioni era stato raggiunto da partiti italiani in elezioni nazionali (la Dc nel 1948, nel 1953 e nel 1958). Di converso Scelta europea di Monti è precipitata a meno dell’1% da oltre il 10% ottenuto nelle politiche del 2013.
    Per evidenziare le caratteristiche del nuovo sistema partitico e misurare l’entità del cambiamento rispetto al passato facciamo ricorso ad una serie di indicatori. Il primo elemento da prendere in considerazione è certamente l’indice di volatilità che misura il cambiamento aggregato netto di voti tra due elezioni successive (Pedersen 1979; Bartolini 1986) e si misura sommando le differenze nelle percentuali di voti che i partiti ottengono fra un’elezione e la successiva. La volatilità è quindi una misura della stabilità (e dell’instabilità) di un sistema partitico. Nel corso degli ultimi 20 anni l’indice di volatilità ha seguito un andamento altalenante, toccando per due volte livelli impressionanti in corrispondenza con le due elezioni “critiche ” del periodo (1994 e 2013) e riabbassandosi nella fase centrale (1996-2008) di strutturazione del sistema dei partiti emerso dopo il 1994. La Tabella 1 mostra il valore di volatilità totale prodottosi nel confronto tra le elezioni politiche 2013 e le europee 2014 e tra queste ultime e le precedenti europee del 2009. Nel confronto fra elezioni europee il tasso di cambiamento aggregato netto è altissimo (35,2) e ricalca quello – da record – realizzatosi tra le politiche 2008 e le politiche 2013 . Tra 2009 e 2014 il nostro sistema è cambiato considerevolmente, almeno per tre motivi: la nascita del Movimento 5 Stelle, il processo di frammentazione che ha colpito la destra italiana e il Pdl nello specifico; l’inverso processo di concentrazione del voto di centrosinistra sul Pd (con la scomparsa dell’Idv). Ma il dato ancora più significativo appare il livello di volatilità nel confronto fra 2013 e 2014: in appena un anno il livello di cambiamento è del 18,2%, una cifra che in altri sistemi partitici sarebbe già considerata dirompente. Rispetto al “terremoto elettorale” (Chiaramonte e De Sio 2014) prodottosi un anno fa il cambiamento più significativo ha riguardato la crescita del Pd e il contemporaneo svuotamento del polo di centro. Non a caso il valore di volatilità di blocco (15,7%) è notevolissimo e dimostra che quasi tutto il cambiamento di voto ha riguardato passaggi tra i blocchi piuttosto che fra partiti di uno stesso blocco. I flussi elettorali realizzati dal CISE in diverse città confermano che i due fenomeni sono collegati: Renzi ha conquistato l’elettorato montiano senza perdere alla sua sinistra (Tsipras, Verdi e Idv hanno gli stessi voti presi da Sel e Rivluzione Civile nel 2013 nonché la stessa marginalità politica), portando di fatto il Pd verso il centro del sistema, un partito di centro-centrosinistra con il potenziale per diventare un partito dominante del sistema (ma è troppo presto per avventurarci su una simile previsione). Di certo si può dire che le sue due opposizioni (Grillo e Berlusconi) non sono sommabili e perfino nel campo della destra le varie anime (Lega, Fdi, Forza Italia ed Ncd-Udc) appaiono oggi meno facilmente aggregabili.
    Alla altissima fluidità elettorale si affianca un altro indicatore molto importante per rilevare il livello di destrutturazione, ossia il tasso di innovazione partitica, che misura la percentuale di voti raccolta da partiti genuinamente nuovi o comunque da liste che presentano simboli e denominazioni che non erano presenti sulla scheda nella elezione precedente. Questo secondo aspetto, relativo alla volatilità dell’offerta partitica è un fenomeno ricorrente del caso italiano e unito alla volatilità dal lato della domanda (le scelte di voto degli elettori) contribuisce a tenere alta l’instabilità del sistema. Nel 2014 la percentuale di voti raccolta da partiti “nuovi” rispetto al 2013 è stata del 31,4%, mentre rispetto al 2009 ha raggiunto – grazie al cospicuo contributo del M5S – addirittura il 52,5%. In altre parole i partiti presenti sulla scena da almeno 5 anni oggi raccolgono meno della metà dei voti.
    Tab. 1 – Indicatori del sistema partitico: elezioni del 2009, 2013 e 2014 a confronto

    Indicatori del sistema partitico

    Volatilità Totale 2014-2013

    18.2

    2014-2009

    35.2

    Volatilità di Blocco 2014-2013

    15.7

    Tasso di Innovazione partitica 2014-2013

    31.4

    2014-2009

    52.5

    Indice di bipartitismo

    2009

    62.4

    2013

    51.0

    2014

    62.0

    Numero effettivo di partiti elettorali

    2009

    4.5

    2013

    5.3

    2014

    4.0

    Liste sopra l’1% dei voti

    2009

    9.0

    2013

    10.0

    2014

    7.0

    Nazionalizzazione del voto (Indice sPSNS)

    2009

    0.829

    2013

    0.859

    2014

    0.868

    Fonte: elaborazioni su dati ufficiali.

    Se la volatilità e il tasso di innovazione confermano la portata storica del cambiamento in atto, altri indicatori mostrano un’inversione di tendenza rispetto al trend mostrato nel recente passato. Il successo senza precedenti del Partito democratico fa risalire l’indice di bipolarismo sui livelli del 2009 (62%), dopo il crollo al 51% del 2013. Più di 6 voti su 10 si concentrano sui due maggiori partiti, una quota simile a quella osservabile nelle altre grandi democrazie europee. Per converso, la frammentazione partitica, un male che storicamente affligge il sistema partitico italiano, risulta piuttosto contenuta. Il numero effettivo di partiti elettorali (Laakso e Taagepera 1979) ci fornisce una misura sintetica del numero di partiti presenti nell’arena elettorale. E’ un indicatore efficace per contare i partiti tenendo conto della rispettiva forza elettorale. Ad esempio, in caso di sistema perfettamente bipartitico, con due liste che ottengono entrambe il 50% dei voti, l’Indice fa 2. Nel 2014 l’indice fa segnare il livello di 4, in netta diminuzione rispetto al 5,3 del 2013 (e lontanissimo dal massimo storico di 7,6 raggiunto nel 1994). Allo stesso tempo, il numero di liste con una quota di voti rilevante (>1%) scende a 7, contro le 9 del 2009 e le 10 del 2013.
    L’ultimo indicatore di cui ci serviamo per analizzare le caratteristiche del sistema partitico italiano fa riferimento al livello di omogeneità territoriale del consenso raccolto dai partiti italiani. Bisogna cioè valutare se i partiti siano ancora in larga misura capaci di rappresentare gli interessi e le preferenze degli elettori su scala nazionale, ovvero se il loro raggio di azione tenda a rinchiudersi in ambiti territoriali più limitati, favorendo così l’affermarsi di una competizione elettorale geograficamente differenziata.
    Per farlo facciamo ricorso al concetto di nazionalizzazione del voto , definibile come il livello di omogeneità del consenso ai partiti fra le diverse unità territoriali di un paese. L’indicatore che lo misura è lo standardized Party System Nationalization Score (sPSNS) sviluppato da Bochsler (2010). Esso varia tra 0 e 1 e a valori alti dell’indice corrisponde un’alta omogeneità territoriale del voto. In fondo alla Tabella 1 sono riportati i valori dell’indice per il 2009, il 2013 e il 2014. Si nota un chiaro trend di omogeneizzazione territoriale del consenso. Nel 2009 il sistema partitico italiano appariva piuttosto regionalizzato, grazie alla presenza della Lega Nord che, con il suo 10,2% dei voti contribuiva fortemente a territorializzare il livello complessivo dell’indice. Nel 2013 lo sPSNS cresce soprattutto grazie al contributo del M5S che emerge come grande partito nazionale, in grado di ricevere consensi trasversali. Il suo livello di nazionalizzazione è altissimo (.912), mentre il principale partito regionale, la Lega, precipita al 4,1% dei consensi. In queste elezioni europee l’indice è cresciuto ancora, nonostante l’accresciuta meridionalizzazione di Forza Italia (.877, contro il .916 del Pdl 2009) e del M5S (.895). I motivi sono essenzialmente due. Il primo è il fatto che il Pd mostra un livello di omogeneità territoriale straordinario, soprattutto considerando il fatto che tradizionalmente il principale partito della sinistra ha sempre mostrato una concentrazione del consenso nelle regioni appenniniche (la ex Zona rossa) accompagnata da una inveterata debolezza in altre aree (il Nord est e la Sicilia in particolare). Il valore di .919 del Pd (che mostrava un valore di .878 appena 5 anni fa), ha solo due precedenti nella Seconda Repubblica (Forza Italia e la Margherita alle elezioni del 2001). La seconda ragione per cui la nazionalizzazione del voto in queste europee appare in crescita è la diminuzione della territorialità del voto leghista. Il principale partito regionalista italiano ha presentato liste in tutta Italia ottenendo un discreto consenso anche al di fuori delle regioni settentrionali (2,1% nella circoscrizione Centro e l’1% nelle Isole). Il partito di Salvini presenta un valore di .524, molto superiore al .403 del 2013.
    In conclusione, nell’accidentato percorso di cambiamento che il sistema partitico italiano sta vivendo ormai da tempo le elezioni europee del 2014 ci forniscono indicazioni contrastanti. Da un lato, la riduzione della frammentazione e l’aumento della nazionalizzazione sembrano escludere, almeno per ora, una (ulteriore) de-istituzionalizzazione del sistema partitico connessa all’atomizzazione delle sue unità costituenti e/o alla centrifugazione territoriale dei rispettivi consensi. Dall’altro lato, la permanente fluidità dei comportamenti di voto e dell’assetto competitivo esclude anche ipotesi di (incipiente) re-istituzionalizzazione. Il processo di cambiamento del sistema partitico è dunque ancora in corso e in uno stato che non consente di prefigurarne gli esiti.

    Riferimenti bibliografici
    Bartolini, S. (1986), La volatilità elettorale, in «Rivista Italiana di Scienza Politica», vol. 16, pp. 363-400.
    Bochsler, D. (2010), Measuring party nationalisation: A new Gini-based indicator that corrects for the number of units, in «Electoral Studies», vol. 29, pp. 155-168.
    Caramani, D. (2004), The nationalization of politics: the formation of National electorates and party systems in Western Europe, Cambridge, Cambridge University press.
    Casal Bértoa, F. (2014), Party systems and cleavage structures revisited: A sociological explanation of party system institutionalization in East Central Europe, in «Party Politics», vol. 20, pp. 16-36.
    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di), Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione, Bologna, Il Mulino, in corso di pubblicazione.
    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2014), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione, Bologna, Il Mulino, in corso di pubblicazione.
    Emanuele, V. (2013), Vote (de)-nationalization and party system change in Italy (1948-2013), paper discusso al RISP Workshop Politics and policies in times of economic crisis, Siena, 14 giugno 2013.
    Huntington, S. (1968), Political Order in Changing Societies, New Haven, Yale University Press.
    Key, V. O. (1955), A Theory of Critical Elections, in “The Journal Of Politics”, vol. 17, p. 3-18.
    Laakso, M. e Taagepera, R. (1979), “Effective” Number of Parties: A Measure with Application to West Europe, in «Comparative Political Studies», vol. 12, pp. 3-27.
    Pedersen, M.N. (1979), The Dynamics of European Party Systems: Changing Patterns of Electoral Volatility, in «European Journal of Political Research», vol. 7, pp. 1-26.
    Sikk, A. (2005), How unstable? Volatility and the genuinely new parties in Eastern Europe, in «European Journal of Political Research», vol. 44, pp. 391-412.

  • La riforma elettorale: ecco come funziona

    di Alessandro Chiaramonte

     Il testo di legge depositato in Commissione Affari Costituzionali della Camera frutto dell’accordo raggiunto nei giorni (nelle ore) scorsi tra alcune forze politiche, Pd e Fi in primis, configura un sistema elettorale che si pone in continuità con quelli già da anni sperimentati in Italia a tutti i livelli di governo – nel senso che si tratta di un sistema “misto” maggioritario-proporzionale e che l’elemento caratterizzante è dato dal premio di maggioranza – ma che presenta comunque significative novità, fermo restando ulteriori modifiche che potranno intervenire da qui alla sua eventuale approvazione. Rispetto alla legge Calderoli, da cui pure prende le mosse, le novità più rilevanti di questo sistema elettorale riguardano: 1) le modalità di assegnazione del premio di maggioranza, soprattutto (ma non solo) con la previsione di un ballottaggio qualora nessuna coalizione o lista ottenga il 35% dei voti al primo turno; 2) le soglie di sbarramento, innalzate nella loro entità tanto per le liste facenti parte di coalizioni quanto per le liste che corrono da sole; 3) le circoscrizioni elettorali (che delimitano i confini per la presentazione delle liste, ma non per la ripartizione dei seggi, che invece continua ad aver luogo a livello nazionale), aumentate considerevolmente e, dunque, diminuite nella loro ampiezza, con la conseguenza che il numero di candidati presenti in ciascuna lista non sarà superiore a cinque; 4) la sostanziale conformazione al Senato delle procedure previste per l’elezione della Camera, valida nel caso in cui la riforma costituzionale volta a trasformare il Senato in camera non elettiva non avesse un esito positivo. Vediamo però come funzionerebbe nel suo complesso il nuovo sistema elettorale alla Camera, analizzandolo nei suoi meccanismi principali.

    ACircoscrizioni e collegi plurinominali. Il territorio nazionale è suddiviso in 19 circoscrizioni elettorali, corrispondenti alle regioni italiane, oltre al collegio uninominale della Valle d’Aosta. A sua volta ciascuna circoscrizione, con l’eccezione del Trentino Alto Adige, è divisa in collegi plurinominali, in ognuno dei quali è assegnato un numero di seggi compreso fra 3 e 6 (salvo aumenti necessari al rispetto di criteri demografici e di continuità territoriale). Ad oggi non si conoscono esattamente né il numero, né i confini geografici di questi collegi, ma si può immaginare che conterranno in media circa mezzo milione di abitanti.

    B. Liste, norme di genere e divieto di pluricandidature. Le liste sono presentate nei collegi plurinominali e sono formate da un numero di candidati compreso tra la metà e il totale dei seggi spettanti al collegio. In altri termini, le liste dei candidati sono relativamente “corte”. Sono poi previste due distinte norme volte a favorire l’equilibrio di genere tra candidati uomini e donna: 1) l’ordine dei candidati nella lista deve essere tale che non vi siano più di due candidati consecutivi dello stesso genere; 2) in ogni circoscrizione, il complesso dei candidati presentati nei rispettivi collegi plurinominali da ciascuna lista deve rispettare la suddivisione a metà tra i generi (in altri termini, una lista può presentare più uomini che donne in un collegio e viceversa in un altro collegio, ma nell’insieme dei collegi della circoscrizione il numero dei candidati uomini deve essere pari a quello dei candidati donna). Il mancato rispetto di tali norme comporta la non ammissione della lista. Infine, è fatto divieto di candidature multiple: ci si può dunque presentare in un solo collegio. Questa disposizione è sostanzialmente opposta a quella presente nella legge Calderoli che non poneva limiti di candidatura (con l’effetto perverso di generare una molteplicità di plurieletti dalla cui opzione di elezione dipendeva a sua volta l’elezione di una significativa quota di parlamentari).

    C. Voto e scheda. L’elettore esprime il suo voto a favore di una lista tracciando un segno sul relativo simbolo. Se la lista fa parte di una coalizione, il voto si intende espresso a favore della coalizione di cui la lista fa parte. Non vi è possibilità di esprimere voti di preferenza per i candidati di lista. Tuttavia, i nominativi dei candidati sono riportati sulla scheda, sotto al simbolo della rispettiva lista. Insieme alla previsione delle liste “corte”, questa disposizione favorisce la visibilità e conoscibilità dei candidati e quindi una maggiore consapevolezza degli elettori negli effetti della propria scelta di voto sull’elezione dei parlamentari.

    D. Arene di competizione. Ai fini dell’elezione della Camera dei deputati si possono distinguere quattro arene:

    1. la prima e principale è quella corrispondente all’attribuzione del premio di maggioranza;
    2. la seconda è il collegio uninominale della Valle d’Aosta, che assegna un seggio con formula plurality (della maggioranza relativa) al candidato che ha conseguito il maggior numero di voti;
    3. la terza è costituita dalla circoscrizione Trentino Alto Adige, in cui i seggi spettanti sono assegnati con formula plurality negli 8 collegi uninominali in cui è diviso il suo territorio e per il resto con formula proporzionale d’Hondt a livello della circoscrizione;
    4. la quarta arena è costituita dalla circoscrizione estero, nella quale continuano ad essere assegnati 12 seggi e per la quale valgono le norme già vigenti.

    Occorre qui sottolineare due novità rispetto alla legge Calderoli. La prima novità è che il Trentino Alto Adige presenta regole diverse dal resto delle circoscrizioni. La seconda novità è che lo stesso Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta non sono arene completamente separate dalla prima, poiché i voti in esse espressi sono computati ai fini del raggiungimento delle soglie di sbarramento alla rappresentanza e delle soglie per l’attribuzione del premio di maggioranza nell’arena principale (non era così per la Valle d’Aosta con legge Calderoli, questione sulla quale molti, in passato, hanno espresso dubbi di legittimità costituzionale).

    E. Soglie di sbarramento. L’accesso alla ripartizione dei seggi e, dunque, alla rappresentanza parlamentare dipende per ciascuna lista o coalizione dal numero di voti ottenuti, ossia dal raggiungimento delle soglie di sbarramento presenti. Di seguito le diverse soglie:

    1. per una lista singola, non facente parte di coalizioni né rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, la soglia è pari all’8% dei voti espressi sul piano nazionale;
    2. per una lista singola rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute presentata esclusivamente in circoscrizioni comprese in una delle regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, la soglia è il 20% dei voti validi espressi nel complesso delle circoscrizioni della regione in cui è presente;
    3. per una coalizione di liste la soglia è del 12% dei voti espressi sul piano nazionale, purché al suo interno vi sia almeno una lista con il 5% dei voti sul piano nazionale, ovvero una lista rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute che ha ottenuto il 20% nella sua regione; qualora una coalizione non raggiunga questa soglia, le liste che la compongono assumono lo status di lista singola e per loro valgono dunque le soglie di cui al punto 1) o 2);
    4. per una lista collegata in coalizione la soglia è pari al 5% dei voti espressi sul piano nazionale, ovvero, se rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, del 20% dei voti sul piano regionale.

     F. Premio di maggioranza. Il sistema elettorale in questione è majority-assuring, assicura cioè sempre e comunque al vincitore – lista o coalizione che sia – la maggioranza assoluta dei seggi. Ciò accade grazie al premio, così come già succedeva alla Camera con la legge Calderoli. Rispetto a quest’ultima, tuttavia, risultano modificate le modalità della sua assegnazione e l’entità in seggi della maggioranza che si viene a determinare. Andiamo con ordine.

    1. Il destinatario del premio al primo turno. Vediamo innanzi tutto chi ha diritto a ricevere il premio (qualora con l’iniziale ripartizione proporzionale dei seggi nessuna lista o coalizione abbia già raggiunto la quota-premio): si tratta della lista o della coalizione con la maggiore cifra elettorale nazionale, purché tale cifra corrisponda almeno al 35% del totale dei voti validi espressi. Attenzione: nel caso di coalizioni la cifra elettorale nazionale non è detto che coincida con il totale dei voti effettivamente ottenuti, poiché in tale cifra non sono inclusi i voti eventualmente conseguiti dalle liste pur facenti parte della coalizione che siano presenti in meno di un quarto dl numero totale di collegi plurinominali (quindi una coalizione potrebbe aver conseguito il 37% dei voti validi, ma avere una cifra elettorale nazionale pari al 34% dei voti validi se il 3% è stato conseguito da una o più liste presenti in meno di un quarto dei collegi). Il motivo dell’esclusione di quei voti è disincentivare le coalizioni dal massiccio ricorso, come successo in passato, al collegamento con varie liste “fittizie” o “civetta”, con conseguente proliferazione del numero di liste concorrenti presenti sulla scheda. Invero, il disincentivo previsto dalla norma è alquanto modesto.
    2. Il ballottaggio. Se nessuna lista o coalizione ha una cifra elettorale nazionale corrispondente almeno al 35% dei voti, si procede a distanza di due settimane ad un secondo turno di votazione – il ballottaggio – tra le due liste o coalizioni che al primo turno hanno conseguito la maggiore cifra elettorale nazionale. Tra il primo e il secondo turno non sono consentiti apparentamenti con altre liste o coalizioni rimaste fuori dal ballottaggio, per cui le liste o coalizioni che partecipano al ballottaggio lo fanno nella stessa configurazione del primo turno. Il premio di maggioranza è aggiudicato alla lista o coalizione che consegue il maggior numero di voti in questo turno di ballottaggio.
    3. L’entità del premio. L’entità del premio di maggioranza è variabile, ma in ogni caso comporta l’attribuzione a favore della lista o coalizione vincente di un numero di seggi compreso tra il 53% e il 55% (del totale di 617), ossia tra 327 e 340. Il vincente si aggiudica il 53% dei seggi (327) nel caso in cui sia stato determinato al ballottaggio, oppure nel caso in cui al primo turno abbia ottenuto una cifra elettorale nazionale esattamente pari al 35% dei voti. Se al primo turno il vincente ottiene una cifra elettorale nazionale superiore al 35% dei voti ha diritto ad una quota di seggi (sempre sul totale di 617) pari alla percentuale conseguita aumentata di 18 punti percentuali: in altri termini con una cifra elettorale pari al 35% ottiene il 53% dei seggi, con il 36% ottiene il 54% dei seggi e con il 37% ottiene il 55% dei seggi. Con cifre elettorali nazionali superiori al 37% la quota seggi del premio non si alza, bensì rimane fissa al 55%. Dunque vige un “tetto” di 340 seggi invalicabile per la lista o coalizione vincente (con l’eccezione degli ulteriori seggi che possono essere conseguiti in Valle d’Aosta e nella circoscrizione estero). Tale “tetto” non è particolarmente elevato. Esso è stato concepito per tutelare le minoranze evitando di sovrarappresentare oltre misura la maggioranza. L’unico caso in cui tale “tetto” del 55% dei seggi non si applica può verificarsi qualora la lista o coalizione vincente ottenga con le sue forze (dopo la sola ripartizione proporzionale, senza necessità che il premio scatti) più di 340 seggi. In quest’ultimo caso, la lista o coalizione vincente manterrà tutti i seggi che le spettano a seguito della ripartizione proporzionale.

    G. Dal livello nazionale ai collegi plurinominali. Una volta determinato a livello nazionale, a seguito dell’eventuale premio di maggioranza assegnato al primo o al secondo turno, il numero dei seggi spettanti alle coalizioni di liste e alle liste, si procede alla loro distribuzione territoriale, in prima battuta alle (19) circoscrizioni e poi, all’interno di ciascuna di esse, ai vari collegi plurinominali. A tal fine il metodo impiegato è volto a vincolare l’assegnazione dei seggi al rispetto del numero dei seggi spettanti alle circoscrizioni in base alla popolazione, mentre all’interno di ciascuna circoscrizione potrebbe verificarsi il cosiddetto “slittamento dei seggi”, con collegi plurinominali che eleggono deputati in numero superiore o inferiore a quello spettante in base alla popolazione. Del resto, vincolare l’assegnazione dei seggi al rispetto del numero di seggi spettanti ai collegi plurinominali in base alla popolazione comporterebbe per i partiti, soprattutto minori, l’attribuzione dei propri seggi in modo semi-casuale, ossia in collegi cui non è detto che corrispondano i migliori risultati.

    H. Le differenze tra Camera e Senato. Una delle principali note dolenti della legge Calderoli erano le differenze che si venivano a creare tra i sistemi elettorali di Camera e Senato. A differenza della Camera, infatti, il premio di maggioranza al Senato non era assegnato a livello nazionale, bensì “spalmato” nelle regioni, dove poteva essere vinto da forze politiche diverse. In sostanza, alla Camera vi era la certezza di un vincitore, mentre al Senato no – come si è ben visto nel risultato delle elezioni 2013. Va pertanto accolta con soddisfazione la sostanziale omogeneizzazione tra i sistemi elettorali delle due camera prefigurata dalla riforma elettorale in questione. Nel nuovo sistema si prevede infatti l’applicazione di un premio di maggioranza nazionale anche al Senato, così come alla Camera. Sono uniformate anche le soglie di sbarramento e di attribuzione del premio, nonché altri meccanismi. Certo resta sempre la possibilità che il premio sia vinto da due coalizione o liste distinte nei due rami del parlamento, e, addirittura, che abbiano luogo due ballottaggi con diversi protagonisti, ma in ogni caso la probabilità di un esito differenziato diminuisce considerevolmente rispetto alla legge Calderoli. Tale probabilità sarebbe azzerata solo passando ad un monocameralismo o ad un bicameralismo non paritario, questione per altro in discussione e sulla quale pare esserci un accordo tra le principali forze politiche. (pestkill.org)

  • Le elezioni politiche del 2013: uno tsunami senza vincitori

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2014). Le elezioni politiche del 2013: uno tsunami senza vincitori. In C. Fusaro & A. Kreppel (Eds.), Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni – Edizione 2014 (pp. 51–70). BOLOGNA: Il Mulino.

    Il 2013 è stato un anno di transizioni incomplete, in cui il sistema politico e istituzionale italiano ha raggiunto uno stallo decisionale pressoché assoluto. Apertosi con la riconferma del riluttante Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, per l’incapacità del Parlamento di eleggere un successore, l’anno si è concluso con la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittime le parti decisive della legge elettorale in vigore dal 2005. La parabola eloquente di un sistema sull’orlo della paralisi, in attesa della svolta.