Autore: Matteo Cataldi

  • La mobilitazione degli elettori dei vari partiti in 4 città

    La mobilitazione degli elettori dei vari partiti in 4 città

    di Matteo Cataldi e Aldo Paparo

    In attesa che i risultati dello spoglio comincino ad arrivare, e quindi il nostro modello cominci a produrre le simulazioni, abbiamo usato i dati dell’affluenza per stimare la mobilitazione dei diversi elettorati partitici.
    Abbiamo quindi preso i dati di sezione in 4 importanti città e calcolato i flussi elettorali fra politiche 2013 e questa tornata elettorale. Le uniche destinazioni possibili sono il voto e il non voto.  Non abbiamo ancora informazioni circa l’esito nelle diverse sezioni, e quindi non possiamo stimare quanti elettori abbiano votato SI e NO. Solo quanti hanno votato e quanti no.

    In particolare, abbiamo preso i dati della partecipazione elettorale alle 19 nelle sezioni di Napoli, Firenze, Treviso e Brescia.
    Di seguito riportiamo le tabelle che mostrano le matrici di flusso in questi 4 contesti.
    A cominciare dal più popoloso, Napoli (Tab. 1), possiamo osservare come pressochè tutti gli elettori del M5s sarebbero andati alle urne, così come quelli che avevano votato Monti.
    Due elettori del Pd su 3 avrebbero votato, mentre solo il 50% di quelli di centrodestra. Addirittura appena il 44% di quelli del Pdl.

    Tabella 1. Matrice delle destinazioni – Napolinapoli

     

     

     

    A Firenze (Tab. 2), il quadro appare abbastanza diverso. Sempre altissima la mobilitazione degli elettori della coalizione montiana, risulta qui prossima al 100% la partecipazione di quanti avevano votato il Pd.
    Mentre è pari a solo il 60% per gli elettori 2013 del M5s, che ha quindi più astenuti del Pdl (il cui 70% dei votanti 2013 avrebbe votato nel capoluogo fiorentino).
    Molto interessante è poi la mobilitazione di quanti non avevano votato nel 2013, che include i giovani allora minorenni. Uno su sei di tutti i non votanti 2013 avrebbe partecipato in questa tornata referendaria.
    Tabella 2. Matrice delle destinazioni – Firenze

    firenze

     

     

     

     

    Venendo infine ai due capoluoghi settentrionali considerati, a Brescia (Tab. 3), si osserva un quadro di alta mobilitazione per più o meno tutti gli elettorati. Circa il 90% degli elettori del Pd, l’80% di quelli del M5s o della Lega e il 70% di quelli di Monti e Berlusconi avrebbero votato. Così come il 15% dei non votanti nel 2013.

    Tabella 3. Matrice delle destinazioni – Brescia

    brescia

     

     

    A Treviso, infine, (Tab. 4), il quadro è abbastanza simile: alta partecipazione in tutti i bacini elettorali. Mobilitazione prossima al 100% sia per il Pd che per il M5s, ma anche il Pdl è vicino al 90%. (https://www.creativesystems.com/) Solo gli elettori di Monti e della Lega sembrano avere disertato le urne un po’ più massicciamente, ma comunque il 70% ha votato. I giovani sembrano essere stati poco mobilitati a Treviso.

    Tabella 4. Matrice delle destinazioni – Treviso

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  • Il referendum e l’istruzione

    Il referendum e l’istruzione

    di Matteo Cataldi

    Tra gli elettori che in merito al referendum del prossimo 4 dicembre hanno già maturato una scelta di voto, il sondaggio Cise-Sole 24 Ore, mostra un andamento chiaro dei favorevoli/contrari alla riforma a seconda del titolo di studio conseguito.

    Nel campo del No questa tendenza è lineare. La massima concentrazione dei contrari alla riforma si ha tra i laureati (41%) e i diplomati (39%). In queste due categorie il vantaggio sul Sì è massimo (oltre 10 punti), con i favorevoli al 29% tra i laureati e al 30% tra i diplomati. Nel passaggio agli intervistati con un livello di studio più basso, gli oppositori della riforma costituzionale calano di 10 punti percentuali, al 29%, per chi possiede la licenza media, ancora davanti al Sì, ma per meno di due punti. Tra chi non è in possesso di alcun titolo di studio o ha conseguito, al più, la licenza elementare, i rapporti di forza tra i due schieramenti si ribaltano rispetto alla situazione vista fra gli elettori più istruiti. In questa categoria i favorevoli alle modifiche costituzionali superano il 35% e sopravanzano i contrari di oltre 10 punti (24%).

    Gli indecisi e chi, almeno per il momento, sarebbe orientato verso l’astensione, rappresentano poco più di un terzo del nostro campione (36%). Risultano sovrarappresentati tra coloro che hanno un titolo di studio basso, e in modo particolare, tra gli intervistati in possesso della licenza di scuola media inferiore (44%) e, sottorappresentati tra chi ha un diploma (32%) e chi ha conseguito una laurea (30%)

     

    Tab. 1 – Intenzioni di voto al referendum per titolo di studio

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  • De Magistris stravince con i suoi soli voti: i flussi elettorali fra primo e secondo turno a Napoli

    De Magistris stravince con i suoi soli voti: i flussi elettorali fra primo e secondo turno a Napoli

    di Matteo Cataldi e Aldo Paparo

    De Magistris è di nuovo sindaco di Napoli. Come cinque anni fa il candidato del centrodestra, Lettieri, si è dovuto arrendere al secondo turno. Per lo meno stavolta non ha il rimpianto di avere dilapidato fra primo turno e ballottaggio un cospicuo vantaggio (era 11 punti avanti nel 2011 e quasi venti indietro quest’anno). Il risultato finale è curiosamente assai simile a quello di cinque anni fa: De Magistris avanza di un punto e mezzo, arrivando al 66,85% e doppiando quindi lo sfidante.

    L’analisi dei flussi elettorali fra primo e secondo turno ci permette di indagare come si sia venuto determinando tale esito. Come cinque anni fa, Lettieri conferma meno dei due terzi dei propri elettori del primo turno (Tab. 1). Questa volta per lo meno non subisce passaggi diretti verso il rivale, ma solo una forte defezione verso il non voto (38%). Molto più alto di tasso di fedeltà fatto segnare dal sindaco uscente: pari al 92%. Nessuna cessione verso il non voto per lui, si registra però un flusso diretto verso Lettieri (8%).

    Molto interessante poi il comportamento degli elettori dei candidati giunti terzi e quarti al primo turno. quanti avevano votato la candidata del centrosinistra Valente si sono astenuti per i tre quarti. Quanti hanno votato hanno però scelto Lettieri in misura di due a uno. Al contrario, nessun elettore del M5s ha votato il candidato di centrodestra. Si sono divisi egualmente fra De Magistris e non voto.

    Tab. 1 – Napoli (sindaco): Destinazioni al secondo turno  degli elettorati del primo turno.
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    La Tabella 2 riporta come sono composti gli elettorati al secondo turno. Possiamo vedere come un decimo dei voti di De Magistris provengano da elettori del M5s del primo turno, mentre Lettieri abbia pescato oltre un terzo dei propri voti al di fuori del proprio elettorato del primo turno. In particolare, un sesto proviene da elettori della Valente.

    Tab. 2 – Napoli (sindaco): Provenienze al primo turno degli elettorati del secondo turno.
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    Il diagramma riportato nella Figura 1 consente di visualizzare immediatamente i diversi flussi di elettori e la loro consistenza numerica. Si vede chiaramente come, a parte la fascia grigia che identifica gli astenuti del primo e del secondo turno, la banda più rilevante sia quella degli elettori che hanno votato in entrambi i turni di De Magistris, che poi ha un ingresso rilevante dal candidato del M5s. Lettieri ha mantenuto una fetta più piccola di un bacino che era già più piccolo in partenza, e i pur più numerosi flussi in entrata (da Valente, De Magistris e candidati minori) sono stati davvero poco rilevanti e non in grado di scalfire il vantaggio dell’incumbent.

    Fig. 1 – Napoli (sindaco): Matrice dei flussi fra primo e secondo turno.
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    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, Matteo, Emanuele, Vincenzo, e Paparo, Aldo. [2012]. Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli. Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 67, 5–43.

    Corbetta, P.G., e H.M.A. Schadee [1984], Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.

    De Sio, L. [2009], Oltre il modello di Goodman. La stima dei flussi elettorali in base a dati aggregati, «Polena», vol. 6, 1, pp. 9-35.


    Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 886 sezioni del comune di Napoli. Il valore dell’indice VR è pari a 5,1.

  • Radiografia di una mutazione genetica: i flussi elettorali a Torino

    Radiografia di una mutazione genetica: i flussi elettorali a Torino

    Una mutazione genetica. Se è vero che il risultato elettorale di Piero Fassino è stato deludente rispetto alla prova del 2011 (41,8 % contro il 56,6 % del 2011), ciò che è ancora più interessante è scoprire che la perdita di 95.000 voti da parte del candidato sindaco del Pd si accompagna a un cambiamento significativo della sua base elettorale. Sotto il semplice calo si cela infatti un complesso di flussi incrociati che permette di dare una lettura sorprendente al risultato di Torino, che in parte potrebbe suggerire spunti utili per analizzare anche altre città.

    Per stimare i flussi abbiamo effettuato un’analisi basata sull’applicazione del modello di Goodman ai dati delle sezioni elettorali del comune di Torino (stima di 8 analisi separate per sotto-aggregazioni geografiche; indice VR medio=8,20; SD=2,21).

    I risultati delle nostre stime possono essere sintetizzati nei seguenti punti:

    1. Su 100 elettori di Fassino del 2011 (primo turno) lo hanno seguito nel 2016 soltanto 42. Ben 32 di loro avrebbero invece votato per la Appendino, mentre 14 di loro si sarebbero astenuti. Il dato quindi è che un elettore su tre del centrosinistra del 2011 ha votato per il M5S.
    2. In parte questo corrisponde a un fenomeno corrispondente nel centrodestra. Tra gli elettori di questo schieramento nel 2011, la maggioranza relativa (34 su 100) sarebbe andata verso Fassino, con al secondo posto l’astensione (27 su 100), e solo al terzo Morano, candidato di Lega Nord e Fratelli d’Italia.

    In sostanza, staremmo assistendo a un cambiamento significativo della struttura dell’elettorato del Pd (in questo caso di Fassino), che avrebbe perso una parte importante di elettori verso il M5s, solo in parte compensata da apporti provenienti dal centrodestra.

    Tabella 1 – Torino (sindaco): Destinazioni 2016 degli elettorati 2011 (primo turno)

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    Il risultato è che oggi l’elettorato di Fassino sarebbe composto solo al 65% di ex elettori di centrosinistra, più oltre un quarto (26%) proveniente dal centrodestra. In ogni caso spicca la massiccia smobilitazione del centrodestra (27% verso l’astensione), testimoniando come gli elettori di quest’area sembrano ancora orfani di un’offerta politica in grado di mobilitarli.

    Tabella 2 – Torino (sindaco): Provenienze 2011 degli elettorati 2016 (primo turno)

    provLa configurazione complessiva dei flussi può infine essere sintetizzata in una rappresentazione grafica innovativa (sotto forma di mappe circolari, frequentemente usate in genetica per la rappresentazione del genoma) che permette di visualizzare i flussi di voto sotto forma di vere e proprie “correnti” che vanno da un partito all’altro tra due diverse elezioni. La provenienza di questo strumento dalla genetica ha una risonanza ironica con il vero e proprio “mutamento genetico” dell’elettorato di Fassino in queste elezioni…

    Il diagramma non è di lettura immediata, ma una volta compreso il meccanismo è in verità molto semplice. I candidati del 2011 sono nella metà sinistra del diagramma; quelli del 2016 nella metà destra. I voti di ogni candidato sono rappresentati da un arco di circonferenza, lungo in proporzione alla percentuale di voti ottenuta (rispetto agli aventi diritto, non ai voti validi).

    Nel diagramma è chiaramente visibile che:

    1. Il flusso di gran lunga più grande (bianco quasi trasparente) è dal “non voto” 2011 al “non voto” 2016;
    2. Riguardo a Fassino (CS) 2011, è chiaramente visibile che il flusso maggiore (arancione) va verso Fassino 2016, ma c’è un importantissimo flusso (giallo) che esce verso il M5s (che riceve anche flussi da altri candidati del 2011).
    3. Il Fassino del 2016 riceve un flusso importante da Coppola (centrodestra)  e uno (meno importante) da Musy (centro).
    4. Infine, il terzo flusso più importante da Fassino va verso l’astensione (bianco).

     

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    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, Matteo, Emanuele, Vincenzo, e Paparo, Aldo. [2012]. Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli. Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 67, 5–43.

    Corbetta, P.G., e H.M.A. Schadee [1984], Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    De Sio, L. [2008], Elettori in movimento. Nuove tecniche di inferenze ecologica per lo studio dei flussi elettorali, Firenze, Edizioni Polistampa.

    De Sio, L. [2009], Oltre il modello di Goodman. La stima dei flussi elettorali in base a dati aggregati, «Polena», vol. 6, 1, pp. 9-35.
  • Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli

    Cataldi, Matteo, Emanuele, Vincenzo, & Paparo, Aldo. (n.d.). Elettori in movimento nelle Comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli. Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 67, 5–43. Retrieved from https://www.regione.toscana.it/documents/10180/452241/osservatorio%20elettorale%2067_Cataldi/df2acf48-6944-4072-b1b4-046d22b6bcc2

    In 2011 Italian local elections we observed high electoral mobility: in Milan, for example, the center-left gained his first-time victory in the Berlusconi era, while in Naples there was a significant split voting in the first round and a huge turnaround between the first and the second ballot. A general research question emerged: are the shifts in the results understandable trough a left-right axis (political nature hypothesis of these elections) or were there cross-cutting mechanisms (local nature hypothesis of the elections with a strong role of personal aspects)?
    To answer the question we analyze the voting ecological estimates in the three biggest cities involved in 2011 elections: Milan, Naples and Turin. For every matrix we generated the estimates both applying the traditional Goodman model (for the whole city and splitting by district) and the hierarchical multinomial-dirichlet model developed by Rosen, Jiang, King and Taner.
    The most important result of our study is the strong political polarization of the vote in the two northern cities and a great importance of the local factors in Naples, where only a dominant role of the candidates can make sense of the detected shifts in voting behaviour.

  • Regionali Veneto: stavolta la sfida è aperta?

    Regionali Veneto: stavolta la sfida è aperta?

     

    La regione Veneto, assieme alla Lombardia, è l’unica regione italiana a non essere mai stata amministrata dal centrosinistra, almeno da quando la legge Costituzionale del 22 novembre 1999 n. 1, ha introdotto l’elezione diretta del Presidente della Giunta. Negli anni della cosiddetta Seconda Repubblica è sempre stato un candidato di centrodestra a sedere a Palazzo Balbi. Prima Galan per un quindicennio, e successivamente, dal 2010, il Presidente uscente Luca Zaia. La volta che una coalizione di centrosinistra è stata più vicina alla Presidenza (si fa per dire), fu nel 1995 all’esordio della nuova legge elettorale, quando Bentsik che guidava una coalizione composta da Pds, Popolari, Patto dei Democratici, Verdi e Pri si fermò 6 punti dietro Galan. Ma allora la coalizione dell’ex Presidente non comprendeva ancora la Lega Nord, il cui candidato ottenne oltre il 17% dei voti. La volta scorsa, cinque anni fa, Zaia mise oltre 31 punti tra sé e Bortolussi, l’allora candidato del centrosinistra. Finì infatti 60,2 a 29,1 (tabella 1).

    Tabella 1. Risultati elezioni regionali 2010

    Non è andata meglio, per il centrosinistra, nelle elezioni parlamentari. In Veneto (e più in generale in tutto il Nord-Est) la condizione del centrosinistra è sempre stata di storica debolezza. Tanto che, quando in anni recenti si è tornato a parlare, dapprima nella pubblicistica e successivamente, di rimbalzo, anche nel mondo accademico, di “questione settentrionale[1]”, declinata in chiave politica era soprattutto ai partiti del centrosinistra che veniva ricondotta la difficoltà a parlare a questa parte del Paese, ad entrare in sintonia con un territorio a imprenditorialità diffusa con un tessuto produttivo fatto di piccole e medie aziende mediamente molto dinamico e aperto al mercato e alla concorrenza internazionale[2].

    Il Veneto ha invece sempre costituito uno dei territori di elezione del forzaleghismo (Berselli) e del carroccio in modo particolare. Il centrodestra in questa regione non è mai sceso (con l’eccezione del 1995) sotto il 60% dei voti (Tabella 2). E la Lega Nord-Liga Veneta in due occasioni si impose anche sopra agli alleati d’area: alle politiche del 1996, quando ottenne più voti della somma di Fi e An e in occasione delle regionali 2010, quando superò il Pdl. Del resto basta dare un’occhiata alla figura 1 per osservare come il partito di Bossi fosse il partito più votato in una larghissima maggioranza dei comuni della regione: 464 su 581, l’80% circa. Lasciando al Pdl solo un’ottantina di comuni e poco più che le briciole, 36 comuni, (pari al 6% del totale), al Pd guidato allora da Pierluigi Bersani. Tra questi il comune di Venezia e quello di Padova oltre a una parte di quelli della provincia di Rovigo, da sempre la provincia più a sinistra delle sette.

    Tabella 2. Risultati elezioni regionali ed elezioni Politiche (Camera dei deputati) 1994-2013

    Figura 1. Primo partito per comune 2010-2014

    Il terremoto politico[3] del 24 e 25 febbraio 2013 ha scosso alle fondamenta anche (se non soprattutto) questa regione. Il Movimento 5 stelle, al debutto in una elezione di livello nazionale è risultato il più votato, ottenendo in Veneto il 26,3% dei voti validi. Primo in 6 province su 7 e in 396 comuni su 579, pari ad oltre il 68% del totale. La portata del successo dei cinque stelle, unita alla buona performance della coalizione di liste legate al Presidente del Consiglio Mario Monti, non poteva che squassare i vecchi equilibri tra partiti e schieramenti e mettere in discussione i precedenti rapporti di forza. Anzitutto decretando un forte ripiegamento della Lega Nord verso i minimi storici di consenso. Lega, peraltro già colpita dagli scandali che avevano coinvolto il “cerchio magico” attorno a Bossi e costretto lo stesso Senatùr alle dimissioni appena un anno prima. E sulla direzione presa dagli elettori in uscita dalla Lega Nord, già in occasione delle elezioni comunali del 2012, le analisi dei flussi elettorali presentate su questo stesso sito, non lasciavano dubbi[4]: il principale flusso in uscita prendeva quasi sempre la direzione del partito di Grillo. Ma è tutto il centrodestra a patire un’emorragia di consensi senza precedenti, passando, in termini percentuali dal 60,7 del 2010 al 31,8 e lasciando per strada 426.000 voti circa.

    Ma se Atene piange, Sparta non ride. Fuor di metafora: il centrosinistra, complice la scomparsa dell’Idv, arretra ancora, perfino rispetto alla disastrosa prova del 2010 e nonostante un lievissimo incremento della percentuale dei voti al Pd (+1%).

    Appena un anno più tardi, in occasione delle elezioni europee, si assiste ad un nuovo scossone elettorale[5]. Il nuovo corso inaugurato dall’avvio della segreteria di Matteo Renzi (dicembre 2013), che nel febbraio del 2014 approda a Palazzo Chigi, porta il Pd al 37,5% dei voti regionali (+271.000 voti) (tabella 3). Nessun partito negli anni della Seconda Repubblica è mai riuscito a fare meglio in termini percentuali. Rispetto al 2013 arretra ulteriormente Forza Italia, perfino sommandovi per intero i voti della lista Ncd-Udc e viene scavalcata dalla Lega di Matteo Salvini che ottiene oltre il 15% (+54.000 voti). Si prosciuga il bacino dei voti delle liste di centro dopo l’exploit del 2013. Le analisi dei flussi elettorali[6] ci dicono che questi elettori hanno premiato in maniera massiccia il Pd. Ma il partito che patisce la perdita più grande è proprio il più votato nelle elezioni dell’anno precedente, ovvero il M5s che smarrisce 300.000 voti, arretrando di 6,4 punti percentuali e fermandosi appena sotto il 20%. L’avanzata del Pd è prepotente (+76%) e il distacco dagli avversari mediamente contenuto, così il partito dell’ex sindaco di Firenze risulta il più votato nella quasi totalità dei comuni (figura 1): 536 su 579, il 93%. Nei restanti 43, la Lega Nord è primo partito in 34, la gran parte concentrati sulle Prealpi veronesi e al confine tra la provincia di Verona e quella di Vicenza.

    Tabella 3. Risultati elezioni europee 2014

    La sfida delle urne il prossimo 31 maggio vedrà opporsi all’incumbent Zaia, altri sei candidati sostenuti da ben 19 liste (erano 15 le regionali scorse a fronte di un numero di candidati Presidente identico).

    La coalizione di Zaia è composta da cinque liste (tabella 4): Forza Italia, Lega Nord-Liga Veneta, Fratelli d’Italia-AN, la lista personale dell’ex Ministro delle Politiche agricole (Zaia Presidente) e la lista Noi Veneto Indipendenza, inizialmente ammessa, poi esclusa dalla Corte d’appello di Venezia perché troppo simile nel nome e nel simbolo a quella di Indipendenza Veneta che appoggia il candidato governatore Morosin, e infine riammessa dal Tar regionale. Ma la destra si presenta comunque divisa di fronte ai circa 4 milioni di veneti al voto tra 8 giorni. Gli attriti nella Lega tra la segreteria federale di Salvini da un parte, e il sindaco di Verona, Flavio Tosi, dall’altra, hanno portato al commissariamento della Liga Veneta e infine all’espulsione di Tosi (10 marzo 2015).  Pochi giorni più tardi l’ex segretario della Liga Veneta annuncia la propria candidatura. Incassa l’appoggio dell’Udc e dell’Ncd e schiera un nutrito numero di liste civiche e formazioni minori, ben cinque, che portano il totale delle liste a sostegno della sua candidatura a sei.

    Alessandra Moretti è la candidata del centrosinistra, eletta a Strasburgo lo scorso maggio ottenendo 139.000 preferenze in Veneto, si è dimessa a gennaio di quest’anno per correre per la Presidenza della Giunta regionale. E’ sostenuta da SEL, Verdi e Socialisti, che presentano una lista congiunta (Ven[e]to Nuovo), da Veneto Autonomo (lista del movimento di ispirazione regionalista) e, oltreché dalla lista del proprio partito, da una personale (Alessandra Moretti Presidente) ed una civica, che accoglie al proprio interno un buon numero di sindaci ed ex amministratori locali (Veneto Civico).

    Il Movimento 5 stelle candida l’imprenditore padovano Jacopo Berti. Infine, oltre al già citato Morosin per Indipendenza Veneta, Laura Di Lucia Coletti si candida per l’Altro Veneto, lista promossa da comitati e associazioni ambientaliste e solidali che ha visto convergere sulla candidata a Palazzo Balbi anche Rifondazione Comunista e Comunisti italiani.

    Tabella 4. Candidati e liste alle elezioni regionali 2015

    Vale la pena soffermarsi brevemente sulla nuova legge elettorale regionale approvata nel 2012 (l.r. n.5 del 16 gennaio 2012) e poi ulteriormente modificata a distanza di 3 anni (l.r. n. 1 del 27 gennaio 2015). Le novità più rilevanti rispetto alla legge n. 43 del 23 febbraio 1995 (cosiddetta Tatarella), riguardano anzitutto l’abolizione del listino regionale, la riduzione del numero dei consiglieri regionali che passeranno dai 60 attuali a 49 (oltre al Presidente proclamato eletto e al candidato miglior perdente), e la rimodulazione del premio di maggioranza, che in ogni caso resterà majority-assuring, ovvero sempre in grado di produrre una maggioranza in Consiglio regionale. Più nel dettaglio, alla coalizione regionale collegata al candidato proclamato eletto spettano il 60% dei seggi in Consiglio, se la coalizione ha ottenuto almeno il 50% dei voti maggioritari; percentuale di seggi che scende al 57,5 nel caso la coalizione suddetta abbia conseguito una percentuali di voti compresa tra il 40 e il 50 e che si abbassa ulteriormente al 55 se la coalizione collegata al candidato proclamato Presidente non raggiunge il 40% dei voti validi. Con la medesima legge è stato inoltre imposto il limite di due mandati anche ai consiglieri regionali e agli assessori ed è stato previsto che le liste circoscrizionali siano composte in egual misura da candidati di entrambi i generi, alternati tra loro.

    In conclusione il Veneto, come del resto buona parte del paese, sembra attraversare un momento di grande fluidità negli orientamenti di voto (la figura 1 ne è la dimostrazione plastica!). Non si tratta di una novità assoluta, dal momento che a partire dal 1994, questa regione ha rappresentato una delle regioni con la più alta volatilità totale. L’incognita dell’astensione costituisce inoltre un ulteriore elemento di incertezza sulla vittoria di un candidato o dell’altro. Molto dipenderà dalla scelta che faranno gli elettori, in primis sul recarsi a votare oppure no. Ad ogni modo, per la prima volta da molto tempo in questa regione, la vittoria della schieramento di centrodestra seppur più probabile di quella del principale schieramento avversario, non può essere data per scontata.

     

    Riferimenti bibliografici:

    Carrubba S., Il voto del Nord, un segnale all’Unione, in “Il Sole 24 Ore”, 12-4-2006.

    Cataldi, M. [2012] Bilancio degli elettori in movimento fra 2010 e 2012 attraverso l’analisi dei flussi elettorali, in De Sio, L. e Paparo, A. (a cura di), Le elezioni comunali 2012, Roma, CISE.

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) [2014], Terremoto politico, Bologna, Il Mulino.

    Colloca, P. e Vignati, R. [2014], Flussi: Renzi vince ma senza sfondare a destra, in Valbruzzi, M. e Vignati, R. (a cura di), L’Italia e l’Europa al bivio delle riforme. Le elezioni europee e amministrative del 25 maggio 2014, Bologna, Istituto Cattaneo.

    Diamanti I., Il falso mito del Nord, in “La Repubblica”, 16-4-2006

    Ignazi P., Ma grandi città e terziario premiano l’Unione, in “Il Sole 24 Ore”, 16-4- 2006.

    Pasquino G., La Leggenda del Nord, in “La Repubblica”, 18-4-2006.

    Perulli, P. e Pichierri, A. (a cura di), [2010], La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi.

    Ricolfi, L., Ferragutti, P. e Dallago, F. [2006], Le elezioni di aprile e la “questione settentrionale”, in Mannheimer e Natale (a cura di), L’Italia a metà : dentro il voto del paese diviso, Milano, Cairo.

    Ricolfi, L. e Ferragutti, P. [2007], Modernizzazione della politica e questione settentrionale, in Feltrin, Natale e Ricolfi, Nel segreto dell’urna, Torino UTET.

     


    [1] Si veda, tra gli altri: Ricolfi, Ferragutti e Dallago (2006), Ricolfi e Ferragutti (2007), Pasquino (2006), Ignazi (2006) Diamanti (2006).

    [2] Si veda Perulli e Pichierri (2010).

    [3] Cfr. Chiaramonte e De Sio (2014).

    [4] Si veda Cataldi (2012).

    [5] Nel mezzo, tra le politiche del 2013 e le europee del 2014, mettiamoci pure la vittoria simbolica di Manildo a Treviso alle comunali del 2013, che ha interrotto 20 anni di amministrazione leghista della città, e la riconferma al primo turno di Variati a Vicenza, che nel 2008 riuscì a imporsi (di stretta misura) solo al ballottaggio.

    [6] Si veda Paparo e Cataldi (2014) e Colloca e Vignati (2014).

  • Regionali in Emilia-Romagna, chi può insidiare Bonaccini?

    di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele

    Il 9 luglio di quest’anno si è chiusa un’epoca. Quella di Vasco Errani alla Presidenza della Giunta regionale dell’Emilia Romagna. Dimessosi a seguito della condanna in appello, che giungeva dopo l’assoluzione in primo grado, per il caso Terremerse, in cui l’ex governatore era accusato di falso ideologico nell’ambito dell’inchiesta che lo ha visto imputato per via di un finanziamento della Regione alla cooperativa guidata allora dal fratello del Presidente. Errani era stato eletto per la prima volta oltre 15 anni fa e da allora era stato riconfermato per ben tre volte alla Presidenza della Regione. In nessuna di queste elezioni Errani era stato messo in serie difficoltà dagli avversari, neppure negli anni di congiuntura politica particolarmente sfavorevoli al centrosinistra come accadde nel 2000 quando l’allora Presidente del Consiglio D’Alema si dimise, proprio in seguito alla sconfitta subita in occasione delle elezioni regionali. E come è accaduto 10 anni dopo, nel 2010, quando il centrodestra guidato da Berlusconi (allora Presidente del Consiglio) riuscì a vincere in 6 regioni rispetto alle 2 vinte nel 2005.

    Cuore della ex “Zona rossa”, l’Emilia-Romagna non è mai stata una regione “contendibile”. Il dominio del Partito Comunista prima e dei suoi epigoni poi è sempre stato schiacciante, e le forze politiche moderate e conservatrici (la Dc prima, Forza Italia e i suoi alleati poi) sono sempre stati relegati al ruolo di opposizione permanente. Questo trend non è cambiato nemmeno negli ultimi anni, come possiamo notare osservando la Tabella 1, che mette a confronto i risultati dei partiti italiani nelle ultime 3 competizioni elettorali avvenute nella regione, ossia le Regionali 2010, le Politiche 2013 e le Europee 2014. La distanza tra centrosinistra e centrodestra (intesi come Pd e alleati contro Forza Italia e alleati) non è mai scesa sotto la doppia cifra, raggiungendo addirittura i 33 punti di scarto alle Europee del 2014. Nemmeno l’emersione del Movimento 5 Stelle, che proprio in Emilia nel 2010 ottenne il suo primo risultato rilevante (6%) è riuscita a modificare tali rapporti di forza. Anzi, il boom del partito di Grillo ha contribuito ad ampliare ancora di più il gap tra i due schieramenti principali, contendendo il ruolo di seconda forza al centrodestra berlusconiano. Ragionando in termini di voti assoluti, la coalizione guidata dal Pd ha sempre ottenuto più di 1 milione di voti validi, raggiungendo un milione e 200.000 voti alle ultime europee. Forza Italia e i suoi alleati, invece, che nel 2010 veleggiavano oltre gli 800.000 voti, hanno visto crollare il proprio consenso di più di 350.000 voti nel giro di 4 anni. Questa massiccia erosione del voto al centrodestra è avvenuta in presenza di un numero di votanti complessivamente stabile (poco meno di 2 milioni e 400.000 sia alle Regionali 2010 che alle Europee 2014).

    Tab. 1 – Risultati elettorali dei principali partiti in Emilia-Romagna (2010-2014), voti assoluti e percentuali.

    Oggi le cose stanno diversamente, perché il contesto politico è mutato radicalmente. Il centrosinistra anzitutto è stato colpito duramente dalle inchieste della magistratura, oltre che dalla condanna del Presidente uscente – in attesa del terzo grado di giudizio – dalle indagini che vedono coinvolti la quasi totalità dei consiglieri regionali per la gestione dei soldi pubblici derivanti dal finanziamento ai gruppi consiliari. In secondo luogo dal fatto che, almeno a partire dalle elezioni del 2013 e poi alle successive elezioni Europee, così come nei successivi test parziali di livello ammnistrativo[1], la volatilità elettorale, che misura la fluidità degli orientamenti di voto è letteralmente esplosa, producendo risultati inaspettati anche in aeree che si credevano saldamente in mano all’una o all’altra parte politica. Infine oggi una variabile che assume ancora più salienza è quella relativa all’affluenza, che per le ragioni già espresse, è prevista in drammatico calo la prossima domenica, specie se confrontata con il 68,1% delle scorse regionali. Il crollo dell’affluenza registrato alle primarie del Partito Democratico per la selezione del candidato alla Presidenza, in questo senso, non fa presagire niente di buono per le elezioni del prossimo 23 novembre.

    Rispetto a cinque anni fa, a luglio di quest’anno, il Consiglio regionale ha approvato la nuova legge elettorale che mantiene l’impianto della legge precedente (la “Tatarella”, l. 43/1995) ma accoglie alcune modifiche sostanziali. La novità più importante concerne l’abolizione del cosiddetto “listino del Presidente”, ossia i seggi di premio assegnati alle liste che appoggiano il Presidente eletto. Rispetto alla Tatarella un seggio viene assegnato automaticamente al candidato Presidente arrivato secondo. Gli altri 9 (compreso il seggio per il Presidente della Giunta regionale) sono assegnati alla coalizione vincente qualora questa non raggiunga il 50% dei seggi (ovvero 25 su 50) nel riparto proporzionale (in cui, analogamente alla Tatarella, sono assegnati 40 seggi in circoscrizioni provinciali); altrimenti, se la coalizione raggiunge o supera il 50% dei seggi, ottiene un premio più che dimezzato, di 4 seggi. Altra modifica cruciale è la previsione, qualora la coalizione vincente non raggiunga i 27 seggi perfino dopo l’assegnazione del premio intero, dell’attribuzione di questi seggi aggiuntivi togliendoli da quelli attribuiti alle liste di opposizione (con la Tatarella questa fattispecie provocava invece l’aumento dei seggi consiliari). Infine un’altra novità riguarda l’espressione del voto di preferenza all’interno della lista prescelta: viene introdotta la possibilità per l’elettore di esprimere fino a due preferenze, purché riguardanti candidati di sesso distinto (è la c.d. “doppia preferenza di genere”).

    Domenica prossima la poltrona di Presidente della Regione sarà contesa da 6 candidati, appoggiati complessivamente da 11 liste.  Il favorito è ovviamente Stefano Bonaccini, segretario regionale del Pd e vincitore delle discusse primarie del 28 settembre, celebrate nel bel mezzo dello scandalo sui rimborsi elettorali ai gruppi consiliari che ha investito anche il Pd emiliano. Rispetto al 2010, il perimetro delle due coalizioni principali si è ridotto: da una parte Rifondazione comunista, che appoggiava Errani nel 2010 adesso corre da sola (con Maria Cristina Quintavalla candidato Presidente), dall’altra il Nuovo centrodestra è uscito dalla coalizione berlusconiana e forma una lista comune con l’Udc[2] a sostegno di Alessandro Rondoni. Bonaccini è dunque appoggiato da 4 liste (corrispondenti all’area dell’ex centrosinistra bersaniano, con Pd, Sel e Centro democratico), mentre il suo principale sfidante, Alan Fabbri, sindaco leghista di Bondeno (FE) è sostenuto, oltre che dalla Lega stessa, anche da Forza Italia e Fratelli d’Italia. E’ proprio la candidatura di Fabbri pare essere la principale novità di questa tornata elettorale, con la Lega che – spinta a livello nazionale dal consenso crescente del segretario Salvini – si candida a recitare il ruolo di principale partito del centrodestra ai danni  di una Forza Italia in netto declino. Infine, gli altri due candidati Presidente sono Giulia Gibertoni per il Movimento 5 Stelle e Maurizio Mazzanti appoggiato da una lista civica.

    Tab. 2 – Regionali 2014 in Emilia-Romagna: liste e candidati Presidente.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), Bipolarismo addio? Il sistema partitico tra cambiamento e de-istituzionalizzazione, in A. Chiaramonte and L. De Sio, Terremoto elettorale. Le elezioni politiche 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.

    De Sio, L., Emanuele, V. e Maggini, N. (a cura di) (2014), Le Elezioni Europee 2014, Dossier CISE (6), Roma, CISE.

     

     



    [1] Si veda Chiaramonte e Emanuele (2014) per la volatilità; Cataldi e Marino per le recenti elezioni a Reggio Calabria (/cise/2014/11/07/comunali-2014-lanalisi-dei-flussi-elettorali-a-reggio-calabria) ; De Sio, Emanuele  e Maggini (2014) per un’analisi sul voto alle elezioni europee in Italia.

    [2] Anche alle regionali in Calabria sta avvenendo qualcosa di simile, con Ncd che è uscito dalla coalizione berlusconiana e si presenta in una lista comune con l’Udc. Per approfondire, /cise/2014/11/16/verso-le-regionali-in-calabria-sistema-elettorale-candidati-e-struttura-della-competizione.

  • Comunali 2014: l’analisi dei flussi elettorali a Reggio Calabria

    di  Matteo Cataldi e Bruno Marino

    Le elezioni comunali di Reggio Calabria del 26 Ottobre hanno rappresentato una vera e propria svolta per la città. Due anni fa il Ministro dell’Interno aveva deciso di sciogliere il consiglio comunale per contiguità ed infiltrazioni mafiose e di inviare i commissari prefettizi in città.

    Il precedente consiglio era stato eletto nel 2011. In quell’occasione, Demetrio Arena, leader del centrodestra, aveva ottenuto il 56% dei voti mentre il candidato del centrosinistra, Massimo Canale, si era fermato al 28%.

    Lo scorso Ottobre i cittadini di Reggio Calabria sono tornati a votare per eleggere il sindaco ed il consiglio comunale. La coalizione di centrosinistra, guidata da Giuseppe Falcomatà – figlio di Italo, il sindaco protagonista del periodo di rinnovamento della città noto come “Primavera di Reggio” – ha vinto al primo turno.

    Falcomatà ha ottenuto oltre il 60% dei voti, mentre il suo diretto concorrente, Lucio Dattola, a capo delle liste di centrodestra, ha ottenuto un modesto 27%. Un altro dato da considerare è il crollo verticale del Movimento Cinque Stelle. Mentre alle elezioni politiche del 2013 il partito di Grillo aveva ricevuto il 25% dei consensi, solo un anno dopo il M5S ha ottenuto meno del 3% dei voti validi.

    Come hanno votato alle recenti comunali, se lo hanno fatto, gli elettori che in misura massiccia scelsero il partito di Grillo appena venti mesi fa? E grazie ai quali voti, provenienti da dove, Falcomatà è oggi sindaco di Reggio Calabria? A questo genere di domande è possibile rispondere grazie alla stima dei coefficienti di flusso calcolati a partire dal risultato del voto nelle singole sezioni cittadine. Come ogni stima statistica, quella dei coefficienti presentati nelle tabelle di questo testo, può essere affetta da un ridotto margine di incertezza. Che è minimo per i partiti e le liste elettoralmente più grandi e maggiore per quelle più piccoli (Schadee e Corbetta 1984).

     Tabella 1 – Flussi di voto tra le elezioni Politiche 2013 e le comunali 2014: matrice delle destinazioni

    La tabella 1 indica la destinazione dei voti 2013 alle comunali 2014. Ad esempio, guardando alla prima colonna, si vede che coloro i quali avevano votato Sinistra e Libertà alle ultime politiche hanno deciso per oltre la metà (57%) di astenersi nel 2014.

    Per iniziare, il dato su cui vorremmo porre l’attenzione è l’alta mobilità elettorale riscontrata. Oltre un terzo degli astenuti alle politiche 2013 si è rimobilitata in occasione delle recenti comunali, facendo in massima parte convergere i propri voti sulla coalizione del neo-sindaco. Per di più, molti elettori del M5S alle politiche 2013 hanno deciso di abbandonare il partito di Grillo per sostenere altri partiti. La parte del leone l’ha ottenuta Falcomatà, circa 2/3 di coloro i quali avevano votato Grillo nel 2013 ha deciso di votare per il centrosinistra alle comunali.

    La sconfitta di Dattola si spiega in più modi: in entrata il candidato del centrodestra non si è mostrato capace di raccogliere la maggior parte dei voti del terzo polo guidato da Mario Monti, a differenza di quanto invece è riuscito a fare il candidato del centrosinistra con gli elettori in fuga dal Movimento 5 stelle. Degli elettori di Monti alle politiche 2013, infatti, oltre la metà ha deciso di non votare e “solo” il 40% ha supportato il centrodestra. In più, verso il centrodestra si è rivolto solo il 15% di quelli che avevano votato Cinque Stelle nel 2013.

    Non meno importante nel decretare la sconfitta del centrodestra e, per converso, la vittoria della coalizione di centrosinistra, si è dimostrata l’abilità dei due principali candidati di convincere quegli elettori che nel 2013 avevano votato una lista del proprio schieramento a tornare alle urne. Infatti, la fedeltà di voto degli elettori di centrosinistra è stata assai più alta di quella del centrodestra (74 elettori su 100 di Pd e Centro Democratico nel 2013, hanno oggi scelto una lista collegata a Falcomatà). Diversamente, solo 54 elettori su 100 del Pdl ha optato per una lista che sostenesse Dattola e un altro terzo circa ha scelto la coalizione di Falcomatà – non votando per il PD, Centro Democratico o per la lista A Testa Alta per la Calabria, ma piuttosto per altre liste del centrosinistra. Insomma, la coalizione di Falcomatà, oltre ad avere una fedeltà più alta rispetto al diretto concorrente ,è riuscita a catturare molti voti dei Cinque Stelle e in parte anche del centrodestra.

    Infine, un numero rilevante di elettori si è mosso verso l’astensione. Circa un quinto di coloro i quali avevano votato PD e Centro Democratico o PDL ha deciso di non votare alle comunali 2014. (https://www.solidstonefabrics.com) Più della metà degli elettori di Monti e di SEL nel 2013 ha deciso di fare la stessa scelta.

    Naturalmente, la tabella che abbiamo analizzato racconta solo una parte del voto di Reggio Calabria. Finora abbiamo visto i flussi di voto a partire dalle politiche 2013 (ad esempio, fatto 100 il totale di voti ad un partito nel 2013, che percentuale di questi voti è andata allo stesso partito nel 2014?), ma ovviamente questa analisi rappresenta solo un lato della medaglia.

     Tabella 2 – Flussi di voto tra le elezioni Politiche 2013 e le comunali 2014: matrice delle provenienze 

    La tabella 2 indica da dove provengono i voti ottenuti alle comunali 2014. Per esempio, fatto 100 il totale dei voti ottenuti dalla lista A Testa Alta per la Calabria – la lista di Peppe Bova, storico esponente del PCI-PDS-DS-PD – si scopre che circa un terzo (più di 2.000 voti) arriva da coloro i quali avevano votato M5S alle politiche 2013 (mentre un quinto circa arriva da elettori PD e Centro Democratico). Inoltre, circa un altro quinto dei voti di questa lista proviene da persone che nel 2013 avevano votato PDL. Insomma, la lista di Bova sembra essersi comportata secondo una logica “pigliatutto” (Kirchheimer 1966). Alle comunali 2011 Peppe Bova aveva deciso di candidarsi alla guida di un polo alternativo al centrodestra e al centrosinistra – ottenendo più di 10.000 voti come candidato sindaco – mentre nel 2014 Falcomatà ha deciso, non senza polemiche[1], di stringere un patto pre-elettorale con Bova. Guardando ai dati, sembra proprio che la scelta di Falcomatà sia stata vincente, perlomeno dal punto di vista dei flussi elettorali.

    La tabella 2 ci dice qualcosa anche sullo scontro di potere in atto nel centrodestra. Dopo lo scioglimento del consiglio comunale di Reggio Calabria e la sospensione di Giuseppe Scopelliti da Presidente della Regione Calabria in seguito alla sua condanna per il cosiddetto “Caso Fallara”[2], la posizione di Scopelliti sembrava essersi notevolmente indebolita. Ricordiamo infatti che il sindaco Demetrio Arena, eletto a Reggio Calabria nel 2011, era considerato un diretto erede di Scopelliti. Tuttavia, Scopelliti ha deciso di presentare la sua lista, Reggio Futura, alle comunali 2014, appoggiando il candidato sindaco del centrodestra. E i risultati elettorali sono stati inequivocabili: una netta affermazione per Reggio Futura, che ha ottenuto più voti di Forza Italia e anche di NCD. Naturalmente ci possono essere molte spiegazioni per questo risultato, ma i flussi elettorali ci dicono qualcosa di importante: circa metà dei voti ottenuti da Reggio Futura proviene da elettori che nel 2013 avevano sostenuto il PDL. Un dato sicuramente interessante. In più, la lista di Scopelliti ha ottenuto un certo numero di voti dal bacino elettorale di Mario Monti e dall’area del non voto.

    In conclusione, un primo elemento da considerare è la mobilità elettorale. Un certo numero di elettori, dalle politiche 2013 alle comunali 2014, ha deciso di cambiare schieramento o, anche, di non tornare alle urne. Al contrario, alcuni astenuti nel 2013 hanno deciso di votare alle comunali – sostenendo quasi totalmente la coalizione che molti osservatori davano per favorita, il centrosinistra. Secondo, la presenza nel centrosinistra e nel centrodestra di politici di lungo corso come Peppe Bova o Giuseppe Scopelliti, le cui liste hanno raccolto molti voti – provenienti anche da altri partiti o da altre coalizioni – ci dice che, nonostante le promesse e le parole sul rinnovamento ed il cambiamento, la “vecchia” politica ha ancora qualcosa da dire in riva allo Stretto.

    Note bibliografiche

    Cataldi, M., Emanuele, V. e Paparo, A. [2012], Elettori in movimento nelle comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli”, «Quaderni dell’Osservatorio Elettorale», n. 67 pp. 5-43.

    Kirkheimer O. (1966), The Transformation of the Western European Party System, in La Palombara J. e Weiner M. (a cura di) (1966), Political Parties and Political Development, Princeton, Princeton University press, pp. 177-200.

     Schadee, H. e Corbetta, P. (1984), Metodi e Modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.

     Nota metodologica

     Le analisi dei flussi elettorali qui presentate sono state ottenute applicando il cosiddetto modello di Goodman ai risultati delle oltre 200 sezioni cittadine. Il Valore Redistribuito è risultato pari a 8,9.


     

  • Il profilo sociodemografico di chi va e chi resta nei vari schieramenti

    Il profilo sociodemografico di chi va e chi resta nei vari schieramenti

    di Matteo Cataldi

     In un recente articolo abbiamo parlato di turbolenza per riferirci all’accentuata volubilità che in questa fase politica caratterizzerebbe l’elettorato italiano relativamente alle intenzioni di voto, così come emerge dall’Osservatorio Politico del Dicembre 2013.

    Un dato in particolare aveva attirato la nostra attenzione, quello relativo alla scarsa fedeltà tra le scelte di voto compiute dagli intervistati lo scorso febbraio e le intenzioni di voto in caso di eventuale rinnovo del Parlamento. Mostravamo come complessivamente, poco più della metà degli elettori confermava la propria scelta. Tra le diverse coalizioni o partiti tale tasso di fedeltà variava anche in maniera sensibile. Se tra gli elettori del centrosinistra sfiorava l’80%, nel centrodestra e tra l’elettorato del Movimento 5 stelle non raggiungeva la metà fermandosi qualche decimale sopra il 45%. Con livelli di defezione tanto alti, ci è sembrato ancora più interessante chiederci in che modo gli elettori in potenziale uscita si caratterizzano per alcuni tratti (auto collocazione politica, interesse per la politica, principali caratteristiche socio-demografiche), e se il profilo di questi intervistati diverge in maniera sensibile da quello di coloro che le settimane scorse hanno invece dichiarato la propria fedeltà alla scelta espressa nelle urne.

    La figura 1 mostra l’auto-collocazione politica sia degli elettori che non hanno mutato la propria preferenza nel corso degli ultimi 10 mesi, che di quelli che oggi dichiarano si orienterebbero diversamente. Per entrambe le coalizioni principali, centrodestra e centrosinistra, gli elettori “infedeli” si caratterizzano per una maggiore eterogeneità nell’autocollocarsi politicamente. Tra i “traditori” della coalizione di centrosinistra la metà appena si sente ideologicamente affine alla sinistra (sono quasi l’80% tra gli elettori “fedeli) e la restante metà si divide equamente tra centro, destra e non collocati, ossia coloro che rifiutano di collocarsi sull’asse sinistra-destra. La stessa cosa accade, specularmente, nello schieramento guidato da Berlusconi durante l’ultima campagna elettorale: qui, tra gli elettori orientati a votare in modo difforme che in precedenza, la quota di chi si colloca al centro dello schieramento sale fino ad un quarto. Per quanto riguarda il M5s gli elettori più fedeli li ritroviamo tra chi si colloca a sinistra e al centro, mentre maggiori probabilità di defezioni si incontrano tra chi si dichiara di destra e soprattutto tra i non collocati. Questi ultimi rappresentano l’unica categoria di intervistati costantemente sovrarappresentata tra gli elettori “infedeli”.

    Figura 1 – Autocollocazione politica degli intervistati per le due categorie di elettori “fedeli” e “infedeli” nelle diverse coalizioni

    Passiamo ora con i dati della figura 2 all’interesse per la politica. Tra coloro per cui la politica esercita una certa attrazione, indipendentemente dallo schieramento considerato, gli elettori “fedeli” sono sovrarappresentati. E viceversa. Così se il 54% degli elettori di Grillo è poco o per niente interessato alla cosa pubblica, tra gli elettori in uscita dal Movimento questa percentuale raggiunge i due terzi, mentre crolla al 40% tra gli elettori più fedeli.

    Tabella 2 – Incrocio tra interesse per la politica ed elettori “fedeli” ed “infedeli”

    Nella serie di incroci con alcune variabili socio demografiche proviamo adesso a tratteggiare il profilo degli elettori “fedeli” e di quelli fuoriusciti per ciascun soggetto politico considerato. Partendo dal centrosinistra (dati in tabella 1) e relativamente alla composizione di genere non ci sono differenze significative tra i due gruppi, solo una leggera sovrarappresentazione della componente maschile tra gli elettori fedeli e di quella femminile tra coloro che hanno abbandonato la coalizione. Passando alla classe di età ciò che emerge è la forte sovrarappresentazione dei più anziani (65 anni e oltre) tra gli elettori fedeli al centrosinistra e la difficoltà che invece incontra  nel trattenere gli elettori di tutte le altre fasce d’età: fino ai 64 anni  la presenza degli elettori in uscita dal centrosinistra sopravanza sempre quella media in ciascuna classe di età.

    Relativamente al titolo di studio, avere conseguito al massimo la licenza media accresce la probabilità di confermare il voto espresso a febbraio in favore del centrosinistra, mentre possedere un titolo di laurea deprime questa probabilità. Relativamente alla provenienza geografica dei due gruppi di elettori sui quali abbiamo incentrato la nostra analisi, le regioni del Nord, in cui risiede il 38% dei votanti il centrosinistra, sono fortemente sovra rappresentate tra gli elettori in movimento verso altri lidi (48%). Appaiono invece sottorappresentate le regioni centro-meridionali e soprattutto quelle della zona rossa. Infine volgendo lo sguardo alla professione e allo status occupazionale si noti che a voltare le spalle al centrosinistra sono stati in misura maggiore rispetto alla media gli impiegati del settore pubblico e i disoccupati. Pensionati e casalinghe rappresentano invece le due categorie di non occupati la cui presenza tra gli elettori fedeli è superiore a quella della media dell’elettorato di centrosinistra.

    Tabella 1 – Alcune caratteristiche sociodemografiche nei due gruppi di elettori per il centrosinistra

    Per il centrodestra (tabella 2) siamo in presenza di un quasi perfetto equilibrio di genere tra gli elettori fedeli alla coalizione, il che significa che le donne sono sovrarappresentate dal momento che nel campione rappresentano il 47%. Tra chi ha cambiato opinione le donne sono invece in larga maggioranza (56 contro 44). Come per il centrosinistra anche nel centrodestra l’elettorato più fedele è quello delle persone oltre i 64 anni con una presenza di quasi sette punti percentuali superiore alla media. Controllando per il titolo di studio non emergono differenze significative tra elettori fedeli ed elettori che abbandonano la coalizione. Tra questi ultimi c’è invece una maggiore presenza di chi risiede nel centro-sud (1,7 punti percentuali sopra la media). Lavoratori autonomi, imprenditori e dirigenti ma soprattutto, e un po’ a sorpresa, casalinghe sono tutti più presenti tra gli elettori in uscita che tra quelli fedeli. I pensionati, anche per il centrodestra sono sottorappresentati tra chi cambia scelta di voto.

    Tabella 2 – Alcune caratteristiche sociodemografiche nei due gruppi di elettori per il centrodestra

    Infine il Movimento 5 stelle. Uomini e donne abbandonano il partito di Grillo in pari misura (che significa una forte sovrarappresentazione femminile dal momento che nell’elettorato di Grillo gli uomini pesano per il 58%), mentre chi gli resta fedele è in due casi su tre un uomo (tabella 3). I giovani fino a 34 anni e gli adulti tra i 55 e i 64 anni sembrano più degli altri aver voltato le spalle al Movimento 5 stelle nel corso del 2013. Fra gli elettori ancora convinti della propria scelta sono sottorappresentati coloro che vivono nelle regioni della zona rossa, chi ha un diploma di scuola media superiore e i pensionati. Nelle restanti categorie la presenza dei due gruppi di intervistati, grossomodo si equivale.

    Tabella 3 – Alcune caratteristiche sociodemografiche nei due gruppi di elettori per il Movimento 5 stelle

    Non è facile tracciare un profilo comune, trovare cioè un minimo comune denominatore fra gli elettori in uscita. Ad accomunarli, oltre ad una costante sovrarappresentazione delle donne, sembra essere una certa marginalità rispetto alla politica, come indica l’ accentuata incidenza  di chi nutre scarso interesse per la politica. A tale marginalità politica, peraltro, non necessariamente sembra accompagnarsi anche una perifericità sociale: sono mediamente più giovani gli elettori che defezionano e nel caso del centrosinistra anche più istruiti. Per il resto non emergono indicazioni univoche riguardo agli altri tratti esaminati.

     

  • Comunali 2013: i flussi elettorali a Treviso tra primo e secondo turno

    di Matteo Cataldi

    Giovanni Manildo (centrosinistra) è il nuovo sindaco di Treviso. Con la sconfitta di Gentilini nel capoluogo trevigiano si chiude un’epoca. Lo “sceriffo” era stato eletto per la prima volta sindaco quasi 20 anni fa, nel 1994, e successivamente riconfermato nel ’98. Dalle elezioni successive, stante il limite massimo dei due mandati consecutivi, Giampaolo Gobbo, anch’egli esponente leghista, ne aveva preso il posto a Palazzo Rinaldi e nominato lo stesso Gentilini suo vice. La stessa cosa accadde nel 2008 quando Gobbo venne eletto una seconda volta.

    Due settimane fa, al primo turno delle elezioni comunali, Gentilini, con il 34,8% dei voti ottiene il secondo posto e l’accesso al ballottaggio assieme allo sfidante Manildo, candidato del centrosinistra che parte quasi 8 punti avanti all’ex sindaco (42,6%). Il resto è cronaca recente. Manildo sconfigge Gentilini addirittura incrementando il distacco dal rivale rispetto al primo turno: Gentilini si ferma esattamente 11 punti percentuali dietro il candidato di centrosinistra.

    Come si è costruita in termini di movimenti di voto la vittoria del centrosinistra nel capoluogo della terra leghista per antonomasia? E cosa ha impedito a Gentilini di ottenere il suo terzo mandato personale?

    Le stime dei coefficienti di flusso riportati in tabella 1 mostrano anzitutto che il candidato del centrosinistra è stato più bravo del suo diretto avversario a convincere gli elettori che lo avevano scelto due settimane prima a tornare a votarlo. Si tratta in entrambi i casi di percentuali di fedeltà comunque molto altre, ma il neo sindaco di Treviso non ha patito defezioni verso il bacino del non voto, mentre un 6% degli elettori di Gentilini del primo turno ha deciso di astenersi al ballottaggio.

    Ma non è stata questa la chiave dello storico successo del centrosinistra a Treviso, piuttosto la ragione principale va ricercata nel comportamento di voto degli elettori che al primo turno avevano votato un candidato escluso dal ballottaggio. Cominciamo dal candidato di centro Zanetti che il 26 e 27 maggio aveva ottenuto il 10,6% dei consensi pari a 4.337 voti. Di questi, la metà ha votato Gentilini due settimane più tardi (il 51%) e poco meno di un terzo (29%) Manildo, il restante 20% si è astenuto. Il dato indubbiamente più sorprendente, almeno nella portata, è quello delle destinazioni di voto degli elettori del candidato grillino Gnocchi. Tra i suoi votanti, addirittura l’86% al secondo turno avrebbe optato per Manildo. Un flusso tanto consistente in uscita dal M5s verso il candidato del centrosinistra, potrebbe apparire in contraddizione con molte delle analisi sulla provenienza dei voti grillini circolate, in modo particolare, dopo il successo del movimento alle elezioni politiche di febbraio. Analisi tese a sottolineare come in quest’area del paese, la forte attrazione esercitata dal M5s sulla base elettorale leghista, costituisse una delle chiavi del successo grillino. In realtà il dato che abbiamo presentato deve essere letto anche alla luce dei movimenti di voto intercorsi tra le elezioni politiche ed il primo turno delle comunali, che abbiamo presentato in un precedente articolo. Quei dati ci dicono come i voti ottenuti dal candidato Gnocchi fossero per composizione oltreché per consistenza profondamente diversi rispetto a quelli ottenuti dal M5s alle elezioni politiche: infatti tra febbraio e il primo turno delle comunali oltre la metà degli elettori di Grillo aveva già abbandonato la lista a cinque stelle scegliendo Gentilini mentre un altro quarto si era astenuto e solo il 16% era rimasto fedele al candidato del movimento. E’ altamente probabile che a defezionare le liste del M5s siano stati in grande maggioranza elettori che prima delle politiche di febbraio votavano il carroccio e che in occasione delle comunali, spinte anche dalla volontà di scegliere tra i due candidati più competitivi, hanno (momentaneamente?) fatto ritorno alle liste del partito di Maroni.

    Tornando alla tabella 1, tra i candidati minori, Beppe Mauro (lista civica) e Alessia Bellon (Indipendenza Veneta), Gentilini ottiene quasi il 60% delle preferenze, ma si tratta congiuntamente di circa 2.000 voti pari al 5% circa dei validi al primo turno.

    Treviso è stato il capoluogo tra gli undici al voto la scorsa domenica in cui l’affluenza è calata di meno. 4,7 punti in meno rispetto al primo turno. La metà del calo registrato nei restanti capoluoghi.

    La rimobilitazione dal bacino del non voto, come mostra l’ultima colonna della tabella 1 è stata in ogni caso praticamente nulla. Solo il candidato del centrosinistra è riuscito a conquistare circa 500 nuovi voti tra quanti si erano astenuti al primo turno.

     

    Tabella 1 – Flussi elettorali a Treviso: matrice delle destinazioni

     

    Per completezza in tabella 2 riportiamo la matrice delle provenienze dei voti ai due candidati al ballottaggio che conferma quanto detto in precedenza. In particolare facciamo notare come l’11% dei voti conquistati da Manildo al secondo turno sia di provenienza grillina e il 13% dei consensi ottenuti da Gentilini provenga invece da elettori del candidato centrista Zanetti.

    Tabella 2 – Flussi elettorali a Treviso: matrice delle provenienze