Pubblicato su Il Sole 24 Ore del Primo Maggio.
La Lega Nord di Matteo Salvini ha ottenuto in Friuli-Venezia Giulia un successo politico indiscutibile. Mai in questa regione era arrivata al 34,9% dei voti. E questo senza tener conto dei voti della lista collegata al suo candidato alla presidenza che ha preso il 6,3%. Ma c’è di più. Mai in una qualunque regione era arrivata a questa percentuale. Nemmeno in Veneto e in Lombardia. A tutto ciò bisogna aggiungere la riconferma, non inattesa a dire il vero, del sorpasso su Forza Italia che si era già verificato alle politiche. Allora la distanza tra il partito di Salvini e quello di Berlusconi era stato di 15 punti percentuali (il 25,8% contro il 10,7%), in queste regionali è diventato di quasi 23 punti (il 34,9% contro il 12,1%). Insomma per Salvini un successo su tutta la linea che conferma la validità del suo progetto e la forza della sua leadership, e forse anche l’abilità con cui si è mosso nel corso dei negoziati per la formazione del governo.
Detto ciò, occorre però anche distinguere tra percentuali e elettori. Le percentuali ci dicono chi vince e chi perde. Gli elettori ci dicono quali sono le dinamiche del voto. Questa distinzione è cruciale soprattutto quando si confronta il risultato delle recenti politiche con quello delle regionali di domenica. Tra politiche e regionali i voti alla Lega Nord non sono cresciuti. Erano 177.809 il 4 marzo, sono stati 147.340 domenica scorsa (Tab. 1). Il suo elettorato non si è allargato, anche se senza la lista di Fedriga è possibile che la lista della Lega Nord avrebbe avuto qualche voto in più. In ogni caso non sarebbe corretto dire che la Lega Nord ha ‘sfondato’ ulteriormente in questa regione e tanto meno nel resto del Nord. La differenza tra percentuali e elettori l’ha fatta l’affluenza. Alle politiche infatti sono andati a votare il 75,1% degli elettori, alle regionali solo il 49,6%. La Lega Nord ha sfruttato molto bene il calo della partecipazione elettorale riuscendo a portare a votare anche alle regionali una quota molto elevata degli elettori che l’avevano votata il 4 marzo. Anche se non tutti. Sempre guardando ai valori assoluti aggiungiamo che in Friuli-Venezia Giulia nel 1996 la Lega Nord di Bossi aveva fatto meglio di quella di Salvini. Allora con una partecipazione elettorale del 86,2% aveva ottenuto circa 196.000 voti (il 23%), cioè più di quanti ne ha presi la Lega Nord di Salvini alle politiche del 4 marzo e alle regionali di domenica scorsa.
La capacità, dimostrata dalla Lega Nord, di mobilitare il proprio elettorato è mancata invece al M5S. Colpisce il calo del partito di Di Maio dal 24,6% delle politiche all’11,7% delle regionali. Era successo anche in Molise il 22 aprile scorso, ma in Friuli-Venezia Giulia la differenza è ancora più accentuata. Certamente hanno giocato anche in questo caso fattori ben noti. Non è una novità che il M5S vada meglio alle politiche che alle regionali. È successo in Sicilia, in Molise e in altre regioni. La forza del brand Cinque Stelle si esprime meglio in una competizione nazionale. Il suo radicamento territoriale è modesto in generale e soprattutto rispetto a quello di un partito come la Lega Nord. Anche in Friuli-Venezia Giulia ha dovuto competere con coalizioni formate da molte liste (anche se meno che in Molise). Insomma ci sono valide ragioni per ‘giustificare’ una performance molto deludente. Detto ciò, resta però il sospetto che forse c’è dell’altro. Forse il gradimento nei confronti del Movimento è calato tra gli elettori del Nord. Forse le vicende romane hanno avuto un impatto negativo. Solo dati di sondaggio potranno chiarire la questione. Ma l’ipotesi che il voto al Movimento sia ”fragile” è plausibile.
Il PD ha perso, ma non è andato male. E anche qui troviamo una conferma. Anche il 4 marzo al Nord aveva tenuto meglio che in altre zone del paese. Questo è un dato importante da cui ripartire. Ma certo non lo si può fare con un partito acefalo. E con il rischio che a settembre si torni a votare.
Tab. 1 – I risultati elettorali del 2018 in Friuli-Venezia Giulia, confronto con il 2013 (clicca per ingrandire)[1]
Riferimenti bibliografici
De Lucia, F. (2013), ‘Friuli VG: vince di un soffio Serracchiani su Tondo, i 5 stelle non sfondano’, Roma, Centro Italiano Studi Elettorali.
[1]NOTA: Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari (per le regionali).
Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (regionali) o partiti (politiche) di sinistra ma non in coalizione con il PD;
il Centro-sinistra somma candidati (regionali) del PD o le coalizioni (politiche) con il PD;
Il Centro è formato da candidati (regionali) o coalizioni (politiche) sostenuti o contenenti almeno uno fra NCI, UDC, NCD, FLI, SC;
il Centro-destra somma candidati (regionali) sostenuti da FI (o PDL) o coalizioni (politiche) contenenti FI (o PDL);
la Destra è la somma di candidati (regionali) sostenuti, contro FI/PDL, da Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, o coalizioni (politiche) contenenti almeno uno di questi. Pirozzi è stato inserito in questa voce, così come le liste a suo sostegno nella parte superiore della tabella.
Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).