Autore: Nicola Maggini

  • L’affluenza ai ballottaggi: un tracollo in linea con le tendenze degli ultimi anni

    L’affluenza ai ballottaggi: un tracollo in linea con le tendenze degli ultimi anni

    Per analizzare l’esito dei ballottaggi di questa tornata di elezioni comunali del 2019, il primo dato da cui partire è quello relativo alla partecipazione elettorale (vedi Tabella 1). L’affluenza nei 122 comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al ballottaggio è stata del 52,1%, con un calo di 16,1 punti percentuali rispetto al primo turno, quando si era attestata al 68,2%. Un calo molto simile a quello verificatosi nella tornata elettorale del 2018 (Maggini 2018), quando la partecipazione diminuì di 14,4 punti ai ballottaggi. Nella tornata delle elezioni comunali del 2017, il calo ai ballottaggi fu invece di 12,4 punti (Maggini 2017), ma va considerato che allora nel totale dei comuni non erano inclusi quelli siciliani (che videro elezioni sfalsate di qualche settimana rispetto al resto d’Italia). Escludendo i comuni siciliani anche dal totale dei comuni andati al voto nel 2018, il calo dell’affluenza tra primo e secondo turno nel 2017 e nel 2018 era stato esattamente lo stesso (Maggini 2018). Il dato registrato nel 2019 è quindi in perfetta continuità con le tendenze degli ultimi anni, che mostrano un costante tracollo dell’affluenza ai ballottaggi, segnalando ancora una volta un forte disinteresse per la posta in gioco da parte di molti elettori, in particolare di quelli dei partiti e candidati rimasti esclusi dai ballottaggi. Di questo aspetto, però, ce ne occupiamo in altri articoli attraverso l’analisi dei flussi elettorali. A differenza del 2018, tuttavia, il forte calo di partecipazione elettorale è stato leggermente meno marcato nei 15 comuni capoluogo, dove al ballottaggio ha votato il 52,7%, con un calo di 14,9 punti rispetto al primo turno. Tutto ciò significa che in generale poco più della metà degli elettori ha deciso di recarsi alle urne per scegliere il sindaco della propria città. Un dato sicuramente indicativo non solo (come in precedenza menzionato) dello scarso appeal presso l’elettorato della maggior parte delle sfide che ci sono state al ballottaggio, ma anche dell’apatia elettorale e del clima generalizzato di sfiducia verso la politica come evidenziato sempre di più dalle elezioni comunali degli ultimi anni.

         Disaggregando questo dato tra le diverse zone geopolitiche[1], notiamo che queste ultime non mostrano enormi differenze in termini di partecipazione, anche se l’affluenza, come nelle comunali del 2018 (Maggini 2018), è maggiore nella Zona Rossa con il 54,8% e inferiore al Sud con il 49,6%. Se si fa un raffronto con il primo turno, inoltre, il calo nella Zona Rossa (-13,8 punti) è stato più contenuto rispetto a quello registrato nel Nord (-16,2) e nel Sud (-18,4). Al primo turno, al contrario, non c’erano sostanziali differenze tra le tre zone del paese, probabilmente come effetto delle concomitanti elezioni europee. Il calo dell’affluenza particolarmente marcato nei comuni del Sud non è affatto una novità. È un fenomeno che si era già visto alle comunali del 2016, del 2017 e del 2018 (Maggini 2016, 2017, 2018). Come ipotizzato nei precedenti studi, è plausibile che questo tracollo al Sud sia dovuto al fatto che nei ballottaggi viene meno il traino del voto di preferenza per i candidati consigliere e questo tipo di voto personale è sempre stato molto importante nel Mezzogiorno d’Italia. Se questo dato, quindi, non è una novità, più sorprendente è invece il fatto che anche nel Nord ci sia stato un calo dell’affluenza di proporzioni simili a quelle del Sud, a differenza di quanto registrato ad esempio alle comunali del 2018 (Maggini 2018).

    Tab.1 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 122 comuni superiori, per zona geopolitica

    Ballottaggi Primo turno Variazione ballottaggi-primo turno (p.p.)
     Italia (122 comuni) 52,1% 68,2% -16,1
    Capoluoghi e non
    Capoluoghi (15) 52,7% 67,7% -14,9
    Non capoluoghi (107) 51,8% 68,4% -16,6
    Per zona geopolitica
    Nord (39 comuni) 51,5% 67,7% -16,2
    Zona Rossa (39 comuni) 54,8% 68,6% -13,8
    Sud (44 comuni) 49,6% 68,1% -18,4

    Scendendo nel dettaglio dei 15 comuni capoluogo al voto (vedi Tabella 2), si nota come in soli cinque comuni la partecipazione al voto sia stata superiore al 55%: Cremona (55,5%), Prato (56,5%), Potenza (56,6%), Forlì (57%) e Ferrara (61,9%). Un certa mobilitazione in alcune di queste città è stata probabilmente favorita dalla posta in palio molto alta sia per il centrosinistra che per il centrodestra: il mantenimento o la conquista di storiche roccaforti della sinistra. A tale proposito, nella città dove più alta è stata la partecipazione (Ferrara), c’è stata la storica vittoria del candidato leghista del centrodestra (Alan Fabbri) che ha espugnato un comune governato dal 1946 dalla sinistra. E infatti il calo minore tra primo e secondo turno si è verificato proprio a Ferrara (-9,6 punti percentuali), seguita da Forlì (-11,4 punti) e Cremona (-11,7 punti). Leggermente superiore alla media dei comuni capoluogo (52,3%) è stata l’affluenza a Campobasso (54,4%, con un calo di 13,9 punti), mentre attorno alla media è stata a Verbania (52%, con un calo di 12,1 punti). Poco sotto la media è stata la partecipazione a Avellino (50,5% e con un forte calo di ben 21,2 punti), Rovigo (50,3% e con un forte calo di 18,1 punti) e a Livorno (50%, con un calo di 12,6 punti). Particolarmente bassa, sotto al 50%, è stata l’affluenza a Ascoli Piceno (49,2%, con un calo di ben 21,1 punti), Reggio Emilia (49,1%, con un netto calo di 18,3 punti), Biella (47,9%, con un calo di 16,1 punti), Vercelli (47,6%, con un forte calo di 18,2 punti) e Foggia (46,5%, con un calo di ben 20,2 punti). I comuni dove si è votato di meno sono anche quelli, con l’eccezione di Livorno, dove il calo rispetto al primo turno è stato superiore alla media (-15,4 punti).

    Tab. 2 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 15 comuni capoluogo

    Ballottaggi Primo turno Variazione ballottaggi-primo turno (pp)
    Ascoli Piceno 49,2% 70,3% -21,1
    Avellino 50,5% 71,7% -21,2
    Biella 47,9% 64,0% -16,1
    Campobasso 54,4% 68,3% -13,9
    Cremona 55,5% 67,2% -11,7
    Ferrara 61,9% 71,5% -9,6
    Foggia 46,5% 66,7% -20,2
    Forlì 57,0% 68,4% -11,4
    Livorno 50,0% 62,6% -12,6
    Potenza 56,6% 71,7% -15,1
    Prato 56,5% 68,5% -12,0
    Reggio Emilia 49,1% 67,4% -18,3
    Rovigo 50,3% 68,4% -18,1
    Verbania 52,0% 64,1% -12,1
    Vercelli 47,6% 65,8% -18,2
    Media capoluoghi 52,3%   67,8%   -15,4

    In conclusione, a parte il dato della minore partecipazione al voto nei comuni meridionali, questi ballottaggi hanno registrato rispetto al primo turno una generale diminuzione dell’affluenza, indipendentemente dalla zona geografica, anche se con sfumature diverse. Si può pertanto parlare di un vero e proprio tracollo dell’affluenza ai ballottaggi, in linea con le tendenze degli ultimi anni.

    RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

    Chiaramonte, A., e De Sio, L. (a cura di) (2014), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il mulino.

    Corbetta, P., Parisi, A., e Schadee, H.m.A. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il mulino.

    Diamanti, I. (2009), Mappe dall’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro…e tricolore, Bologna, Il mulino.

    Maggini, N. (2016), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del Pd, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del m5S’, in Emanuele, V. Maggini, N., e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    Maggini, N. (2017), ‘Netto calo dell’affluenza nei comuni superiori al voto’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 185-189.

    Maggini, N. (2018), ‘La vittoria del partito degli astenuti: l’affluenza tracolla ai ballottaggi’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 211-216.

    [1] Sul concetto di zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014).

  • Chi è credibile per realizzare gli obiettivi condivisi dagli italiani? La Lega primeggia, il M5S sull’eguaglianza economica, il PD sull’Europa

    Chi è credibile per realizzare gli obiettivi condivisi dagli italiani? La Lega primeggia, il M5S sull’eguaglianza economica, il PD sull’Europa

    Il recente sondaggio Osservatorio Politico CISE (CAWI, N=1000 casi, estratti da panel online con quote per sesso, età, titolo di studio, e ponderazione aggiuntiva per voto 2018) ha indagato le intenzioni di voto e le opinioni degli Italiani sui temi al centro del dibattito in questa fase politica marcata dalla campagna elettorale per le Europee del prossimo 26 maggio. Abbiamo già parlato delle intenzioni di voto e delle posizioni degli italiani su vari aspetti della politica europea e italiana, in particolare su specifici obiettivi di policy sostenuti dalla maggioranza degli italiani. Sugli stessi obiettivi di policy, vediamo ora quali sono i partiti ritenuti più credibili dagli intervistati circa la loro realizzazione.

    Il quadro che emerge è per certi versi in linea con quello rilevato dalle intenzioni di voto: la Lega è il partito ritenuto più credibile sul maggior numero di temi, in particolare quelli legati all’immigrazione e alla difesa della sovranità nazionale, staccando il M5S (il partito più credibile in particolare su temi economici di sinistra) e il PD (il partito più credibile in particolare nella difesa dell’appartenenza alla UE). Ma vediamo i dati in modo molto sintetico (tabella completa in fondo all’articolo).

    Il PD è il partito ritenuto più credibile nel difendere l’appartenenza alla UE,

    Su due temi su cui la netta maggioranza degli italiani ha posizioni chiaramente europeiste (rimanere nell’Euro e nella UE), il partito ritenuto più credibile è senza dubbio il PD (secondo il 34,8% e il 33,2% degli intervistati, rispettivamente). Segue, non sorprendentemente, Più Europa, le cui percentuali di credibilità oscillano tra il 20% e il 24%: si tratta di valori molto alti, dal momento che si tratta di un piccolo partito. Subito dopo, in termini di credibilità su questi obiettivi, viene Forza Italia, che però è molto staccata rispetto al PD e raccoglie percentuali pressoché identiche al M5S per ciò che concerne la permanenza nella UE. Il PD è pertanto percepito come il partito pro-Europa per eccellenza, dal momento che tale lo ritiene una quota di intervistati nettamente superiore a quella che effettivamente lo voterebbe. Non solo, il partito di Zingaretti è anche quello ritenuto più credibile (31,6%) nel mantenere una delle conquiste più apprezzate della UE, ossia la libera circolazione (76% dei consensi). In questo caso, però, la differenza rispetto al secondo classificato (il M5S) è meno marcata, dal momento che per il 28% degli intervistati il partito di Di Maio è credibile su questo tema.

    ma la Lega è il partito più credibile nel difendere le prerogative nazionali e nel contrastare l’immigrazione,

    In una precedente analisi avevamo visto che l’atteggiamento generalmente pro-UE degli italiani si accompagnava a un giudizio più critico su alcune politiche chiave dell’Unione Europea, a un desiderio di maggiore solidarietà verso l’Italia e a una rivendicazione di prerogative nazionali su alcune politiche, opponendosi a ulteriori devoluzioni a livello UE. Su questi temi, il partito che risulta in generale come il più credibile agli occhi degli intervistati è senza dubbio la Lega: il partito di Salvini è ritenuto come nettamente il più credibile nel riuscire a ripartire i costi dell’accoglienza dei rifugiati con gli altri paesi (43,9%), nel rendere più flessibile la politica economica della UE (37,4%), nel mantenere la competenza nazionale sulla politica fiscale (37,4%), nel ripristinare i pieni poteri sulle politiche economiche e di bilancio (39,7%), nel mantenere la competenza nazionale sulle politiche sociali (28,7%), sulla difesa (29,5%), sull’immigrazione (37,3%). Su questi obiettivi il partito di Salvini stacca in maniera netta il partito che arriva secondo in termini di credibilità, ossia il M5S. Quest’ultimo è considerato più credibile rispetto alla Lega solo nell’aumentare il sostegno dell’Unione Europea ai paesi più colpiti dalle crisi economiche: 27,6% vs. 25,4% (con il PD in terza posizione, ma non lontano, con il 24,6%). Si tratta in generale di obiettivi legati ad ambiti tematici diversi, ma tutti caratterizzati dalla rivendicazione della sovranità nazionale o dalla tutela degli interessi dell’Italia nella UE: i nostri dati ci dicono che il messaggio sovranista di Salvini, in questo senso, ha pagato. In altri termini, l’atteggiamento muscolare tenuto dal Ministro dell’Interno con gli altri partner della UE in questi mesi di governo, in particolare sui temi legati alla gestione dell’immigrazione, sembra aver fatto breccia non solo tra i suoi elettori, visto che su diversi temi la percentuale di intervistati che ritiene credibile la Lega è superiore alla quota di chi effettivamente esprime un’intenzione di voto per il Carroccio. Viceversa, i partiti mainstream che sono stati al lungo al governo (PD e Forza Italia) sono in generale ritenuti poco credibili su questi temi, scontando evidentemente la delusione per i risultati ottenuti dai governi passati in seno alla UE (anche se va detto che le percentuali di Forza Italia in termini di credibilità sono in linea o superiori in alcuni casi alle intenzioni di voto per il partito di Berlusconi). Va poi notato che alcuni degli obiettivi su cui la Lega gode di un’alta credibilità sono in realtà in contrasto tra di loro: è il caso della richiesta di una maggiore solidarietà europea circa la ripartizione dei rifugiati e la rivendicazione delle prerogative nazionali nella gestione delle politiche migratorie. Una possibile interpretazione è che molti intervistati probabilmente non hanno un livello di sofisticazione tale da cogliere che i due obiettivi sono in contraddizione; inoltre, il fatto che su entrambi gli obiettivi la Lega sia di gran lunga il partito ritenuto più credibile è il chiaro segno che la Lega ha ormai quasi il monopolio delle tematiche anti-immigrazione, come dimostrato anche da un altro tema emerso durante questo anno di governo, ossia quello della chiusura dei porti alle navi che raccolgono gli immigrati in mare: il 67% degli intervistati è favorevole e ben il 59,4% ritiene la Lega come il partito più credibile al riguardo.

    Il M5S è il partito più credibile su misure economiche “di sinistra”, tranne che su progressività del fisco (PD) e “quota 100” (Lega)

    Infine, se guardiamo ai temi legati all’economia, tra gli italiani prevalgono posizioni di sinistra. Su questi temi, però, non è il PD ad essere ritenuto il più credibile, bensì il M5S (con alcune eccezioni). Il partito di Di Maio è infatti ritenuto dal 32,9% degli intervistati come il partito più credibile nel ridurre le differenze di reddito: una percentuale maggiore di chi esprime una intenzione di voto per il M5S. Da sottolineare poi il fatto che su questa tematica tradizionalmente di sinistra il secondo partito ritenuto più credibile è la Lega (25,2%), mentre il PD è solo terzo (21,2%). Un pattern simile, anche se con percentuali diverse, lo si riscontra sull’obiettivo di ridurre la libertà delle imprese di assumere e licenziare. Il M5S, invece, viene superato dal PD per ciò che concerne la percezione di chi sia il partito più credibile nel mantenere la progressività fiscale (22,9% vs. 26,4%). Si potrebbe notare che la redistribuzione del reddito è strettamente legata alla progressività del fisco. Tuttavia, il partito ritenuto più credibile non è lo stesso su questi due temi. Ciò si può spiegare con il fatto che il M5S al governo ha fatto delle aperture alla Lega sulla flat tax (oltre al fatto che probabilmente non tutti i nostri intervistati hanno un livello di sofisticazione tale da mettere in relazione la redistribuzione della ricchezza con la progressività fiscale). Non sorprende invece che il M5S sia il partito nettamente più credibile (44,4%) nel mantenere il reddito di cittadinanza: si tratta di una misura chiave del governo, fortemente voluta dal partito di Di Maio. Sull’altra principale misura economica del governo, ossia la cosiddetta “Quota 100” per l’età pensionabile, prevale invece (di poco) la Lega: il 35,1% infatti ritiene che il partito di Salvini sia quello più credibile nel mantenere questo abbassamento dell’età pensionabile, contro il 31,3% di chi ritiene che lo sia invece il M5S. Del resto, si tratta di una misura che era nel programma elettorale di entrambi i partiti, ma su cui ha insistito maggiormente la Lega rispetto a un M5S che si è focalizzato più sul reddito di cittadinanza. Non sorprende poi che i partiti di opposizione su queste due misure non siano ritenuti credibili, dal momento che (legittimamente) si sono opposti alla loro introduzione.

    In conclusione, i dati sulle percezioni di credibilità mostrano come i tre principali partiti italiani si siano ritagliati tre diversi ambiti tematici in cui si trovano in posizione di vantaggio competitivo rispetto agli avversari: la Lega è il partito che ha monopolizzato le tematiche legate all’immigrazione e alla difesa delle prerogative nazionali; il M5S gode di una forte credibilità sui temi economici un tempo appannaggio della sinistra e il PD viene percepito come il partito più credibilmente pro-Europa. Tutti e tre poi si collocano in testa alle percezioni di credibilità su temi che escono dal loro “dominio”: la Lega per quel che riguarda “Quota 100”, il M5S per quel che concerne il sostegno dell’UE ai paesi più colpiti dalle crisi economiche e il PD per quel che attiene la progressività fiscale. Inoltre, guardando al numero di temi su cui sono ritenuti più credibili, si nota un certa coerenza con le intenzioni di voto: la Lega risulta nettamente prima anche per quanto riguarda il numero di obiettivi di policy (maggiormente condivisi dagli Italiani) su cui è percepita come il partito più credibile (9 temi), mentre il M5S e il PD sono appaiati (4 temi ciascuno). Sarà così anche il 26 maggio? Non resta che attendere il risultato delle elezioni, con la consapevolezza del fatto che l’esito finale probabilmente sarà determinato, tra le altre cose, anche dalla capacità dei partiti di enfatizzare in maniera strategica, in queste ultime settimane di campagna elettorale, quei temi su cui sono percepiti come altamente credibili da una larga fetta di elettori.

    Tabella 1 – Credibilità dei principali partiti sugli obiettivi che hanno un consenso maggioritario, in valori percentuali: sondaggio CISE Osservatorio Politico maggio 2019 (CAWI – N=1000)

    Consenso (%) Credibilità (%)
    Lega M5S PD FI FDI +Europa La Sinistra
    ORIENTAMENTO GENERALE VERSO LA UE
    Rimanere nell’ Euro 67,5 15,2 16,9 34,8 19,4 8,3 20,0 9,5
    Rimanere nell’Unione Europea 69,7 16,3 20,7 33,2 20,6 7,4 24,0 8,2
    POLITICHE EUROPEE
    Preservare la libera circolazione delle persone all’interno dell’Unione Europea 76,1 22,4 28,0 31,6 20,4 10,1 21,7 12,1
    Aumentare il sostegno dell’Unione Europea ai paesi più colpiti dalle crisi economiche 75,6 25,4 27,6 24,6 13,2 8,2 13,8 7,5
    Ripartire tra tutti gli stati membri dell’Unione Europea i costi complessivi relativi all’accoglienza dei rifugiati 72,5 43,9 21,9 16,2 13,3 12,0 11,6 5,8
    Rendere più flessibile la politica economica della Unione Europea 70,7 37,4 27,2 12,4 11,5 10,2 7,9 4,5
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulla propria politica fiscale 65,3 37,4 24,0 12,2 13,2 11,9 4,2 3,3
    Rispristinare pieni poteri sulle proprie politiche economiche e di bilancio per gli stati membri 65,0 39,7 24,9 8,8 11,1 10,2 2,6 1,8
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulle proprie politiche sociali (ad es. sussidio di disoccupazione) 59,2 28,7 23,2 12,4 10,5 7,4 4,9 3,5
    Mantenere gli eserciti nazionali in ciascuno stato membro 52,5 29,5 15,8 8,4 12,4 8,5 1,9 2,5
    Mantenere la competenza dei singoli stati membri sulla propria politica migratoria 50,1 37,3 11,6 5,5 8,3 8,3 1,3 0,5
    IMMIGRAZIONE
    Mantenere i porti chiusi per le navi che trasportano migranti 67,1 59,4 11,2 2,4 6,4 8,7 0,5 0,5
    ECONOMIA
    Mantenere l’attuale normativa sull’età pensionabile (Quota 100) 60,0 35,1 31,3 5,1 6,3 5,9 1,2 2,2
    Mantenere il reddito di cittadinanza garantito per chi è sotto la soglia di povertà 58,3 15,1 44,4 8,1 5,2 2,2 2,7 3,4
    Ridurre le differenze di reddito tra chi ha redditi alti e redditi bassi 79,3 25,2 32,9 21,2 10,1 6,5 9,3 13,8
    Mantenere la progressività fiscale (chi guadagna di più paga percentuali più alte) 68,1 18,1 22,9 26,4 8,0 3,7 9,1 12,1
    Ridurre la libertà delle imprese di assumere e licenziare 53,6 16,2 21,9 14,7 7,9 3,1 4,3 11,0

    Nota: Le percentuali sono calcolate sul totale

  • Il voto e l’età: ‘ringiovanimento’ del PD, ‘invecchiamento’ del M5S, netta avanzata della Lega tra anziani e adulti

    Il voto e l’età: ‘ringiovanimento’ del PD, ‘invecchiamento’ del M5S, netta avanzata della Lega tra anziani e adulti

    Il CISE ha condotto per il suo Osservatorio Politico un sondaggio[1] per testare gli umori e gli atteggiamenti dell’opinione pubblica italiana nell’attuale fase politica, caratterizzata dal dibattito sulle misure della legge di bilancio approntate dal governo di Lega e Movimento 5 Stelle (M5S). Ovviamente, uno dei temi più interessanti è capire quali sono le intenzioni di voto degli Italiani a distanza di nove mesi dalle elezioni del 4 marzo 2018 e a sei mesi dell’entrata in carica del governo “giallo-verde”. In questa sede ci occupiamo in particolare dell’analisi del voto per classi di età, prestando una particolare attenzione agli eventuali cambiamenti rispetto a quanto avevamo registrato con un’analisi simile prima delle elezioni del 4 marzo (Maggini 2018). La relazione tra questa particolare caratteristica sociodemografica (ossia l’età) e il voto è importante alla luce di due effetti che tradizionalmente gli studi elettorali associano all’età: l’effetto generazione – per cui le persone di un stessa coorte di età sono influenzate (in maniera stabile nel corso del tempo) nei propri comportamenti politico-elettorali dal periodo storico in cui si sono socializzate alla politica – e l’effetto ciclo di vita – per cui le persone cambiano comportamento a seconda della fase della vita in cui si trovano, con i giovani solitamente con opinioni politiche più radicali rispetto alle persone più anziane (Corbetta 2002; Blais et al. 2002, 2004; Franklin 2004). Questa non è la sede per esaminare quale di questi due effetti è prevalente dal momento che sarebbero necessarie analisi longitudinali più approfondite. Tuttavia, l’analisi del voto per classi di età è interessante per vari motivi, a partire dal fatto che i giovani, secondo molte ricerche, sono uno dei segmenti sociali più mobili dal punto di vista elettorale e anche più propensi all’astensione (Franklin 2004; van der Eijk e Franklin 2009; Maggini 2016). Se è quindi vero che per i partiti gli anziani costituiscono una base elettorale più “sicura” (a maggior ragione in un paese demograficamente anziano come l’Italia), è altrettanto vero che le persone più giovani sono quelle più disponibili a cambiare opinione e quindi potrebbero essere determinanti dal punto di vista elettorale. Da questo punto di vista è opportuno ricordare che l’Italia è un paese caratterizzato dal cosiddetto bicameralismo perfetto, ma con un corpo elettorale differenziato tra Camera e Senato (con gli under 25 che votano solo alla Camera).

    Tab. 1 – Intenzioni di voto e classi di età

    tabella 1La Tabella 1 mostra il voto ai singoli partiti disaggregato per classi di età. Il primo elemento interessante che emerge è il fatto che tra i “giovanissimi” (18-24 anni) Più Europa, Potere al Popolo e Partito Democratico (PD) vanno molto bene, riportando percentuali nettamente sopra la media del campione (rispettivamente, in punti percentuali, +10,3, +6,1 e +5,5). Anche il M5S tra i 18-24enni è sovra-rappresentato rispetto alla media (+5,3 punti percentuali), così come i consensi di MDP e Sinistra Italiana sommati assieme (+2,8 punti). In questa fascia di età, invece, nettamente sotto-rappresentati sono Forza Italia (FI) e Lega: la prima ottiene il 3,8% rispetto all’8,3% del totale, mentre il partito di Salvini verrebbe votato dal 10,7% dei “giovanissimi” (rispetto al 30,6% dell’intero campione). Comparando le intenzioni di voto dei “giovanissimi” (18-24) con quelle dei “giovani adulti” (25-34) emergono alcune importanti differenze: la sovra-rappresentazione dei partiti di sinistra (Potere al Popolo) e di centrosinistra (Più Europa e PD) si attenua molto tra i “giovani adulti” (in particolare per quel che riguarda il PD, sotto-rappresentato di 3,5 punti percentuali), mentre i partiti del centrodestra tradizionale, Lega e FI, migliorano nettamente la propria performance (in particolare FI è all’11,2% rispetto all’8,3% del totale, mentre la Lega, seppur di pochi decimali, rimane sotto-rappresentata). Infine, il M5S tra i “giovani adulti” è nettamente sotto-rappresentato di 5,8 punti rispetto alla media.

    Comparando questi dati con le intenzioni di voto nelle altre fasce di età, il primo elemento che emerge è che il M5S non è tanto il partito dei giovani (contrariamente a quanto visto in studi passati), quanto piuttosto il partito dell’età di mezzo. Questo elemento era in parte già emerso nel sondaggio fatto prima delle elezioni politiche (Maggini 2018). Infatti, il M5S è fortemente sovra-rappresentato tra le persone tra i 45 e i 54 anni, dove arriva al 40,5% delle preferenze. In questa classe di età va invece molto male il PD, che ottiene l’11,8%. Nella classe di età precedente, ossia 35-44 anni, il partito nettamente più sovra-rappresentato è la Lega con il 37%.

    Passando alle due classi di età più anziane, emerge che nella classe 54-64 anni il PD con il 23,1% è il partito chiaramente più sovra-rappresentato, mentre FI con il 5,2% è particolarmente sotto-rappresentata. Infine, tra gli over 64 il Movimento guidato da Luigi Di Maio riscuote consensi molto bassi rispetto al totale del campione (18,2% vs. 27,1%). Tra i più anziani va invece molto bene Fratelli d’Italia (+6,7 punti percentuali rispetto al suo consenso medio) e anche la Lega ottiene una buona performance con il 32,5%.

    Sulla base di quanto visto finora, possiamo dire, in sintesi, che i partiti dal profilo più giovanile sono Più Europa e Potere al Popolo, dal momento che questi partiti (come abbiamo visto) sono fortemente sovra-rappresentati tra i giovani, mentre sono sotto-rappresentati in tutte le altre fasce di età (ad eccezione della classe 35-44 per Più Europa e della classe over 64 per Potere al Popolo). Il PD è invece un partito che va bene tra i giovanissimi (18-24 anni) e tra i 55-64enni, mentre il M5S è il partito egemone tra le persone di mezza età (45-54). Infine, la Lega va particolarmente bene nelle classi d’età 55-64 e soprattutto 35-44, mentre si trova in forte difficoltà tra i giovanissimi.

    Il quadro che abbiamo appena dipinto è in parte simile a quello emerso in un’analisi precedente alle elezioni del 4 marzo (Maggini 2018). Tuttavia, ci sono anche degli importanti elementi di novità. La Tabella 2 mostra nelle varie classi di età gli scarti, in punti percentuali, tra le attuali intenzioni di voto per i quattro principali partiti (M5S, Lega, PD, FI) e le intenzioni di voto prima delle elezioni politiche (sondaggio condotto tra il 5 e il 14 febbraio 2018). I risultati ci dicono che effettivamente il profilo “anagrafico” dei principali partiti italiani è mutato significativamente in meno di un anno. Prima di tutto, si nota un “ringiovanimento” del profilo del PD: quest’ultimo, infatti, pur diminuendo nelle intenzioni di voto rispetto alla rivelazione precedente, registra un incremento tra i 35-44enni (+2,1 punti percentuali) e, in misura minore, tra i giovanissimi (+0,2 punti percentuali, rimanendo sostanzialmente stabile). Al contrario il PD, in passato partito egemone tra le classi più anziane, è arretrato di ben 28,4 punti percentuali tra gli over 64 (un calo di gran lunga più marcato rispetto al suo arretramento medio). Specularmente, il profilo del M5S appare “invecchiato”: a fronte di un generale calo nei consensi, il partito di Di Maio migliora nettamente tra i più anziani (+7,6 punti), mentre cala in maniera marcata tra i giovani adulti (-10,2 punti) e nella classe d’età 35-44 (-13,5 punti). Il leggero incremento tra i giovanissimi (+1,6 punti) è compensato da un incremento di entità simile (+1,9 punti) tra le persone di mezza età (45-54). FI cala in tutte le fasce d’età. Il calo più marcato avviene sia tra i giovani che tra gli anziani (mentre i cali di entità inferiore si registrano nella classi 35-44 e 55-64). Infine, la Lega è l’unico partito che aumenta considerevolmente i propri consensi in tutte le classi d’età rispetto al sondaggio pre-elettorale (a parte tra i giovanissimi dove con +0,3 punti rimane sostanzialmente stabile). L’aumento più marcato avviene nella classe più anziana (+24,2 punti) e, in misura inferiore, nella classe 35-44 anni (+19 punti).

    Tab. 2 – Intenzioni di voto per i maggiori partiti italiani e classi di età: differenze in punti percentuali tra dicembre 2018 e febbraio 2018

    tabella 2In conclusione, questi dati ci dicono che il profilo “anagrafico” dei principali partiti italiani sembra essere entrato in una fase di interessante mutamento, che può portare nel lungo periodo a un comportamento elettorale differenziato per età secondo pattern diversi rispetto a quelli a cui siamo stati abituati negli ultimi anni. Significativo, a tal proposito, è il ringiovanimento dell’elettorato del PD e il contestuale invecchiamento di quello del M5S, che si conferma come il partito egemone nella età di mezzo (45-54). L’ottimo stato di salute della Lega, invece, appare legato alla forte ascesa del partito di Salvini tra le classi di età adulte (in particolare nella classe 35-44 anni) e tra la popolazione anziana. Infine, è da notare il fatto che i due partiti al governo (Lega e M5S), sommati assieme, registrano il consenso minore tra le persone più giovani, ossia quelle tradizionalmente più mobili dal punto di vista elettorale. Al contrario, i partiti di sinistra e centrosinistra, sommati assieme, superano la maggioranza assoluta dei voti tra i giovanissimi: 50,9% tra i 18-24enni. Come già avevamo visto nel febbraio 2018 (Maggini 2018), i giovani adulti (25-34) sono invece più spostati a destra. Gli elementi di novità rispetto al passato che abbiamo evidenziato sono il sintomo di un mutamento più profondo in atto o sono solo cambiamenti di breve periodo legati alla contingenza? E le differenze tra “giovanissimi” e “giovani adulti” in termini di preferenze elettorali rappresentano l’inizio di una frattura generazionale all’interno della categoria dei “giovani”? Questi sono gli interrogativi che questa analisi ha aperto e a cui solo altre elezioni e altre ricerche potranno fornire una risposta.

    Riferimenti bibliografici

    Blais, A., Gidengil, E., Nadeau, R., e Nevitte, N. (2002), ‘Generational change and the decline of political participation: The case of voter turnout in Canada’, paper presented at Citizenship on trial: Interdisciplinary perspectives on political socialization of adolescents conference, Montreal, McGill University.

    Blais, A., Gidengil, E., Nevitte, N., e Nadeau, R. (2004), ‘Where does turnout decline come from?’, European Journal of Political Research, 4(2), pp. 221–236.

    Corbetta, P. (2002), ‘Le generazioni politiche’, in M. Caciagli e P. Corbetta (a cura di) Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centro–destra nelle elezioni italiane del 2001, Bologna, Il Mulino.

    Franklin, M.N. (2004), Voter turnout and the dynamics of electoral competition in established democracies Since 1945, Cambridge, Cambridge University Press.

    Maggini, N. (2016), Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective, Londra, Palgrave Macmillan.

    Maggini, N. (2018), ‘Il voto e l’età: mezza età per il M5S, anziani per il PD, under 35 in ordine sparso’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 51-53.

    van der Eijk, C., e Franklin, M.N. (2009), Elections and voters, Basingstoke, Palgrave MacMillan.


    [1] Il sondaggio è stato realizzato con metodo CAWI (Computer-Assisted Web Interviewing) da Demetra opinioni.net S.r.l. nel periodo 10-19 dicembre. Il campione ha una numerosità di 1.113 rispondenti ed è rappresentativo della popolazione elettorale italiana per genere, classe di età, titolo di studio, zona geografica di residenza, e classe demografica del comune di residenza. Le stime qui riportate sono state ponderate in funzione del ricordo del voto alle politiche e di alcune variabili socio-demografiche. L’intervallo di confidenza al 95% per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è ±2,9%.

  • La vittoria del partito degli astenuti: l’affluenza tracolla ai ballottaggi

    La vittoria del partito degli astenuti: l’affluenza tracolla ai ballottaggi

    Per esaminare l’esito dei ballottaggi di queste elezioni comunali, il primo elemento da cui partire è quello relativo alla partecipazione elettorale (vedi Tabella 1). L’affluenza nei 75 comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al ballottaggio è stata del 46,1%, con un calo di 14,4 punti percentuali rispetto al primo turno. Un calo molto simile a quello verificatosi nella tornata elettorale del 2017 (Maggini 2017), quando la partecipazione diminuì di 12,4 punti ai ballottaggi. Ma va considerato che allora nel totale dei comuni non erano inclusi quelli siciliani (che videro elezioni sfalsate di qualche settimana rispetto al resto d’Italia), Se si esclude i comuni siciliani anche dal totale dei comuni andati al voto nel 2018, si scopre che il calo dell’affluenza tra primo e secondo turno è stato esattamente lo stesso. Un chiaro indicatore di come il tracollo dell’affluenza ai ballottaggi stia diventando una costante negli ultimi anni, segnalando quantomeno un forte disinteresse per la posta in gioco da parte di molti elettori, in particolare di quelli dei partiti e candidati rimasti esclusi dai ballottaggi. Evidentemente i candidati andati al ballottaggio non sono stati in grado in molti casi non solo di attrarre i voti di chi aveva votato al primo turno altri candidati o di chi si era astenuto, ma anche di rimobilitare a sufficienza i propri elettori. Di questo aspetto, però, ce ne occuperemo in altri articoli attraverso l’analisi dei flussi elettorali.

              Il forte calo, se possibile, è stato ancora più marcato nei 14 comuni capoluogo, dove al ballottaggio ha votato il 44,9%, con un calo di 16,3 punti rispetto al primo turno. Questo significa che in generale meno della metà degli elettori ha deciso di recarsi alle urne per scegliere il sindaco della propria città. Il primo partito, in definitiva, è stato quello del non voto. Un dato sicuramente indicativo non solo (come in precedenza menzionato) dello scarso appeal presso l’elettorato della maggior parte delle sfide che ci sono state al ballottaggio, ma anche dell’apatia elettorale e del clima generalizzato di sfiducia verso la classe politica nel suo complesso come mostrato sempre di più dalle tornate elettorali locali degli ultimi anni.

              Disaggregando questo dato tra le diverse zone geopolitiche[1], notiamo che non ci sono enormi differenze in termini di partecipazione tra le tre zone del paese, anche se l’affluenza è maggiore nella Zona Rossa con il 51% e inferiore al Sud con il 44,3%. Se si fa però un raffronto con il primo turno, il calo nel Nord e nella Zona Rossa è stato molto simile (rispettivamente, -8,4 punti e -7,8 punti), mentre al Sud è stato decisamente maggiore (-18 punti). Il Sud, al contrario, era la zona del paese dove al primo turno si era votato di più tra questo insieme di comuni andati al ballottaggio (62,3%). Il calo dell’affluenza particolarmente marcato nei comuni del Sud non è affatto una novità. È un fenomeno che si era già visto alle comunali del 2016 e a quelle del 2017 (Maggini 2016, 2017). Fa impressione notare come nel 2017 il calo fosse stato praticamente identico a quello di questa tornata (che però come detto include anche i comuni siciliani). Si tratta anche questo di un fenomeno che sta diventando una costante nelle ultime tornate amministrative. Si può ipotizzare che questo tracollo al Sud sia dovuto al fatto che nei ballottaggi viene meno il traino del voto di preferenza per i candidati consigliere e nel meridione questo tipo di voto personale è sempre stato molto importante.

    Guardando alla disaggregazione per dimensione demografica[2] dei comuni, si vede come la partecipazione sia inversamente proporzionale alla grandezza delle città. Nei comuni compresi tra 15 e 49.999 abitanti ha votato in media il 49% degli elettori, contro appena il 40,3% delle (quattro) maggiori città e il 45,7% dei comuni tra 50.000 e 99.999 abitanti. Guardando al confronto con il primo turno, si verifica un fenomeno analogo, ossia la partecipazione cala di più nelle grandi città (-19,7 punti), rispetto ai comuni medi (-15,3) e piccoli (-11,2). In ogni modo, in tutte e tre le dimensioni demografiche la maggioranza assoluta degli elettori è rimasta a casa al ballottaggio, a differenza di quanto osservato nella ripartizione per zone geopolitiche (dove la “soglia” del 50% viene superata nella Zona Rossa).

    Tab.1 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 75 comuni superiori, per area geopolitica e dimensione demografica (valori percentuali).

     Ballottagi1_2018

    Guardando al dettaglio dei 14 comuni capoluogo al voto (vedi Tabella 2), si deve sottolineare il fatto che in soli cinque comuni la partecipazione al voto è stata pari o superiore al 50%: Siena (56,2%), Pisa (55,9%), Massa (54,9%), Avellino (50,3%) e Teramo (50%). Si noti il fatto che le prime tre sono città toscane dove la competizione tra centrosinistra e centrodestra era molto accesa, il risultato quanto mai in bilico e la posta in palio sicuramente alta. Siena e Pisa erano infatti due storiche roccaforti della sinistra, passate di mano in queste elezioni. Tutti questi fattori hanno senza dubbio favorito un certa mobilitazione. E infatti il calo minore tra primo e secondo turno si è verificato proprio a Pisa (solo -2,7 punti percentuali), a Siena (-6,9 punti) e a Massa (-7,5 punti). Leggermente superiore alla media dei comuni capoluogo (47%) è stata l’affluenza (comunque inferiore al 50%), a Sondrio (49,7%, con un calo di 8,4 punti) e a Imperia (48,3%, con un calo di 14,5 punti). Particolarmente bassa l’affluenza è stata a Siracusa (34,2%), Messina (39,2%), Brindisi (40,6%), Ragusa (41,9%) e Ancona (42,7%). A parte quest’ultima, sono tutti comuni del Sud, confermando quanto detto in precedenza circa la bassa partecipazione ai ballottaggi nei comuni meridionali nel loro complesso. Sono anche tutti comuni (con l’eccezione di Ragusa) dove il calo è stato di oltre i 20 punti percentuali, quindi nettamente superiore rispetto al calo medio nell’insieme dei comuni capoluogo (-14,4 punti).

    Al contrario, inferiore alla media il calo è stato, oltre ai già citati comuni capoluogo toscani e a Sondrio, anche a Ancona (-11,9 punti, ma in una città dove come si è visto l’affluenza è stata particolarmente bassa) e a Terni (-12 punti)

    Tab. 2 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 14 comuni capoluogo (valori percentuali).

     Ballottagi2_2018     In conclusione, a parte il dato del maggior calo dell’affluenza nei comuni meridionali, questi ballottaggi hanno registrato un trend negativo generale per ciò che concerne la partecipazione elettorale, indipendentemente dalla zona geografica o dalla dimensione demografica, anche se con sfumature diverse. Si può pertanto parlare di un vero e proprio tracollo dell’affluenza ai ballottaggi con la vittoria generalizzata del “partito degli astenuti”.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) (2014), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino.

    Corbetta, P. G., Parisi, A. e Schadee, H. M. A. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Diamanti, I. (2009), Mappe dall’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, in Meridiana– Rivista di Storia e Scienze Sociali, 70, pp. 115-148.

    Emanuele, V. (2013), ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd’, in De Sio, L., Cataldi, M. e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-88.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Emanuele, V. Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di),

    Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 49-56.

    Maggini, N. (2016), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del Pd, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5s’, in Emanuele, V. Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    Maggini, N. (2017), ‘Netto calo dell’affluenza nei comuni superiori al voto’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 185-189.

    [1] Sul concetto di zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014).

    [2] Per un’analisi del rapporto tra dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia vedi Emanuele (2011; 2013), Emanuele e Maggini (2016), Maggini (2017).

  • L’affluenza nei comuni superiori: un netto calo in linea con le tendenze degli ultimi anni

    L’affluenza nei comuni superiori: un netto calo in linea con le tendenze degli ultimi anni

    Il primo dato di cui tenere conto per analizzare l’esito di queste elezioni amministrative è quello relativo alla partecipazione elettorale. Osservando i 109 comuni superiori ai 15.000 abitanti al voto, l’affluenza è stata del 60,1%, con un netto calo di 6,4 punti rispetto alle precedenti comunali (vedi Tabella 1). Un calo sensibilmente più alto (-10,2 punti) si è invece verificato in confronto alle politiche del 4 marzo. Se il termine di raffronto sono le politiche del 2013, in questo insieme di comuni il calo è stato di ben 12,5 punti. Questi dati pertanto sono un indicatore della sempre maggiore disaffezione degli elettori nei confronti della politica, già ampiamente documentata sia dalle analisi dell’Osservatorio politico del CISE sugli atteggiamenti dell’opinione pubblica che dalle analisi delle elezioni comunali degli ultimi anni (Emanuele e Maggini 2016; Maggini 2017).

    Disaggregando questo dato tra le diverse zone geopolitiche[1], notiamo una partecipazione più alta al Sud (61,5%), rispetto alla Zona Rossa (58,9%) e al Nord (56,2%). Questa maggiore affluenza al Sud non è un dato sorprendente, ma in linea con la tradizione delle elezioni comunali, come mostrato anche dall’analisi della tornata amministrativa del giugno 2016 e del giugno 2017 (Emanuele e Maggini 2016; Maggini 2017). Si conferma cioè come il Sud, che alle politiche tende a partecipare meno del resto del paese (circa -11 punti rispetto alle altre due zone nel 2018), alle amministrative sia l’area con la maggiore affluenza. Tuttavia, rispetto alle precedenti comunali, il calo generale dell’affluenza ha riguardato soprattutto il Sud (-7,2 punti percentuali) e il Nord (-6 punti), mentre nella Zona Rossa tale calo è stato meno marcato (-3,8 punti). In altre parole, le differenze di partecipazione tra le tre aree del paese sono diminuite. In ogni modo, a conferma dell’importanza percepita delle elezioni comunali al Sud e della loro peculiarità rispetto al resto del paese, è interessante notare il fatto che, se il termine di raffronto sono le politiche del 2018, al Sud l’affluenza ha subito un calo contenuto (-5,2 punti percentuali), mentre al Nord e nella Zona Rossa si è verificato un vero e proprio crollo (oltre i 17 punti percentuali). Si riscontra una situazione analoga se si prende come termine di paragone le politiche del 2013, con cali un po’ superiori a quelli indicati dal 2018 per tutte e tre le zone. Questi dati confermano quindi come nelle regioni meridionali l’affluenza alle comunali, dove il voto personale (espresso tramite lo strumento del voto di preferenza e del voto al candidato sindaco) è molto importante, sia simile a quella di un’elezione politica, anche se in netto calo rispetto al passato. A tal proposito, basti pensare che nelle precedenti comunali la partecipazione elettorale al Sud era stata del 68,7%, ossia lievemente più alta dell’affluenza alle politiche del 2013 (68,5%).

    In linea con le precedenti comunali, la disaggregazione per dimensione demografica[2] dei comuni rivela che la partecipazione è più bassa nelle grandi città (con popolazione pari o superiore ai 100.000 abitanti), rispetto ai comuni medi (tra 50.000 e 99.999 abitanti) e piccoli (tra 15 e 49.999 abitanti). Infatti l’affluenza è stata del 57,4%, mentre nei comuni medi e piccoli è stata quasi uguale (61,4% e 60,5%, rispettivamente). Questa tendenza è molto simile a quella riscontrata alle politiche del un po’ in tutte le elezioni considerate, anche se in queste comunali lo scarto fra i comuni grandi e gli altri è superiore, anche se di poco. Questo dimostra il fatto che le comunali sono più sentite nei comuni piccoli e medi (soprattutto al Sud), rispetto alle grandi città. Un dato che è rafforzato se si guarda alla diminuzione della partecipazione elettorale rispetto alle precedenti comunali: nelle grandi città si assiste al calo maggiore (-7,9 punti). Tendenze simili, anche se di dimensioni diverse, sono riscontrabili nel raffronto con le politiche del 2018. Se poi il termine di paragone sono le politiche del 2013, nelle grandi città si verifica un vero e proprio crollo di 21,4 punti, molto maggiore di quello nei comuni piccoli (-13,2) e medi (-11,8 punti).

    In generale, comunque, in queste elezioni comunali la dimensione demografica non ha inciso molto sulla partecipazione elettorale, dal momento che tra le tre classi demografiche ci sono scarti di pochi punti percentuali, a differenza della tornata amministrativa del giugno 2017 che aveva mostrato una affluenza con un andamento chiaramente inversamente proporzionale alla grandezza delle città (Maggini 2017).

    Tab. 1 – Riepilogo dell’affluenza nei 109 comuni superiori al voto e confronto con le elezioni precedentiaffluenza

    Disaggregando il dato nei 20 comuni capoluogo al voto (vedi Tabella 2), l’affluenza è stata di poco inferiore rispetto al dato complessivo dei comuni non capoluogo (59,4%), con un calo identico a quello riscontrato nell’aggregato complessivo (-6,4 punti rispetto alle comunali precedenti). Spicca il dato di alcuni comuni del Sud, con partecipazione pari o superiore al 65%: Messina, Teramo, Barletta, Avellino. Superiore alla media (60,5%), è stata anche l’affluenza a Siena (63,1%), Imperia (62,8%), Viterbo (62,7%), Massa (62,4%). Attorno alla media è stata a Brindisi (60,7%). Al contrario la partecipazione è stata molto bassa a Catania (53,2%), Ancona (54,6%), Siracusa (55,3%) e Vicenza (55,8%). Di più di due punti sotto la media è stata la partecipazione a Brescia, Sondrio e Ragusa. Siracusa e Catania sono anche i comuni dove l’affluenza cala di più rispetto alle comunali precedenti, andando dai -10,9 punti percentuali di Siracusa ai -10,2 di Catania. Cali marcati si registrano anche a Brescia e a Terni (-8,1 punti in entrambe le città) e anche in alcune città con un’affluenza attorno o sopra la media, come a Brindisi (-7,2), a Barletta (-8,8) e a Teramo (-7,0). L’unico comune capoluogo dove l’affluenza rimane pressoché identica è Trapani (+0,3), mentre Pisa è l’unica città che mostra un aumento (+2,8).

    Tab. 2 – Affluenza nei 20 comuni capoluogo al voto e confronto con le precedenti comunali
    Tab. 2 affluenza

    In generale, si deve sottolineare come quello registrato alle recenti comunali non sia stato un calo inatteso dell’affluenza, essendo in linea con i trend degli ultimi anni, simile ad esempio a quelli registrati nelle tornate amministrative del giugno 2016 e del giugno 2017 (Emanuele e Maggini 2016; Maggini 2017). Da questi dati sull’affluenza emergono in conclusione due elementi importanti, uno in linea con gli elementi di novità emersi negli ultimi  anni e l’altro in forte continuità con il passato: il primo è il fatto che il netto e generalizzato calo dell’affluenza ha ridotto le differenze di partecipazione tra le aree del paese, con il Sud che vede il maggiore calo e con una partecipazione molto simile al Nord e nella Zona Rossa (un dato quest’ultimo già emerso alle precedenti comunali e confermato anche alla tornata amministrativa del giugno 2017). L’elemento di continuità con la storia elettorale del paese è invece rappresentato dalle regioni meridionali dove l’affluenza, seppur in forte calo rispetto al passato, rimane comunque più alta rispetto alle altre aree geopolitiche, confermando la tradizione di un Sud che alle elezioni amministrative, quando si tratta di attribuire un voto che è molto più “personale” (al sindaco e al consigliere) che “politico”, partecipa di più rispetto al resto del paese.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) (2014), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino.

    Corbetta, P. G., Parisi, A. e Schadee, H. M. A. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Diamanti, I. (2009), Mappe dall’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e  tricolore, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, in Meridiana– Rivista di Storia e Scienze Sociali, 70, pp. 115-148.

    Emanuele, V. (2013), ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il Pd’, in De Sio, L., Cataldi, M. e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-88.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 49-56.

    Maggini, N. (2017), ‘Netto calo dell’affluenza nei comuni superiori al voto’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 45-49.


    [1] Sul concetto di zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014)

    [2] Per un’analisi del rapporto tra dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia vedi Emanuele (2011; 2013), Emanuele e Maggini (2016), Maggini (2017).

  • Il voto e l’età: mezza età per il M5s, anziani per il Pd, under 35 in ordine sparso

    Il voto e l’età: mezza età per il M5s, anziani per il Pd, under 35 in ordine sparso

    Il sondaggio CISE-Sole 24 Ore sulle intenzioni di voto alle elezioni politiche del 4 marzo offre spunti interessanti anche per ciò che concerne l’analisi del voto per classi di età. L’età infatti è una caratteristica socio-demografica che può avere una influenza sulle scelte di voto e tradizionalmente negli studi elettorali sono due gli effetti legati all’età: l’effetto generazione –per cui le persone di un stessa coorte di età sono influenzate (in maniera stabile nel corso del tempo) nei propri comportamenti politico-elettorali dal periodo storico in cui si sono socializzate alla politica– e l’effetto ciclo di vita – per cui le persone cambiano comportamento a seconda della fase della vita in cui si trovano, con i giovani solitamente con opinioni politiche più radicali rispetto alle persone più anziane (Corbetta 2002; Blais et al. 2002, 2004; Franklin 2004). Questa non è la sede per esaminare quale di questi due effetti è prevalente dal momento che sarebbero necessarie analisi longitudinali più approfondite. Tuttavia, l’analisi del voto per classi di età è interessante per vari motivi, a partire dal fatto l’Italia è un paese caratterizzato da bicameralismo perfetto, ma con un corpo elettorale differenziato tra Camera e Senato (con gli under 25 che votano solo alla Camera). A tale proposito, è importante capire le intenzioni di voto dei giovani che secondo molte ricerche sono uno dei segmenti sociali più mobili dal punto di vista elettorale e anche più propensi all’astensione (Franklin 2004; van der Eijk e Franklin 2009; Maggini 2016). Se è quindi vero che per i partiti gli anziani costituiscono una base elettorale più “sicura” (a maggior ragione in un paese demograficamente anziano come l’Italia), è altrettanto vero che le persone più giovani sono quelle più disponibili a cambiare opinione e quindi potrebbero essere determinanti dal punto di vista elettorale.

    Tabella 1 – Intenzioni di voto e classi di età

    Tabella voto etàLa Tabella 1 mostra il voto ai singoli partiti disaggregato per classi di età. Il primo elemento interessante che emerge è il fatto che il M5s non è tanto il partito dei giovani (come era risultato in studi passati), quanto piuttosto il partito delle classi di età intermedie. Infatti, nelle due classi più giovani (18-24, 25-34), il M5s è leggermente sopra la media del campione, mentre è fortemente sovra-rappresentato tra le persone tra i 35 e i 54 anni, dove arriva oltre il 38% dei voti. In linea con il passato, invece, il Movimento guidato da Luigi Di Maio riscuote consensi molto bassi tra gli over 64 (e in particolare tra gli over 74).  In queste fasce di età più anziane va invece molto bene il PD, che raccoglie il 36,5% nella fascia 65-74 e addirittura il 55,7% tra gli ultra 75enni. Un po’ sopra la media è nella fascia 55-64, mentre il partito di Renzi va molto male nelle classi di età tra 35 e 54 anni. Al contrario, tra i giovanissimi il PD mostra un dato sostanzialmente attorno alla media e nettamente migliore rispetto sia alle classi di età più centrali (quaranta/cinquantenni) che rispetto ai giovani adulti (25-34). Qui emerge quindi una forte differenza tra giovanissimi (18-24) e giovani adulti (25-34), con i secondi molto più spostati a destra (in particolare Forza Italia è al 20,7% rispetto al 15% del totale e l’1,8% dichiara di votare per il partito neofascista di CasaPound, contro una media dello 0,6%). Da notare in questa classe anche la sovra-rappresentazione del partito più a sinistra (Potere al Popolo). Il partito di Berlusconi è sovra-rappresentato anche nelle classi più anziane, mentre è sottorappresentato tra i giovanissimi e soprattutto nella classe 55-65 (dove ha solo il 9,2%). La Lega di Salvini va particolarmente bene tra le persone tra i 35 e 54 anni, mentre è sotto-rappresentata tra i giovanissimi e nelle classi più anziane. Infine, Fratelli d’Italia mostra un dato più alto rispetto alla media tra i giovanissimi e nettamente sotto la media tra i più anziani, mentre LeU è sovra-rappresenta nella fascia 65-74. Infine, da segnalare il dato di Più Europa che è nettamente sovra-rappresentata rispetto alla media del campione tra giovanissimi, dove con il 4,3% supererebbe ampiamente la soglia di sbarramento.

    In conclusione, questi dati ci dicono che il PD è il partito egemone tra gli anziani, il M5s è il partito preferito dalle persone di mezza età, mentre i giovani mostrano un profilo variegato, con una chiara distinzione tra giovanissimi e giovani adulti. Che sia l’inizio di una frattura generazionale all’interno della categoria dei “giovani”? Solo altre elezioni e altre ricerche potranno darci una risposta.

    Riferimenti bibliografici

    Blais, A., Gidengil, E., Nadeau, R., & Nevitte, N. (2002). Generational change and the decline of political participation: The case of voter turnout in Canada, paper presented at Citizenship on trial: Interdisciplinary perspectives on political socialization of adolescents conference. Montreal: McGill University.

    Blais, A., Gidengil, E., Nevitte, N., & Nadeau, R. (2004). Where does turnout decline come from?. European Journal of Political Research, 4(2), 221–236.

    Corbetta, P. (2002). Le generazioni politiche. In M. Caciagli & P. Corbetta (Eds.) Le ragioni dell’elettore. Perché ha vinto il centro–destra nelle elezioni italiane del 2001. Bologna: Il Mulino.

    Franklin, M. N. (2004). Voter turnout and the dynamics of electoral competition in established democracies Since 1945. Cambridge: Cambridge University Press.

    Maggini, N. (2016), Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective, London, UK, Palgrave Macmillan.

    van der Eijk, C., & Franklin, M. N. (2009). Elections and voters. Basingstoke: Palgrave MacMillan


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Oltre il voto ai partiti: le insidie dei collegi uninominali

    Oltre il voto ai partiti: le insidie dei collegi uninominali

    Nel sondaggio CISE-Sole 24 Ore sulle intenzioni di voto alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, abbiamo chiesto agli intervistati non solo il tradizionale voto alla lista, ma anche il voto al candidato nel loro collegio uninominale (menzionando i nomi dei candidati e delle rispettive liste che li sostenevano). Incrociando il voto al partito con il voto al candidato nel collegio uninominale (vedi Tabella 1), è possibile capire se voto di lista e voto al candidato coincidano o se esista invece una discrasia tra arena proporzionale e maggioritaria.

    Tabella 1 – Matrice di flusso fra intenzioni di voto alla lista e intenzioni di voto al candidato di collegio

    Tabella flussi collegi

    Dal momento che la legge elettorale non prevede la possibilità del voto disgiunto, bisognerà poi vedere al momento delle elezioni quale dei due voti (quello di lista o quello al candidato) prevarrà nelle decisioni individuali di voto. In ogni modo, i nostri dati registrano una potenziale disposizione degli elettori a considerare il nome del candidato invece del partito nella scelta di voto. Infatti, il 36% dei rispondenti che dichiarano l’intenzione di voto a un partito non ha dichiarato di votare il candidato collegato nel collegio uninominale. Il 62% di questo 35% è incerto quando si tratta di esprimere un voto al candidato di collegio, mentre il restante 38% mostra un voto al candidato potenzialmente difforme rispetto al voto di lista. Dal momento che se così fosse il voto risulterebbe nullo, non sappiamo se in cabina elettorale (quando probabilmente gli elettori avranno capito meglio quali sono i meccanismi della nuova legge elettorale) sarà il voto di lista a prevalere o se invece la presenza di altri candidati più graditi farà defezionare dal partito preferito una quota di elettori. Al momento i nostri dati ci dicono che il 13,7% dei rispondenti è disponibile a prendere in considerazione un candidato diverso da quello del partito preferito e quindi mostra una potenziale incoerenza tra candidato e lista, cui si aggiunge un 22,5% di rispondenti totali che non sanno né se voteranno il candidato collegato al partito preferito né se invece opteranno per un altro candidato non collegato (probabilmente perché non si sono ancora fatti un’idea precisa dei candidati nel collegio). Da alcune simulazioni preliminari questa quota di elettori può fare la differenza fra vittoria e sconfitta in molti collegi, soprattutto al Sud.

    Se guardiamo alle risposte degli elettori dei diversi partiti, notiamo che il M5s è il partito con il più alto tasso di fedeltà fra voto di lista e voto al candidato (76%). Questo dato non è del tutto sorprendente, dal momento che il M5s non ha formato coalizioni pre-elettorali e quindi i suoi elettori si troveranno sulla scheda solo i “propri” candidati del M5s nel collegio uninominale e non anche i candidati di altri partiti coalizzati, come avviene invece per i partiti del centrodestra e del centrosinistra. Non a caso, infatti, le due coalizioni mostrano tassi di fedeltà inferiori: il centrosinistra mostra un tasso di fedeltà del 62% per il Pd, ma solo del 44% per Più Europa; il centrodestra mostra un tasso di fedeltà del 59% per Forza Italia, del 61% per la Lega e del 64% per FdI. Infine, da notare come l’altro partito rilevante fuori dalle coalizioni, ossia Liberi e Uguali, non sembra sfruttare lo stesso vantaggio strutturale del M5s derivante dal fatto di presentare solo propri candidati: infatti il tasso di fedeltà dei suoi elettori è del 58%, molto più basso di quello del M5s e più o meno in linea con quello degli elettori dei principali partiti delle coalizioni di centrosinistra e di centrodestra. Ciò probabilmente è dovuto al fatto che LeU è una lista unitaria composta però da differenti partiti. Inoltre una quota di elettori nel collegio potrebbe essere attratta da altri candidati di aerea (il 3% mostra una preferenza per candidati del centrosinistra e il 6% per candidati di altri partiti minori).

    Figura 1 – Flussi fra intenzioni di voto alla lista e intenzioni di voto al candidato di collegio (clicca per ingrandire)flussi_PR_MG_fig

    In conclusione, questi dati ci dicono che il voto ai candidati potrebbe giocare un ruolo nel modificare le intenzioni di voto ai partiti e il M5s in questo contesto sembra essere il partito con l’elettorato più “fedele”.


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Elezioni in Germania, verso la coalizione ‘Giamaica’: La compatibilità dei tre elettorati

    Elezioni in Germania, verso la coalizione ‘Giamaica’: La compatibilità dei tre elettorati

    Domenica 24 settembre gli elettori tedeschi si sono recati alle urne per il rinnovo del Bundestag. Si è trattato della quarta elezione politica che ha riguardato un paese importante dell’Unione Europea nel corso del 2017, dopo Olanda, Francia e Regno Unito. L’esito delle elezioni è stato in linea con quanto previsto dai sondaggi, anche se con qualche piccola sorpresa circa le percentuali raccolte dai vari partiti: la CDU-CSU della Cancelliera Angela Merkel è stato nettamente il partito più votato come rilevato nelle intenzioni di voto della vigilia, ma con una percentuale un po’ inferiore rispetto a quella preventivata, mentre il partito euroscettico di destra radicale ‘Alternativa per la Germania’ (AfD) ha ottenuto un po’ più del previsto. La Tabella 1 mostra i risultati elettorali sia in termini di voti che di seggi e le differenze rispetto alle precedenti elezioni federali del 2013.  Sono riportati i risultati (in numeri assoluti e in termini percentuali) ottenuti dai partiti nell’arena maggioritaria dei collegi uninominali e in quella proporzionale del voto di lista.  Il sistema elettorale tedesco è infatti un sistema elettorale proporzionale con meccanismi di correzione maggioritaria: la assegnazione dei seggi, e quindi la determinazione della forza politica alla Camera Bassa (Bundestag) avviene in base alla proporzione dei voti raccolti dalle liste di partito a livello nazionale; esiste tuttavia la possibilità di votare anche un candidato del collegio uninominale che determina un rapporto diretto tra elettore ed eletto. Inoltre è presente una soglia di sbarramento del 5% per accedere alla ripartizione dei seggi che altera la rappresentatività proporzionale pura, escludendo i piccoli partiti, che però possono trovare rappresentanza in parlamento tramite eventuali candidati eletti nei collegi uninominali. Per capire i rapporti di forza tra i partiti si deve pertanto guardare ai voti ottenuti dai partiti nell’arena proporzionale. La CDU-CSU ha ottenuto circa il 33% dei voti, con una perdita di 8,6 punti percentuali e di 65 seggi rispetto alle elezioni federali del 2013. Secondo partito è risultato la SPD del candidato Cancelliere Martin Schulz, che con il 20,5% ha ottenuto il peggior risultato di sempre in una elezione generale, calando di 5,2 punti e di 40 seggi rispetto al 2013. Terzo partito è risultato invece la AfD che con il 12,6% ha ottenuto un risultato “storico”, entrando per la prima volta al Bundestag con la ragguardevole quota di 94 seggi. La AfD è riuscita a sfruttare lo spazio politico che si era aperto alla destra della CDU assumendo forti prese di posizione anti immigrati e criticando aspramente la politica di accoglienza nei confronti dei rifugiati portata avanti dalla Merkel.  Tutto ciò conferma i risultati dell’analisi presentata prima del voto che mostrava come nell’elettorato tedesco ci fosse un diffuso consenso per posizioni di ‘demarcazione’ culturale (Kriesi et al. 2006), come la necessità di rendere l’immigrazione più restrittiva, limitare il numero di rifugiati e richiedere agli stranieri di adattarsi alla cultura tedesca. Agenda su questa dimensione del tutto simile a quella già osservata negli altri paesi in cui abbiamo condotto l’indagine – Olanda, Francia e Regno Unito.

    Per quanto riguarda i risultati degli altri partiti che hanno ottenuto seggi, molto bene sono andati anche i liberali della FDP che hanno poco più che raddoppiato la loro percentuale di voti, passando dal 4,7% del 2013 al 10,7% del 2017, con un incremento di 80 seggi (mentre nel 2013 erano rimasti fuori dal Bundestag). Infine, il partito della sinistra radicale (Die Linke) e i Verdi hanno ottenuto percentuali simili a quelle di quattro anni prima (9,2% e 8,9%, rispettivamente), con un leggero incremento per entrambi i partiti sia in termini percentuali che di seggi. Oltre ai due principali partiti, quindi, altre quattro forze politiche (un record) sono state in grado di superare la soglia di sbarramento del 5%, ottenendo una rappresentanza parlamentare. Un ulteriore record è rappresentato dal numero complessivo di parlamentari eletti in queste elezioni. Proprio in virtù del meccanismo di correzione proporzionale delle vittorie nei collegi, il numero di membri del Bundestag non è fisso, ma pùò crescere quando i 299 seggi proporzionali inizialmente previsti non bastino a restituire la necessaria proporzionalità. Nel 2013 i seggi aggiuntivi furono 33. Quest’anno addirittura 111, ben 78 in più. Saranno quindi ben 709 i deputati nella nuova legislatura.

    Tab. 1 – Risultati elettorali nelle legislative tedesche 2017, confronto con il 2013 (clicca per ingrandire)GER2.1_IT

    Se è vero che il partito della Merkel ha perso molti voti in meno rispetto al 2013, con una performance che è risultata la peggiore dal 1949, è anche vero che il distacco nei confronti del secondo partito (la SPD) è stato notevole (12,4 punti percentuali) e non ci sono dubbi circa il fatto che la Merkel guiderà di nuovo il governo federale per il suo quarto mandato consecutivo, per un totale di 16 anni al potere, eguagliando in ciò il record detenuto da Helmut Kohl. Se è quindi chiaro chi sarà il prossimo Cancelliere, non è affatto chiaro quale sarà la formula di governo che sosterrà Frau Merkel. L’esito delle elezioni ci dice che due sono le opzioni per formare il governo: il rinnovo della consolidata formula della ‘Große Koalition’ con la SPD, oppure una coalizione ‘Giamaica’ (per il colore dei simboli dei partiti che ne farebbero parte) con Verdi e Liberali. La prima opzione al momento sembra essere stata scartata dalla stessa SPD per bocca di Schulz, che dopo otto anni di grandi coalizioni negli ultimi dodici, e di sconfitte elettorali, vorrebbe andare all’opposizione per rigenerarsi e non lasciare alla AfD il monopolio dell’opposizione parlamentare. In questi anni, infatti, i partner di minoranza delle grandi coalizioni sono stati penalizzati in termini elettorali, a tutti vantaggio invece del partito maggiore che esprimeva il capo del governo, ossia la CDU della Cancelliera Merkel. Basti pensare che la FDP, che nella legislatura dal 2009 al 2013 era stato il partner di coalizione dei Cristiano-Democratici, nel 2013 non aveva ottenuto alcun seggio nel Bundestag, per la prima volta nella sua storia.

    A questo punto, a meno che la SPD non cambi idea, l’opzione più probabile al momento è quella della coalizione ‘Giamaica’. Ma quanto è praticabile politicamente una tale formula di governo? Detto in altri termini, quanto sono compatibili i partiti che la formerebbero dal punto di vista delle priorità e delle preferenze che i loro elettori hanno circa le tematiche emerse dal dibattito pubblico tedesco? Per rispondere a questo interessante quesito di ricerca, possiamo guardare ai dati che il CISE ha raccolto nei giorni precedenti alle elezioni in un sondaggio CAWI sulla popolazione adulta tedesca nell’ambito di un più ampio studio comparato. Come già avvenuto per Olanda, Francia e Regno Unito, ai rispondenti è stato chiesto di esprimere la propria preferenza su una serie di temi posizionali (issues divisive che fanno riferimento a due obiettivi rivali, come ad esempio servizi pubblici vs. tasse). Successivamente, ai rispondenti è stato chiesto di indicare la priorità che essi assegnano all’obiettivo scelto. Il questionario includeva anche 10 valence issues (Stokes 1963), ossia temi ‘imperativi’ che fanno riferimento ad un obiettivo condiviso, sui quali c’è un consenso generale (come ad esempio la protezione dal terrorismo). Su questi temi ai rispondenti viene chiesto di indicare solo la priorità, dal momento che un consenso del 100% è assunto per definizione.

    La Tabella 2 riassume i principali risultati del sondaggio, riportando per ciascun obiettivo il tipo di issue in questione (ossia se si tratta di un tema posizionale o imperativo), la dimensione su cui poggia (economica o culturale) e, per gli obiettivi posizionali, anche la direzione dell’obiettivo stesso (se progressista o conservatore). Inoltre, viene riportato, per ciascuna issue, il livello di priorità attribuita dagli elettori dei differenti partiti di una eventuale coalizione ‘Giamaica’ (CDU-CSU, FDP e Verdi) e, per ciascuna issue posizionale, viene riportato anche il supporto in termini percentuali tra gli elettori dei partiti prima menzionati per l’obiettivo riportato. Infine, l’ultima colonna a destra della tabella riporta i valori di un indice di priorità di un eventuale governo sostenuto da CDU-CSU, FDP e Verdi, calcolato come la media ponderata delle priorità dei tre diversi elettorali (in cui le priorità dei tre elettorati sono pesate per la quota di maggioranza parlamentare che ciascuno dei tre partiti varrebbe).

    Partendo dalle priorità, notiamo che, come già osservato per l’elettorato tedesco nel suo complesso, i temi con la maggiore salienza sono quelli imperativi. Ai primi cinque posti dell’agenda di un eventuale governo ‘Giamaica’ troviamo infatti altrettante valence issues fra le quali spiccano la necessità di combattere la povertà degli anziani e il terrorismo. In generale, non ci sono grosse differenze tra gli elettorati dei tre partiti per quanto riguarda la priorità attribuita ai diversi temi imperativi, a parte una maggiore attenzione ai temi della sicurezza da parte degli elettori della CDU-CSU e della FDP rispetto agli elettori dei Verdi, i quali, al contrario, mostrano una maggiore attenzione (come era prevedibile) alla protezione dell’ambiente e una minore attenzione alla crescita economica. Ma si tratta più che altro di sfumature, basti pensare al fatto che un tema come il mantenimento della crescita economica comunque non è tra le valence issues con la priorità maggiore nemmeno tra gli elettori liberali e cristiano-democratici.

    Tra i temi posizionali, quelli caratterizzati prevalentemente dalla dimensione culturale (come Europa e immigrazione, ma anche l’energia nucleare) mostrano una maggiore salienza. In particolare, l’obiettivo di rimanere nella UE mostra un livello di priorità tra i tre elettorati che è addirittura maggiore rispetto a quello mostrato da diversi temi imperativi e soprattutto esiste un consenso moto alto (tra l’83% e il 92%) nei tre elettorati. L’europeismo è pertanto un tema che unisce gli elettori dei partiti di una eventuale coalizione ‘Giamaica’, come mostrato anche dai livelli di priorità e consenso molto alti sul fatto che la UE debba applicare il sistema delle quote di rifugiati in tutti gli stati membri. Questo consenso generalizzato verso la solidarietà tra paesi UE viene meno quando l’obiettivo è il trasferimento di denaro da parte della Germania ai paesi più poveri per mantenere l’Euro, con la maggioranza degli elettori liberali che è contraria (al contrario degli altri due partiti, in particolare i Verdi). Va detto però che questo è un tema che mostra una priorità molto bassa nei tre elettorati e bassa (31%) è anche la priorità accordata dai liberali all’obiettivo opposto di non finanziare i paesi più poveri della zona Euro (su cui sono in maggioranza d’accordo – 54%). Inoltre, la contrarietà dei liberali non riguarda l’Europa in sé, ma un atteggiamento sfavorevole verso l’allargamento della spesa pubblica in generale, in linea con le posizioni liberiste del partito, come mostrato da altre issues di cui parleremo in seguito.

    Tra i temi posizionali più salienti abbiamo detto che ci sono quelli relativi alla energia nucleare e agli immigrati. Mentre l’obiettivo di mantenere la decisione di abbandonare il nucleare è, come l’europeismo, un tema altamente supportato dagli elettori dei tre partiti (si va dell’80% dei liberali all’87% dei Verdi) e quindi è un fattore che rende possibile la creazione  di una coalizione ‘Giamaica’, temi come “rendere più restrittive le regole sull’immigrazione”, “limitare il numero dei rifugiati”, “richiedere agli stranieri di adattarsi completamente alla cultura nazionale”, sono obiettivi che rendono più difficile trovare un punto di accordo. Infatti, mentre la stragrande maggioranza degli elettori della CDU-CSU e, ancora di più, della FDP assume posizioni “demarcazioniste”, la maggioranza degli elettori dei Verdi non è d’accordo e ha un atteggiamento più favorevole verso gli immigrati. Sicuramente questo è un punto di attrito potenziale, a maggior ragione se si considera che la CDU-CSU ha subìto su questi temi la competizione a destra della AfD. Tuttavia va considerato che gli obiettivi pro-immigrati, pur essendo maggioritari tra gli elettori dei Verdi, non sono certi unanimemente sostenuti, né considerati da quest’ultimi come altamente prioritari (si va dal 27 al 33% di priorità, a seconda dell’obiettivo).

    Una priorità inferiore è mostrata dai temi economici rispetto a quelli culturali, con l’eccezione rappresentata dall’obiettivo di innalzare il salario minimo, su cui tra l’altro c’è un consenso altamente maggioritario tra i tre elettorati (si va dal 77% dei liberali all’87% degli elettori dei Verdi). In generale, è interessante notare come gli elettorati dei tre partiti siano abbastanza compatibili sulle tematiche economiche, con un consenso generalizzato verso posizioni progressiste anche tra gli elettori della CDU-CSU e della FDP. L’unico tema economico che risulta divisivo è l’obiettivo di utilizzare l’attuale avanzo di bilancio per investire in infrastrutture e istruzione. Mentre infatti la maggioranza degli elettori liberali è contraria (preferendo invece destinare questi soldi alla riduzione delle tasse), la netta maggioranza degli elettori dei Verdi (77%) è d’accordo, con gli elettori della CDU-CSU in una posizione intermedia (53%). Ancora una volta si conferma un atteggiamento negativo da parte degli elettori della FDP nei confronti dell’aumento della spesa pubblica, e questo può essere un elemento di attrito, specialmente con i Verdi. Tuttavia va detto che questo tema non è tra i più prioritari tra gli elettori della FDP (34%).

    Tra i temi con la più scarsa rilevanza, ci sono alcuni temi ambientali (la costruzione di pale eoliche e l’utilizzo di macchine alimentate a diesel), così come i diritti civili (matrimoni gay e quote rosa) e l’introduzione di referendum vincolanti. Su questi temi, peraltro, c’è una forte convergenza tra gli elettori dei tre partiti, progressisti in materia di diritti civili e di allargamento degli spazi di democrazia diretta e attenti alla questione ambientale, con l’eccezione rappresentata dalla possibilità di utilizzare le macchine alimentate a diesel. Mentre la quasi i due terzi degli elettori della CDU-CSU e dalla FDP sono d’accordo sul fatto di non vietare le macchine a diesel, la stragrande maggioranza degli elettori dei Verdi è a favore del divieto (con una priorità accordata del 43%).

    Tab. 2 – I temi dell’agenda di un possibile governo ‘Giamaica’ per priorità e supporto (clicca per ingrandire)GER2.2_IT

    In conclusione, la nostra analisi mostra come la costruzione di una coalizione ‘Giamaica’ non sia un obiettivo impossibile da raggiungere se si guarda alla compatibilità degli elettorati della CDU-CSU, dei Verdi e della FDP su tutta una serie di temi. Certamente esistono delle difficoltà, che riguardano in particolare la distinzione degli elettori dei Verdi rispetto agli elettori degli altri due partiti sulle questioni relative all’immigrazione e su uno specifico tema ambientalista, ma anche la distinzione degli elettori liberali su alcuni temi economici relativi alla spesa pubblica. Tuttavia, ci sono molti temi che uniscono i diversi elettorati: non solo i temi imperativi (come combattere la povertà degli anziani, etc.), ma anche diversi temi posizionali in ambiti (come l’economia o i diritti civili) in cui ci si poteva aspettare una maggiore incompatibilità e, soprattutto, il principale fattore unificante è l’europeismo, essendo considerato anche un tema molto saliente. Infine, si deve notare come gli elettori del maggior partito, ossia la CDU-CSU, hanno sempre almeno un partito (tra Verdi e Liberali) con cui sono compatibili e per i temi su cui c’è disaccordo tra i tre elettorati, le preferenze degli elettori della CDU-CSU si trovano sempre in una posizione intermedia. Quest’ultimo è sicuramente un fattore che può facilitare la ricerca di possibili compromessi, arte in cui tra l’altro Angela Merkel notoriamente eccelle.

    Riferimenti bibliografici

    Kriesi, H., Grande, E., Lachat, R., Dolezal, M., Bornschier, S., e Frey, T. (2006), ‘Globalization and the transformation of the national political space: Six European countries compared’, European Journal of Political Research, 45(6), 921-56.

    Stokes, Donald E. (1963), ‘Spatial Models of Party Competition’, American Political Science Review 57 (2): 368–77.

  • Tracollo dell’affluenza ai ballottaggi: il primo partito è quello del non voto

    Tracollo dell’affluenza ai ballottaggi: il primo partito è quello del non voto

    Per esaminare l’esito dei ballottaggi di queste elezioni comunali, il primo elemento da cui partire è quello relativo alla partecipazione elettorale (vedi Tabella 1). L’affluenza nei 111 comuni superiori ai 15.000 abitanti andati al ballottaggio è stata del 45,9%, con un calo di 12,4 punti percentuali rispetto al primo turno. La stessa cosa è avvenuta nei 22 comuni capoluogo, dove al ballottaggio ha votato il 44,6%, con un calo di 11,6 punti rispetto al primo turno. Questo significa che meno della metà degli elettori ha deciso di recarsi alle urne per scegliere il sindaco della propria città. Un dato sicuramente indicativo dell’apatia elettorale e del clima generalizzato di sfiducia verso la classe politica nel suo complesso come mostrato sempre di più dalle tornate elettorali locali degli ultimi anni, nonché dello scarso appeal presso l’elettorato della maggior parte delle sfide che ci sono state al ballottaggio. Il primo partito, in definitiva, è stato quello del non voto. Evidentemente l’esito di queste elezioni amministrative è stato percepito come non rilevante dalla maggior parte degli elettori e i candidati andati al ballottaggio non sono stati in grado in molti casi non solo di attrarre i voti di chi aveva votato al primo turno altri candidati o di chi si era astenuto, ma anche di rimobilitare a sufficienza i propri elettori. Di questo aspetto, però, ce ne occuperemo in altri articoli attraverso l’analisi dei flussi elettorali.

    Tab.1 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 111 comuni superiori, per area geopolitica e dimensione demografica (valori percentuali).

    Tab1-Nicola

          Disaggregando questo dato tra le diverse zone geopolitiche[1], notiamo una partecipazione sostanzialmente uguale nelle tre zone del paese (leggermente superiore nella Zona Rossa con il 47,9% e leggermente inferiore al Nord con il 45%). Se si fa però un raffronto con il primo turno, il calo nel Nord e nella Zona Rossa è stato simile (rispettivamente, -9,4 punti e -7,6 punti), mentre al Sud è stato decisamente maggiore (-18,1 punti). Il Sud, al contrario, era la zona del paese dove al primo turno si era votato di più tra questo insieme di comuni andati al ballottaggio (64,4%). Il calo dell’affluenza particolarmente marcato nei comuni del Sud non è una novità. È un  fenomeno che si era già visto alle comunali del 2016 (Maggini, 2016) e lo si spiega probabilmente con il fatto che al secondo turno viene meno il traino del voto di preferenza per i candidati consigliere e nel meridione questo tipo di voto personale è storicamente molto importante.

         Guardando alla disaggregazione per dimensione demografica[2] dei comuni, si vede come la partecipazione sia inversamente proporzionale alla grandezza delle città, anche se le differenze non sono enormi. Nei comuni compresi tra 15 e 50.000 abitanti ha votato in media il 48,2% degli elettori, contro appena il 42,6% delle due maggiori città (Genova e Verona) e il 44,5% dei comuni tra 50.001 e 250.000 abitanti. Al contrario, guardando al confronto con il primo turno, si verifica il fenomeno opposto, ossia la partecipazione cala di meno nelle due città sopra i 250,000 abitanti (-8,8 punti), rispetto ai comuni medi (-12,8) e piccoli (-13,3). In ogni modo, così come in nessuna zona geopolitica l’affluenza ha superato il 50%, alla stessa maniera in tutte e tre le dimensioni demografiche la maggioranza assoluta degli elettori è rimasta a casa al ballottaggio.

                Guardando al dettaglio dei 22 comuni capoluogo al voto (vedi Tabella 2), spicca il fatto che in soli cinque comuni la partecipazione al voto è stata superiore al 50%: Lodi (51,4%), L’Aquila (52,1%), Lecce (52,8%), Padova (57%) e Rieti (65,5%). Senza dubbio, i dati di Padova e Rieti rappresentano le due uniche eccezioni di una buona affluenza al ballottaggio rispetto al resto dei comuni capoluogo. Leggermente superiore alla media dei comuni capoluogo (45,5%) è stata l’affluenza (comunque molto bassa e inferiore al 50%), ad Alessandria, Catanzaro, La Spezia, Piacenza e Pistoia. Un caso a parte è costituito da Trapani, dove il candidato indagato per corruzione che ha prevalso al primo turno, ossia l’ex sindaco dell’UdC Fazio, ha abbandonato la corsa prima del ballottaggio, lasciando come unico candidato Pietro Savona del PD. Infatti l’affluenza è stata solo del 26,5% e non è stato raggiunto il quorum di validità del 50% degli aventi diritto previsto da una legge siciliana del 1992 mai applicata sinora, con la conseguenza che il comune sarà commissariato. Particolarmente bassa l’affluenza è stata anche a Taranto (32,9%), Como (35,8%), Belluno (41,2%), Asti (41,7%). Molto bassa e inferiore alla media anche la partecipazione nelle due grandi città: 42,4% a Verona e 42,7% a Genova.

                Se si guarda al raffronto con il primo turno, in tutti comuni capoluogo c’è stata una diminuzione di votanti, con un calo medio di 12,8 punti percentuali. Il comune dove la partecipazione ha retto di più è stato Padova (-3,7 punti), che come si è visto prima era stato anche il comune dove si era votato di più al primo turno dopo Rieti (dove il calo invece è stato di 7 punti). Basso è stato anche il calo a Lucca (-4,1 punti), così come nettamente sotto alla media (anche se significativo) è stato il calo a Genova (-5,7), Pistoia (-6,1) e Monza (-6,6). Al contrario, si può parlare di un vero e proprio tracollo dell’affluenza, oltre al già citato caso di Trapani (-32,5 punti), anche a Taranto (-25,6 punti), Catanzaro (-25,4), Oristano (-18,1), Lecce (-17,4), Verona (-16,4 punti), Asti (-15,8) e L’Aquila (-15,7). Come si può notare, si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di comuni del Sud, confermando quindi quanto già visto in precedenza nel totale dei 51 comuni del Sud superiori ai 15.000 abitanti. Anche se eliminiamo da questo aggregato il caso ‘speciale’ di Trapani, l’affluenza nei comuni del Sud è stata la più bassa (47,1%) e il calo rispetto al primo turno si conferma come il più marcato (-17,5 punti). L’esclusione di Trapani non cambia sostanzialmente il quadro neanche per ciò che concerne l’affluenza totale nell’aggregato dei comuni capoluogo (45,1% senza Trapani vs 44,6% con Trapani) e nell’aggregato dei comuni medi (45,2% vs 44,5%).

    Tab. 2 – Affluenza tra primo turno e ballottaggi nei 22 comuni capoluogo (valori percentuali).

    Tab2-Nicola

                In conclusione, a parte questo dato del maggior calo dell’affluenza nei comuni meridionali, questi ballottaggi hanno registrato un trend negativo generale per ciò che concerne la partecipazione elettorale, indipendentemente dalla zona geografica o dalla dimensione demografica, anche se con sfumature diverse. Si può pertanto parlare di un vero e proprio tracollo dell’affluenza ai ballottaggi, con la tendenza (già emersa al primo turno) sempre più marcata della Zona Rossa ad avvicinarsi al resto del Nord perdendo il proprio tratto distintivo di alta partecipazione. Ovunque il primo partito è stato quello degli astenuti.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) (2014), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino.

    Corbetta, P., Parisi, A. e Schadee, H. (1988), Elezioni in Italia. Struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Diamanti, I. (2009), Mappe dall’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2011), ‘Riscoprire il territorio: dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia’, in Meridiana– Rivista di Storia e Scienze Sociali, 70, pp. 115-148.

    Emanuele, V. (2013), ‘Il voto ai partiti nei comuni: La Lega è rintanata nei piccoli centri, nelle grandi città vince il PD’, in L. De Sio, M. Cataldi e F. De Lucia (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE (4), Rome, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 83-88.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affluenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 49-56.

    Maggini, N. (2106), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del PD, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5S’ in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.

    [1] Sul concetto di zone geopolitiche e le diverse classificazioni proposte, vedi Corbetta, Parisi e Schadee (1988), Diamanti (2009), Chiaramonte e De Sio (2014).

    [2] Per un’analisi del rapporto tra dimensione demografica dei comuni e comportamento elettorale in Italia vedi Emanuele (2011; 2013), Emanuele e Maggini (2016).

  • I flussi elettorali a Pistoia: il candidato di centrodestra vince con i voti 2013 di Bersani

    I flussi elettorali a Pistoia: il candidato di centrodestra vince con i voti 2013 di Bersani

    A Pistoia il sindaco uscente era Samuele Bertinelli del PD, che aveva vinto nel 2012 con il 59% dei voti al primo turno. Questa volta non solo non è riuscito a riconfermarsi al primo turno, quando è arrivato primo fermandosi al 37,5%, ma al secondo turno si è fatto sorpassare dallo sfidante della coalizione di centrodestra Alessandro Tomasi (di Fratelli d’Italia) che si è nettamente imposto con il 54,3% dei voti. Il dato è storico perché la città dal dopoguerra è stata sempre governata da un sindaco di sinistra o di centrosinistra. Per capire le dinamiche che hanno portato a questo ribaltone clamoroso (si pensi che la distanza tra Bertinelli e Tomasi era di 10,8 punti percentuali al primo turno, mentre al ballottaggio Tomasi ha distanziato l’avversario di 8,6 punti), è senza dubbio importante guardare agli spostamenti di voto che sono intercorsi tra il primo turno e il ballottaggio, stimando una matrice di flusso.
    La tabella 1 mostra le destinazioni di voto degli elettori del primo turno verso i due candidati sindaco. Degli elettori di Bertinelli del primo turno, il 12,6% ha deciso di votare per il candidato del centrodestra al ballottaggio e il 5,6% si è astenuto, mentre Tomasi è riuscito a rimobilitare tutti i suoi elettori del primo turno. Già questo è un primo dato significativo, indicativo della maggior capacità di rimobilitazione del candidato di centrodestra. Inoltre, il 66,2% degli elettori del candidato di Sinistra Italiana hanno votato Bertinelli (mentre il 33,8% si è astenuto) e lo stesso ha fatto addirittura più della metà degli elettori del candidato di Casa Pound Berti. Ma ciò non è stato sufficiente, perché per Tomasi hanno votato la stragrande maggioranza degli elettori del M5s (63,1%, mentre il 34,6% si è astenuto e solo il 2,4% ha votato per Bertinelli), degli elettori dei candidati “civici” Sabella e Cioni (66,7% e 82%, rispettivamente) e soprattutto il 40,7% di chi aveva scelto Bartoli. Quest’ultimo dato è molto significativo, dal momento che Roberto Bartoli, docente di diritto penale all’Università di Firenze e punto di riferimento dei “renziani” della prima ora, aveva lasciato il PD in polemica con l’amministrazione uscente e si era candidato a sindaco a capo di liste civiche. La frattura era evidentemente profonda, se la maggior parte dei suoi elettori poi al ballottaggio ha optato per il candidato del centrodestra superando di poco quelli che hanno preferito il sindaco uscente del PD (38%).

    Tab. 1 – Flussi elettorali a Pistoia: matrice delle destinazioni di voto degli elettori del primo turnoflussi PT dal primo turno destLa maggiore capacità attrattiva di Tomasi è mostrata ancora meglio dalla Tabella 2 sulle provenienze dei voti dei due candidati: il 45,2% degli elettori al ballottaggio del candidato di centrodestra aveva scelto al primo turno altri candidati, in particolare Maglione del M5s (11,5%), l’ex PD Bartoli (9,8%) e addirittura lo stesso Bertinelli (9,2%). Quest’ultimo, invece, è stato votato al ballottaggio prevalentemente da chi lo aveva già scelto al primo turno (75%).

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Pistoia: matrice delle provenienze di voto dei candidati al ballottaggio rispetto al primo turnoflussi PT dal primo turno prov

    Fig. 1 – Flussi elettorali fra primo e secondo turno (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi PT dal primo turno

    Guardiamo ora ai movimenti di voto che ci sono stati a Pistoia tra le elezioni politiche del 2013 e il ballottaggio delle comunali del 2017. La tabella 3 mostra le destinazioni di voto degli elettori delle politiche verso i due candidati sindaco. Degli elettori del PD, guidato allora da Bersani, il 29,5% ha deciso di non votare a questo ballottaggio. Tra coloro che invece sono andati a votare, Bertinelli ha ottenuto il 47,4%, ma ben il 23,1% ha votato per Tomasi. La maggioranza assoluta degli elettori della coalizione di Silvio Berlusconi ha scelto di rimanere nel centrodestra votando Tomasi, mentre nessuno ha votato per il candidato del centrosinistra (e il 46,5% si è astenuto). A Pistoia dunque, gli elettori di Berlusconi si sono dimostrati più fedeli di quelli della coalizione guidata da Bersani e anche in questo modo si spiega la buona performance del candidato di centrodestra. Inoltre, anche gli elettori di Monti nel 2013 hanno votato in netta prevalenza per Tomasi (49,3%) piuttosto che per Bertinelli (36,9%). Quest’ultimo quindi non solo non è riuscito a rimobilitare tutti gli elettori del centrosinistra 2013 (una cui quota consistente come si è visto ha deciso di “tradire”), ma non è neanche riuscito a sfondare nell’elettorato di centro “montiano”, cosa che invece era riuscito a fare il Pd di Renzi alle europee del 2014. Infine i flussi ci confermano la maggior attrattività del candidato del centrodestra rispetto all’elettorato del M5s: il 16,7% di chi aveva scelto il partito di Grillo nel 2013 ha votato per Tomasi, mentre solo il 7,6% ha scelto Bertinelli. Va detto però che la stragrande maggioranza degli elettori del M5s alle politiche del 2013 ha deciso di rimanere a casa in questo ballottaggio.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Pistoia: matrice delle destinazioni di voto degli elettori delle politiche 2013flussi PT dal 2013 destLa maggiore capacità attrattiva e trasversalità di Tomasi rispetto a Bertinelli è mostrata dalla Tabella 4 sulle provenienze dei voti dei due candidati rispetto alle politiche 2013: il 27,5% degli elettori del candidato di centrodestra aveva votato alle politiche per la coalizione di Bersani, un dato non troppo inferiore rispetto a chi aveva scelto la coalizione di Berlusconi (30,9%). Al contrario, tra gli elettori di Bertinelli il 67,3% aveva votato per Bersani, mentre nessuno per Berlusconi. Tomasi mostra anche una maggiore capacità di raccogliere consensi tra chi si era astenuto.

    Tab. 4 – Flussi elettorali a Pistoia: matrice delle provenienze di voto dei candidati al ballottaggio rispetto al voto delle politiche 2013flussi PT dal 2013 prov

    Il ballottaggio delle elezioni comunali a Pistoia mostra quindi un centrodestra in buona salute che riesce non solo a rimobilitare di più il proprio elettorato di riferimento rispetto agli avversari di centrosinistra, ma anche ad essere più attrattivo verso elettorati politicamente lontani, riuscendo ad ottenere una storica vittoria anche grazie a chi aveva votato per il centrosinistra di Bersani nel 2013. Al contrario, il Pd e il centrosinistra cittadino sono in un pessimo stato di salute, con una performance che è stata disastrosa sotto tutti i punti di vista. Si è trattato certamente di una bocciatura senza appello dell’operato dell’amministrazione uscente da parte dell’elettorato pistoiese, dimostrando che non esistono più roccaforti inespugnabili e voti di mera appartenenza anche nella (ex) Zona Rossa.

    Fig. 2 – Flussi elettorali fra politiche 2013 e ballottaggio 2017 (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi PT dal 2013

     

    Riferimenti bibliografici:

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 100 sezioni elettorali del comune di Pistoia. In entrambe le analisi abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in una delle due elezioni prese in esame), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 3,3 per i flussi fra primo e secondo turno; 6,4 per i flussi dal 2013.