di Roberto D’Alimonte
Articolo pubblicato sul Sole 24 Ore il 3 Ottobre 2012
E se Renzi vincesse le primarie del Pd? Fino a ieri poteva sembrare una domanda retorica. Oggi non più. Anche la candidatura di Vendola potrebbe dargli una mano. Non si può dire con certezza non conoscendo le regole della competizione, ma la presenza del leader di Sel rischia di portar via voti a Bersani e non a Renzi rendendo l’esito del voto ancora più incerto.
A questo punto non possono esserci dubbi: il sindaco di Firenze è un candidato competitivo e non un semplice outsider. Certo, all’interno del gruppo dirigente del suo partito resta sostanzialmente isolato (a parte qualche timido endorsement), ma non tra i suoi elettori. Il suo messaggio di rinnovamento sta facendo breccia anche lì. I sondaggi lo danno ancora dietro Bersani ma in questa fase non c’è da fidarsi di questi dati. Per quanto metodologicamente raffinati è difficile che i sondaggi riescano a cogliere gli umori del “popolo delle primarie”. In primo luogo perché questo popolo non ha contorni ben definiti. In secondo luogo perché i suoi umori sono anche essi indefiniti, volatili. In realtà si deciderà tutto negli ultimi giorni della campagna elettorale sempreché siano primarie veramente aperte. Perché il vero bacino di Renzi è tra gli elettori “indipendenti” e non solo tra quelli che hanno un legame di appartenenza al Pd.
Renzi può vincere. Quindi è cosa giusta e saggia chiedersi cosa potrà succedere dopo. Bersani e Bindi – i due massimi dirigenti del partito – hanno già espresso la loro opinione pubblicamente. Renzi sarà il candidato premier del Pd e loro resteranno ai loro posti. Formalmente è una precisazione ineccepibile. Queste primarie non si fanno per rinnovare gli organi del partito. Quelle si faranno il prossimo anno. La conseguenza implicita di tutto ciò è che da una parte ci sarà Renzi e dall’altra il partito, all’interno del quale Renzi conta molto poco. Quindi, se vincesse sarebbe un leader dimezzato. Chi deciderebbe il programma e le alleanze? Per non parlare delle candidature. Formalmente Renzi non avrebbe la possibilità di attuare nemmeno quello che è il suo messaggio più forte e cioè l’esclusione dalle liste di tutti coloro che sono in parlamento da troppo tempo, i D’Alema, Veltroni ecc. Non toccherebbe a lui decidere.
Questo è vero sulla carta. Ma una cosa sono le regole e una altra cosa è la realtà politica. La verità è che una eventuale vittoria di Renzi avrebbe una portata “rivoluzionaria”. Il suo impatto non potrà essere contenuto dentro uno statuto di partito. Ed è proprio a questo che si riferisce D’Alema quando dice che la vittoria del sindaco di Firenze segnerebbe la fine del centrosinistra. Si badi bene: il riferimento è addirittura al centrosinistra e non solo al Pd. Ma se anche la profezia catastrofica di D’Alema fosse limitata alla fine del solo Pd sarebbe comunque molto preoccupante. Coloro cui sta veramente a cuore il futuro di questo paese non possono restare indifferenti davanti alla prospettiva della dissoluzione del maggiore partito della sinistra italiana.
Eppure nei corridoi della politica si parla apertamente di una scissione a sinistra del Pd nel caso in cui Renzi vincesse. A quel punto cosa farebbe il sindaco di Firenze? Metterebbe insieme un suo partito? E come si presenterebbe alle elezioni? Con quali alleanze per vincere il premio? Dopo una scissione lacerante sarebbe ancora possibile mettere insieme i cocci a sinistra per impedire alla destra di tornare a vincere? Oppure il “partito di Renzi” correrebbe da solo contro tutti sull’onda del messaggio di un rinnovamento radicale della politica? Bastano queste domande per comprendere che la dissoluzione del Pd aprirebbe scenari completamente nuovi e inesplorati.
È questo che vuole l’attuale gruppo dirigente del Pd? È questo che vuole Renzi? Se così non è, le due parti devono trovare un accordo. Prima di tutto sulle regole delle primarie. Poi sulla conduzione della campagna. E infine sulla gestione del dopo. In questa ottica la polemica sui possibili infiltrati di destra che possono inquinare il voto è destabilizzante, come lo sono le dichiarazioni di D’Alema. L’una e l’altra servono solo a delegittimare o a scongiurare un’eventuale vittoria di Renzi. E questo porta dritto dritto verso la scomparsa del Pd.
Da parte di Renzi è sbagliata l’enfasi eccessiva sulla “rottamazione”. Ma è altrettanto sbagliato opporre ai suoi argomenti la minaccia che una sua eventuale vittoria segnerebbe la fine del Pd e del centrosinistra. È un ricatto che serve a scoraggiare il ricambio di uomini e di idee. E invece il confronto dei prossimi mesi deve essere proprio sugli uomini e sulle idee per mettere gli elettori nella condizione di scegliere tra alternative chiare e liberamente discusse. E se questo confronto servirà ad allargare il bacino elettorale del Pd motivando elettori nuovi a votare per uno dei suoi candidati non si vede perché questo esito dovrebbe essere demonizzato. Non si possono fare primarie aperte perché più coinvolgenti e pretendere poi che producano necessariamente il risultato di primarie chiuse. Né si possono fare primarie chiuse facendole passare per primarie aperte. Bersani forse lo ha capito. Altri no.
In ogni caso una cosa è certa: dopo queste primarie il Pd non sarà più come prima. Chiunque vinca. Certo, non è facile trovare un accordo partendo da posizioni così distanti e nel bel mezzo di una competizione per la leadership. Ma salvare il Pd si può e si deve. Basta volerlo. Prima che sia troppo tardi.