di Roberto D’Alimonte
Pubblicato sul Sole 24 Ore il 6 ottobre 2012
Un accordo tra Bersani e Renzi sulle regole delle primarie non c’è ancora. Ma nelle ultime ore si sono fatti progressi. Restano due questioni irrisolte. Il voto al secondo turno e la registrazione. In realtà sono una questione sola. Il nodo vero è la registrazione. Su questo punto c’è confusione. Va da sé che chi vuole votare nelle primarie di un partito debba registrarsi.
L’anonimato non è ammissibile. Il problema vero sono i tempi e il luogo della registrazione. Se si chiede a un potenziale elettore delle primarie di registrarsi prima del voto, la partecipazione elettorale si abbassa perché il costo dell’andare a votare aumenta. Ma pare che la pre-registrazione non sia una condizione necessaria. Infatti, la proposta di cui si parla in queste ore prevede che ci si possa registrare anche lo stesso giorno del voto. Ma – e qui sta il problema – in un luogo diverso da quello in cui si vota. Anche questa regola aumenta i costo del voto e quindi tende a diminuire la partecipazione. Perché quindi introdurla? A che serve una regola che invece di favorire la mobilitazione dei cittadini tende a scoraggiarla? La risposta dei suoi sostenitori è che essa rappresenta un filtro rispetto alla manipolazione del voto da parte di elettori “indesiderati”.
Questo argomento si presta a diverse obiezioni. E’ vero che le primarie aperte comportano il rischio di “incursioni “da parte di elettori di altri partiti. Anche negli Usa, che sono la patria delle primarie, il problema esiste da sempre. Ma non si vede perché questo rischio dovrebbe essere minore se la registrazione avviene in un luogo diverso da quello in cui si vota. Gli incursori veri sono gente organizzata che non si ferma davanti a un requisito del genere. Sono gli elettori disorganizzati che si scoraggiano di fronte al fastidio di dover recarsi in due luoghi diversi per poter votare. Per fermare gli incursori – a condizione che possano essere identificati come tali – basterebbero i controlli effettuati al momento del voto. E qui sorge spontanea una domanda: su che base si possono escludere dal voto cittadini che si presentano ai seggi? Chi decide? Con quali criteri? Non sono luoghi diversi di registrazione che possono risolvere il problema. Se si vogliono fare primarie aperte bisogna correre dei rischi. L’importante è che i benefici siano superiori ai rischi.
In realtà la polemica sui tempi e i luoghi della registrazione nasconde un problema di fondo che il Pd si porta dietro fin dalla sua nascita e che può essere riassunto in una semplicissima domanda: chi ha diritto di votare alle primarie? Coloro che vogliono regole restrittive pensano che questo diritto spetti, se non proprio solo agli iscritti, almeno a chi è “di sinistra”. Coloro che vogliono regole più inclusive pensano invece che spetti a tutti quelli che sono attratti da uno dei candidati del partito indipendentemente dalla propria connotazione ideologica.
Questa è la differenza tra Bersani e Renzi. Il segretario è il candidato che si identifica con i valori e gli interessi tradizionali del partito mentre il sindaco di Firenze vuole cambiare il suo profilo identitario. Il primo fa appello ai militanti e agli elettori di sinistra per difendere il Pd così com’ è. Il secondo vuole cambiare il Pd facendo appello anche a elettori che sono più di centro che di sinistra. Questi elettori sono più tiepidi, più incerti e meno motivati rispetto a quelli su cui può fare affidamento Bersani. Ma sono anche elettori che possono allargare la base elettorale di un moderno partito riformista. E sono tanti in questo momento storico della vita del nostro Paese. Rendergli più faticoso l’atto di votare può tenerli lontani dalle urne. E’ per questo che regole più o meno restrittive possono fare la differenza. Ma il problema non sono le regole. Dietro la polemica sulle regole si staglia la vera questione irrisolta del Pd, quella della sua identità. Se le primarie serviranno a risolverla saranno utili al Pd e al Paese.