di Alessandro Chiaramonte e Vincenzo Emanuele
I risultati delle elezioni comunali di domenica 5 giugno impongono una seria riflessione sul sistema partitico italiano e la sua evoluzione. E’ senz’altro vero che trarre indicazione nazionali a partire da un quadro di competizioni locali è sempre difficile. Eppure alcuni indicatori e il confronto con il passato possono aiutarci ad evidenziare alcune tendenze.
Bipolarismo e frammentazione
Bisogna innanzitutto partire dalla struttura della competizione. La Tabella 1 presenta, per i 24 comuni capoluogo al voto[1], i valori dell’indice di bipolarismo, di bipartitismo, il numero di liste che ottengono più dell’1% dei voti e, per ognuno di questi indicatori, il relativo confronto con le precedenti elezioni comunali.
Tab. 1 – Bipolarismo, bipartitismo, numero di liste sopra l’1% e confronto con le precedenti comunali
Nel 2016 l’indice di bipolarismo, ossia la somma dei voti maggioritari raccolti dai due candidati sindaci più votati, ha raggiunto appena il 67,8%, in calo di oltre 12 punti rispetto alle precedenti comunali. Questo dato non è affatto sorprendente, e si inserisce in un trend di medio periodo che, a partire dal 2010-2011, ha visto la progressiva crisi del modello bipolare di competizione che aveva caratterizzato la Seconda Repubblica e l’affermazione di nuove forze politiche alternative ai due poli principali, prima fra tutte il Movimento 5 Stelle. Questo declino del bipolarismo ha toccato tutti i livelli di governo, culminando nel terremoto elettorale delle politiche 2013, quando l’indice scese al suo minimo storico nazionale (59,7%) (Chiaramonte e Emanuele 2014). A livello locale, la corsa per la conquista della poltrona di sindaco e la presenza di incentivi alla costruzione di grandi coalizioni (la soglia di accesso ai seggi del 3% per le liste scompare se la suddetta lista fa parte di una coalizione che raggiunge il 3%) ha sempre mantenuto il bipolarismo ad un livello piuttosto alto. Confrontando infatti l’indice di bipolarismo del 2016 con quelli di altre due tornate di elezioni comunali svoltesi negli ultimi anni, ossia le elezioni del 2012 e del 2013, notiamo che il 5 giugno si è toccato il valore più basso di sempre a livello di elezioni locali: nel 2012 l’indice fu del 69,3% (-18 punti), nel 2013 fu del 71,2 (-10 punti) (vedi Emanuele 2012; 2013). Valori leggermente più alti, dunque, ma simili. In tutti e tre i casi ciò che emerge è il grande scarto con le precedenti comunali, a conferma dell’idea di una netta cesura nel sistema partitico italiano segnata dalla discesa in campo del M5S e dal progressivo sfarinamento delle due grandi coalizioni di centrosinistra e centrodestra che avevano dominato la politica italiana per un quindicennio.
Osservando i dati dell’indice di bipolarismo nei 24 comuni capoluogo al voto si nota una grande variabilità, dipendente dai contesti profondamente differenti delle singole competizioni locali: si va dal quasi perfetto bipolarismo di Varese (89%) all’estrema frammentazione multipolare di Latina e Isernia (entrambe sul 44% con una diminuzione di oltre 40 punti). In generale, però, emerge la maggiore frammentazione del Sud (63,1%) che presenta uno scarto di ben 10 punti rispetto al resto del paese. Questa è una significativa novità se pensiamo che nel 2012 il Mezzogiorno era l’area con il più alto livello di bipolarismo e nel 2013, pur superato dal Nord, mostrava comunque un livello leggermente superiore alla media del paese. Questa trasformazione del Sud si spiega con il progressivo rafforzamento del M5S come terzo polo competitivo, ma anche con il proliferare di liste civiche che competono con i poli principali. Intendiamoci: le liste civiche al Sud non sono certo una novità di queste elezioni comunali; la novità è rappresentata dal fatto che, mentre prima facevano soprattutto da contorno all’interno di coalizioni con partiti nazionali, ora si moltiplicano i casi di coalizioni autonome di liste civiche che sfidano i partiti tradizionali.
Anche l’indice di bipartitismo, che calcola la somma dei voti ottenuti dalle due liste con i maggiori consensi, è notevolmente diminuito in queste elezioni, passando dal 43,1% delle precedenti comunali al 36,3%. In questo caso siamo sostanzialmente in linea con le passate tornate comunali: nel 2013 l’indice si era attestato al 40%, nel 2012 era sceso fino al 34%. E’ del tutto normale che in elezioni locali i principali partiti prendano meno voti che alle elezioni nazionali: alle elezioni amministrative, infatti, la proliferazione di liste civiche e il contesto della competizione incentivano la frammentazione e la sotto-rappresentazione dei grandi partiti. Come per il bipolarismo, è il Sud che spicca per la maggiore frammentazione, ma in questo caso non è una novità assoluta: già nel 2012 il Mezzogiorno presentava i dati più bassi, con una media del 28,6% (Emanuele 2012), sostanzialmente identica a quella registrata oggi (29,1). Il dato è anche parzialmente gonfiato dal caso di Roma, in cui l’exploit del M5S porta l’indice su valori superiori in molti casi alle città del Centro-nord (52,5%). Per il resto, in molte città del Sud, le prime due liste totalizzano poco più del 20% dei voti, o addirittura meno, come a Cosenza. La Zona rossa si conferma l’area con la maggior concentrazione bipartitica del paese, ma è Torino a spiccare in assoluto con il valore più alto dell’indice (59,7%), nonché come la città in cui il bipartitismo registra la maggiore crescita insieme a Roma.
Al calo del bipartitismo fa da contraltare l’ulteriore crescita della frammentazione che a livello locale raggiunge ormai livelli patologici. E’ qui che emergono le maggiori differenze fra sistema partitico nazionale e comunale. Le liste che raggiungono l’1% dei voti sono in media quasi 17 nei 24 capoluoghi contro le nove delle politiche 2013. Si nota un’ulteriore crescita di tale indice rispetto alle precedenti comunali (+2). Inoltre emerge una differenziazione interna al paese: se la frammentazione è stabile o addirittura in lieve calo al Nord (-0,3), è invece in crescita nella Zona rossa (+3,3) e al Sud (+2,8), in cui già si registravano i livelli più alti. In media al Sud ben 19 liste superano l’1% dei voti, addirittura 28 a Cosenza. L’incapacità di aggregare le preferenze degli elettori in grandi contenitori partitici nazionali è un chiaro indicatore della de-strutturazione o de-istituzionalizzazione del sistema partitico (Sani 1992; Chiaramonte e Emanuele 2015). Venendo meno i partiti alle proprie funzioni di riferimento, la competizione è ormai basata, in molti contesti locali, sulla corsa sfrenata alla presentazione di liste prive di alcun riferimento politico, ma capaci di garantire agli aspiranti sindaci pacchetti di voti personali grazie alla moltiplicazione del numero di candidati al Consiglio comunale.
Come cambia la struttura della competizione: il triangolo di Nagayama
Appurato che i sistemi partitici locali sono divenuti sempre meno bipolari, oltre che sempre più frammentati, resta da verificare se si stia affermando una diversa struttura della competizione, ed eventualmente quale nelle diverse parti del paese. A questo fine ci avvaliamo qui di uno strumento, noto come triangolo di Nagayama (1997), che consente di visualizzare una serie di informazioni riguardanti proprio il grado di bipolarismo (ossia di concentrazione percentuale di voti sui primi due candidati sindaco) e di competitività (ossia di scarto percentuale di voti tra i primi due candidati sindaco) nei comuni capoluogo (Figg. 1 e 2). Si tratta di un diagramma in cui la posizione dei singoli punti – ognuno dei quali rappresenta un comune – è determinata da due coordinate: la percentuale di voti conseguita dal candidato arrivato primo (asse delle ascisse) e la percentuale di voti conseguita dal candidato arrivato secondo (asse delle ordinate). Tutti i punti (i comuni) finiscono per collocarsi per l’appunto all’interno di un triangolo isoscele, i due lati uguali del quale hanno le seguenti proprietà:
– il lato di sinistra è caratterizzato dall’uguaglianza di voti dei due candidati più forti. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad uno scarto di voti tra 0 e 10%) sono comuni competitivi. Inoltre, tanto più quanto più vicini sono al vertice in basso a sinistra, si tratta di comuni caratterizzati da una competizione multipolare, in cui cioè «terze forze» ricevono percentuali di voto «rilevanti».
– il lato di destra caratterizza invece i comuni dove sono presenti solo due candidati. Tutti i comuni che si collocano nella fascia a ridosso di esso (in questo caso, una fascia che corrisponde ad una somma di voti dei due candidati maggiori compresa tra 90 e 100%) sono comuni bipolari. Inoltre, tanto più quanto più vicini sono al vertice in basso a destra, si tratta di comuni non competitivi, in cui cioè la differenza percentuale di voto tra i due candidati più forti è «rilevante».
Oltre a ciò, vale la pena sottolineare che: 1) il rombo al vertice superiore del triangolo, racchiude i comuni che sono allo stesso tempo bipolari e competitivi; 2) l’area non compresa all’interno delle fasce laterali definisce un ampio spettro di situazioni caratterizzate comunque da un certo grado di multipolarismo e di non competitività.
Fig. 1 e 2 – Il triangolo di Nagayama applicato ai risultati delle elezioni del sindaco nei 24 comuni capoluogo, 2011-2013 e 2016.
Nota: i punti delle figure presentano colori diversi che indicano le diverse configurazioni politiche nelle varie città: il nero indica che i primi due candidati sono di centrosinistra e centrodestra; il giallo indica la presenza del Movimento 5 Stelle fra i due candidati più votati; il grigio è una categoria residuale comprendente tutte le altre formule coalizionali possibili (centro, destra, sinistra, candidati civici).
Possiamo adesso analizzare la dispersione dei punti nel diagramma che consegue dall’applicazione dei risultati nei 24 comuni capoluogo, con riferimento sia alle elezioni del 2016 (Fig. 2) sia a quelle precedenti 2011-13 negli stessi contesti (Fig. 1). Le differenze che si registrano tra un’elezione e l’altra sono indicative delle trasformazioni che hanno avuto luogo nella struttura della competizione. In particolare, nel passaggio dalle elezioni del 2011-13 a quelle del 2016, si nota una tendenziale maggiore dispersione della «nuvola» dei comuni ed il suo progressivo spostamento verso il basso e verso sinistra, ossia verso l’area del multipolarismo competitivo. Si svuota del tutto l’area del bipolarismo competitivo, che peraltro già nelle elezioni precedenti era popolata solo dai casi di Cagliari, Isernia, Milano, Olbia, a testimonianza del fatto che l’assetto bipolare che aveva caratterizzato il quindicennio precedente stava entrando in crisi già da allora ma si è poi sgretolato ulteriormente. Oggi, solo Milano e Varese presentano livelli di concentrazione del voto sui due candidati maggiori che richiamano, seppur vagamente, una logica bipolare. Per il resto, registriamo come detto un aumento della competitività, ma all’interno di un quadro multipolare, in cui sono cioè più di due i contendenti «rilevanti». Non mancano però anche i comuni nei quali un polo/candidato sia dominante: così a Rimini, Cosenza e, soprattutto, Salerno nel 2016, Carbonia e ancora Salerno nelle elezioni precedenti.
L’aumento della dispersione dei punti sta inoltre a significare che aumenta la varietà delle situazioni competitive, il che dimostra che a livello locale l’era post-bipolare non è più caratterizzata da un modello di competizione prevalente, bensì da una pluralità di modelli. Questo lo si può vedere anche in base alla natura dello scontro tra le formazioni maggiori, ossia alla combinazione del colore politico dei due candidati sindaco con più voti. Con riferimento alle Figure 1 e 2, i comuni marcati con il segno nero vedono una competizione tra centro-sinistra e centro-destra e passano da 21 del 2011-13 a 15 nel 2016 (oltretutto con una maggiore variabilità nella composizione interna alle coalizioni), mentre i comuni caratterizzati da una competizione con attori diversi aumentano considerevolmente: nel 2016 ve ne sono 3 (quelli marcati con il segno in giallo) che vedono sfidarsi il Movimento 5 Stelle e il centro-sinistra ed altri 6 (erano 3 nelle precedenti elezioni) con ulteriori schieramenti o coalizioni civiche tra i primi due protagonisti. In definitiva, il quadro che emerge da questa analisi è quello di un multipolarismo a geometria variabile.
Una tipologia dei ballottaggi
In che modo la struttura della competizione analizzata finora può influenzare l’esito dei ballottaggi? Per capirlo prendiamo in considerazione due dimensioni. La prima è il distacco, in termini percentuali, tra primo e secondo candidato sindaco in ogni comune. Va da sé che la sfida del ballottaggio sarà quanto più aperta tanto minore è il distacco tra i due candidati che accedono al secondo turno. La seconda dimensione presa in esame attiene invece al potenziale di voti “disponibili” da conquistare al ballottaggio. Essa consiste nella percentuale dei voti raccolti dai candidati sindaco sconfitti al primo turno. Assumendo che la rimobilitazione di astenuti sia assente (è assai difficile che al ballottaggio l’affluenza cresca rispetto al primo turno), gli unici voti “sul mercato” sono quelli dei candidati già esclusi dalla competizione: maggiore è il numero di voti raccolti da questi candidati, più alte saranno le chances di rimonta per i candidati giunti secondi al primo turno e quindi tanto maggiore sarà lo spazio di competizione al ballottaggio. Incrociando le due dimensioni otteniamo uno diagramma che delinea quattro possibili situazioni, configurando così una vera e propria tipologia della competizione nei 20 capoluoghi al ballottaggio (vedi Figura 3).
Fig. 3 – Tipologia della competizione nei 20 comuni capoluogo al ballottaggio
Tanto più i punti della Figura 3 si avvicinano ai quattro angoli del grafico, tanto più i comuni possono essere accostati ad un ‘tipo’ di competizione ben delineato; tanto più, viceversa, i punti cadono vicino al centro del grafico, tanto più è difficile assegnarli ad uno dei quattro tipi.
La parte alta della figura delinea situazioni in cui, sulla base dei voti espressi al primo turno, c’è un ampio distacco tra i due candidati al ballottaggio. In questi casi la rimonta è tanto più possibile quanto più è alta la percentuale di voti dei candidati esclusi. In altri termini, il candidato giunto secondo al primo turno ha ‘potenziale di rimonta’ se ha a disposizione un ampio bacino di voti in libertà fra i quali pescare. Altrimenti la partita tende ad essere chiusa. In questo senso il contesto di Roma e di Torino è molto diverso pur in presenza di distacchi simili (attorno ai 10 punti) fra i due candidati al ballottaggio: ragionando dal punto di vista meramente numerico, emerge che Giachetti ha più chances della Appendino di rimontare. Questo perché a Roma i voti ‘disponibili’, cioè quelli appartenenti ad altri candidati sindaco, sono molti di più e c’è dunque un più ampio margine di rimonta. Questo ovviamente non significa che la rimonta avverrà, dal momento che altre variabili, prima fra tutte l’affluenza, ma anche gli eventuali apparentamenti, entreranno nell’equazione. Così, allo stesso modo, la partita di Bologna è più aperta di quella di Napoli. In generale, comunque, nessuna sfida può definirsi completamente chiusa, dal momento che il numero di voti dei candidati esclusi è sempre più molto alto di quello che separa i due competitors al ballottaggio.
La parte bassa della figura, invece, designa situazioni competitive, in cui il distacco tra i due candidati è contenuto. Ciò che differenzia la parte sinistra dalla parte destra del diagramma è la strategia che i due candidati dovranno seguire per vincere. I comuni vicini all’estremità sinistra del grafico sono caratterizzati da un basso numero di voti espressi a favore di candidati esclusi dal ballottaggio: sono situazioni tendenzialmente bipolari, in cui i primi due candidati hanno già fatto il pieno di voti. In questo contesto, chiaramente visibile a Milano e Varese, vi sarà una corsa alla rimobilitazione dei propri elettori: chi ne riporterà a votare il maggior numero si assicurerà la poltrona di sindaco. I comuni vicini all’estremità destra del diagramma configurano situazioni con altissima frammentazione e una struttura multipolare della competizione. Il margine tra i due candidati è basso è c’è una enorme quantità di voti liberi. In questi casi vincerà chi saprà raccogliere il maggior numero di ‘seconde preferenze’, convincendo coloro che al primo turno avevano optato per candidati poi sconfitti. Dei quattro ‘tipi’ di competizione delineati dalla tipologia, questo è certamente il più diffuso in queste comunali, comprendendo almeno sette casi: Novara, Savona, Latina, Isernia, Brindisi, Olbia e Crotone. Ciò testimonia ulteriormente l’ormai avvenuto passaggio dal bipolarismo a una competizione multipolare a geometria variabile: i poli competitivi sono sempre più di due e non sono gli stessi nelle varie città. Così a Isernia ci sarà una sfida all’interno del polo di destra, a Olbia e Savona tra centrosinistra e centrodestra, a Novara tra destra (Lega Nord e Fratelli d’Italia senza Forza Italia) e centrosinistra, a Crotone tra centrosinistra e centro, a Brindisi tra centrosinistra e una coalizione guidata dal movimento di Raffaele Fitto e infine a Latina una coalizione di destra sfiderà una coalizione civica.
Riferimenti bibliografici
Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2014), ‘Bipolarismo Addio? Il Sistema Partitico tra Cambiamento e De-Istituzionalizzazione’, in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino, pp. 233-262.
Chiaramonte, A. and Emanuele, V. (2015), ‘Party System Volatility, Regeneration and De-Institutionalization in Western Europe (1945-2015)’, Party Politics, Online First, pp. 1-13, DOI:10.1177/1354068815601330.
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Nagayama, M. (1997), Shousenkyoku no kako to genzai [Il presente e il futuro dei collegi uninominali], paper presentato al convegno annuale della Associazione giapponese di scienza politica, 4-6 settembre.
Sani, G. (1992), ‘La destrutturazione del mercato elettorale’, Rivista italiana di scienza politica, 22(3), pp. 539-66
[1] Villacidro è esclusa in quanto comune inferiore ai 15.000 abitanti. Consideriamo che i 24 comuni capoluogo qui analizzati pesano, in termini di elettori, il 73% dei comuni superiori andati al voto nel 2016.