di Vincenzo Emanuele
Nella Prima Repubblica, quando il tradizionale cleavage di classe era ancora molto forte, l’incrocio del voto con la categoria professionale rivelava una netta dicotomia tra le intenzioni di voto della borghesia e quelle degli operai: dirigenti, professionisti e grandi imprenditori mostravano un massiccio sostegno per la DC e i partiti di destra (PLI e MSI), mentre gli operai votavano prevalentemente il PCI e il PSI.
Nel corso della Seconda Repubblica queste differenze si sono affievolite, dal momento che quote crescenti della classe operaia hanno iniziato a votare partiti di destra, e allo stesso modo la borghesia si è divisa tra le due maggiori coalizioni. Durante il ventennio berlusconiano, invece, altre categorie hanno subito una netta polarizzazione: come rivelato dai dati Itanes (Bellucci e Segatti 2010, 155), la divisione fondamentale tra le professioni non è stata più quella tipica del voto di classe (borghesia vs. classe operaia) ma quella relativa al tipo di impiego, dipendente o autonomo. Così, gli impiegati si sono nettamente spostati a sinistra, mentre commercianti e piccoli imprenditori (la cosiddetta ‘piccola borghesia’) hanno accentuato la loro propensione a votare centro-destra.
Con le elezioni del 2013 assistiamo ad un nuovo capovolgimento, caratterizzato dall’ingresso sulla scena del Movimento 5 Stelle. Con la sua trasversalità, il partito di Grillo stravolge le tradizionali divisioni esistenti nell’elettorato italiano, e si dimostra capace di pescare voti in tutte le direzioni. Come mostrato dai dati IPSOS (18-22/02/2013, N: 11026), il M5S risultava largamente il più votato sia nella borghesia che fra gli operai, sia tra i lavoratori del settore pubblico che fra quelli del settore privato. Insomma, le dinamiche che avevano caratterizzato l’incrocio fra professione e voto nella storia dell’Italia Repubblicana sembravano spazzate via. Questo trend è proseguito negli ultimi anni, come mostrano anche le indagini del CISE. In particolare, una nuova divisione sembra emergere, quella fra settori ‘attivi’ dell’elettorato, che premiano il M5S, e settori passivi, ovvero pensionati (tra i quali domina il Pd), casalinghe (fra le quali il Pd è primo ma il centro-destra, e in particolare il partito di Berlusconi, è ampiamente sovrarappresentato), e studenti (fra i quali Pd e M5S sono in equilibrio) (Emanuele e Maggini 2015).
Date queste premesse, è interessante osservare quali sono, a pochi giorni dal voto del 4 dicembre, come si distribuiscono le intenzioni di voto al referendum tra le categorie professionali. La Tabella 1 mostra i risultati del sondaggio CISE-OP del Novembre 2016. La variabile ‘occupazione’ è suddivisa in 8 categorie, mentre l’intenzione di voto al referendum è rappresentata da una variabile a tre categorie, dal momento che include anche il dato di astenuti e incerti. A fronte di un vantaggio complessivo di 5 unti per il NO, la categoria più ostile alla riforma è quella dei disoccupati (14% per il SI contro 49% per il NO). Il NO è poi in largo vantaggio in tutti i settori attivi dell’elettorato, dalla borghesia (+16), agli operai (+15), agli impiegati privati (+14), e perfino fra i dipendenti pubblici, che fino al 2013 rappresentavano la constituency di riferimento del centro-sinistra (+10). Al contrario, i settori ‘passivi’ sembrano meno ostili alla riforma: se fra le casalinghe rimangono comunque 8 punti di scarto, fra gli studenti c’è perfetta parità fra i SI e i NO, mentre tra i pensionati, che rappresentano di gran lunga la categoria più numerosa con circa 1/4 del campione il SI stravince (+22). E’ dunque evidente il parallelismo insito fra le intenzioni di voto al referendum e il pattern del voto per categoria professionale che è emerso a partire dal 2013. Del resto, ciò non deve stupire, vista la fortissima politicizzazione della riforma che sta portando verso un voto sempre più giocato su Renzi e il suo governo piuttosto che sui contenuti della riforma. E’ normale, dunque, che in questo contesto si assista ad un riallineamento delle categorie professionali rispetto all’intenzione di voto al referendum che ricalca la divisione dell’elettorato fra M5S (premiato dai settori attivi) e Pd (sostenuto sopratutto dai pensionati e, più in generale, dai settori passivi).
E’ però interessante notare infine che esiste un’ampia porzione dell’elettorato, il 37% (ossia la maggioranza relativa del campione), che dichiara di volersi astenere o di essere incerto sul voto. Questa quota, che potrebbe risultare decisiva spostandosi a favore dell’una o dell’altra opzione negli ultimi giorni della campagna, non è equamente distribuita fra le categorie professionali. La borghesia e i dipendenti pubblici sembrano avere le idee piuttosto chiare: solo 1/4 di loro non esprime un’intenzione di voto. Anche pensionati e impiegati privati risultano sotto la media del campione: fra loro, circa 1/3 non si schiera. Al contrario, operai e casalinghe sono i settori in cui regnano propensione ad astenersi e incertezza sul voto: il 52% di entrambi i settori sono ancora potenzialmente ‘sul mercato’. Mobilitarli potrebbe incidere profondamente sull’esito del referendum: un massiccio spostamento verso il SI degli incerti potrebbe ribaltare le sorti del voto; al contrario, una mobilitazione degli incerti a favore del NO potrebbe trasformare la consultazione in una Caporetto per Renzi e il suo governo.
Tab. 1 – Intenzioni di voto al referendum per professione
Riferimenti bibliografici
Bellucci, P. e Segatti, P. (a cura di) (2010), Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, Bologna, Il Mulino.
Emanuele, V. e Maggini, N. (2015), ‘Il Partito della nazione? Esiste e si chiama Movimento Cinque Stelle, /cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/