Pubblicato sul Sole 24 Ore del 29 aprile 2017
Una nuova normativa elettorale per il Senato e per la Camera. E’ questo il messaggio lanciato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel recente incontro al Quirinale con il presidente del Senato, Pietro Grasso, e la presidente della Camera, Laura Boldrini. Messaggio opportuno, ma che non contiene alcuna indicazione sull’obiettivo che la nuova normativa dovrebbe perseguire. Si tratta di un appello a favore della armonizzazione dei due sistemi elettorali disegnati dalle due sentenze della Consulta? Oppure vuole essere un richiamo alla necessità di trovare un sistema di voto che garantisca un minimo di governabilità senza sacrificare eccessivamente la rappresentanza? Va da sé che l’ideale sarebbe realizzare entrambi gli obiettivi. Nella realtà esiste il rischio concreto che non se ne realizzi nessuno. Ben venga dunque il monito del presidente.
Dei due obiettivi indicati il secondo è il più difficile da raggiungere perché richiede che la nuova normativa configuri una nuova legge elettorale disproporzionale.
Dopo la bocciatura del ballottaggio e i limiti imposti dalla Consulta alla dimensione del premio di maggioranza la governabilità potrebbe –forse- essere perseguita con un sistema di voto basato unicamente o prevalentemente sui collegi uninominali a un turno o-meglio ancora- a due turni. Ma dove sono i voti in Parlamento per una riforma del genere? Quali sono i partiti a favore ? Non il M5s e certamente non Forza Italia. Per non parlare delle formazioni minori. Una altra strada potrebbe essere quella di creare un effetto disproporzionale applicando una formula proporzionale in circoscrizioni di piccole dimensioni, il cosiddetto modello spagnolo. Ma anche questa soluzione troverebbe l’opposizione di molti degli attuali partiti, e soprattutto di quelli più piccoli.
Apparentemente l’armonizzazione sembra essere un obiettivo più facilmente raggiungibile. Ma non è così. E in ogni caso è una illusione pensare che armonizzando i due sistemi elettorali si faccia alcun passo avanti verso la governabilità. Ma cosa vuol dire armonizzare? Bisogna distinguere tra tre diversi tipi di modifiche. Quelle finte sulle quali per ora sorvoliamo. Quelle non controverse e quelle conflittuali. Delle prime abbiamo già parlato sulle pagine di questo giornale subito dopo la sentenza della Consulta. Sono tre: l’eliminazione del sorteggio per i candidati plurieletti, l’introduzione al Senato dei criteri presenti alla Camera sulla rappresentanza di genere, la divisione delle regioni più grandi in più circoscrizioni per facilitare la raccolta delle preferenze al Senato. Le modifiche conflittuali sono: l’estensione del premio di maggioranza al Senato; il premio alla coalizione, e non solo alla lista, alla Camera; l’abolizione dei capilista bloccati; la riduzione delle soglie di sbarramento al Senato. Una vera armonizzazione dovrebbe comprende tutti questi elementi o la maggioranza di essi. In più dovrebbe prevedere anche il voto ai diciottenni al Senato.
Mettiamo da parte questa ultima riforma per cui occorre una legge costituzionale che avrebbe dovuto essere approvata molti anni fa. Mancano sia il tempo che la volontà per approvarla. Beneficerebbe il M5s. Le altre modifiche, e soprattutto quelle non controverse, si potrebbero fare e alcune di esse si dovrebbero fare. Ma è difficile che si facciano, nonostante l’appello del capo dello stato. Le difficoltà sono di due tipi: politiche e procedurali. Sulle questioni controverse gli interessi dei diversi partiti sono diametralmente opposti. Tanto per fare un esempio. Perché il M5s dovrebbe essere d’accordo sul premio alla coalizione, visto che vuole presentarsi da solo? Perché i partiti più grandi dovrebbero ridurre le soglie al Senato per fare un piacere ai partiti più piccoli? E così via.
Sulle modifiche non controverse invece pesa come un macigno il voto segreto alla Camera. Introdurre un testo di legge che preveda, per esempio l’eliminazione del sorteggio, vuol dire esporsi al rischio di emendamenti per abbassare le soglie al Senato. C’è qualcuno disposto a credere che la disciplina di partito o di gruppo garantisca la loro bocciatura? Ci vorrebbero un decreto legge e il voto di fiducia. Ma se la sentirebbe Mattarella di avallare una soluzione del genere? Forse nel caso in cui tutti fossero d’accordo sulle modifiche da introdurre.
Questa è la situazione con cui bisogna fare i conti. E nemmeno il presidente si può sottrarre a questa realtà. Ci auguriamo di sbagliarci. Speriamo che l’appello del presidente produca qualche effetto. Ma il pessimismo della ragione ci porta a dubitare che gli eventuali effetti possano comunque garantire al paese governi stabili e responsabili. L’armonizzazione non basta.