Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 24 settembre
Diciamolo subito per fugare illusioni e finzioni. Il nuovo sistema elettorale proposto dal Pd non risolverà il problema della governabilità di questo paese. Nelle condizioni in cui siamo ci vuole ben altro. Occorrono sistemi a due turni. Non importa se di collegio o di lista, ma a due turni. Oggi non li vuole nessuno, perché nessuno vuole che siano gli elettori a decidere i governi. Il Rosatellum-bis è un sistema misto a un turno. I collegi uninominali, e cioè la parte maggioritaria del mix, sono troppo pochi per generare un livello di disproporzionalità tale da favorire la creazione di una maggioranza di governo al momento del voto. Alla Camera i seggi maggioritari sono 232 contro 386 seggi proporzionali. Al Senato rispettivamente 109 e 200. Con questi numeri e con gli attuali rapporti di forza tra i maggiori partiti l’esito del voto sarà comunque di stampo proporzionale. Anche se si formeranno coalizioni prima del voto i governi si faranno dopo. E il governo più probabile resta quello tra Pd e Forza Italia con l’aggiunta di partitini o di pezzi di ceto politico in libera uscita. Da questo punto di vista non cambierà nulla rispetto ai due consultelli che si vuole sostituire. Tranne che non ci sarà più un premio di maggioranza alla Camera ad alimentare la possibilità- per quanto labile- di un esito maggioritario e una soglia dell’8% al Senato a frenare la frammentazione partitica.
Dal punto di vista dei partiti e degli elettori invece cambiano molte cose. Sparisce completamente il voto di preferenza. Senza riforma tutti i senatori e una parte dei deputati saranno eletti con le preferenze. Con la riforma nessuno. Tutti i candidati e tutti gli eletti saranno decisi dalle segreterie di partito, cioè dai leaders. Per chi non ama le preferenze non è un dramma. In fondo la resurrezione dei collegi uninominali restituisce in parte agli elettori la possibilità di giudicare le scelte dei partiti. Ma è certo che la totale cancellazione del voto di preferenza offrirà un potente argomento retorico agli oppositori della riforma.
Non occorre essere degli specialisti per capire che questa modifica è una delle ragioni per cui Berlusconi ha accettato un sistema con una quota di quei collegi che lui e Casini hanno voluto abolire nel 2005 quando fu fatta la riforma Calderoli. Tra l’altro questi collegi sono congegnati per limitarne l’efficacia. I candidati appaiono su una scheda affollata di simboli affiancati dalle liste dei partiti che li sostengono e senza la possibilità per gli elettori di votare solo il candidato che piace. In altre parole parte maggioritaria e parte proporzionale del sistema sono così strettamente fuse da depotenziare l’effetto del collegio uninominale sulla competizione. Un meccanismo che non dispiace al leader di Forza Italia. Così come sicuramente piace il ritorno delle coalizioni alla Camera, dove non sono previste dal sistema in vigore.
Fermo restando che oggi Berlusconi preferirebbe un sistema proporzionale puro, il Rosatellum-bis rappresenta per lui comunque un miglioramento rispetto alla situazione attuale. Con questo sistema il difficile dilemma se fare o meno il listone di tutti i partiti del centro-destra è superato. Nei collegi uninominali si presenteranno con candidati comuni come nel 1994 e nel 2001. Litigheranno sulla spartizione di queste candidature, ma alla fine troveranno l’accordo. Nella parte proporzionale, che è quella che conta di più, non dovranno fare alcun listone. Ci sarà una coalizione in cui ognuno sarà presente con il suo simbolo e la sua lista di candidati. Alleati sì, ma anche separati. Stessa cosa nel campo Pd. In fondo la combinazione di collegi e coalizioni può essere utile anche al partito di Renzi. Offre una opzione in più. Può consentire di fare accordi con altri partitini- di sinistra o di centro-sia concedendo loro qualche seggio nei collegi uninominali sia stipulando una alleanza formale nella parte proporzionale.
Questa riforma- lo ripetiamo- non risolverà il problema politico principale del paese che è quello di avere regole che favoriscano la formazione di governi stabili e responsabili. Ma solo gli illusi e gli ingenui possono pensare che dopo il ‘combinato disposto’ del voto del 4 dicembre e della sentenza della Consulta sull’Italicum si potesse percorrere questa strada ora.
D’altra parte, questa riforma risolve molti problemi dei partiti che l’hanno proposta. E questo è il motivo per cui ha sulla carta un ampio sostegno. Aggiungiamo però che, tutto sommato, rispetto alla situazione attuale rappresenta un piccolo miglioramento. Ci restituisce in parte i collegi maggioritari – per quanto depotenziati- e semplifica il processo elettorale. A dire il vero, il sistema di voto proposto non è proprio così semplice, ma ha il vantaggio di essere lo stesso nelle due camere. In questo modo si correggono i pasticci creati dalla Consulta con le sue sentenze. Il presidente Mattarella, che da sempre spinge per l’armonizzazione, sarà contento. Meno contenti sono Di Maio, Bersani e i signori delle preferenze. Per alcuni di loro l’unico vero vantaggio è la scomparsa della soglia dell’ 8% al Senato, visto che con il Rosatellum la soglia del 3% si applica in entrambe le camere. Ma questo non basterà a convincerli.
Che questo progetto non vada bene a tutti non è una sorpresa. E’ difficile che le riforme elettorali fatte a ridosso delle elezioni siano un gioco a somma positiva, cioè che siano neutre. Qualcuno è destinato a rimetterci. Si tratta di vedere se i perdenti avranno i numeri in parlamento per bloccare la riforma. Alla Camera gli darà una mano il voto segreto. Al Senato l’esigua maggioranza su cui si regge il governo. La partita non è chiusa. Tutt’altro.