La notevole crescita elettorale del M5S rinviene al traino del suo exploit al Sud, area dove sistemi locali a competizione ristretta, con classi al governo “in-vulnerabili”, producono sovente proteste centrifughe e non convenzionali [Raniolo 2010]. I risultati siciliani permettono al Movimento di accaparrarsi tutti i 28 collegi uninominali assegnati all’Isola divisi tra Camera e Senato. Un esito impronosticabile alla vigilia, specie in quelle realtà dove i Cinque Stelle scontavano il retaggio di un trend politico-elettorale sfavorevole. Paradigmatica Messina, la cui provincia assurse a maglia nera nelle consultazioni regionali del passato 5 novembre. Il territorio peloritano fu l’unico dove Cancelleri ottenne meno del 30% (27,2%), con la lista provinciale collegata sotto al 20% (19,7%). Anche guardando ai comuni capoluogo, Messina risultò quello in cui il risultato di Cancelleri fu il più basso (30,2%). Eppure, in Sicilia le elezioni politiche mobilitano sempre più che quelle regionali [Riggio 2018], di modo da rendere pivotale il ruolo dell’affluenza. Questa – nel capoluogo messinese – s’attesta attorno al 63%, pressoché identica alle politiche 2013 (Tab. 1). Così, il 4 marzo il Movimento ha raccolto a Messina il 45% dei voti: un aumento di 18 punti rispetto alle precedenti politiche, di 15 punti rispetto alle regionali di pochi mesi prima.
Subisce – a livello coalizionale – maggiori perdite il centrosinistra, che arretra di 7 punti percentuali (dal 26,1% al 19,1%), 5,7 dei quali costituiti dal Partito Democratico, adesso al 16,5%. Potrebbe aver influito la transumanza del gruppo affiliato all’asse Genovese-Rinaldi: cinque anni fa entrambi militavano nel PD, col primo rieletto alla Camera e il secondo – qualche mese prima – riconfermato all’ARS. Nel gennaio 2016 i due però passarono a Forza Italia. Ciò nonostante, proprio tra le fila berlusconiane si registra la flessione più marcata in ambito partitico: la lista guidata da Berlusconi lascia sul terreno 7 punti percentuali rispetto al PDL del 2013 (27,8% contro 20,8%). A ragione, la contrazione del risultato complessivo del centrodestra si presenta contenuta (-1,1%) poiché attenuata dall’avanzamento di Fratelli d’Italia e Lega, i quali rispettivamente oltrepassano il 3% e il 5%. A dare contezza della diversa postura adottata dall’elettorato, si pensi che alle passate consultazioni regionali la lista unitaria presentata dai due partiti sovranisti (Fratelli d’Italia – Noi con Salvini) si fermò al 4,9%, cioè quasi la metà di quanto complessivamente conseguito alle elezioni del 4 marzo.
Tab. 1 – Risultati elettorali a Messina, 2013 e 2018
I flussi elettorali relativi alle destinazioni dei bacini elettorali del 2013 verso quelli del 2018 (Tab. 2) non differiscono significativamente da quelli già analizzati a Reggio Calabria [Paparo 2018]. Procedendo a un raffronto, a Messina vengono esacerbate alcune tendenze già evidenziate sull’altra sponda dello Stretto. Il primo dato a imporsi, consideratene la mole, è l’alto tasso di fedeltà per il M5S. Il 90% di quel sesto di elettorato messinese che cinque anni addietro sostenne il M5S ha replicato altrettanto il 4 marzo.
Il Movimento gode di un elettorato molto più affezionato che quello delle altre forze politiche. Infatti, per rintracciare la seconda migliore percentuale – escludendo il non voto – indicante chi adottò la stessa scelta nell’urna nei due appuntamenti elettorali, occorra scendere fino al 46%, rappresentato dalla coalizione di Berlusconi nel 2013 in favore di Forza Italia nel 2018. Complessivamente, il 56% degli elettori 2013 del centrodestra ha rivotato una delle forze della coalizione nel 2018. Un dato identico a quello emerso a Reggio Calabria, e di poco superiore a quello di Napoli, a certificazione della diffusa volatilità insita nell’elettorato meridionale [Raniolo 2010].
L’elemento maggiormente discordante rispetto al dato reggino si rintraccia nel Partito Democratico. Appena il 27% tra coloro che votarono la coalizione di Bersani hanno riposto ora la propria fiducia ai dem: oltre 10 punti di fedeltà in meno che oltre lo Stretto. Nel complesso, appena un terzo ha rivotato centrosinistra, contro la metà di Reggio. Si tratta dei valori minimi fra tutte le città che abbiamo analizzato finora, ancor più bassi di quelli registrati a Napoli – dove tuttavia la capacità attrattiva del campione locale Di Maio, in corsa per la guida del paese, poteva spiegare un particolarmente alto tasso di defezione. A Messina, invece, ben il 44% di dell’elettorato 2013 del centrosinistra ha preferito non votare: 9 punti percentuali in più di quanto l’abbia fatto nel campo opposto quello berlusconiano.
Corroborano quanto detto le destinazioni del cartello riunitosi attorno a Monti nel 2013: i due terzi di quanti a Messina votarono la proposta dell’allora presidente del Consiglio uscente s’indirizza al PD, addirittura i tre quarti al centrosinistra nel suo insieme. Matura quindi una tendenza già anticipata (anche al Sud, seppur in misura inferiore) nel maxi-sondaggio pubblicato dal CISE nelle settimane antecedenti le elezioni, e riscontrata nelle analisi cittadine post-elettorali. Messina – secondo questa prospettiva – appare ancor di più come la lievitazione di tendenze già visibili altrove. Infatti, qui, il gradimento dell’elettorato centrista del 2013 per la proposta 2018 di centrosinistra raggiunge il proprio massimo.
Tab. 2 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 e 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)[1]
Il flusso da Monti al PD è così altro che, complice anche la scarsa fedeltà degli elettori di Bersani, la composizione totale del voto al partito di Renzi viene quasi egualmente divisa tra elettori 2013 di Bersani e Monti (Tab. 3). Si tratta di un dato unico fra le città analizzate: sempre infatti dall’elettorato centrista 2013 proviene una quota significativa del PD 2018, ma pari a meno di un terzo di quella in arrivo dalla coalizione 2013 di Bersani. Eccezionale del caso messinese è anche la minima quota proveniente dal centrodestra 2013.
L’elettorato più compatto, a fronte dell’esiguità della sua consistenza numerica, corrisponde a Liberi Uguali. I tre quarti avevano infatti sostenuto cinque anni fa la coalizione Italia Bene Comune. LeU non riesce, smentendo i propositi della vigilia, ad attrarre il bacino dei Cinque Stelle. Dato molto simile per Forza Italia: il 70% dei suoi elettori erano elettori del centrodestra nel 2013. Il resto proviene da astenuti del 2013. Si tratta di una rimobilitazione davvero notevole, che vale quasi un elettore messinese su 30.
Il bacino elettorale 2018 del Movimento risulta invece bipartito, analogamente a quello del centrosinistra. Il 55% sono riconferme di elettori 2013. Ben il 42% proviene invece da elettori che cinque anni fa non avevano votato. Complessivamente, la nostra analisi mostra che un elettore messinese su 9 ha votato Movimento il 4 marzo e non aveva votato nel 2013. Il sostegno al M5S – a Messina come in altre città del Meridione – ha posto così un argine all’astensione, flebilmente in calo e inaspettatamente alta.
Le dimensioni della Lega – in Sicilia come in altre realtà del Sud – non consentono forse di mapparne adeguatamente l’estrazione politico-culturale degli elettori. Questo tuttavia non ridimensiona il 28% – tra il bacino leghista – proveniente dalla coalizione di Bersani, nonché – col medesimo riferimento al centrosinistra – il 34% dell’elettorato di Fratelli d’Italia. Si tratta di flussi che, pur non raggiungendo l’1% dell’elettorato, valgono lo 0,8% e lo 0,7% rispettivamente, risultando così marginalmente significativi.
Tab. 3 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 e 2018, provenienze (clicca per ingrandire)
Il diagramma di Sankey visibile sotto (Figura 1) mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Messina. A sinistra sono riportati bacini elettorali del 2013, a destra quelli del 2018. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2013 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini 2013 a quelli 2018. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. Possiamo immediatamente apprezzare i rilevanti fenomeni di astensionismo asimmetrico, che hanno punito le due coalizioni tradizionali, (che hanno perso molti elettori verso il non voto), e favorito il M5S – che, al contrario, si è dimostrato capace di rimobilitare una quota notevole di astenuti del 2013. Il caso messinese è infatti, fra tutte le città che abbiamo analizzato, quello in cui l’astensionismo intermittente è risultato massimo. Ben il 14% dell’elettorato complessivo ha infatti votato (M5S e in misura assai minore FI) il 4 marzo, non avendo votato cinque anni prima. Una quota identica si è invece astenuta nel 2018 dopo avere votato (centrodestra e centrosinistra) nel 2013.
Fig. 1 – Flussi elettorali a Messina fra politiche 2013 (sinistra) e 2018 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)
L’esito di Messina avvalora una certa stabilizzazione del consenso al M5S – specie nelle regioni del Sud – nella misura in cui non attrae più fasce di altri schieramenti (0% per le coalizioni di Bersani e Monti, soltanto il 4% da quella di Berlusconi), quanto al contrario si rivela capace di preservare la propria base e, al contempo, espanderla, conquistando un’importante fetta di elettorato aliena alle urne nel 2013. Intere schiere rimobilitatesi per l’occasione, e di cui soltanto i flussi – presumibilmente – tra le politiche del 2008 e del 2018 chiarirebbero la provenienza, ma che a primo impatto – vista la relazione diretta tra tasso di disoccupazione e rendimento elettorale [D’Alimonte 2018] – parrebbero riconducibili a un profilo non dissimile da quello del bacino del MSI negli anni Settanta, ovviamente sempre al Sud: individui uniti non da un’idea politica ma “dall’immediato tornaconto, dal malcontento o dal desiderio di improbabili rivincite” [Nuvoli 1989].
Riferimenti bibliografici
D’Alimonte R., (2018), Perché il Sud premia il M5S, CISE (Centro Italiano Studi Elettorali).
Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.
Nuvoli P., (1989), Il dualismo elettorale nord-sud in Italia: persistenza o progressiva riduzione?, in «Quaderni dell’osservatorio elettorale», 23, pp. 67-110.
Paparo A., (2018), A Reggio Calabria il M5S avanza di 10 punti grazie a rimobilitazione-record dal non voto, CISE (Centro Italiano Studi Elettorali).
Raniolo F., (2010), Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008, in D’Alimonte R., Chiaramonte A. (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino.
Riggio A. (2018), ‘Il Gattopardo in laboratorio: la Sicilia al voto’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 229-234.
Riggio A. (2018), ‘Sicilia, la geografia del voto’, in Emanuele, V., e Paparo, A. (a cura di), Dall’Europa alla Sicilia. Elezioni e opinione pubblica nel 2017, Dossier CISE(10), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 257-262.
Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.
NOTA METODOLOGICA
I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 254 sezioni elettorali del comune di Messina. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 22 unità in tutto. Il valore medio dell’indice VR è pari a 14,1.
[1] Ringraziamo il Dipartimento Sistemi Informativi del comune di Messina per averci messo a disposizione i dati degli elettori delle politiche 2018 per sezione.