Pur con alcune peculiarità metodologiche, le intenzioni di voto rilevate dalla recente indagine CISE-ICCP confermano lo stabile vantaggio della coalizione di centrodestra (anche se meno dei principali sondaggi: il distacco stimato è di 11 punti), il mancato decollo del “terzo polo” di Calenda (fermo poco sopra il 5%), ma al tempo stesso evidenziano una forte crescita del Movimento 5 stelle (oltre il 16%). L’interpretazione suggerisce un possibile “effetto Churchill” sul voto del 25 settembre (dal nome del leader britannico che, dopo il trionfo sulla Germania nazista, patì una pesantissima sconfitta elettorale): a essere premiati potrebbero essere gli attori (centrodestra, M5s) con una netta visione di futuro e un accento sul cambiamento, più di quelli (centrosinistra, Calenda) che rivendicano continuità con il governo uscente (peraltro con un paese in difficoltà economica) e con identità programmatica incerta.
Come abbiamo anticipato in altre analisi, in questi giorni abbiamo condotto un’ampia indagine campionaria (con questionari somministrati via Web) che contribuisce al progetto internazionale ICCP (nato e coordinato dal CISE) sulla competizione partitica nel mondo occidentale. Un’indagine il cui fuoco principale sono le opinioni dei cittadini su un gran numero di temi politici trattati nella campagna elettorale, che tra l’altro ci ha fornito una miniera di informazioni sulla struttura degli elettorati dei diversi partiti e sulle possibili strategie di competizione di questi ultimi in questo scorcio finale di campagna elettorale (le strategie effettive le stiamo anche misurando su Twitter, e le analizzeremo nei prossimi mesi). Informazioni che contribuiranno anche al progetto nazionale POSTGEN, che indaga la possibile emersione di una nuova generazione con atteggiamenti e comportamenti politici post-ideologici (vedi es. De Sio e Lachat 2020a, 2020b).
Tuttavia, in un’importante campagna elettorale, e a pochi giorni dal black-out pre-elettorale che impedirà di avere informazioni affidabili sulle intenzioni di voto nelle ultime due settimane (sulla discutibilità del black-out vedi questo contributo), non potevamo non contribuire al dibattito pubblico, pubblicando anche i dati relativi alle intenzioni di voto.
Una (lunga ma necessaria)
premessa di metodo
Vanno però specificate alcune avvertenze. La prima è che l’indagine
ICCP non è un’indagine ottimizzata per le intenzioni di voto. Le indagini
sulle intenzioni di voto in genere hanno infatti questionari molto brevi e
presentando la domanda chiave nel giro di pochi minuti, per evitare possibili
effetti di distorsione delle domande precedenti, e per rendere massimo il
numero di intervistati che completano il questionario.
La nostra indagine invece ha utilizzato un questionario lungo e articolato
(oltre i 15 minuti); e rendeva necessario collocare la domanda sull’intenzione
di voto nella seconda metà del questionario. Questo peraltro potrebbe
comportare anche una possibile influenza delle domande precedenti sulla domanda
finale dell’intenzione di voto (influenza che abbiamo anche stimato attraverso
un disegno sperimentale – alternando diverse collocazioni della domanda – e di
cui abbiamo tenuto conto nelle stime finali delle intenzioni di voto).
Infine, va detto che la nostra indagine non fa parte di una serie regolare
(settimanale o mensile), e quindi non ci ha dato la possibilità di fare
correzioni di stabilizzazione (magari basandoci su sondaggi precedenti) come
possibile per gli istituti di sondaggio veri e propri, che svolgono indagini
regolari e frequenti. E’ una della importanti differenze tra le aziende di
sondaggi e invece (come noi) i centri di ricerca che usano sondaggi per
le proprie ricerche. Per certi versi, il nostro sondaggio rappresenta un
esempio della variabilità statistica dei campioni utilizzati per i sondaggi,
senza applicare possibili correzioni per questa variabilità.
Ciò premesso, va detto che in termini metodologici l’indagine è un’indagine campionaria assolutamente standard; peraltro, un’indagine assolutamente analoga (tranne che per la lunghezza del questionario) svolta nel 2018 fornì risultati molto vicini al risultato effettivo (anche se un singolo successo non è di per sé una prova di una metodologia affidabile!). I dati sono stati raccolti con metodologia CAWI (cioè con questionari Web, sviluppati dal CISE) su un campione di 861 intervistati, da mercoledì 31 agosto fino a lunedì 5 settembre, dalla società Demetra di Mestre. Come per tutte le indagini CAWI, gli intervistati sono stati estratti da un pool di potenziali intervistati, in modo da costituire un campione (non probabilistico) che fosse rappresentativo della popolazione italiana in età di voto per combinazione di sesso e classe di età, titolo di studio e zona geografica. I non cittadini sono stati esclusi dal questionario. Sui dati così raccolti abbiamo poi applicato, come avviene in tutti i sondaggi pubblicati, una ponderazione (che mira a correggere gli effetti della distorsione del campione) per sesso, combinazione di classe ed età, zona geografica, e soprattutto ricordo del voto (di coalizione) espresso nella precedente elezione del 2018. Infine, riguardo all’intenzione di voto, abbiamo applicato (vedi sopra) correzioni specifiche, derivate da una stima sperimentale dell’effetto della collocazione della domanda sull’intenzione di voto. Se fossero tratte da un campione probabilistico, le stime sarebbero affette da un margine di errore di circa +/- 3 punti percentuali; in realtà – come per tutti i sondaggi pubblicati – il campione di partenza è non probabilistico: di conseguenza i margini di errore possono anche essere maggiori.
Le intenzioni di voto
Queste premesse erano necessarie, visto che i risultati che presentiamo sono per certi versi un po’ diversi da quelli pubblicati dai sondaggi più recenti. La Tabella 1 presenta la distribuzione delle risposte alla domanda sull’intenzione di voto (la domanda era “Immagini che domani ci siano le elezioni politiche per il Parlamento nazionale. Lei quale partito voterebbe per la Camera dei Deputati? Per favore, scelga solo una delle seguenti opzioni”).
Dai dati emergono alcuni elementi principali, che sintetizziamo brevemente:
1. La vittoria del centrodestra ancora una volta non appare in discussione, pur se con valori inferiori a quelli riportati dagli istituti di sondaggio in questi giorni: la coalizione di centrodestra totalizza infatti circa il 42% delle intenzioni di voto, contro il 31% del centrosinistra;
2. Appare anche confermato il ruolo di primo partito di Fratelli d’Italia, pur se nei nostri dati questo partito registra una performance leggermente inferiore ad altri sondaggi di questi giorni; FdI viene infatti dato al 23%, contro il 21,4% del Pd, che invece è in linea con altri sondaggi;
3. Entrando nel dettaglio delle due coalizioni principali:
a. Il vantaggio leggermente inferiore del centrodestra rispetto ad altri sondaggi (che vedono distacchi tra 15 e 18 punti) è legato anche alla stima particolarmente bassa della Lega, che nella nostra indagine scenderebbe sotto le due cifre (al 9,6%), mentre Forza Italia viene data all’8%; anche Noi Moderati nella nostra indagine risulta sotto l’1% rispetto a stime maggiori (intorno al 2%) nei sondaggi pubblicati;
b. All’interno del centrosinistra, l’indagine ha una stima particolarmente positiva per l’alleanza Verdi-Sinistra (5,9%), mentre Più Europa viene data sotto la soglia di sbarramento del 3% (al 2,3%) in linea con altri sondaggi, così come Impegno Civico (1,4%);
4. Il dato forse più eclatante è quello del M5S, che le nostre stime vedono al 16,6%; si tratta di un dato superiore non solo alle medie dei sondaggi pubblicati più di recente (intorno al 12%), ma anche ai sondaggi più ottimisti (che lo danno al massimo al 14%);
5. Infine, la stima per Azione-Italia Viva (5,3%) appare leggermente inferiore alle stime viste finora (intorno al 6 e il 7%); viene inoltre confermato Italexit sopra la soglia di sbarramento (3,6%).
L’interpretazione: un possibile “effetto Churchill” sul voto del 25 settembre?
Pur se con alcune differenze rispetto ai sondaggi pubblicati, le tendenze indicate dalle intenzioni di voto nella nostra indagine sono, a grandi linee, assolutamente analoghe a quelle viste finora:
1. Il vantaggio strutturale del centrodestra, e l’assenza di reale competitività del centrosinistra: dati che non appaiono realmente in discussione (il margine di vittoria particolarmente basso da noi stimato – undici punti – non solo appare comunque confortevole, ma rappresenta un valore particolarmente basso, rispetto alle stime di tutti gli istituti).
2. La conferma del mancato decollo di Azione-Italia Viva: un partito con ambizione di “terzo polo” a due cifre (con l’obiettivo neanche troppo celato di andare vicino al 20% ottenuto a Roma, dimenticando forse che l’Italia non è Roma) e che tuttavia non è ancora riuscito a decollare, rimanendo sulle stime viste da mesi.
3. La crescita del M5S. Presentato da molti come destinato all’estinzione dopo la scissione di Di Maio e la successiva caduta del governo Draghi (all’epoca era spesso stimato sotto il 10%), il partito guidato da Conte mostra invece una forte tendenza alla crescita, confermata da tutti gli istituti (pur se finora non sui livelli da noi registrati).
Intanto una prima osservazione è che, con queste prime settimane di campagna, hanno iniziato a svilupparsi le dinamiche tipiche dell’avvicinamento al voto. Gli elettori iniziano ad attrezzarsi per prendere una decisione. Come fanno? Riattivano un interesse per la politica leggermente maggiore, cercano di fare un piccolo bilancio di quello che hanno visto fare in questi anni, cercano di farsi un’idea sui vari partiti in lizza (non tanto sulle proposte dettagliate di policy, ma più semplicemente alla ricerca di chi rappresenti meglio i loro valori e interessi), e soprattutto valutano cosa potranno aspettarsi dai diversi partiti in futuro, se e quando questi andranno al governo. Ecco: questa naturale proiezione verso il futuro della campagna elettorale rappresenta a nostro parere una chiave di lettura per capire le conseguenze delle scelte strategiche con cui i vari schieramenti e partiti si sono preparati al voto.
Lo schieramento di centrodestra ha fatto la prima mossa vincente (archiviando in un pomeriggio le liti di mesi) presentandosi con un’ampia coalizione, dando quindi priorità all’essere competitivi nei collegi uninominali per poter avere una maggioranza in grado di governare in modo certo (cosa che è ormai molto probabile), e con regole abbastanza chiare in grado di promettere con certezza chi sarà premier in caso di vittoria. In secondo luogo, a questa promessa di certezza di governo ha abbinato una serie di proposte che configurano importanti cambiamenti, ovvero una visione di futuro che non sia la semplice ripetizione del passato. Non sono proposte ecumeniche, ma in molti casi divisive e di parte: ma proprio per questo permettono a un lato importante della società italiana (quello più conservatore) di riconoscersi con chiarezza in qualcuno che rappresenterà efficacemente i suoi valori e interessi (vedi le caratterizzazioni tematiche di FdI, Lega e FI).
Lo schieramento di centrosinistra ha invece di fatto scelto dall’inizio, con la rottura col M5S, di rinunciare – a nostro parere – a essere (realisticamente) competitivo per ottenere una possibile maggioranza; e poi ha gestito in modo inefficace le trattative con altri possibili alleati (arrivando anche alla rottura con Calenda), di fatto quindi rendendo poco rilevanti le sue eventuali proposte di governo, perché molto difficilmente potrà vincere. A questo va abbinata la scelta di legarsi alla c.d. “agenda Draghi”, prefigurando un possibile ritorno di Mario Draghi a Palazzo Chigi. Questo – suggeriamo – ha aggiunto ulteriore incertezza alla proposta del centrosinistra, perché (1) Mario Draghi non ha mai dato alcuna particolare disponibilità a tornare al governo, quindi non è tuttora chiaro agli elettori chi sia il candidato premier del centrosinistra, quindi cosa succederebbe in caso di eventuale vittoria; (2) i provvedimenti presi dal governo Draghi sono stati quasi sempre compromessi tra partiti di destra e di sinistra, e perciò ispirarsi a quell’“agenda” significa inevitabilmente rendere poco riconoscibili le proprie proposte (non a caso la campagna del Pd oscilla tra gli estremi della candidatura del moderato Cottarelli e l’attacco “da sinistra” al Jobs Act renziano) che finiscono per caratterizzarsi essenzialmente soltanto sui diritti civili e di fatto sulla difesa delle scelte del precedente governo; (3) il richiamo al governo Draghi configura inevitabilmente uno sguardo rivolto al passato, senza idee particolarmente chiare relative al futuro (e peraltro con un presente fatto di una situazione economica per certi versi drammatica, con bollette alle stelle e la prospettiva concreta di razionamento dell’energia).
E considerazioni analoghe valgono anche per il mancato decollo (almeno finora) di Azione (vedi la caratterizzazione del partito), che forse rappresenta ancora meglio l’adesione a quel modello.
Mentre invece il M5S di Conte, il primo a rompere col governo Draghi, ha forse intuito per primo (poche ore prima del centrodestra, che ha condiviso poi la stessa scelta) la necessità di staccarsi da quell’esperienza per presentarsi in modo chiaro con proposte votate a un cambiamento, e chiaramente caratterizzate in modo da offrire – come il centrodestra – non l’adesione a un modello tecnocratico-ecumenico (e potenzialmente indifferenziato) ma invece la possibilità di identificare chiaramente la rappresentanza di particolari valori e interessi, specie sui temi economici. In questo caso, specularmente al centrodestra, per una parte più progressista e radicale della società italiana.
Non sappiamo se il risultato elettorale sarà in linea con queste interpretazioni. Tuttavia, in questo caso, potremmo davvero essere di fronte a una sorta di “effetto Churchill” (Franklin e Ladner 1995). Il grande leader britannico, nell’elezione che seguì la vittoria contro la Germania nazista, subì una cocente sconfitta elettorale. Forse con un po’ di ingratitudine, ma con molto pragmatismo, gli elettori britannici premiarono i laburisti che promettevano un progetto di futuro (negli anni successivi il governo Attlee dette vita, primo al mondo, al primo nucleo del moderno welfare state), invece che limitarsi a ringraziare Churchill per il lavoro fatto. Occorre ricordare spesso quell’episodio, che ci insegna sempre che la competizione elettorale si gioca sul futuro, non sul passato. Stiamo a vedere.
Riferimenti bibliografici
De Sio, Lorenzo, e Romain Lachat. 2020a. «Issue competition in Western Europe: an introduction». West European Politics 43(3): 509–17.
———. 2020b. «Making sense of party strategy innovation: challenge to ideology and conflict-mobilisation as dimensions of party competition». West European Politics 43(3): 688–719.
Franklin, Mark, e Matthew Ladner. 1995. «The Undoing of Winston Churchill: Mobilization and Conversion in the 1945 Realignment of British Voters». British Journal of Political Science 25(4): 429–52.