Autore: Redazione CISE

  • Osservatorio Politico – Il consenso alla cittadinanza per i figli di immigrati rivela un Paese inaspettato

    Una questione paradossalmente  discussa non molto spesso nella politica italiana è relativa alle opinioni dei cittadini sulle specifiche politiche che il governo dovrebbe adottare. Spesso l’agenda e le scelte sono determinate da una negoziazione tra i programmi dei partiti e le posizioni dei principali gruppi d’interesse nonché gli attori sociali interessati dai vari provvedimenti.

    È tuttavia sempre interessante indagare le posizioni dei cittadini su vari temi: spesso si scoprono inaspettati livelli di consenso o dissenso per particolari politiche; e per gli stessi partiti possono emergere finestre di opportunità inattese. Non é raro che i partiti stessi decidano di sfruttare nuovi temi, sapendo che godono di ampio sostegno tra i cittadini.

    La questione è di particolare attualità per due motivi. Da un lato la presenza di un governo tecnico sostenuto da tutti i partiti restringe lo spazio per politiche fortemente innovative su temi che dividono l’elettorato. Dall’altro tuttavia è interessante mettersi alla ricerca di temi “unificanti”: politiche su cui esiste un ampio accordo tra i cittadini; magari tradizionalmente non considerate dai partiti, ma che potrebbero entrare in un’agenda politica condivisa. E’ il caso (non casualmente) della recente scelta del Presidente della Repubblica di sollevare con forza il tema della cittadinanza ai figli di immigrati nati nel nostro Paese. Un tema quasi mai toccato dalle forze politiche, e che proprio per questo abbiamo voluto inserire nella nostra indagine.

    I dati mostrano come il Presidente della Repubblica si sia mosso in linea con un orientamento diffuso tra gli italiani. Secondo la nostra indagine infatti il 71% degli intervistati si dichiara “molto” o “abbastanza d’accordo” con l’affermazione che “I figli di immigrati, se nascono in Italia, dovrebbero ottenere automaticamente la cittadinanza italiana”. Questa affermazione fa parte di una “batteria” di domande che abbiamo sottoposto agli intervistati. A parte questa nuova questione, le altre domande erano state già sottoposte nell’indagine di aprile: le abbiamo ripetute proprio per cercare di misurare la volatilità delle opinioni dei cittadini su questi temi.

    I risultati mostrano una complessiva notevole stabilità della struttura di opinioni del campione tra le due indagini. Tenuto conto che il margine di errore statistico di ciascuna percentuale è di circa +/- 2,5 punti, la maggior parte dei temi registrano livelli di consenso invariati. Questo ci permette di concentrarci su quella che appare come una struttura stabile di opinioni nelle due rilevazioni.

    Il tema della cittadinanza agli immigrati dà l’occasione per approfondire una caratteristica che sembra indicare un Paese in parte inaspettato, e che era già emersa nell’indagine precedente. Non solo il consenso alla cittadinanza ai figli di immigrati è alto, ma è ancora più alto il consenso al voto amministrativo agli immigrati: lo era già nell’aprile 2011 (76%); sale ulteriormente all’81% a dicembre. Di conseguenza appare il ritratto di un Paese decisamente disponibile all’idea di strutturare dei percorsi inclusivi per l’integrazione dell’immigrazione in Italia. Ciò appare in parte stridente con la visibilità sui media delle posizioni anti-immigrati, soprattutto veicolate dalla Lega Nord; tuttavia una parte della base di consenso per la perdurante forza elettorale di questo partito è visibile dal consenso verso forme di federalismo fiscale, espresso da una larga maggioranza degli intervistati.

    Temi con un consenso meno largo (ma ancora maggioritario) sono invece alcuni temi etici “classici”: regolamentazione delle coppie di fatto, estensione di questa regolamentazione alle coppie gay; aborto. Su tutti questi temi le posizioni “progressiste” sono maggioritarie: una quota intorno al 60% è a favore delle coppie di fatto; una quota solo leggermente inferiore (tra il 54 e il 60% nelle due indagine) è favorevole ad estendere questa possibilità alle coppie gay. Una maggioranza simile è contraria a rendere più difficile l’aborto: è “solo” il 43% circa degli intervistati a voler rivedere l’attuale regolamentazione. Si tratta di temi che tuttavia, per la maggioranza meno larga che li caratterizza, si prestano potenzialmente meno a un’agenda condivisa.

    Caratteristica che li accomuna a un ultimo gruppo di temi economici, che corrispondono essenzialmente a un’agenda di tipo liberista, e che sono caratterizzati (fatto non nuovo per l’Italia) da un consenso essenzialmente minoritario. Tra questi vi è la proposta di maggiore libertà per le imprese di assumere e licenziare: tema su cui vi è consenso da parte di circa il 40% degli intervistati. Percentuale che scende sensibilmente riguardo all’opportunità di tagliare i servizi sociali per abbassare le tasse (28% circa di consensi), e ancor più rispetto al finanziamento pubblico alla scuola privata, il cui consenso nelle due indagini oscilla tra il 28% e il 24%.

    In sintesi, il dato in parte sorprendente è relativo all’alto livello di consenso per una politica inclusiva di integrazione degli immigrati. Visto il prestigioso endorsement del Presidente della Repubblica, esiste forse la possibilità che il tema possa entrare nell’agenda del governo Monti, anche alla luce dell’ampio consenso di cui gode tra tutti i cittadini (compresi quelli di centrodestra). Tuttavia, come è inevitabile, tra le opinioni dei cittadini e gli effettivi percorsi legislativi ci sono ancora molte valutazioni politiche intermedie da parte dei partiti, che verosimilmente renderanno non semplice l’iter di simili provvedimenti.

  • Osservatorio politico – Nei flussi di voto è l’astensionismo il motore del cambiamento

    Presentiamo qui i dati relativi all’incrocio fra intenzione di voto ai partiti in caso di elezioni immediate e il ricordo del voto in occasione delle politiche del 2008. Quest’analisi ci consente di osservare i movimenti di elettori dall’inizio della legislatura ad oggi.

    Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni 2011. Destinazioni (fatti 100 i voti ottenuti da ciascun partito nel 2008).

    Innanzitutto si può notare come non si registrino sensibili passaggi diretti da una coalizione all’altra. Il motore dei movimenti appare essere il serbatoio dell’astensione: i principali partiti perdono tutti circa un quarto (25%) del proprio elettorato verso l’astensione, con l’eccezione del Pd (16%) e del Pdl (36%).

    Il calo generalizzato del voto ai partiti è comprensibile alla luce del fatto che non siamo davvero a ridosso di elezioni e quindi manca l’effetto della campagna elettorale, senza dimenticare il particolare momento che il nostro sistema politico sta vivendo con il governo Monti. Ma la forte differenza registrata fra i principali partiti di centrosinistra e centrodestra è un primo segnale di come il meccanismo dell’astensionismo intermittente sembri oggi penalizzare chi nel 2008 aveva vinto le elezioni a vantaggio degli sconfitti.  A conferma di ciò si noti come ben il 6% di quanti si erano allora astenuti dichiarino oggi che voterebbero per il Pd: si tratta di un recupero dall’astensione davvero notevole, che solo il Movimento 5 stelle è capace di replicare. Un dato compatibile con il fatto che nel 2008 il centrosinistra (compreso il Pd) fu penalizzato da un forte astensionismo tra i propri elettori, che sembrano adesso essere nuovamente attratti dal Pd.

    Riguardo a chi conferma la propria scelta del 2008, meno del 40% di quanti tre anni fra avevano scelto il partito di Berlusconi dicono che replicherebbero oggi tale scelta. Invece il Pd presenta il valore massimo lungo la diagonali della continuità delle scelte di voto (57%) ed è insieme alla Lega il solo partito a mantenere più della metà dei propri voti 2008. Il partito di Bossi si dimostra in buona salute, riuscendo anche a strappare un 5% degli elettori 2008 del Pdl (da qui proviene oltre un sesto dei suoi attuali voti).

    Interessante infine osservare l’ultima colonna, relativa a quanti non avevano l’età per votare nel 2008. Pd e Lega si dimostrano i più capaci di attrarre i nuovi elettori, essendo entrambi sovrarappresentati in tale gruppo rispetto al totale del campione (rispettivamente di 5 e 4 punti percentuali); mentre il momento negativo del Pdl è dimostrato anche dalla suo scarso appeal verso tali elettori, di cui appena il 10% dichiara l’intenzione di votarlo.

    Guardando alle perdite verso l’indecisione tra partiti, a perdere meno sono ancora una volta quelli del centrosinistra  (Idv  4 e Pd  6), mentre Pdl e Lega perdono il 10 e il 12% . Ma i partiti che smarriscono le porzioni maggiori del proprio voto 2008 verso l’incertezza sono quelli che erano fuori dalle coalizioni (Sinistra arcobaleno il 13 e l’Udc il 18%): ciò sembrerebbe indicare la scarsa propensione di questi elettori a scegliere partiti che facciano parte di alleanze.

    Guardiamo ora alle provenienze 2008 degli elettorati odierni dei partiti.

    Flussi di voto fra ricordo 2008 e intenzioni 2011. Provenienze (fatti 100 le intenzioni di voto attuali a ciascun partito).

    La debolezza del Pdl è confermata dal fatto che non solo è il partito che cede di più all’astensione, ma è anche quello che meno di tutti gli altri è capace di attrarre nuovi elettori: pesca i tre quarti dei propri voti attuali dai suoi elettori 2008. L’Udc si dimostra capace di attrarre consensi dal Pd e dal Pdl in eguale misura (15 e 14% del proprio attuale elettorato, anche se sono quote minime degli elettorati 2008 dei due grandi partiti: 3 e 1%). Fli prende meno del 40% dei voti dal bacino degli elettori 2008 del Pdl: il suo buon risultato deriva in larga parte dal suo successo presso i neomaggiorenni (9%, pari al 15% dei propri voti). Il Pd prende oltre i due terzi dei suoi attuali voti fra quanti già nel 2008 lo avevano votato (68%) e poi si dimostra capace di attrarre qualcosa da astenuti 2008 e nuovi elettori, anche se deve cedere qualcosa a Sel (che prende il 45% dei suoi voti dal Pd 2008).

    Molto interessante, infine, è guardare alla composizione dell’elettorato attuale del Movimento 5 stelle: un terzo sono astenuti del 2008, un altro terzo abbondante sono elettori di centrosinistra del 2008 (22% dal Pd, 6 e 7 da Sa e Idv), ma una quota significativa (13%) proviene da elettori della coalizione che ha governato fino a un mese fa (il 9 dal Pdl e il 4 dalla Lega).

    In sintesi, a produrre la maggior parte dei cambiamenti tra il 2008 e le intenzioni attuali è l’area dell’astensione e dell’indecisione. Il che suggerisce come la variabile chiave per le prossime elezioni sarà la capacità dei partiti de degli schieramenti di mobilitare il proprio elettorato con proposte politiche adeguate.

  • Osservatorio politico – Le intenzioni di voto premiano il centrosinistra, ma cresce l’astensione

    In questa sezione analizziamo le risposte fornite dai nostri intervistati ad una serie di domande su come si comporterebbero in caso di elezioni politiche immediate. Molto utile è il confronto con i risultati delle stesse domande nel nostro sondaggio primaverile.

    Prima di entrare nel merito delle stime per partiti e coalizioni, bisogna sottolineare la forte crescita di quanti dichiarano oggi l’intenzione di astenersi. Infatti, osservando i diagrammi riportati, possiamo notare la stabilità degli indecisi (5% degli elettori sull’andare o meno a votare, 25% dei votanti – non elettori – incerti invece sul partito), ma si registra un notevole aumento (quasi 10 punti) dell’intenzione di astenersi. Ciò comporta che meno del 50% del campione dichiara oggi per quale partito voterebbe. Tuttavia è facile immaginare che la percentuale di voti validi in caso di elezioni politiche sarebbe assai maggiore, probabilmente superiore al 75%. Quindi vi è una grande porzione dell’elettorato (circa un quarto del totale) che andrà a votare ma che oggi non dice per quale partito. Ne deriva che le percentuali sui voti validi che presentiamo fotografano la situazione di quanti sono certi sul proprio voto in questo momento, ma in un contesto di un’ampia incertezza nell’elettorato. Questo non deve sorprendere, in una situazione in cui delle prossime elezioni non si sanno le coalizioni, i leader, i programmi e forse neanche la legge elettorale.

    Tra chi dichiara il partito, non ci sono enormi cambiamenti rispetto alla primavera (prima della disfatta del centrodestra nelle amministrative), tranne l’indebolimento del Pdl, la crescita di Pd e Lega e l’aumento notevole di Grillo. Il partito di Berlusconi perde oltre 6 punti percentuali, cedendo anche la palma di primo partito del paese al Partito Democratico. Quest’ultimo cresce di oltre 2 punti, così come la Lega Nord. Tutti gli altri partiti appaiono stabili o in leggero calo. L’unica eccezione è rappresentata dal Movimento 5 stelle che fa registrare il massimo aumento (oltre il 3%) e si attesta al 4,6%; allo stato, potrebbe superare la soglia di sbarramento nazionale alla Camera.

    Passiamo ora alle domande relative ai diversi scenari coalizionali che abbiamo sottoposto al nostro campione. Anche in questo sondaggio, come già nella primavera, il numero di intervistati che risponde a tali quesiti è superiore rispetto a quello relativo ai partiti. In generale si evidenzia l’ottimo momento di salute del centrosinistra, che può contare su un forte vantaggio in tutti i diversi scenari.

    Partendo da quello a tre coalizioni, vediamo come il centrodestra scenda da aprile di 5 punti, a vantaggio del  centro (+3) e del centrosinistra (+2). Il vantaggio della coalizione guidata dal Pd arriva oggi a sfiorare i 15 punti percentuali e appare tale da potere forse ottenere la maggioranza dei seggi anche al Senato, se davvero questo fosse il risultato elettorale. E questo nonostante la lusinghiera stima del centro, che arriva a superare il 20%. Risultato che tuttavia, con un simile margine fra destra e sinistra, forse non basterebbe a rendere il centro indispensabile per formare una maggioranza al Senato. Tuttavia è interessante sottolineare l’importanza della quota 20% raggiunta dal terzo polo: se fosse distribuita omogeneamente nelle diverse regioni, consentirebbe ai partiti di tale coalizione di non doversi presentare al Senato con un’unica lista.

    Abbiamo poi chiesto agli intervistati che cosa voterebbero in base a diversi scenari coalizionali; in particolare testando l’alleanza del centro con il centrosinistra o con il centrodestra.

    Il primo di questi scenari chiede agli intervistati quale sceglierebbero fra una coalizione unica del terzo polo con la sinistra contro quella del centrodestra. Come già in primavera la vittoria di Casini e Bersani sarebbe schiacciante, ma oggi le proporzioni si allargano ulteriormente, arrivando a superare i 20 punti percentuali. Infatti si registra un calo di quasi il 2% del centrodestra che scende sotto quota 40% anche in questo scenario.

    voto

    Ma particolarmente rilevante è l’ultimo scenario che abbiamo proposto ai nostri intervistati, l’unico per cui manca il confronto con la primavera dato che si tratta di una domanda nuova. Esso è relativo al caso in cui il centrodestra si alleasse con il terzo polo contro il centrosinistra. Ebbene anche in tale eventualità, la coalizione formata da Pd, Idv, Sel e altri partiti di sinistra potrebbe contare su un distacco notevole (circa 13 punti, secondo le intenzioni di voto attuali).

    Interessante infine una nota relativa alla suddivisione degli elettori sull’asse destra/sinistra. Esaminando soltanto i collocati al centro (punteggio 5 nella domanda sull’autocollocazione) insieme ai non collocati (tradizionale approdo di alcuni centristi), si osserva come questi elettori premiano comunque il centrosinistra a prescindere dalle scelte di coalizione dei partiti del centro. In altre parole, il centrosinistra appare in questo momento maggiormente competitivo, non soltanto in base al dato – di per sé relativo e volatile – delle intenzioni di voto, ma anche in base alla preferenza verso il centrosinistra di alcuni settori dell’elettorato che si considerano non appartenenti ai due grandi schieramenti. Ovviamente sullo sfondo sta il notevole aumento degli astenuti, e la tuttora ampia quota di indecisi.

  • Osservatorio Politico – Dicembre 2011: l’inizio di una transizione?

    Con l’avvicinarsi della fine del 2011 esce la seconda edizione dell’Osservatorio Politico CISE. Si tratta di un’indagine campionaria svolta mediante interviste CATI (telefoniche) a un campione di 1500 intervistati, rappresentativo della popolazione italiana residente maggiorenne rispetto a sesso, età e zona geografica.

    La seconda edizione dell’Osservatorio Politico permette di operare  un confronto sistematico con la stessa indagine svolta nella primavera 2011.  Già allora la nostra indagine aveva anticipato alcuni aspetti inediti della struttura delle opinioni politiche degli italiani. Anzitutto il forte calo – rispetto al 2008 – del consenso ai partiti di centrodestra, e il recupero del centrosinistra; in secondo luogo, un’ampio consenso ai temi referendari, con chiare possibilità di raggiungere il quorum. Sappiamo come andò in seguito: poche settimane dopo il centrodestra incassava una durissima sconfitta nelle elezioni amministrative; a pochi mesi di distanza i referendum raggiungevano abbondantemente un quorum in teoria inatteso.

    Questa seconda edizione permette quindi di aggiornare dati e interpretazioni, tuttavia in una fase politica completamente diversa, in cui il Paese è guidato dal governo tecnico di Mario Monti, sostenuto da un’inedita maggioranza Pdl-Udc-Pd, e in una fase in cui le stesse sorti del bipolarismo italiano appaiono incerte.

    La manovra economica e il governo Monti
    E proprio da questi temi prendono le mosse i risultati della nostra indagine. Anzitutto la manovra economica del governo Monti: qual è il giudizio che ne danno gli intervistati? Si tratta di un giudizio che si riverbera immediatamente sul governo? Le prime risposte che emergono dai dati sono in parte attese, in parte sorprendenti. Attese per il segno negativo, sorprendenti per l’intensità: gli italiani sembrano dare un giudizio decisamente negativo sulla manovra, sia in termini di equità che di efficacia vera e propria, a conferma che dal governo Monti ci si aspettava forse di più. Tuttavia il giudizio complessivo sul governo è peggiorato solo per una minoranza del campione; e soprattutto il governo Monti è percepito come più competente rispetto a quelli che sono ritenuti attualmente i problemi più importanti. Di conseguenza lo spazio di manovra del governo appare ancora ampio. (-> vedi le tabelle e l’analisi completa)

    Quali politiche?
    L’agenda del governo Monti è per adesso prevalentemente economica, e verosimilmente lo rimarrà per buona parte del suo mandato. Tuttavia le opinioni degli italiani su alcuni temi chiave rivelano un consenso in parte inaspettato per alcuni temi etici, e soprattutto verso un percorso inclusivo di integrazione degli immigrati, tra cui la concessione della cittadinanza ai figli di immigrati nati in Italia, caldeggiata dal Presidente Napolitano. Che il governo Monti possa muoversi anche su questi temi? (-> vedi le tabelle e l’analisi completa)

    Quali leader per le coalizioni?
    Se tra le incognite per le future elezioni c’è la legge elettorale e il formato bipolare della competizione, un’incognita ulteriore è rappresentata dai leader delle diverse coalizioni. In entrambi gli schieramenti si è aperta nei mesi precedenti una competizione più o meno aperta, che si è decisamente raffreddata dopo l’insediamento del governo Monti. Abbiamo chiesto agli intervistati quali sono i candidati che ritengono più competitivi; e inoltre (separatamente per ciascuno schieramento) se c’erano altri candidati che gli intervistati preferivano maggiormente, anche se con minori probabilità di successo. I risultati sembrano premiare gli attuali leader Alfano, Bersani e Casini; ed è il leader del Pd ad apparire il più solido dei tre, con il curioso risultato che il suo giovane aspirante concorrente Renzi appare più forte tra gli elettori di centrodestra, e decisamente molto debole tra chi voterebbe per il centrosinistra. (-> vedi le tabelle e l’analisi completa)

    Le intenzioni di voto attuali
    Ovviamente fare una valutazione sulla configurazione complessiva del sistema partitico, e sugli scenari di competizione, non può prescindere dalla valutazione delle intenzioni di voto attuali, in questo caso a confronto con quelle della primavera 2011. Da questo punto di vista il risultato principale è la conferma del marcato indebolimento del Pdl, e di un buono stato di salute del Pd, con dinamiche più articolate per i partiti minori. Ma sullo sfondo c’è il dato più interessante: non tanto un aumento degli indecisi, ma – nei nostri dati – un aumento di coloro che dichiarano chiaramente che si asterrebbero in caso di elezioni oggi. Questo significa che le basi di calcolo delle intenzioni di voto sono più basse che in passato: le stime sono quindi più volatili, e soprattutto il risultato delle future elezioni sarà chiaramente determinato dalla capacità dei vari schieramenti di mobilitare il proprio elettorato con una proposta politica adeguata.  (-> vedi le tabelle e l’analisi completa)

    I flussi di voto

    In particolare di fronte ai risultati delle intenzioni di voto – che vedono il centrodestra fortemente indebolito, e il centrosinistra in buon vantaggio – viene ovvio chiedersi come si siano prodotti questi cambiamenti rispetto alla grande vittoria del centrodestra del 2008. Sono avvenuti passaggi diretti dal centrodestra al centrosinistra? Sono gli elettori di centrodestra a essere oggi indecisi o a pensare di rifugiarsi nell’astensione? E il forte astensionismo che penalizzò il centrosinistra nel 2008 verrebbe recuperato se si votasse oggi? La risposta prevalente sembra evidenziare il ruolo dell’astensione e dell’incertezza. Da un lato molti elettori di centrodestra oggi ritengono che si asterrebbero o si dichiarano indecisi, in misura decisamente superiore rispetto al centrosinistra e agli altri partiti. Dall’altro in particolare il Pd oggi sembrerebbe recuperare una quota di quegli astensionisti che penalizzarono duramente il centrosinistra nel 2008.  (-> vedi le tabelle e l’analisi completa)

    Dentro una transizione?
    L’impressione generale che si ricava dai dati dell’indagine è quella di una fase di transizione in cui le incognite sul sistema politico italiano si vanno moltiplicando. In particolare, la crisi della leadership berlusconiana (che i dati suggeriscono difficile da poter recuperare) potrebbe togliere un importante punto di riferimento sia per il centrodestra che, in negativo, per i suoi avversari. Incognita cui si somma il destino incerto del referendum elettorale (che verosimilmente potrebbe raggiungere il quorum, se ammesso dalla Corte Costituzionale e non evitato mediante una riforma in Parlamento) e soprattutto il futuro del centrodestra, che adesso appare faticare a mobilitare i propri elettori, a tal punto che le intenzioni di voto rivelano un vantaggio consistente del centrosinistra. L’incognita che adesso si pone è come l’azione del governo Monti interagirà con questa situazione, ponendo i partiti di fronte a nuove sfide che potrebbero eroderne il consenso e modificare i rapporti di forza.

    Nota: L’indagine è stata condotta con metodologia CATI tra il 12 e il 19 dicembre 2011, su un campione di 1500 intervistati della popolazione residente maggiorenne, proporzionale per genere, età e zona di residenza (a livello provinciale, considerando la differenza tra comuni capoluogo e non capoluogo). Le interviste sono state effettuate dalla società Demetra. Informazioni complete su www.sondaggipoliticoelettorali.it .

  • Osservatorio Politico – i leader: Bersani e Alfano i più competitivi, Renzi piace (solo) al centrodestra

    Alcune domande dell’indagine Osservatorio Politico riguardano i leader che dovranno guidare le future coalizioni in vista della campagna elettorale del 2013.  La scelta della leadership è ormai una questione cruciale in tutte le democrazie occidentali competitive. Sondare l’opinione degli elettori italiani circa i possibili leader del futuro è poi particolarmente interessante in una fase di transizione come quella attuale, in cui le tre possibili coalizioni non hanno ancora fatto chiarezza sui tre elementi fondamentali di un’alleanza di governo: il programma, la composizione partitica della coalizione, e, ovviamente, il leader.

    Per testare la forza dei leader abbiamo posto due domande diverse: una riguardante la loro competitività, chiedendo quale dei possibili candidati premier delle due coalizioni avrebbe maggiori possibilità di vincere le elezioni; un’altra che invece vuole testare il candidato preferito dagli elettori (ovviamente sottoposta solo a coloro che avevano dichiarato l’intenzione di votare per quella coalizione, e non a tutto il campione) , al di là delle effettive possibilità di vincere. L’obiettivo era quello di suscitare stimoli diversi agli intervistati, facendoli rispondere con la “testa” alla prima domanda, e con il “cuore” alla seconda.

    Per quanto riguarda il centrosinistra, il lotto delle possibili risposte includeva 5 nomi: Bersani, Vendola, Di Pietro, Renzi e Chiamparino. Bersani distanzia nettamente tutti gli altri possibili candidati alla domanda sul leader più competitivo, raccogliendo il 35,9% dei voti nell’intero campione e doppiando Renzi (17,4%), considerato il secondo candidato con le maggiori possibilità di vincere. Vendola e Di Pietro sono considerati meno competitivi (attorno al 10% delle preferenze), mentre Chiamparino è molto staccato, al 5,9%. (www.secolarievoo.com) Incrociando questa domanda con quella concernente l’intenzione di voto per le tre coalizioni, emergono dei dati interessanti.

    Innanzitutto Bersani ottiene fra gli elettori della sua stessa parte politica addirittura la maggioranza assoluta delle preferenze, segno che l’attuale segretario del Pd è decisamente “in sella” rispetto alla propria area di riferimento, ottenendo peraltro un buon riscontro anche tra gli elettori di centro, che lo considerano il candidato di centrosinistra più competitivo. Tra gli elettori di centrodestra il candidato considerato più competitivo è invece Renzi (28,3% contro il 26,9% di Bersani). Ma l’aspetto più curioso è che Renzi ha un andamento opposto rispetto allo schieramento che intenderebbe rappresentare: la sua valutazione come candidato più competitivo scende al 14,7% già tra gli elettori di centro, per scendere ulteriormente al 10,4% tra gli elettori del proprio schieramento, dove paradossalmente gli viene considerato più competitivo Vendola (13,2%). Anche Di Pietro viene considerato più competitivo dagli elettori di centrodestra e di centro (12%) che da quelli della sua stessa area politica (8%), mentre Vendola, come Bersani, ha una connotazione decisamente di centrosinistra: tra gli intervistati di centrosinistra è secondo con il 13,2%, mentre fra quelli di centrodestra vale meno della metà (6,2%).

    Le risposte degli intervistati cambiano nella seconda domanda, quella sul candidato preferito di centrosinistra (una ipotetica risposta “del cuore”, visto che si chiedeva agli intervistati di mettere da parte la competitività del candidato). Bersani risulta sempre il migliore, ma vede calare il suo consenso dal 50,1% al 33,9%, sintomo del fatto che una quota consistente di coloro che lo giudicano il più affidabile per il conseguimento del successo elettorale, dovendo compiere una scelta di “cuore”, gli preferirebbero un candidato diverso. Tutti gli altri leader incrementano le proprie percentuali, beneficiando così del calo di Bersani. Eppure, se non stupisce affatto la crescita di Vendola e Di Pietro, che migliorano di circa 5 punti a testa, sorprende non poco l’aumento di 3,5 punti di Renzi, che dunque, contrariamente alle aspettative, più che essere considerato, come poteva apparire, ideologicamente lontano dall’elettorato della propria coalizione ma magari più competitivo, viene invece soprattutto giudicato incapace di vincere le elezioni, e dunque debole sul piano strategico.

    Passando al centrodestra, le risposte degli elettori mostrano in modo lampante la grande trasformazione che è avvenuta nella politica italiana negli ultimi mesi: per la prima volta dal 1994, Berlusconi non è più il cavallo vincente del centrodestra: è Alfano a risultare il più competitivo con il 31,9% delle risposte nell’intero campione, seguito proprio dall’ex Presidente del Consiglio con il 17,4%. Seguono poi Maroni (11,8%), Tremonti (11%) e infine Formigoni (7,3%). Focalizzandoci sul solo elettorato di centrodestra, l’attuale segretario del Pdl si rafforza ulteriormente, passando al 43,8%, seguito da Berlusconi al 21,8%, mentre Maroni, Tremonti e Formigoni, evidentemente considerati candidati più trasversali, perdono qualche punto.

    Ma è la domanda sul leader preferito che sembra davvero indicare una crisi della leadership berlusconiana: nemmeno se chiamati a compiere una scelta con il cuore, gli elettori di centrodestra tornerebbero a sostenere il fondatore di Forza Italia. Anche se in ogni caso Berlusconi chiaramente  recupera qualche punto, piazzandosi al 25,4%, secondo dietro Alfano, che scende al 34,7%. Questo indica che, come accade per Bersani, in parte anche il segretario del Pdl è per i propri elettori una scelta più strategica che affettiva. Fra i candidati preferiti compie invece un bel balzo in avanti Maroni, che raggiunge il 15,4%, probabilmente favorito dal fatto di essere l’unico nome di area leghista inserito nella domanda, mentre Tremonti perde ben 5 punti rispetto al quesito sul leader vincente, ma ciò non ci sorprende: l’ex Ministro dell’Economia è considerato un politico competente, ma non certo in grado di suscitare entusiasmo o simpatia nell’elettorato.

    Fra i candidati di centro, infine, Casini vince nettamente la sfida con Fini, Rutelli e Montezemolo sul leader preferito, con il 44% delle preferenze. Al secondo posto si piazza il Presidente della Camera con il 25,8%, seguito da Montezemolo con il 16,5%, un dato che riflette la minore esposizione dell’ex Presidente di Confindustria negli ultimi mesi, e che sembra in parte ridimensionare le sue aspirazioni; sembra che difficilmente il suo posto in politica possa essere quello di candidato premier di una coalizione di centro con Udc, Fli e Api.

    In conclusione, ciò che emerge dai dati dell’Osservatorio Politico è la considerazione che, in una fase di estrema incertezza riguardo gli assetti politici futuri, e di potenziale “scongelamento” degli allineamenti partitici che si erano consolidati negli ultimi 15 anni, l’elettorato preferisce affidarsi a leader che sono già “pronti”, essendo già stati selezionati al vertice dei due più grandi partiti italiani: Bersani, segretario del Pd e Alfano (indicato comunque da Berlusconi), segretario del Pdl. Eppure tra i due permane una grande differenza: se infatti Bersani è già stato legittimato dal voto popolare attraverso le primarie del 2009, ad Alfano manca un tale riconoscimento, e gli elettori di centrodestra hanno mostrato di condividere la scelta del tutto personale operata da Berlusconi. Ancora una volta, l’ex Presidente del Consiglio, sembra aver agito in sintonia con il “suo” popolo.

  • Osservatorio Politico – Tiene il giudizio sul governo Monti, ma la manovra non convince

    L’Osservatorio Politico ha incluso  alcune domande relative al governo Monti e alla manovra economica da esso approntata e alcune domande relative ai problemi percepiti come i più rilevanti e alle coalizioni di governo considerate come le più capaci nell’affrontarli. Ecco i risultati.

    Dai dati emerge anzitutto che la stragrande maggioranza del campione ritiene di poter formulare un primo giudizio sulle misure economiche del governo Monti: la percentuale di “non so” e di rifiuti a rispondere è molto contenuta.

    Entrando nel merito, il giudizio che emerge sulla manovra è complessivamente critico. Anzitutto dal punto di vista dell’equità: l’85% degli intervistati giudica la manovra poco o per niente equa, mentre appena il 15% la promuove su questo aspetto (abbastanza o molto equa).

    Ma l’aspetto più sorprendente riguarda il giudizio sull’efficacia della manovra. Di fronte alla domanda se la manovra sia “efficace nel migliorare i conti dello Stato”, la percezione degli intervistati è prevalentemente negativa: il 62% ritiene la manovra poco o per niente efficace, mentre appena il 38% la ritiene abbastanza o molto efficace.

    E il giudizio negativo sulla manovra appare riflettersi inevitabilmente anche sul governo. In questo caso non abbiamo indagato direttamente il livello di fiducia o gradimento assoluto del governo, ma la variazione del giudizio rispetto alle attese. Su questo aspetto, la metà del campione dichiara un giudizio invariato rispetto alle attese; tra chi ha invece cambiato il proprio giudizio, il 13% dichiara che il proprio giudizio è migliorato, rispetto al 37% (quasi il triplo) che ritiene che il proprio giudizio sia peggiorato.

    L’interpretazione di questo dato va a nostro parere in due direzioni. Da un lato sembra abbastanza chiara una certa delusione nei confronti dei primi passi del nuovo governo. Dall’altro, tuttavia, il fatto che per quasi due terzi del campione (che pure giudica negativamente la manovra) il giudizio complessivo sul governo non peggiori sembra suggerire che in realtà le attese nei confronti del nuovo governo non fossero così ottimistiche come emerso sui media; in qualche modo, i cittadini forse si aspettavano come inevitabile una manovra pesante e destinata a suscitare dibattito; e non trasferiscono necessariamente (ancora?) sul governo il giudizio negativo su questi primi provvedimenti.

    Quest’ultimo aspetto appare confermato dalle domande relative a chi gli intervistati percepiscano come più capace di affrontare il problema che ciascun intervistato ritiene più importante in questo momento. Su questi aspetti, il governo Monti ottiene sistematicamente valutazioni migliori rispetto a un potenziale futuro governo di centrodestra o di centrosinistra, pur in un clima generale di diffuso pessimismo verso la capacità del governo di incidere efficacemente sui problemi. Ad esempio, tra gli intervistati che mettono al primo posto il lavoro (40% del campione), ben il 40% ritiene che nessuno possa davvero affrontare il problema in modo efficace; tuttavia il 27% ritiene che l’attuale governo abbia le migliori possibilità, contro il 12% che indica il centrosinistra e l’11% che indica il centrodestra. Si tratta di un andamento che si ripete in modo simile (se non in maniera ancora più netta) anche per gli altri temi menzionati come più importanti (tutti relativi alla sfera dell’economia: un dato importante), come lo sviluppo economico (24% degli intervistati) e la difficoltà crescente a far fronte ai bisogni primari (10%).

    In sintesi, la manovra economica del governo senza dubbio non riscuote il consenso del campione; tuttavia gli intervistati per adesso sembrano confermare un giudizio essenzialmente fiducioso nella competenza del governo Monti (soprattutto al confronto con le potenziali coalizioni di centrosinistra e centrodestra). In altre parole, il governo Monti sembra beneficiare di un buon credito in termini di fiducia; appare tuttavia evidente che non si può trattare di un credito inesauribile; i prossimi mesi ci diranno come evolverà la situazione.

  • Osservatorio Politico – Gli italiani affezionati al bipolarismo, e voterebbero al referendum

    L’Osservatorio Politico ha incluso anche alcune domande relative alla questione del bipolarismo e dell’eventuale referendum sulla legge elettorale. Ecco i risultati.

    Le opinioni del nostro campione di intervistati sembrano essere abbastanza chiare e nette, sia per ciò che concerne il tema del bipolarismo sia per ciò che riguarda la questione del referendum sulla legge elettorale.  Per poter misurare l’attaccamento nei confronti del bipolarismo abbiamo chiesto agli intervistati se è meglio che le coalizioni di governo si formino prima delle elezioni, permettendo agli elettori di scegliere il governo, o se al contrario è meglio che le coalizioni di governo si formino dopo le elezioni, permettendo una maggiore flessibilità negli accordi tra i partiti.  Il risultato è molto chiaro: tra chi esprime una risposta valida (1431 intervistati su 1503), l’84% vuole poter scegliere tra coalizioni di governo già costituite sulla scheda elettorale, mentre solo il 16% preferisce che siano i partiti a formare una coalizione di governo ad elezioni già avvenute. In altre parole il nostro campione di intervistati è ancora affezionato al bipolarismo, nonostante che la nascita del nuovo governo tecnico abbia in parte scompaginato l’abituale panorama politico.

    Per ciò che concerne l’eventuale referendum sulla legge elettorale, anche in questo caso i risultati sono molto netti: il 71 % dell’intero campione dichiara oggi che andrebbe a votare in caso di referendum (e quindi in base a questi dati il quorum potrebbe essere raggiunto).

    Tra coloro che andrebbero a votare, come prevedibile, circa il 70% voterebbe “sì” all’abrogazione dell’attuale legge elettorale (contro un 16% di contrari e un 14% di indecisi). In conclusione, si può pertanto affermare che il nostro campione di intervistati è molto affezionato al bipolarismo e allo stesso tempo è fortemente critico nei confronti dell’attuale legge elettorale.

    Ovviamente i dati sull’intenzione di partecipare al referendum debbono essere sempre interpretati con cautela: la partecipazione elettorale è considerata “socialmente desiderabile”, e spesso gli intervistati tendono a dichiarare di voler partecipare anche quando questo non avverrà effettivamente. Tuttavia un dato di potenziale partecipazione di circa il 70% sembra poter suggerire che l’effettivo quorum del 50% possa essere in qualche modo raggiunto. In ogni caso le due incognite che pesano sul referendum sono anzitutto la sua dichiarazione di ammissibilità o meno da parte della Corte Costituzionale, e in secondo luogo la possibilità che le Camere trovino un accordo per una riforma elettorale che eviterebbe il referendum.

  • Social Networks as a Shortcut to Correct Voting

    Segnalazione bibliografica.

    American Journal of Political Science, Volume 55, Number 4, 1 October 2011 , pp. 753-766(14)

    Autori: John Barry Ryan

    Abstract

    This article reports on a small group experiment studying how the preferences of an individual’s social network affect her ability to vote for the candidate who will provide her with the greater benefit on both valence issues and position issues. The research diverges from traditional formal models and experimental studies of social communication by expanding the communication network beyond the dyad. The results suggest that social communication is a useful information shortcut for uninformed independents, but not uninformed partisans. Informed individuals incorporate biased social messages into their candidate evaluations, which results in higher levels of incorrect voting in certain types of networks.

    Full Text: https://www.ingentaconnect.com/content/bpl/ajps/2011/00000055/00000004/art00004

  • An Experimental Investigation of Electoral Delegation and the Provision of Public Goods

    Segnalazione bibliografica.

    American Journal of Political Science, Volume 55, Number 4, 1 October 2011 , pp. 738-752(15)

    Autori: John R. Hamman; Roberto A. Weber; Jonathan Woon

    Abstract

    How effectively do democratic institutions provide public goods? Despite the incentives an elected leader has to free ride or impose majority tyranny, our experiment demonstrates that electoral delegation results in full provision of the public good. Analysis of the experimental data suggests that the result is primarily due to electoral selection: groups elect prosocial leaders and replace those who do not implement full contribution outcomes. However, we also observe outcomes in which a minimum winning coalition exploits the contributions of the remaining players. A second experiment demonstrates that when electoral delegation must be endogenously implemented, individuals voluntarily cede authority to an elected agent only when preplay communication is permitted. Our combined results demonstrate that democratic delegation helps groups overcome the free-rider problem and generally leads to outcomes that are often both efficient and equitable.

    Full Text: https://www.ingentaconnect.com/content/bpl/ajps/2011/00000055/00000004/art00003

  • A Two-Dimensional Approach to the Political Opportunity Structure of Extreme Right Parties in Western Europe

    Segnalazione bibliografica.

    West European Politics, Volume 34, Number 5, 1 September 2011 , pp. 1044-1069(26)

    Autori: Dennis Spies ; Simon T. Franzmann.

    Abstract:

    Previous studies on the electoral fortunes of extreme right parties (ERPs) have pointed to the importance of variables of party competition for the success – or failure – of ERPs. These studies vary greatly when it comes to describing the political opportunity structure of the extreme right. Apart from their methodological differences, existing studies differ especially with regard to the assumed underlying dimension of party competition. This article tests the impact of three frequently discussed variables in the political opportunity structure of ERPs (mainstream party convergence, position of the established right and party system polarisation) on the vote share of ERPs in Western Europe. In addition to examining previous studies in this field, it focuses on the interplay between the economic and the cultural dimensions as part of the political opportunity structure. The authors show that a decrease in polarisation with regard to economic questions is accompanied by a growing salience of ERPs’ core issues, leading in the end to an increase in ERPs’ vote share.

    Full Text: https://www.ingentaconnect.com/content/routledg/wep/2011/00000034/00000005/art00008