Autore: Aldo Paparo

  • Gli italiani chiedono governabilità e sono critici verso il sindacato, ma non vogliono ridurre i servizi

    di Aldo Paparo

    All’interno del sondaggio dell’Osservatorio Politico del CISE abbiamo inserito una batteria di domande su specifiche policy issues. In particolare, abbiamo chiesto a nostri rispondenti quanto fossero d’accordo con alcune affermazioni su vari ambiti tematici. Presentiamo qui i risultati osservati.

    Come si può vedere nella tabella 1, gli italiani si dimostrano molto favorevoli ad una riforma elettorale in senso maggioritario. Il 77% dei rispondenti, infatti, si dichiara molto o abbastanza d’accordo con l’idea di garantire a chi vince una maggioranza parlamentare anche a costo di ridurre la proporzionalità.

    Dalle risposte alle altre domande, emerge un quadro alquanto controintuitivo. Se da una parte il 62% non è per niente d’accordo con una riduzione dei servizi finalizzata ad abbassare la pressione fiscale, vi è una maggioranza che pensa che i sindacati abbiano oggi troppo potere in Italia (54%)  e che i servizi sociali dovrebbero tutelare gli italiani prima e solo dopo, eventualmente, gli immigrati (58%).

    Tab. 1 – Grado di accordo con le diverse affermazioni nel sondaggio CISE-OP dell’autunno 2013

    In effetti è un puzzle che lo stesso campione sia da una parte molto tradizionalmente “di sinistra” sul trade-off servizi/tasse, ma poi manifesti simpatie antisindacali e un marcato welfare chauvinism. A questo punto è interessante indagare come si compongano dal punto di vista ideologico le maggioranze osservate. Quindi abbiamo utilizzato la domanda circa l’autocollocazione sull’asse sinistra/destra dei rispondenti per analizzare maggiormente in profondità le risposte alle issues.

    Iniziando dalla tabella 2, relativa alla legge elettorale, possiamo notare una notevole stabilità lungo l’asse sinistra-destra. Infatti il grado di accordo complessivo (molto + abbastanza) è superiore ai tre quarti degli elettori sia per quelli di sinistra, che che per quelli di destra. Fra gli elettori di centro sono addirittura l’80% quelli favorevoli ad una legge elettorale majority assuring. Ciò è piuttosto strano se si pensa che proprio i partiti del centro sono i più strenui sostenitori della proporzionale. Anche fra quanti non si sono collocati sull’asse si registra una maggioranza schiacciante, seppur leggermente inferiore alle altre categorie (72% di accordo totale).

    Tab. 2 – Grado di accordo con l’affermazione “La legge elettorale dovrebbe garantire a chi vince le elezioni una maggioranza per governare, anche a costo di ridurre la rappresentanza degli altri partiti” per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Veniamo ora alla questione della riduzione dei servizi per poter abbassare le tasse. Qui è ragionevole aspettarsi una notevole varianza a seconda dell’ideologia. In effetti la tabella 3 mostra una certa variabilità e in linea con le aspettative: gli elettori di destra sono maggiormente favorevoli.

    Però ciò avviene in misura assai lieve. Infatti, anche all’interno di questo favorevole settore, l’accordo complessivo raggiunge appena un terzo del totale, mentre comunque quanti si dichiarano per niente d’accordo sono la maggioranza assoluta (54%).

    In sintesi vi è quindi per la destra una decina di punti in più verso l’accordo  (e in meno verso il disaccordo) rispetto a sinistra e centro (che sono molto simili fra loro); con i non collocati in posizione intermedia fra destra e centro-sinistra. Si tratta comunque di divergenze assai limitate per quello che dovrebbe essere il trade-off centrale della competizione fra destra e sinistra nelle contemporanee democrazie post-industriali.

    Tab. 3 – Grado di accordo con l’affermazione “I servizi sociali (scuola, sanità, sicurezza, pensioni) dovrebbero essere ridotti per abbassare le tasse” per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Sulle ultime due questioni, quella relativa all’eccessivo potere dei sindacati e quella circa la necessità di tutelare gli italiani prima, si osserva maggiore varianza incrociando con l’ideologia dei rispondenti.

    In particolare, sui sindacati vi sono oltre venti punti di differenza fra l’accordo totale degli elettori di destra (66%) e di quelli di sinistra (43%). In posizione intermedia i rispondenti collocatisi al centro (58%) e quanti non hanno voluto collocarsi (54%).

    Ancor più sensibile il divario circa i servizi per gli italiani prima e solo dopo per gli immigrati. Sono oltre 25 i punti di differenza fra l’accordo degli elettori di destra (71%) e quello degli elettori di sinistra (45%). Di nuovo simili fra loro e mediani rispetto alle estremità dell’asse sono gli accordi per gli elettori di centro (61%) e i non collocati (58%)

    Comunque resta il fatto che anche in questi due casi maggiormente influenzati da fattori ideologici, si ha una larga porzione (sempre superiore al 40%) dell’elettorato di sinistra, quello in teoria più ostile a tali affermazione, che in realtà si dimostra più favorevole di quanto non ci si sarebbe potuto attendere.

    Tab. 4 – Grado di accordo con l’affermazione “I sindacati hanno troppo potere in Italia” per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Tab. 5 – Grado di accordo con l’affermazione “I servizi sociali dovrebbero tutelare innanzitutto gli italiani e solo dopo, eventualmente, gli immigrati” per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Questo sembra essere il principale tratto comune che si delinea nei dati presentati. L’elettorato italiano sembra piuttosto compatto, al di là delle diverse caratterizzazioni ideologiche. La maggioranza assoluta degli elettori di destra è contraria a mettere in discussione i benefici del welfare state, così come nella sinistra è molto forte il welfare chauvinism. Al venire meno della sicurezza economica, per via della perdurante crisi, sembra emergere quindi una generalizzata tendenza che abbraccia l’intero asse sinistra-destra a non includere piuttosto che a rinunciare a qualcosa.

  • Elezioni in Germania: la Merkel è l’unico governante europeo più forte della crisi economica

    di Aldo Paparo

    Le elezioni tedesche tenutesi domenica scorsa hanno segnato una svolta sotto molteplici punti di vista: sia rispetto alla tradizione elettorale, sia ai suoi sviluppi degli ultimi anni ed anche rispetto alle attese della vigilia basate sui sondaggi. Basti dire che, con il 4,8% dei voti, i liberali del FDP, l’alleato di governo della Merkel, non entrano in Parlamento, non avendo raggiunto la soglia del 5%. Ciò accade per la prima volta nel dopoguerra. I sondaggi avevano previsto che sarebbero stati vicini alla soglia, ma tutti li davano fra il 5 e il 6%. Così il nuovo Bunestag avrà solo 4 partiti con propri rappresentanti e non più 5 – considerando CDU e CSU un solo gruppo. Anche questa è una prima volta dalla riunificazione. Infatti nel 2002, quando la Linke non superò la soglia al proporzionale, aveva comunque vinto due collegi uninominali. Nel 1994 l’allora PDS ne vinse quattro, accedendo così alla ripartizione proporzionale pur con il 4,4% in virtù della clausola dei tre collegi vinti. Nel 1990, le prime elezioni dopo la caduta del muro, la soglia fu calcolata separatamente fra Est e Ovest: fu così che entrarono al Bundestag Verdi e PDS.

    Ma questo non è l’unico elemento di novità. La unione di CDU e CSU avanza di quasi 8 punti percentuali rispetto al 2009, raggiungendo il 41,5% dei voti. Nei sondaggi di settembre, nessuno l’aveva stimata oltre il 40% delle intenzioni di voto. Come mostrato dalla figura 1, viene così ad interrompersi un trend di calo che continuava sostanzialmente inarrestato dagli anni ’80.

    Fig. 1 – Storia elettorale in Germania: percentuali dei voti proporzionali nelle elezioni per il Bundestag

    Ma oltre al riequilibrio dei rapporti di forza all’interno dell’ormai ex coalizione di governo, vi sono molti altri elementi da rilevare. La SPD ha registrato un lieve recupero rispetto alle precedenti politiche: dal 23 al 25,7% dei voti. Ma è comunque rimasta assai lontana dai suoi standard precedenti ed anche al di sotto delle aspettative dei sondaggi che la vedevano più vicina a 30 che al 25%.

    Gli altri partiti della sinistra hanno registrato un calo: i Verdi scendono dal 10,7 all’8,4%; la Linke si ferma all’8,6%, contro l’11,9% di quattro anni fa. Un ultimo attore merita di essere citato, oltre ai Pirati che confermano il loro 2%. E anche in questo caso si tratta di una novità: è il partito antieuro AFD. Non riesce ad entrare in Parlamento, ma ha comunque raccolto il 4,7% dei voti dei tedeschi.

    La Merkel ha davvero ottenuto un risultato sensazionale: ha sfiorato la maggioranza assoluta  dei seggi del Bundestag, arrivando al 49,4%. Si tratta del migliore risultato dopo Adenauer nel 1957 (figura 2). Anche gli altri partiti che hanno superato la soglia risultano significativamente sovrarappresentati. L’alta disproporzionalità registrata è un ulteriore elemento di novità di queste elezioni. Si tratta di un valore pari a 7,85 dell’indice di Gallagher che, seppur non particolarmente elevato se comparato con paesi quali Francia e Regno Unito, rappresenta di gran lungo il massimo storico per la Germania. Siamo di fronte ad un valore pari a quello occorso in Italia nel 1994, in occasione delle prime elezioni svoltesi con il mattarellum.

    Fig. 2 – Storia elettorale in Germania: percentuali dei seggi del Bundestag

     Come è potuto accadere che un sistema elettorale noto per la proporzionalità dei suoi effetti circa la competizione partitica (al di là del meccanismo della selezione di parte del personale parlamentare attraverso i collegi uninominali) abbia in questa occasione generato una sproporzione fra voti e seggi così significativa? La risposta a questa domanda può facilmente essere visualizzata nella figura 3. Questa mostra la l’evidente legame fra sovrarappresentazione dei due grandi partiti e voti dispersi ai fini dell’attribuzione dei seggi perché ottenuti da liste al di sotto della soglia del 5%. L’R della correlazione fra queste due variabili è pari a 0,997. Appare quindi chiaro che le elezioni del 2013, in cui si registra la massima concentrazione di voti dispersi (quasi uno ogni 6), siano anche quelle caratterizzate dalla massima disproporzionalità.

    Fig. 3 – Storia elettorale in Germania: i grandi partiti e la disproporzionalità del sistema elettorale

    Nella figura 3 possiamo anche osservare un altro fenomeno interessante. Nelle ultime due elezioni precedenti questa, si era registrato un significativo calo del grado di bipartitismo del sistema politico tedesco. Nel 2009 meno di 3 elettori su 5 avevano scelto uno dei due grandi partiti. Nel 2013 anche questo trend si è interrotto: più di due elettori su tre sono su una delle due opzioni principali, che sfiorano l’80% dei seggi del Bundestag, grazie alla disproporzionalità derivante dalla dispersione dei voti sotto soglia di cui abbiamo detto sopra.

    Un ultimo elemento rimane da indagare: la comparazione delle elezioni tedesche con le altre elezioni europee che si sono svolte negli ultimi due anni, da quando cioè la crisi ha costretto i governi a varare misure di austerity. Anche sotto questo profilo, la performance dell’Unione guidata dalla Merkel appare straordinaria. Come si può vedere nella tabella 1 è riuscita ad incrementare il proprio totale di voti del 24%.

    Tab. 1 – Le elezioni europee al tempo della crisi: rendimento elettorale dei governi in carica al momento del voto e dei partiti al loro sostegno

    Il resto dei governi uscenti in questi ultimi due anni ha invece subito pesanti battute d’arresto alla riprova elettorale, fossero essi di destra o di sinistra. A cominciare nel novembre 2011 con i socialisti spagnoli,  che perdevano 4 milioni di voti, il 40% quasi di quanti li avevano riportati al governo del paese nel 2008. Nel maggio dell’anno successivo il Presidente francese Sarkozy diventava il primo incumbent a non ottenere un secondo mandato in oltre trent’anni e doveva lasciare l’Eliseo ai socialisti per la prima volta dai tempi di Mitterand. Ancora peggio andava ai socialisti greci, ridotti al 13% dopo avere avuto la maggioranza assoluta dei seggi nel 2009. Dopo l’estate toccava all’Olanda: qui si registra l’unico tasso in crescita, Merkel a parte. E’ quello del VVD guidato da Rutte, il premier uscente (il primo nè democristiano nè socialista dal 1918). Il suo partito incrementa i propri voti del 30% nei due anni del suo governo. Non così i suoi partner di governo: CDA e PVV cedono entrambi oltre un terzo dei propri voti 2010. Veniamo infine all’Italia, nel febbraio 2013. I tre partiti che sostenevano il governo Monti segnano tutti un netto calo a confronto con il 2008: il 29% per il PD, il 46% per il PDL e addirittura il 70% per l’UDC.

    In questo quadro appare particolarmente negativo ma comunque in linea il risultato della FDP, che smarrisce oltre i due terzi dei propri voti del 2009. In effetti, laddove vi erano governi di coalizione, gli alleati minori hanno dovunque pagato un dazio particolarmente elevato. E’ invece davvero rimarchevole la crescita della CDU-CDU. Certo è vero che in Germania non si sono dovute prendere misure di austerity, ma comunque si sono dovuti pagare pesanti costi per i salvataggi dei paesi UE. Le scelte della Merkel sul piano europeo hanno sollevato molte critiche (vedi il successo dell’AFD), ma evidentemente gli elettori tedeschi ritengono siano state le più assennate.

  • Comunali 2013: il bilancio complessivo delle vittorie nei 92 comuni superiori

    di Aldo Paparo

    Dopo la conclusione del tuno di ballottaggio, è possibile tirare le somme relativamente alle elezioni comunali 2013, almeno in riferimento al territorio peninsulare, in attesa del completamento delle elezioni in Sicilia. Sono stati coinvolti un totale di 92 comuni superiori ai 15.000 abitanti: 26 hanno eletto il proprio sindaco al primo turno, 66 invece al ballottaggio. La tabella 1 riassume il risultato finale per tutti i comuni, guardando alla coalizione a sostegno dei diversi candidati sindaco risultati vincitori.

    Fig. 1 – Coalizioni vincenti nei 92 comuni superiori al voto nel 2013, confronto con le precedenti elezioni comunali.

     

    Come si può facilmente osservare, queste elezioni hanno segnato una svolta piuttosto profonda rispetto ai risultati registrati in occasione delle precedenti elezioni comunali.  Le giunte che in tale occasione erano state conquistate dal centrodestra erano il 54% dei casi, ovvero 50 unità. La coalizione di centrosinistra amministrava 35 comuni, ovvero il 38%. Uno dei due principali partiti era dunque al governo cittadino in oltre il 90% dei casi. Tre comuni erano governati dall’Udc, 2 dalla Lega senza l’alleato Berlusconi, a Massa il sindaco uscente era sostenuto da una coalizione di partiti di sinistra non comprendente il Pd. Solo ad Aprilia si era registrato il successo di un candidato indipendente, fuori dai principali schieramenti e non sostenuto da alcun partito.

    Oggi il centrodestra ha perso i due terzi delle amministrazioni, fermandosi a quota 17, meno del 20% del totale dei comuni al voto. Addirittura oltre i tre quarti dei comuni precedentemente governati dal Pdl ha cambiato colore politico, mentre appena 12 hanno eletto a sindaco il candidato sostenuto dalla coalizione berlusconiana. Il Pd ha visto la vittoria del proprio candidato in 54 comuni superiori, andando quindi il risultato del centrodestra nella tornata precedente.

    Accanto al ribaltamento nei rapporti di forza fra le due coalizioni principali, un secondo elemento emerge dal confronto con la situazione precedente queste elezioni. Si tratta della de-bipolarizzazione del nostro sistema politico. Infatti quest’oggi constatiamo che 21 comuni hanno eletto sindaci non sostenuti né dal Pd né dal Pdl, quasi un quarto del totale. Inoltre merita di essere sottolineato come queste vittorie non riflettano la stabilizzazione dei due nuovi attori emersi alle recenti elezioni politiche. Infatti  appena 3 amministrazioni sono state conquistate dal terzo polo o dal M5s, che a febbraio avevano raccolto, insieme ai due poli maggiori, quasi il 95% dei voti degli elettori italiani. Ben 12 comuni, oltre il 13% del nostro campione, ha invece eletto un sindaco civico, non sostenuto da alcun partito.

    Passiamo ora ad analizzare come il risultato che abbiamo fin qui presentato si articoli nelle diverse zone geopolitiche del nostro paese. Iniziamo dal nord, i cui dati sono mostrati nella figura 2. Come si vede si tratta di 28 unità, 11 delle quali precedentemente amministrate dal centrosinistra, 17 invece dal centrodestra – incluse le due della Lega senza il Pdl. Oggi il centrodestra è praticamente scomparso al nord; gli sono rimaste 3 sole giunte: Albignasego, Orbassano e Villafranca di Verona, dove i sindaci incumbent Barison, Gambetta e Faccioli sono riusciti a strappare un secondo mandato.

    Fig. 2 – Coalizioni vincenti nei 28 comuni superiori settentrionali al voto nel 2013, confronto con le precedenti elezioni comunali.

     

    Coalizioni civiche, prive di simboli partitici, hanno conquistato più comuni del Pdl: 4. Il centrosinistra del Pd ha sostanzialmente raddoppiato le proprie giunte ed amministrerà i tre quarti dei comuni superiori del nord che hanno rinnovato i propri organi elettivi in questo 2013 (21).

    Come riportato dalla tabella 3, nelle regioni della zona rossa il Pd partiva già, in controtendenza rispetto al resto del paese, da un buon bottino. Amministrava infatti in 8 comuni su 12, esattamente i due terzi. In questa tornata ha però fatto registrare un risultato sensazionale: 11 giunte su 12 conterranno suoi esponenti, ovvero oltre il 90%.

    Solo a Falconara Marittima (An), il Pdl ha conquistato la vittoria. Qui il sindaco uscente Brandoni è riuscito in due turni ad avere la meglio sullo sfidante di centrosinistra e così, dopo avere vinto cinque anni fa per una manciata di voti e alquanto inaspettatamente dopo i risultati del primo turno, ha ottenuto la riconferma venendo premiato da consensi crescenti in valore assoluto, nonostante il calo dell’affluenza registrato.

    Fig. 3 – Coalizioni vincenti nei 12 comuni superiori della zona rossa al voto nel 2013, confronto con le precedenti elezioni comunali.

    Da sottolineare anche come nelle 4 regioni in esame, nessun comune abbia visto vincere candidati terzi rispetto ai due principali. Ancora una volta in controtendenza con il resto del paese, le vittorie fuori dai poli qui sono diminuite rispetto alla precedente tornata comunale, anche se certo se ne era registrata una soltanto già allora.

    In totale nelle regioni centrosettentrionali, la coalizione di centrosinistra ha vinto nell’80% dei 40 comuni; il centrodestra in comune su 10, esattamente tanti quanti candidati non partitici.

    Nelle regioni meridionali la situazione è piuttosto differente, se non per la parte politica vincitrice, quantomeno nelle proporzioni della vittoria. Come si può vedere dalla figura 3, le amministrazioni uscenti erano 32 per il centrodestra, il doppio delle 16 del centrosinistra. In totale, quindi, 48 comuni su 52 avevano uno dei due grandi partiti in giunta: il 92%, pari alla media nazionale. Qui, poi, erano concentrate le tre amministrazioni uscenti dell’Udc.

    Anche al sud oggi il centrosinistra ha vinto in più comuni del centrodestra. Ma la coalizione del Pdl vi si è difesa certamente molto meglio che altrove. I comuni vinti sono 13, certo in netto calo rispetto alle consultazioni precedenti, ma comunque un terzo dei comuni ha eletto il sindaco collegato sulla scheda al partito di Berlusconi. Il centrosinistra ha migliorato in termini di amministrazioni conquistate, ma non quanto nelle regioni settentrionali: oggi sono 22, con un tasso di crescita inferiore al 40%. Il Pd sarà al governo nel 42% dei comuni meridionali: la metà circa rispetto alla percentuale dell’aggregato centro-nord.

    Fig. 4 – Coalizioni vincenti nei 52 comuni superiori meridionali al voto nel 2013, confronto con le precedenti elezioni comunali.

     

    Al sud si registrano anche molte vittorie per attori esterni ai due poli principali: in totale sono 17, ovvero un terzo dei casi. Otto sono i candidati civici ad averla spuntata nella corsa a sindaco, tale valore è in linea con quello del nord e comunque poco superiore alla media sui 92 comuni. Invece sono eccezionalità meridionale le 6 vittorie equamente divisi fra coalizioni di centrosinistra e di centrodestra che correvano anche contro il partito principale della rispettiva area politica.

    Sempre al sud si sono verificate le uniche vittorie per i candidati del M5s in questo 2013 (Assemini e Pomezia), in controtendenza rispetto ai primi successi arrivati nel 2012 al centro-nord; così come l’unica vittoria del terzo polo (Bisceglie), che per assurdo era andato meglio in questi comuni quando non esisteva e l’Udc correva da sola.

    Ricapitalando, i 92 comuni superiori che hanno votato per il sindaco e il consiglio comunale gli scorsi 26 e 27 maggio hanno fatto segnare una decisa svolta a sinistra. Le amministrazioni uscenti erano 50 per il Pdl, contro le 35 del Pd. Oggi sono 54 quelle del partito guidato da Epifani, contro le 17 del centrodestra. Abbiamo poi osservato una marcata divaricazione fra nord e sud: nelle regioni della zona rossa e in quelle a nord di questa, il Pd ha vinto in 8 comuni su 10, contro il 10% del Pdl. A sud della cintura rossa, la percentuale di vittorie del Pd è del 42% contro il 25% della coalizione rivale.

    Inoltre si è registrato un forte aumento delle vittorie fuori dai due poli: sono infatti triplicate, da 7 a 21. Così oggi quasi un quarto dei comuni non ha eletto né il candidato del Pd, né quello del Pdl. Questo fenomeno è particolarmente mercato nel mezzogiorno, dove i comuni non bipolari sono più che quadruplicati, passando da valori in linea con le altre zone nella tornata precedente, al 33% di queste comunali.

  • Ballottaggi 2013: il colore politico delle nuove amministrazioni

    di Aldo Paparo

    Si è appena concluso il turno di ballottaggio in 66 comuni la cui popolazione supera i 15.000 abitanti. Il tasso di ricorso al secondo turno nei comuni superiori è stato del 72%, un paio di punti in calo rispetto ai valori massimi dell’anno scorso, ma comunque sempre estremamente elevato. In questo articolo riassumiamo i risultati che si sono registrati, concentrandoci sul colore politico delle coalizioni a sostegno dei vincitori nei diversi casi. Come si può osservare dalla tabella 1, la maggior parte dei ballottaggi si è svolta in regioni meridionali: 40. Esattamente la metà sono i casi del nord, mentre 6 sono i comuni della zona rossa.

    Tab. 1 – Coalizione a sostegno dei sindaci uscenti nei comuni al ballottaggi nel 2013, per zona geopolitica.

    Di questi comuni, i due terzi (44) erano stati conquistati nelle precedenti elezioni amministrative dal centrodestra, 19 dal centrosinistra, 2 da coalizioni centriste e Bussolengo dalla Lega senza il Pdl. Le amministrazioni uscenti targate Pdl erano esattamente pari alla media nazionale al nord e addirittura il 70% nei comuni meridionali. Al contrario, nella zona rossa il Pd partiva da un numero di giunte pari a quello del partito di Berlusconi.

    La situazione si è ribaltata in questi ballottaggi. I nuovi sindaci sono per la maggior parte sostenuti dal Pd: in tutt’Italia sono 38, ovvero il 58% dei comuni superiori al ballottaggio. La coalizione di centrosinistra ha così raddoppiato il numero di comuni amministrati fra questi 66 rispetto al’ultima legislatura. Tale risultato non è però omogeneo territorialmente. Vittorie del centrosinistra si sono infatti verificate nel 77% dei comuni del nord o della zona rossa e nel 45% dei ballottaggi meridionali. Simmetrica la performance del Pdl, che al nord ha vinto in appena 2 comuni su 20 e nelle regioni rosse in 1 su 6, ma al sud si difende assai meglio: 9 comuni conquistati, venendo comunque doppiato dai 18 della coalizione rivale. In totale sono comunque appena il 18% i ballottaggi vinti dal centrodestra contenente il marchio Pdl.

    Tab. 2 – Coalizioni vincenti ai ballottaggi nei comuni superiori per zona geopolitica.

     

    In termini generali, possiamo osservare la netta de-bipolarizzazione rispetto alle precedenti elezioni comunali. Come si è già detto, allora furono appena il 4,5% i comuni vinti da una coalizione che non contenesse né il Pd né il Pdl. Oggi invece le amministrazioni fuori dai poli sono quasi una su quattro: 16 su 66, ovvero il 24%. Il sud si dimostra ancora una volta la zona con le maggiori possibilità per candidati indipendenti forti localmente: qui un comune su tre non è amministrato né dal centrodestra né dal centrosinistra.

    Nessun candidato sostenuto da partiti è riuscito a vincere nel centro-nord, senza l’appoggio di uno dei due principali. Nelle regioni meridionali, invece, si registrano 3 successi per candidati sostenuti da liste di sinistra contro il candidato ufficiale dell’area; altrettanti per coalizioni di centro-destra, che però sfidavano anche quella targata Pdl. Inoltre sono concentrate nelle regioni meridionali anche le due vittorie del M5s e quella del terzo polo a Bisceglie.

    Non sorprende che il terzo polo abbia maggiori successi al Sud: in fondo lì ha sempre raccolto la maggior parte dei suoi voti l’Udc, il più antico dei partiti di tale raggruppamento. Inoltre, anche alle recenti elezioni politiche, le uniche con la lista di Monti, il terzo polo ha fatto meglio al sud. Assai meno prevedibile alla vigilia era il fatto che il M5s avrebbe raccolto i suoi unici successi nel mezzogiorno. Alle comunali 2012 i suoi 5 ballottaggi furono tutti nel centro-nord: oggi 2 dei tre sono al sud, e sono anche entrambi vinti, a differenza di Martellago (Ve) in cui invece il candidato del movimento ha perso al secondo turno.

    Nell’ultima sezione di questo articolo, presentiamo un riepilogo separato per i soli casi di ballottaggi fra i candidati delle coalizioni del bipolarismo italiano: quelle costruite attorno al Pd e al Pdl. Si tratta di 35 unità sui 66 secondi turni in totale, pari al 53%. L’anno scorso meno della metà dei comuni al ballottaggio vide confrontarsi i due poli. Come mostrato dalla tabella 3, anche in questo ristretto campione, il centrosinistra ha confermato la sua maggiore brillantezza elettorale: ha vinto in cinque comuni ogni sei, l’83%.

    Tab. 3 – Dettaglio delle sfide di ballottaggio fra i candidati sostenuti dal Pd e dal Pdl per zona geopolitica.

    In particolare, il centrodestra non è riuscito a recuperare il nessuno dei 21 comuni in cui sfidava il centrosinistra partendo da una situazione di svantaggio dopo il primo turno. Anche nei comuni dove invece partiva in vantaggio, le sconfitte sono più delle vittorie, soprattutto per effetto del pesante 3 – 7 nei comuni meridionali.

    Riassumendo, possiamo innanzitutto sottolineare alcuni elementi sistemici. Sembra infatti delinearsi un certo ritorno verso una competizione bipolare, anche se in contesto ancora molto turbolento. In questo senso possiamo citare il tasso di ricorso ai ballottaggi in calo rispetto al 2012 – ma sempre superiore al 70%; la maggioranza assoluta delle sfide che ha visto confronti fra Pd e Pdl; quasi il 25% dei ballottaggi che non è però vinto né dall’uno né dell’altro polo.

    Venendo invece nello specifico ai risultati delle coalizioni, il centrosinistra può davvero cantare vittoria: 38 vittorie – addirittura 11 su 11 nei capoluoghi di provincia -. Inoltre  questo risultato va inquadrato a partire dallo status quo ante: 44 comuni sui 66 al ballottaggio avevano amministrazioni uscenti di centrodestra.

  • Ballottaggi 2013: il quadro del primo turno nei capoluoghi di provincia

    di Aldo Paparo

    Tra pochi giorni 66 comuni saranno chiamati alle urne per la seconda volta nel giro di due settimane per eleggere i rispettivi primi cittadini attraverso il ballottaggio fra i due candidati che hanno ricevuto i maggior numero di voti gli scorsi 26 e 27 maggio. Abbiamo altrove presentato il quadro sintetico delle competizioni di primo turno per tutti questi comuni, in questo articolo presentiamo dettagliatamente i risultati dei primi turni nei comuni capoluogo di provincia che andranno al ballottaggio.

    Ci concentriamo sulla competizione maggioritaria fra i candidati sindaco. Abbiamo scelto tale dato per motivi di semplicità espositiva: sarebbe infatti impossibile far rientrare in una matrice tutte le liste che nei diversi comuni si sono presentate; sia perché al ballottaggio gli elettori potranno solo votare l’uno o l’altro candidato. Purtroppo però viene così smarrita l’informazione circa la porzione dei vari elettorati maggioritari ascrivibili ai diversi partiti coalizzati, particolarmente rilevante per i candidati terzi, di cui è interessante tentare di stimare le possibili destinazioni del secondo turno.

    La tabella 1 riporta i risultati così come indicato. Prima di scendere nel dettaglio delle diverse città, alcune considerazioni generali. Il centrosinistra targato Pd ha il proprio candidato in tutti i capoluoghi  al ballottaggio. Inoltre questo è sempre il colui che nel primo turno ha raccolto la maggioranza relativa dei voti validi nella competizione per l’elezione diretta del primo cittadino. In 10 circostanze dovrà vedersela con il candidato sostenuto dal Pdl, mentre ad Avellino lo sfidante sarà Preziosi, sostenuto da liste del terzo polo.

    Tab. 1 – I risultati del primo turno delle elezioni comunali nei capoluoghi di provincia chiamati al ballottaggio. Percentuali di voto ai candidati sindaco.

    Passiamo quindi all’analisi dettagliata delle diverse competizioni locali, cominciando dalle città della zona rossa. Come si può osservare di tratta di sole due unità (Ancona e Siena), che presentano caratteristiche piuttosto simili. In entrambi i casi, infatti, il candidato del centrosinistra ha sfiorato il 40%, mentre il rivale ha superato di poco il 20%: i margini di vantaggio in termini di punti percentuali sono davvero imponenti: pari a 16,1 e 17,2. Inoltre in entrambi i casi vi è un candidato alla sinistra del Pd che ha raccolto un decimo circa dei consensi. Questi dati non sembrano lasciare alcun margine per un ribaltamento al ballottaggio.

    La situazione è più variegata nelle rimanenti zone geopolitiche del paese. Al nord i capoluoghi al ballottaggio sono 4: Imperia, Brescia, Lodi e Treviso. Viene coperto un vasto spettro lungo la dimensione est-ovest, ma anche in termini di tradizioni politiche. E così anche i risultati del primo turno non sono omogenei. I vantaggi dei candidati di centrosinistra variano dai quasi 20 punti percentuali di Imperia, ai 50 voti di Brescia. Nel capoluogo ligure Capacci pare insuperabile, anche alla luce del risultato di Grosso, sostenuto da Sel e Rc (11,2%). A Lodi e Treviso i vantaggi dopo il primo turno per i candidati Pd variano fra i 7,7 e gli 8,8 punti percentuali. In entrambi i casi, però, tale margine non è sufficiente per considerare il comune assegnati: vi sono infatti attorno al 10% candidati più vicini al Pdl che non al Pd. Completamente impronosticabile appare poi la corsa a Brescia, dove il sindaco uscente Paroli è il meno distante dal rivale di centrosinistra fra tutti i candidati al ballottaggio nei capoluoghi.

    Nelle regioni meridionali i capoluoghi al ballottaggio sono 5: Avellino, Barletta, Iglesias, Roma e Viterbo. Iniziando dalla capitale, dei cui risultati su questo sito abbiamo anche presentato i flussi elettorali, il sindaco uscente Alemanno si trova ad inseguire con oltre 12 punti di ritardo dallo sfidante di centrosinistra Marino. Per ribaltare la situazione, dovrà sperare di convincere la stragrande maggioranza degli elettori di Marchini e De Vito; oppure di riuscire a mobilitare fortemente gli astensionisti del primo turno. A Barletta, Cascella ha quasi 17 punti di margine su Alfarano. La sua affermazione sembra scontata, anche alla luce del quasi 18% dei voti raccolti da Cannito, sostenuto dal Psi. A Viterbo è in corsa il terzo dei tre sindaci uscenti in questo campione di ballottaggi: Marini. E’ dietro allo sfidante del Pd, Michelini, di 10 punti percentuali circa. Ritardo significativo ma non incolmabile: si tratta infatti grossomodo della percentuale conseguita al primo turno dal candidato del terzo polo Rossi; inoltre vi sono altri due candidati civici intorno al 5%, oltre a quello del M5s. Ad Iglesias il distacco fra primo e secondo è di appena 4 punti percentuali, ma Gariazzo è andato così vicino alla vittoria in turno unico che la poltrona di sindaco non potrà sfuggirgli se riuscirà a riportare alle urne tutti i suoi elettori del primo turno. Avellino è il caso più complicato da prevedere. La sua peculiarità risiede già nell’eccezionalità del sfida: sono appena 2 sui 66 ballottaggi quelle fra centrosinistra e terzo polo. Poi sono straordinari i risultati del primo turno: i due sfidanti del ballottaggi hanno raccolto un quarto dei voti circa a testa, con un distacco di due punti circa: sommati non fanno la maggioranza assoluta dei voti validi maggioritari del primo turno. In un simile quadro risulterà decisiva la capacità di raccogliere i voti degli elettori di altri candidati di area: se Preziosi otterrà i consensi di chi ha votato il candidato del Pdl o quello di Scelta Civica, sarà quasi impossibile da superare per il democratico Foti, anche qualora questi dovesse ricevere tutti i voti dell’ex vicesindaco Festa.

  • Comunali 2013: l’analisi dei flussi elettorali a Roma

    Comunali 2013: l’analisi dei flussi elettorali a Roma

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Le elezioni nella capitale rappresentano certamente il caso più interessante di questa tornata di elezioni comunali. Non solo perché gli elettori romani pesano per oltre un terzo dei 7 milioni scarsi di italiani chiamati alle urne. Ma anche per l’inevitabile attenzione che tutti – partiti, osservatori, attori del sistema mediatico – hanno dedicato alla sfida portata al sindaco uscente Alemanno da Marino, Marchini, De Vito e molti altri.

    I risultati del primo turno sono stati in linea con quelli del resto del paese: un buon risultato del centrosinistra, un inatteso arretramento per il centrodestra ed un crollo degli attori terzi, segnatamente il M5s e il terzo polo.

    In questo articolo riepiloghiamo la storia elettorale degli ultimi 5 anni a Roma, partendo dalle precedenti elezioni comunali, che videro il successo del candidato del centrodestra in due turni. Poi ci concentriamo sull’analisi dei flussi elettorali per comprendere più in profondità i risultati osservati, tracciando gli elettori in movimento fra le comunali 2008 e quelle del 2013, così come quelli fra politiche e comunali di quest’anno.

    La tabella 1 riassume i risultati elettorali nella capitale per le ultime 4 elezioni svoltesi nella capitale, con l’eccezione delle europee 2009 e delle recenti regionali. Innanzitutto si nota il dato della scarsa partecipazione registrata in queste amministrative, ancora una volta in analogia con il resto del paese: appena il 52,4% degli elettori romani si è recato alle urne. Dobbiamo comunque sottolineare come non si tratti di un fatto del tutto nuovo: come si può osservare, già in occasione delle regionali del 2010 la partecipazione era stata particolarmente bassa, pari al 56,5%. Dato questo peraltro straordinariamente simile a quello delle europee di un anno prima (56,6%). Comunque il valore di poco superiore al 50% registrato in questa occasione rappresenta un nuovo minimo storico.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Roma: comunali 2008, regionali 2010, politiche e comunali 2013.

    Venendo ai risultati di liste, coalizioni e candidati, il primo punto da considerare è che, nel periodo considerato, il centrosinistra ha sempre raccolto più consensi della coalizione rivale. Anche 5 anni fa, quando poi al secondo turno Alemanno sconfisse Rutelli conquistando il Campidoglio, vi riuscì recuperando al ballottaggio lo svantaggio registrato al primo turno. Quindi il fatto che Marino sia avanti non dovrebbe sorprendere; però gli ultimi mesi del Pd potevano lasciare attendere un risultato diverso, eccezionalmente negativo per il centrosinistra. Invece così non è stato: il risultato di Marino è sostanzialmente in linea con quello di Rutelli cinque anni fa, mentre merita una particolare notazione la flessione di oltre 10 punti del sindaco uscente rispetto a cinque anni fa.

    Un ulteriore elemento che bisogna sottolineare è il recupero, almeno in termini di risultato percentuale, delle due coalizioni principali ai danni dei due attori nuovi che avevano registrato ottimi risultati alle politiche: la coalizione centrista di Monti e il M5s di Grillo. A febbraio avevano raccolto insieme quasi il 40% dei voti, tre mesi dopo hanno dimezzato i propri risultati rimanendo al di sotto del 20%. Nel dettaglio, la flessione è particolarmente marcata per il Movimento, sceso dal 27,3 al 12,8%: in valori assoluti sono andati persi il 70% dei voti della lista alle politiche. Marchini ha invece perso circa due punti percentuali rispetto alla coalizione montiana, anche se guardando ai valori assoluti si tratta sostanzialmente di un dimezzamento.

    Attraverso l’analisi dei flussi elettorali ci proponiamo a questo punto di comprendere quali siano stati i movimenti di elettori che hanno determinato questa grande volatilità. Iniziamo quindi dalle analisi fra comunali precedenti e attuali, i cui coefficienti sono mostrati nella tabella 2. Come si può osservare, gli elettori del centrosinistra sono stati i più fedeli: quasi 6 su 10 hanno riconfermato il proprio voto cinque anni più tardi. Si tratta di un tasso di fedeltà comunque piuttosto basso, e infatti si registrano tre fuoriuscite significative (superiori all’1% degli elettori totali). La più rilevante è quella verso il non voto: un elettore di Rutelli su quattro non si è recato alle urne in queste comunali. Le altre due defezioni rilevanti sono quelle verso De Vito e Marchini, con il primo leggermente preferito.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Roma fra primi turni delle consultazioni comunali: destinazioni 2013 degli elettorati 2008 dei vari candidati.

    Il sindaco uscente Alemanno ha invece confermato meno di un elettore su due di quanti lo avevano scelto già al primo turno nel 2008; uno su tre non è andato a votare. Anche in questo caso sono significative entrambe le fuoriuscite verso i principali attori esterni ai poli: Marchini è stato scelto da un elettore di centrodestra del 2008 su 10, il doppio circa di quanti hanno votato De Vito. Ma si registra anche un significativo flusso diretto verso l’avversario di centrosinistra: quasi il 2% di tutti gli elettori romani aveva votato Alemanno 5 anni fa e oggi ha scelto Marino.

    Fra quanti nel 2008 avevano votato candidati minori (il 9% degli elettori romani) si registra il massimo coefficiente verso il non voto, il 36%. Coloro che invece sono tornati alle urne hanno votato De Vito (uno su quattro) o Alemanno (uno ogni cinque). Infine non si registra alcun recupero significativo dal bacino del non voto 2008.

    Passiamo adesso ai movimenti intercorsi fra le recenti politiche e il primo turno di queste comunali (tab.3). Come si può osservare, Marino è stato di gran lunga il più bravo nel convincere gli elettori della propria area politica a votarlo: tre elettori di Bersani su quattro lo hanno fatto. Nonostante il calo della partecipazione di 25 punti, meno di uno su dieci non è andato a votare. L’unica altra fuoriuscita rilevante dal bacino del centrosinistra è quella verso Marchini, comunque piuttosto contenuta.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Roma fra consultazioni del 2013: destinazioni alle comunali degli elettorati alle politiche dei vari partiti.

    Alemanno ha smarrito oltre un terzo degli elettori della coalizione di centrodestra alle politiche. Il 30% ha scelto di non votare, mentre nessun altro flusso in uscita è significativo. Veniamo ora alle colonne di maggiore interesse, quelle relative a Monti e Grillo, per comprendere dove siano finiti gli elettori che tre mesi fa avevano espresso un voto non bipolare. Per entrambi i gruppi i tassi di fedeltà superano a malapena il 25%. Fra i grillini, la metà ha disertato il seggio, mentre un quinto si è diviso in ugual misura fra i due competitor principali. I montiani invece registrano un coefficiente verso l’astensione pari a un terzo circa; nell’altro terzo che ha votato, ma non per Marchini, Alemanno è stato preferito a Marino in misura di due a uno. Non si registra alcun recupero rilevante dall’area del non voto, anche se il flusso stimato verso Marino sfiora il punto percentuale sugli elettori.

    Mettendo insieme le osservazioni delle due matrici di flussi esaminate, si possono fare alcune considerazioni interessanti, in particolare relativamente agli elettori di centrosinistra. Quelli di Rutelli sembrano essere piuttosto diversi da quelli di Bersani. In effetti si tratta di circa 200.000 unità in più nel primo caso. Ed ecco chiarita la vistosa differenza nel flusso verso il non voto osservata nei due gruppi. Coloro che hanno abbandonato tale area politica fra 2008 e politiche 2013 hanno votato M5s con una frequenza nettamente maggiore di quelli che invece sono rimasti fedeli a Bersani. Fra questi, i pochi che ha defezionato ha scelto invece Marchini.

    Anche per il centrodestra gli elettori erano molti di più cinque anni or sono che non alle politiche, eppure in entrambi i casi si registrano coefficienti verso il non voto pari a un terzo circa. La differenza risiede nel voto verso altre aree politiche: come abbiamo visto, fra gli elettori di Alemanno 2008 si osserva una vera e propria diaspora, con rivoli cospicui che sono andati persi verso ogni direzione possibile. Quanti hanno votato Berlusconi ma non il sindaco incumbent si sono invece praticamente tutti astenuti.


    Nota metodologica: le analisi dei flussi elettorali qui mostrate sono state ottenute applicando il modello di Goodman corretto dall’algoritmo Ras ai risultati elettorali delle 2600 sezione romane. Sono state generate 24 matrici separate per ciascuno dei collegi uninominali per la Camera della legge elettorale Mattarella, poi riaggregate nelle matrici cittadine riportate. La media del VR è pari a 4,6 per le analisi fra comunali 2008 e 2013, 6,2 per quelle fra le due elezioni di quest’anno. In nessuna delle 48 analisi il VR supera la soglia critica di 15, in appena 3 è maggiore di 10.

  • La performance dei sindaci incumbent nei capoluoghi di provincia

    di Aldo Paparo

    Fra i 16 comuni capoluogo di provincia chiamati alle urne gli scorsi 26 e 27 maggio, 6 avevano la possibilità di confermare o meno il primo cittadino che li ha amministrati negli ultimi 5 anni. Come si può osservare dalla tabella 1, si tratta di tre comuni del nord: Sondrio, Vicenza e Brescia; due meridionali: Roma e Viterbo; e Pisa per la zona rossa. In termini di colore politico della precedente amministrazione, tre avevano sindaci di centrodestra e altrettanti erano invece guidati dal centrosinistra.

    In questo articolo analizziamo il risultato dei sindaci incumbent in questo ristretto ma ben distribuito gruppo di capoluoghi. Precisiamo preliminarmente che in tutte queste città la precedente tornata amministrativa si era svolta nel 2008

    Tab. 1 – Risultati maggioritari dei sindaci che si sono ripresentati nei comuni capoluogo. Confronto con le precedenti elezioni comunali e politiche.

    Il primo elemento che salta agli occhi è il fatto che i tre sindaci di centrosinistra siano tutti stati riconfermati primi cittadini per un secondo mandato già al primo turno, mentre i tre del centrodestra dovranno ricorrere al ballottaggio, cui peraltro giungono inseguendo i rispettivi rivali di centrosinistra. Cinque anni fa la situazione era assai diversa: solo Paroli a Brescia poté festeggiare la propria vittoria dopo il primo turno; gli altri 5 sindaci dovettero invece ricorrere al secondo. In dettaglio Marini, Molteni e Filippeschi avevano sfiorato la maggioranza assoluta e si presentavano quindi quali netti favoriti al ballottaggio. Alemanno e Variati dovettero invece recuperare un distacco rispettivamente di 5 e 8 punti percentuali dal primo classificato del primo turno per conquistare la poltrona di primo cittadino.

    L’iniziale sensazione di un avanzamento del centrosinistra e di un arretramento del centrodestra  è confermata guardando al confronto delle percentuali ottenute nel primo turno dai 6 incumbent esaminati con precedenti elezioni in quello stesso comune. Partendo dal confronto con il risultato da loro stessi conseguito al primo turno delle comunali di cinque anni fa, si osserva come tutti e tre gli uscenti di centrodestra registrino un forte calo, superiore ai 10 punti percentuali. Addirittura Marini ha sostanzialmente dimezzato la percentuale ottenuta oggi rispetto a quella del 2008. Rendimento specularmente opposto per i sindaci di centrosinistra: tutti e tre hanno ottenuto risultati migliori rispetto a cinque anni fa. In particolare Variati è passato da meno di un voto ogni tre a oltre uno su due.

    Anche comparando il risultato dei candidati sindaci con la somma dei consensi proporzionali raccolti alle recenti elezioni politiche dalle liste che oggi li sostengono, il quadro non cambia: gli uscenti di centrosinistra vanno meglio di quelli della coalizione rivale. A Sondrio e Vicenza la coalizione di Bersani si era fermata al di sotto del 30% dei voti validi, mentre Molteni e Variati hanno ottenuto la maggioranza assoluta. Anche a Pisa Filippeschi fa sensibilmente meglio del centrosinistra alle politiche. Dobbiamo comunque sottolineare come anche Paroli ed Alemanno risultino in crescita rispetto alla coalizione guidata da Berlusconi, ma in misura assai inferiore. Solo Marini a Viterbo ha ottenuto una percentuale inferiore di quella delle liste alle politiche.

    Certo, se al secondo turno i tre uscenti di centrodestra riusciranno a conquistarsi un secondo mandato, nulla sarà cambiato in termini di colore politiche dell’amministrazione in questi sei comuni. Tale eventualità non sembra comunque molto probabile alla luce dei risultati del primo turno: solo Paroli a Brescia è perfettamente in partita, avendo un ritardo di appena 50 voti dallo sfidante di centrosinitra. Alemanno e Marini dovranno invece riuscire a rimontare svantaggi superiori ai 10 punti percentuali per per confermarsi alla guida di Roma e Viterbo. In ogni caso dai risultati del primo turno che abbiamo qui mostrato, emergono con forza alcuni elementi: i sindaci del centrosinistra sono andati meglio di cinque anni fa e sensibilmente della coalizione di riferimento alle elezioni politiche. Per questi, dunque, sembra avere funzionato un meccanismo di incumbency advantage. Al contrario, gli uscenti del centrodestra pare abbiano pagato dazio al cost of ruling, visto che sono tutti in forte calo rispetto alle comunali 2008 e non sono riusciti ad avvantaggiarsi molto della ri-bipolirazzione osservata rispetto alle politiche.

    Ciò non significa necessariamente che fra queste amministrazioni quelle di centrodestra abbiano soddisfatto gli elettori meno di quelle di centrosinistra. Infatti che non è possibile sapere quanto queste evidenze dipendano direttamente dal giudizio degli elettori riguardo al governo della città degli ultimi cinque anni e quanto invece dal contesto generale di una tornata che, in attesa dei ballottaggi, è stata molto favorevole al centrosinistra.

  • Comunali 2013: vittorie al primo turno e quadro dei ballottaggi

    di Aldo Paparo

    Sono 92 i comuni che hanno votato in questa tornata di amministrative con il sistema elettorale che prevede l’elezione in due turni del sindaco, se nessun candidato ottiene immediatamente la maggioranza assoluta delle preferenze nell’arena maggioritaria. In questo articolo esaminiamo la diffusione delle vittorie in un turno, a confronto con il passato, nelle diverse zone geopolitiche del nostro paese.

    Come si può osservare dalla figura 1, sostanzialmente la metà dei comuni (45) aveva eletto il proprio sindaco già al primo turno in occasione della precedente elezione comunale. La percentuale era poco inferiore al 50% sia al nord che al sud, mentre nella zona rossa raggiungeva il 58%. Quest’anno tale cifra si è abbassata a 26 unità, ovvero meno del 30% dei casi. Si noti che cinque anni or sono erano 25 i sindaci eletti al primo turno nelle sole regioni meridionali. La zona rossa si dimostra ancora la zona in cui è meno frequente in ricorso al ballottaggio: esattamente metà dei 12 comuni di tale area ha già il nuovo sindaco, con un lieve calo rispetto ai 7 eletti in turno unico delle precedenti comunali.

    Fig. 1 – Comuni che hanno eletto il sindaco al primo turno per zona geografica. Confronto con le precedenti elezioni comunali.

    Al sud e nel nord, invece, le cose sono andate diversamente. Nelle regioni settentrionali sono 8 i comuni in cui un candidato ha ottenuto la carica già al primo turno (meno del 30% dei casi totali), mentre invece sono 20 le città che dovranno tornare alle urne i prossimi 9 e 10 giugno. Nel mezzogiorno sono addirittura più che dimezzate le vittorie immediate, tanto che oggi meno di un comune su quattro ha eletto il proprio sindaco.

    Certo in occasione delle precedenti elezioni comunali l’offerta elettorale era molto diversa, con una frammentazione assai minore. Le recenti elezioni politiche hanno sancito la multipolarità del sistema politico italiano di questo periodo, accrescendo gli incentivi per i notabili locali a presentarsi da soli per poi contrattare l’apparentamento, senza correre il rischio di rimanere fuori dai giochi nel caso di una vittoria al primo turno, assai improbabile.

    Inoltre abbiamo già sottolineato come, nella stragrande maggioranza dei casi, le precedenti elezioni comunali siano coincise con le politiche 2008, fatto che potrebbe aver favorito la concentrazione dei voti sulle due opzioni principali: alcuni elettori potrebbero avere deciso cosa votare alle elezioni di primaria importanza e poi avere confermato tale scelta alle comunali.

    Questi fattori potevano fare prevedere già alla vigilia una certa depolarizzazione nei risultati elettorali e le conseguenti difficoltà nell’aggregare la maggioranza dei consensi già al primo turno; nonostante ciò, rimane inequivocabile l’immagine di uno sfarinamento delle grandi coalizioni che hanno caratterizzato gli ultimi decenni della politica italiana.

    Passiamo ora ad analizzare chi abbia vinto i (pochi) comuni già assegnati. La tabella 1 riporta la coalizione a sostegno dei sindaci eletti, distinguendo per zone geografiche. Come si può osservare, il centrosinistra targato Pd ha conquistato la maggioranza di queste amministrazioni: 16 su 26, ovvero il 61,5%. Per il centrodestra sono appena 5 le vittorie, lo stesso numero di coalizioni formate da liste civiche.

    Tab. 1 – Coalizione vincente nei comuni assegnati al primo turno per zona geografica.

    In particolare, nella zona rossa il partito guidato da Epifani sosteneva tutti e 6 i vincitori in turno unico, ma anche al nord il risultato è molto buono: il 75% dei sindaci è collegato al Pd. Solo nelle regioni meridionali si registra un maggiore equilibrio: sono infatti 4 le vittorie sia per il centrosinistra, che per il centrodestra che di candidati sostenuti da liste civiche.

    Infine presentiamo il quadro dettagliato delle sfide dei ballottaggi: sono in totale 66 sui 92 comuni superiori, ovvero oltre il 70%. Osservando la configurazione delle sfide di secondo turno, poco più della metà (35) vedranno confrontarsi le coalizioni di cui fanno parte i due principali attori del nostro sistema politico, il Pd e il Pdl. Sono invece appena 3 i comuni in cui né il Pd né il Pdl hanno portato il proprio candidato al ballottaggio. Il M5s sfiderà il candidato di centrosinistra in tutti e 3 le sfide che si è conquistato.

    Tab. 2 – Prospetto dei ballottaggi nei comuni superiori. Coalizioni in vantaggio e coalizioni seconde classificate dopo il primo turno.

    Guardando invece ai diversi partiti, il Pd è quello che è presente nel maggior numero di casi: 50 in totale, mancando quindi il ballottaggio in meno di un caso su quattro. Inoltre, ha il maggior numero di candidati in testa dopo il primo turno: quasi la metà dei ballottaggi totali, 32.

    Il principale partito del centrodestra ha piazzato il proprio candidato al secondo turno in 48 casi, pareggiando quindi sostanzialmente il risultato del rivale di centrosinistra. Più sensibile è la differenza in termini di maggioranze relative al primo turno: sono poco più di una su tre, 24, mentre in altri 24 comuni è al secondo posto.

    Dai dati che abbiamo presentato, si evidenzia un buon successo della coalizione di centrosinistra. Naturalmente occorrerà aspettare i risultati dei ballottaggi per potere avere il quadro completo, ma già adesso alcuni elementi possono essere sottolineati. Le coalizioni comunali contenenti il Pd hanno conquistato oltre il triplo delle amministrazioni al primo turno della coalizione di centrodestra, registrano il massimo valore di ballottaggi conquistati (75% del totale) e si presentano in vantaggio nella metà di tutti i ballottaggi.

    Il secondo elemento che emerge è l’arretramento del M5s. Non solo a confronto con il lusinghiero risultato delle elezioni politiche di qualche mese fa, ma anche in riferimento alle comunali di un anno or sono. Allora aveva conquistato ben 5 ballottaggi, quest’anno sono solo 3. In più aveva centrato il secondo turno in un comune capoluogo di provincia e di particolare rilevanza, come Parma; oggi si deve accontentare di Pomezia, Martellago e Assemini. Certo dodici mesi fa i comuni superiori al voto erano 157, ma il movimento di Grillo aveva presentato propri candidati solo in 74 comuni: quindi si registra una effettiva diminuzione nel tasso di secondi turni centrati.

  • Comunali 2013: il quadro dei comuni superiori non capoluogo

    di Aldo Paparo

    Ad appena tre mesi dalle elezioni politiche, i prossimi 25 e 26 maggio si terrà il primo turno delle elezioni comunali in molte città italiane. Abbiamo già dettagliatamente presentato la situazione dei 16 comuni capoluogo chiamati alle urne. Qui mostriamo invece un quadro sintetico dei comuni con almeno 15.000 abitanti ma che non sono capoluogo di provincia. Come riportato nella tabella 1, si tratta 76 unità che amministrano un totale di quasi due milioni e mezzo di cittadini. Il 60% di questi si trova al Sud, meno di un terzo nelle regioni settentrionali, mentre poco più del 10% sono i comuni superiori al voto della zona rossa.

    Dodici mesi fa, i comuni superiori non capoluogo erano quasi il doppio (131). Gli italiani interessati erano invece circa 3,6 milioni, il 50% in più di quest’anno. Dunque il comune superiore non capoluogo medio è più popoloso quest’anno: circa 32.000 abitanti contro i 28.000 dell’anno scorso.

    Tab. 1  – I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e classe di ampiezza demografica di appartenenza.

    Guardando alla classe demografica, 39 comuni superiori hanno meno di venticinquemila abitanti, 23 sono compresi fra i venticinque e i cinquantamila, 14 superano i cinquantamila e nessuno i centomila. Come popolazione totale i tre gruppi risultano piuttosto omogenei, sono invece assai sbilanciati geograficamente. Infatti dei 14 comuni della categoria più popolosa ben 11 sono meridionali, mentre del nord c’è solo Cinisello Balsamo.

    In termini di abitanti, la maggiore concentrazione al Sud dei comuni più grandi comporta una ulteriore sovrarappresentazione di tale area del paese: vi risiedono due abitanti su tre. Il 22% invece vive al nord, la zona rossa mantiene il suo decimo abbondante del totale.

    La tabella 2 mostra il colore politico dell’amministrazione uscente, anche qui distinguendo per zone geografiche. Tralasciando l’aspetto relativo alle diverse configurazioni locali delle coalizioni, il Pdl aveva conquistato il 58% dei comuni. Se a questi si sommano i comuni vinti dalla Lega da sola, il totale della coalizione di Berlusconi supera il 60%. Il centrosinistra targato Pd esprime invece il sindaco uscente in un terzo dei comuni al voto.

    Tab. 2 – I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e coalizione vincente delle precedenti elezioni comunali.

    Tutti i sindaci erano espressione di una delle due coalizioni principali, con l’eccezione di Aprilia, dove aveva vinto un candidato che correva contro sia il Pd che il Pdl. Solo nella zona rossa il centrosinistra aveva conquistato più amministrazioni del centrodestra. Anche nelle regioni settentrionali risulta, seppur leggermente, sovrarappresentato in termini di vittorie (36,4%) rispetto al totale nazionale, ma è nettamente sconfitto dalla coalizione rivale. Al sud, poi, il Pd aveva vinto in appena un quarto dei comuni, e per ciascuno di questi ve ne sono oltre due vinti dal Pdl.

    Emerge quindi il quadro di una competizione nettamente bipolare con un forte vantaggio per il centrodestra. Per interpretare tale dato è necessario fare riferimento al momento in cui si sono svolte le precedenti tornate comunali in questi comuni. Come si può osservare nella tabella 3, quasi i due terzi dei comuni aveva svolto le precedenti consultazioni amministrative in concomitanza con le politiche vinte da Berlusconi su Veltroni. Già questo elemento aiuta a comprendere il contesto entro cui sono nate le precedenti giunte comunali. In particolare si consideri che i ballottaggi si svolsero a due settimane dal verdetto delle politiche ed è quindi ragionevole ipotizzare che abbiano potuto subire un effetto trascinamento dal risultato di queste.

    Inoltre dobbiamo considerare come  la popolarità del governo Berlusconi, seppur in calo, si sia mantenuta piuttosto alta fino alla primavera 2010. Anche sul piano elettorale il centrodestra si era dimostrato in salute, tanto che le elezioni regionali videro le vittorie di Cota, Zaia e Polverini. Solo a partire dal 2011, il governo cominciò a pagare dazio in termini di risultati alle urne, anche per via della crisi economica [1]. Dunque, il fatto che un ulteriore 25% delle precedenti consultazioni comunali dei nostri 76 casi si collochi fra le primavere del 2009 e del 2010, con solo poco più del 10% occorso invece fra 2011 e 2012 va necessariamente tenuto in considerazione. In totale sono quasi il 90% i sindaci uscenti eletti fra 2008 e 2010, e quindi all’interno di una stagione favorevole al centrodestra. Questo è l’elemento cruciale per interpretare opportunamente la situazione di partenza e quindi poi anche il risultato elettorale che ci apprestiamo ad osservare.

    Tab. 3 –  I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e anno di svolgimento delle precedenti elezioni comunali.

    La tabella 3 ci permette anche di valutare il ricorso ad elezioni anticipate e la stabilità degli esecutivi comunali, per questi 76 casi. In totale sono il 63% i comuni che rinnovano i propri organi alla scadenza naturale, con una durata media della legislatura che sfiora i 4 anni e mezzo. Al nord sono oltre i due terzi le legislature complete, nella zona rossa il 75%. Solo al sud si è manifestata una minore stabilità, con oltre quattro comuni su dieci chiamati al voto anticipatamente.

    Veniamo infine al ricorso ai ballottaggi. La tabella 4 mostra che esattamente metà dei comuni ha eletto il proprio sindaco al primo turno e metà ha invece avuto bisogno del secondo. Questo singolare risultato si ripete curiosamente in tutte e tre le zone geografiche. Interessante rilevare come anche i sindaci del centrodestra si dividano perfettamente a metà fra quelli eletti al primo turno e quelli eletti invece al ballottaggio (22 in entrambi i casi). Lo stesso avviene anche per il centrosinistra: sono dunque 13 gli eletti  in turno unico, contro i 13 dei due.

    Tab. 4 –  I comuni non capoluogo di provincia con almeno 15000 abitanti al voto nel 2013, per zona geografica e turno di elezione del sindaco nella precedente consultazione.

    In conclusione notiamo come non vi sia una relazione fra il turno di elezione e la durata dell’esecutivo. Ci si potrebbe attendere che i sindaci eletti al secondo turno, disponendo di un consenso meno largo rispetto ai colleghi vincitori già al primo turno, possano avere maggiori difficoltà a portare a termine la legislatura. In realtà, fra i comuni che votano dopo cinque anni, la maggioranza aveva eletto il sindaco in due turni (26 contro 22). Invece i vincenti al primo turno sono la maggioranza fra quanti non hanno completato la legislatura (16 a 12).


    [1] Sul punto si vedano, Chiaramonte A. e R. D’Alimonte, The Twilight of the Berlusconi Era: Local Elections and National Referendums in Italy, May and June 2011, South European Society and Politics, Vol. 17, No. 2, June 2012, pp. 261–279.

  • Le ondate del 5 stelle fra 2010 e 2013

    di Aldo Paparo e Matteo Cataldi

    Il M5s ha conseguito nelle recenti elezioni politiche un risultato storico. Abbiamo già avuto modo di evidenziare come la sua percentuale sia la più alta raggiunta da un partito nella storia delle democrazie occidentali nella prima elezione nazionale. Ma il M5s non si è presentato per la prima volta nel 2013. Certo, nel 2008 era assente dalla competizione elettorale, ma nel corso della XVI legislatura ha partecipato a numerose prove elettorali a livello di comuni e regioni.

    Già nel 2008, dopo aver deciso di non presentarsi alle politiche, Grillo aveva corso con propri candidati in alcune importanti competizioni, quali le regionali in Sicilia e le comunali a Roma, ottenendo però risultati modesti. Il 2009, poi, fu il momento delle liste a 5 stelle: candidati civici ottenevano il bollino delle 5 stelle a patto di presentare determinati requisiti, quali la residenza nel comune in cui volevano partecipare all’elezione e l’assenza di condanne penali.

    E’ a partire dal 2010 che compare il Movimento, fondato nel settembre precedente. Presenta proprie liste in 5 delle 13 regioni al voto: Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna e Campania. Il candidato presidente emiliano, Favia, ottiene il miglior risultato con il 7% dei voti maggioritari. Nel 2011 è presente praticamente in tutti i capoluoghi del centro-nord, anche se solo in un terzo di quelli meridionali. Il 2012 è l’anno della svolta: la sua presenza al nord è ormai consolidata e anche nelle regioni meridionali è presente nella metà dei casi. Arrivano i primi successi: Parma e altri 3 comuni eleggono un sindaco a 5 stelle. L’ultima prova prima delle politiche sono state le elezioni regionali siciliane dello scorso ottobre in cui Cancelleri sfiorò il 20% dei consensi, registrando un primo significativo successo per il Movimento al sud.

    In questo articolo ci proponiamo di ripercorrere la fasi della crescita del M5s nel corso degli ultimi anni attraverso l’analisi dei flussi. Abbiamo selezionato alcuni capoluoghi di regione, variamente collocati geograficamente, particolarmente popolosi e significativi in quanto vi si è votato ripetutamente fra 2010 e 2013. Abbiamo quindi ricostruito la composizione del bacino del M5s nelle varie occasioni, in termini di elettorati alle politiche 2008. Possiamo così individuare da dove provenissero i primi consensi al movimento e quali gruppi lo abbiamo via via accresciuto. Per tutte le analisi relative a comunali o regionali abbiamo utilizzato i risultati della competizione maggioritaria per l’elezione del vertice dell’amministrazione. Questo per una serie di ragioni di opportunità: sono di più i voti validi e quindi più consistenti i bacini delle diverse coalizioni in termini di percentuale sugli elettori; sono meno i competitori: si rendono necessari meno accorpamenti di oggetti diversi, che sono sempre sconsigliabili; i risultati dei candidati del M5s sono generalmente migliori di quelli della lista e rappresentano dunque il suo massimo di espansione in quel comune a quel tempo.

    La tabella 1 presenta sinteticamente i risultati delle nostre analisi. Dapprima sono mostrati i risultati ottenuti dal M5s o dai sui candidati nelle varie elezioni. Nella parte centrale della tabella sono riportate le porzioni dei diversi bacini 2008 che hanno votato M5s in quell’elezione. L’ultima colonna mostra la quota di elettori del centrosinistra 2008 (Sa, Idv, Pd) e del centrodestra 2008 (Pdl, Ln, Mpa) sul totale degli elettori del M5s.

    Tab. 1 – Flussi elettorali verso il M5s fra politiche 2008 e diverse elezioni a Torino, Milano, Genova, Bologna e Palermo.


    Procediamo in ordine cronologico e iniziamo quindi dai dati relativi alle regionali 2010. All’alba della sua vicenda elettorale, il M5s sembra avere avuto maggiore successo fra i delusi del centrosinistra. Ricordiamo che all’epoca di tali consultazioni il governo Berlusconi era ancora in carica e non aveva ancora subito la scissione di Fli. I grillini della prima ora sembrano dunque provenire dal centrosinistra: come possiamo osservare sono circa i due terzi del totale a Torino e Milano, mentre meno di uno su cinque proviene dalla sponda opposta (e segnatamente dalla Lega). Come ulteriore conferma di tale caratterizzazione della prima ondata, possiamo leggere il fatto che proprio nell’unica regione della zona rossa in cui si era presentato, l’Emilia-Romagna, il M5s abbia ottenuto il suo miglior risultato. E che lì la concentrazione di elettori 2008 del centrosinistra sul totale dei suoi è ancora più alta, così come minima quella dei leghisti. Infine tutti e tre i partiti del centrosinistra registrano il massimo coefficiente verso il movimento nel capoluogo emiliano. La prima penetrazione del movimento sembra avere interessato con maggiore forza i partiti minori del centrosinistra – piuttosto che il Pd – , ed in particolare l’Idv. A Torino e Milano oltre uno su dieci dei suoi elettori2008 havotato il M5s, a Bologna addirittura la metà.

    Alle comunali dell’anno successivo, il risultato dei candidati a 5 stelle cresce in tutti e tre i casi considerati, ma in misura marginale. A Torino e Milano si osserva una convergenza delle proporzioni di ex elettori dei due schieramenti: in entrambi i casi raddoppia la quota verso il M5s dei leghisti e si riduce quella degli elettori Pd. Al contrario a Bologna il centrosinistra 2008 pesa ancor più che alle regionali sul totale dei bacino del M5s: se si sono ridotte le fuoriuscite da Idv e Sa – così come per la Lega –, sono significativamente aumentate quelle dal Pd.

    I casi che presentiamo per il 2012 sono Palermo e Genova. In entrambi i casi si conferma  il tratto tipico della prima prova elettorale per il M5s: oltre i due terzi dei suoi voti proviene dal centrosinistra, ancora di più laddove la sinistra è più forte (Genova). E’ interessante sottolinearlo perché  ormai sono passati anni dalle sue prime apparizioni altrove, e in altri contesti, come abbiamo visto, il movimento ha già in parte esteso il suo target. (joshflagg.com) Alle regionali siciliane di pochi mesi dopo il M5s quintuplica i propri voti, ma rimane sostanzialmente inalterata la sua composizione in termini destra/sinistra.

    Se guardiamo all’ultima ondata, quella dell’esplosione nelle politiche 2013, osserviamo come nei vari comuni la quota di grillini che nel 2008 avevano votato centrosinistra sia direttamente proporzionale alla forza elettorale della sinistra. Tale quota è’ circa un terzo a Milano e Palermo, la metà a Torino e Genova, il 60% a Bologna. Analogo fenomeno si osserva per il centrodestra: la porzione di suoi ex elettori sul totale dei voti al M5s è meno di un decimo a Bologna, un sesto circa a Genova e Torino, un quarto a Milano e il 40% a Palermo. Nel capoluogo siciliano si è dunque registrato un repentino ribaltamento della colorazione politica dell’elettorato grillino nei sei mesi fra regionali e politiche. Le correlazioni fra risultato della coalizione nel 2008 e quota sui grillini totali è di 0,92 per il centrosinistra e 0,93 per il centrodestra, con livelli di significatività superiori al 95%. Questo fenomeno sembra indicare la capacità del M5s di attrarre diversi tipi di elettorati in contesti diversi, anche attraverso l’utilizzo di messaggi differenziati, pescando maggiormente dalla coalizione localmente più forte e tanto di più quanto più forte.

    Naturalmente qui abbiamo presentato solo una manciata di casi, accomunati dalla caratteristica di essere grandi città. Abbiamo visto come il M5 si sia dimostrato capace di pescare trasversalmente all’asse sinistra/destra e differenziatamente: più dal centrosinistra dove esso è più radicato; dal Pdl nel granaio siciliano; dalla Lega, prima maggiormente nelle terre delle sue più recenti avanzate ma infine anche a Milano. Proprio questa sua capacità, unita al suo risultato sostanzialmente costante al variare dell’ampiezza demografica dei comuni, lascia ipotizzare che nei comuni con minore popolosità il M5s abbia potuto sedurre maggiormente gli elettori dei partiti che lì vanno meglio. Per queste ragioni è opportuno considerare la difficile estendibilità del tipo di composizione nel tempo del bacino grillino qui presentato al piano nazionale.

    Rimangono comunque alcune evidenze significative di queste analisi: in quasi tutti i casi considerati i partiti minori del centrosinistra perdono verso il M5s più che il Pd, che però ha registrato perdite via via crescenti fino ai massimi delle politiche. Progressivamente si osserva una riduzione della percentuale di grillini totali che proviene dal centrosinistra 2008, mentre va tendenzialmente crescendo la quota di ex elettori del centrodestra. Infine il peso relativo delle coalizioni 2008 sul totale degli elettori del M5s nei vari comuni risulta fortemente legato al risultato elettorale di cinque anni fa.


    Nota metodologica: tutte le analisi presentate sono state condotte sui dati a livello di sezione con il modello di Goodman, corretto dall’algoritmo Ras. Sono state effettuate separatamente in gruppi di sezioni omogenee variamente identificati e poi aggregate in matrici cittadine.