Autore: Bruno Marino

  • Primo turno a Messina: la dispersione del M5S, il crollo del PD e la (parziale) tenuta del centrodestra

    Primo turno a Messina: la dispersione del M5S, il crollo del PD e la (parziale) tenuta del centrodestra

    Cinque anni fa, i risultati delle elezioni comunali di Messina sorpresero più di un osservatore. La vittoria al ballottaggio del candidato di centro-sinistra, Felice Calabrò, contro Renato Accorinti, vera sorpresa del primo turno, sembrava scontata, ma quest’ultimo ribaltò i pronostici e ottenne un clamoroso successo (si vedano i dati in Emanuele 2013).

    Cosa è successo al primo turno delle elezioni comunali di Messina dello scorso 10 giugno? Anche in questo caso, non sono mancate le sorprese: il sindaco uscente Accorinti non è riuscito ad arrivare al ballottaggio, che vedrà sfidarsi il candidato di centro-destra, Dino Bramanti, e Cateno De Luca, consigliere regionale UDC. Inoltre, nessuna delle liste a sostegno di quest’ultimo ha superato la soglia di sbarramento prevista (si veda Riggio 2018a), e questo vuol dire che, in caso di vittoria, De Luca non avrà neppure un consigliere della sua coalizione eletto, e dovrà ottenere l’appoggio di consiglieri comunali eletti con liste collegate ad altri candidati sindaco[1]. Si tratterebbe di una situazione certamente molto particolare sia per gli studiosi che per i cittadini messinesi. Ricordiamo che Messina ricade tra le città in cui, almeno teoricamente, i candidati sindaco al ballottaggio potrebbero andare “a caccia delle seconde preferenze”, cioè in cui la competizione tra Bramanti e De Luca dovrebbe essere relativamente aperta (Emanuele e Marino 2018).

    Passiamo al risultato dei partiti e delle coalizioni. La Tabella 1 qui sotto riporta le percentuali di voto ottenute dai principali partiti e dalle principali coalizioni nelle comunali 2013 e 2018 e nelle politiche 2013 e 2018. Ovviamente, confronti tra politiche e comunali (o tra comunali 2013 e 2018) vanno sempre interpretati tenendo conto della differenza tra competizioni o dello scarto temporale tra di esse.

    Il primo dato da sottolineare riguarda l’affluenza: in aumento di oltre due punti rispetto alle ultime politiche, ma in calo di 5 rispetto alle ultime comunali, un dato in linea con quello degli altri comuni superiori siciliani andati al voto in questa tornata elettorale (si veda in proposito Riggio 2018b). Passando ai singoli partiti, il Partito Democratico (PD) ha visto crollare i propri consensi (ottenendo solo il 6,2%), sia rispetto alle ultime comunali che alle ultime politiche, in linea con il risultato di Forza Italia (FI): anche per il partito di Berlusconi, il primo turno delle elezioni comunali a Messina ha portato una diminuzione percentuale del consenso rispetto alle comunali del 2013 e alle politiche dello scorso marzo.

    La situazione cambia se si passa agli alleati dei due partiti sopracitati: rispetto alle ultime comunali, le formazioni coalizzate con il PD perdono consenso, mentre gli alleati del partito di Berlusconi, al contrario, ottengono un risultato percentuale decisamente migliore. Sembra che, guardando esclusivamente alle etichette politiche, il baricentro del centro-sinistra ruoti ancora attorno al Partito Democratico, mentre FI non rappresenti più il fulcro dell’alleanza di centro-destra.

    Passiamo ora ai due partiti che sostengono il governo Conte: Lega e Movimento Cinque Stelle (M5S). Il partito di Salvini sembra molto lontano dalle percentuali ottenute alle ultime politiche (2,5% contro 5,3%), mentre il partito di Di Maio è al centro di una curiosa dinamica elettorale: ha aumentato notevolmente i consensi rispetto alle comunali del 2013 (dal 2,5% al 10%) ma, allo stesso tempo, è crollato rispetto all’ottimo risultato delle politiche dello scorso marzo (quando il aveva ottenuto il 44,8% dei suffragi). Questo sembra confermare che il sostegno per il Movimento Cinque Stelle varia notevolmente a seconda dell’arena elettorale: mentre alle elezioni politiche il M5S ottiene ottime percentuali, soprattutto al Sud, quando si passa alle elezioni comunali il partito di Di Maio ottiene un consenso decisamente inferiore (Paparo 2018).

    Infine, qualche parola sui poli: il centro-sinistra arretra di poco rispetto alle ultime politiche, ma crolla verticalmente rispetto alle ultime comunali. Al contrario, il centro-destra, che perde sempre qualche punto percentuale rispetto alle elezioni del 4 marzo, cresce notevolmente rispetto alle comunali del 2013, risultando essere il primo polo in città. La classifica dei poli recita dunque centro-destra, seguito dal centro-sinistra e dal Movimento Cinque Stelle (in linea con gli altri comuni superiori meridionali al voto, si veda Paparo 2018).

    Tab. 1 – Risultati elettorali per liste e coalizioni a Messina nelle elezioni politiche e comunali, 2013-2018[2] (clicca per ingrandire)me_tab

    Finora abbiamo analizzato i risultati dei partiti, senza analizzare la loro “origine”. Ad esempio, fatto 100 il voto ad un partito alle politiche del 2018, come si è distribuito al primo turno delle comunali? La Tabella 2 qui sotto riporta la destinazione dei voti delle politiche 2018 ai candidati sindaco a Messina. Ad esempio, su 100 elettori del PD alle ultime politiche, 10 hanno deciso di sostenere il candidato sindaco del Movimento Cinque Stelle, Gaetano Sciacca.

    Iniziamo con la “fedeltà” degli elettorati dei diversi partiti: tra le maggiori formazioni politiche, l’elettorato di Forza Italia è il più fedele: ben il 66% degli elettori che avevano sostenuto il partito di Berlusconi alle ultime politiche hanno votato per il candidato di centrodestra alle comunali, Bramanti. Il PD segue a grande distanza: meno della metà dei suoi elettori del 4 marzo ha deciso di sostenere il candidato del centro-sinistra, Antonio Saitta.

    L’elettorato delle politiche del M5S si è comportato in modo molto trasversale: addirittura più di tre elettori pentastellati su 10 delle politiche 2018 hanno sostenuto De Luca. Questo dato è in parziale controtendenza rispetto ai flussi elettorali analizzati dopo le politiche di marzo: in quel caso, il M5S aveva un elettorato molto affezionato (si vedano Paparo e Riggio 2018). Anche da questo punto di vista, dunque, il Movimento Cinque Stelle dimostra di essere un fenomeno partitico dalle mille facce, a seconda dell’arena elettorale in cui si muove.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Messina fra politiche e comunali del 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)messina_dest

    Naturalmente, la Tabella 2 si riferisce solo ad un lato della medaglia: la destinazione dei voti delle politiche 2018. Passiamo ora ad analizzare l’altro lato: l’origine dei voti del primo turno delle comunali 2018. La Tabella 3 qui sotto indica, appunto, da dove arrivano, in percentuale, i voti ottenuti da ciascun candidato sindaco il 10 giugno. Ad esempio, il 15% dei voti di Accorinti arriva da elettori che alle politiche del 4 marzo avevano votato per Liberi e Uguali.

    Un primo elemento interessante riguarda l’origine dei voti del candidato sindaco di centro-sinistra, Saitta: quasi tre suoi elettori su dieci avevano votato per il M5S alle ultime politiche. Invece, pochi suoi voti sono arrivati dall’estrema sinistra, o dal centro e dal centro-destra. Passando al candidato pentastellato, Sciacca non è riuscito ad uscire dal perimetro Cinque Stelle: l’86% del supporto alla sua candidatura è arrivato da elettori che il 4 marzo avevano sostenuto il partito di Di Maio. Discorso diverso per Accorinti, sindaco uscente: quasi un suo elettore su due aveva sostenuto il M5S alle urne il 4 marzo.

    Infine, concentriamoci sui due candidati sindaco che si sfideranno al secondo turno, Bramanti e De Luca. Gli elettori del primo avevano in buona parte votato per FI alle ultime politiche, ma, e questo è un dato sicuramente interessante in vista del ballottaggio, più di un terzo dei suoi sostenitori provengono dall’area del non voto delle politiche 2018. La capacità dei candidati sindaci di centrodestra di rimobilitare quote rilevanti di astenuti delle politiche conferma quanto già emerso a Siracusa, ma qui il fenomeno è ancora più rilevante: vale, infatti, il 6% dell’elettorato totale. Quanto a De Luca, quasi i tre quarti dei suoi elettori, invece, avevano votato per il Movimento Cinque Stelle il 4 marzo scorso, e questo è un dato da leggere con quello relativo alla destinazione dei voti delle ultime elezioni politiche, analizzato nella Tabella 2 sopra.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Messina fra politiche e comunali del 2018, provenienze (clicca per ingrandire)messina_prov

    Concludiamo questo contributo analizzando il diagramma di Sankey tra politiche 2018 e comunali 2018 a Messina (Figura 1 qui sotto). La parte sinistra del grafico mostra i bacini elettorali delle ultime politiche, mentre la parte destra ospita quelli delle comunali (per candidato sindaco). Le varie bande mostrano, con colori diversi a seconda dell’origine, le transizioni tra il bacino delle politiche a quello delle comunali. L’altezza di ogni banda e di ogni rettangolo dei due bacini è proporzionale al peso relativo sul totale degli elettori.

    Un primo elemento che si nota è sicuramente la discreta compattezza del voto di Forza Italia delle ultime politiche, che finisce in buona parte al candidato di centrodestra Bramanti. Così non è per il voto al PD, i cui voti delle politiche 2018 sono più dispersi tra Saitta (che ne riceve comunque una certa parte), Accorinti, De Luca e, in misura non indifferente, non voto.

    Ma il partito che sicuramente fa più impressione per la dispersione dei voti delle politiche 2018 è il Movimento Cinque Stelle. Come mostra molto bene la Figura 1, gli elettori pentastellati del 4 marzo hanno preso strade molto diverse. Certamente, la parte del leone finisce a Sciacca e De Luca, ma molti elettori del M5S delle politiche hanno votato per Saitta, Accorinti, o hanno deciso di non recarsi alle urne al primo turno delle comunali. Un elettorato decisamente poco fedele e compatto.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Messina fra politiche (sinistra) e comunali (destra) del 2018, percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)messina_sankey

    In conclusione, la nostra analisi ci restituisce l’immagine di una città politicamente variegata. Un centro-sinistra in crisi, soprattutto per quanto riguarda il PD, un M5S che non riesce a replicare gli ottimi risultati delle ultime elezioni politiche, e un centro-destra che arriva al ballottaggio anche pescando dall’area del non voto delle politiche 2018. Appuntamento al 24 giugno per scoprire quale dei due candidati sindaco riuscirà a trarre maggior vantaggio da questa situazione.

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V. (2013), ‘Sistema atomizzato e rimonte imprevedibili: i ballottaggi in Sicilia’, in A. Paparo e M. Cataldi (a cura di), Le Elezioni Comunali 2013, Dossier CISE (5), Roma, CISE, pp. 109-112.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2018), ‘L’Italia divisa: bipolarismo al Nord e frammentazione al Sud. Il sistema partitico nei comuni capoluogo’: https://cise.luiss.it/cise/2018/06/15/litalia-divisa-bipolarismo-al-nord-e-frammentazione-al-sud-il-sistema-partitico-nei-comuni-capoluogo/

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Paparo, A. (2018), ‘L’aggregato: M5S ancora debole nei comuni, il centrodestra scavalca il centrosinistra’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/13/laggregato-m5s-ancora-debole-nei-comuni-il-centrodestra-scavalca-il-centrosinistra/

    Paparo, A. e Riggio, A. (2018), ‘Il M5S sfata il tabù Messina mentre crolla Forza Italia’, https://cise.luiss.it/cise/2018/03/28/il-m5s-sfata-il-tabu-messina-mentre-crolla-forza-italia/

    Riggio, A., e Paparo, A. (2018), ‘A Siracusa il M5S cede 40 punti e si disperde in tutte le direzioni’,  https://cise.luiss.it/cise/2018/06/20/a-siracusa-il-m5s-cede-40-punti-e-si-disperde-in-tutte-le-direzioni/

    Riggio, A. (2018a), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/09/comunali-in-sicilia-una-legge-elettorale-sui-generis-regola-unofferta-rinnovata/

    Riggio, A. (2018b), ‘Crisi dei partiti in Sicilia: M5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia’, https://cise.luiss.it/cise/2018/06/14/crisi-dei-partiti-in-sicilia-m5s-e-lega-sconfitti-arretrano-anche-pd-e-forza-italia/

     Schadee, H.M.A., e Corbetta, P., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 254 sezioni elettorali del comune di Messina. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Si tratta di 38 unità in tutto. Il valore dell’indice VR è pari a 11,8.


    [1] Inoltre, questo incentiva fortemente i candidati sindaco non ammessi al ballottaggio a sostenere De Luca, in quanto, se questi fosse eletto, si vedrebbero assegnati un numero superiore di consiglieri. Infatti le loro liste sopra soglia si spartirebbero proporzionalmente, insieme alle tre liste di Bramati sopra soglia, il 100% dei seggi, invece che fra di loro il 40%, con le tre di Bramati che si vedono assegnate il 60% – come accadrebbe se quest’ultimo vincesse il ballottaggio.

    [2]Ringraziamo il Dipartimento Sistemi Informativi del comune di Messina per averci messo a disposizione i dati degli elettori delle comunali 2018 per sezione.

    NOTA: nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari. Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (sindaco o di collegio), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013, abbiamo considerato quali i voti raccolti ai candidati quelle delle coalizioni (che sostenevano un candidato premier).

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o il PDL) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

    Nella categoria partiti di sinistra rientrano: RifCom, PC, PCI, PAP, FDS, SEL, SI, MDP, LEU, RivCiv. Nella categoria altri partiti di centro-sinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA.

    L’insieme dei candidati sostenuti da almeno una di queste liste, ma non dal PD, costituisce il polo di sinistra alternativa al PD della parte inferiore della tabella. Il polo di centro-sinistra somma, invece, i candidati nella cui coalizione compare (anche) il PD.

    Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CivP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea. Il polo di centro è formato da candidati sostenuti da almeno uno di questi.

    Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT. Il polo di destra somma i candidati sostenuti da almeno uno di questi o da Lega o FDI, ma non da FI/PDL. Il polo di centro-destra, invece, è la somma dei candidati nella cui coalizione compare (anche) FI (o il PDL).

  • A Catanzaro centrodestra in vantaggio ma la partita non è ancora chiusa

    A Catanzaro centrodestra in vantaggio ma la partita non è ancora chiusa

    Il primo turno delle elezioni comunali a Catanzaro ha visto prevalere il candidato del centrodestra, Sergio Abramo, che sfiderà al ballottaggio Vincenzo Ciconte, sostenuto dal PD e da altre partiti e liste civiche. PD e FI arretrano – ma questo risultato va letto alla luce dei risultati delle liste civiche vicine ai due partiti – ed il M5S non raggiunge i risultati delle elezioni politiche ed europee. Abramo ottiene una percentuale di voti migliore di quella di tutte le liste a suo sostegno, mentre Ciconte va molto peggio (meno 10 punti percentuali) dei partiti e delle liste civiche che lo supportano.

     

    Il primo turno delle elezioni amministrative a Catanzaro sembra di facile lettura: centrodestra avanti, come cinque anni fa, quando Sergio Abramo vinse al primo turno con quasi il 51% dei voti. Tuttavia, nonostante anche questa volta Sergio Abramo, ricandidato alla carica di sindaco, sia in vantaggio sugli avversari, sarà necessario il ballottaggio con il candidato del centrosinistra, Vincenzo Ciconte, per scoprire il nome del futuro sindaco della città calabrese. Non è l’unica differenza rispetto alle ultime elezioni comunali a Catanzaro, come vedremo in questo contributo[1].

    Al di là della diversa offerta elettorale tra 2012 e 2017 (Maccagno 2017), e volendo partire dal risultato dei principali partiti, la Tabella 1 ci mostra un arretramento del PD e di FI rispetto alle precedenti elezioni comunali: il partito di Matteo Renzi lascia per strada circa 5 punti percentuali, mentre i forzisti circa 2. Questa flessione è ancora più evidente se paragonata con le percentuali di voto ottenute dai due partiti alle ultime politiche ed alle ultime europee. Questo, ovviamente, non deve sorprendere: è ormai noto come, in occasione delle elezioni locali (anche, e in alcuni casi soprattutto, al Sud), si presentino una miriade di liste civiche (vedi ad esempio D’Alimonte 2015;  Emanuele, Marino e Martocchia Diodati 2016) che drenano i consensi che i grandi partiti riescono ad ottenere in caso di elezioni ‘nazionali’. Infine, la lista del Movimento Cinque Stelle, che nel 2012 non era stata presentata alle comunali, ottiene quasi 4 punti percentuali, un risultato estremamente negativo rispetto ai risultati dei pentastellati delle ultime elezioni politiche ed europee (rispettivamente, 28% e 26%).

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Catanzaro nelle recenti elezioni [2] (clicca per ingrandire)cz_tableu

    Passando al risultato dei candidati sindaco, il centrosinistra arretra pesantemente rispetto al 2012: Vincenzo Ciconte, candidato dal PD e da altri partiti e liste civiche, perde circa 12 punti percentuali. Va tuttavia ricordato che nel 2012 la sinistra ed il centrosinistra presentarono un candidato unico, Salvatore Scalzo, mentre al primo turno di queste elezioni comunali erano presenti due candidati, Antonio Fiorita e, appunto, Vincenzo Ciconte. Fiorita ottiene un buon risultato (circa il 24% dei suffragi) anche se non sufficiente per arrivare al ballottaggio contro Sergio Abramo. Quest’ultimo, come già scritto in precedenza, arriva primo, anche se perde circa 10 punti rispetto al 2012 quando, con poco più del 50%, divenne sindaco subito dopo il primo turno. Infine, Bianca Laura Granato, candidata sindaco del M5S, si ferma al 6% dei voti.

    Può anche essere interessante capire se un candidato sindaco ha ottenuto risultati migliori, peggiori, o uguali rispetto a quelli della lista (o delle liste) a suo sostegno. Mentre Abramo ottiene una percentuale di voti sostanzialmente uguale a quella pari alla somma delle liste elettorali che lo supportavano, Ciconte non riesce ad ottenere la stessa percentuale di voti delle liste a suo sostegno (31% contro 44%). Insomma, Abramo non sembra rappresentare un ostacolo per la sua coalizione, mentre Ciconte non ha lo stesso appeal dei partiti e delle liste civiche di centrosinistra. Un risultato totalmente diverso rispetto al candidato di centrosinistra è quello del candidato di sinistra, Fiorita, che ottiene 10 punti percentuali in più rispetto alle tre liste civiche a suo sostegno. Infine, nonostante il risultato modesto, va sottolineato come la candidata dei Cinque Stelle ottenga circa 2,5 punti in più rispetto alla lista dei pentastellati. Ovviamente, questi risultati differenziati tra candidati sindaco e liste andrebbero letti alla luce dell’esistenza dei cosiddetti ‘Signori delle Preferenze’ (Emanuele e Marino 2016) e delle loro scelte in termini di offerta politica delle liste elettorali partitiche e civiche. Inoltre, la differente capacità del centrodestra e del centrosinistra in termini di capacità dei candidati sindaco di ottenere più o meno voti rispetto alle ‘loro’ liste è un elemento sicuramente significativo, che può aver contribuito ai risultati del primo turno e che può anche influenzare l’esito del ballottaggio.

    Infine, che considerazioni generali si possono trarre da questi dati relativi al primo turno delle elezioni amministrative a Catanzaro? In primo luogo, nonostante il calo dell’affluenza nei comuni superiori rispetto alle ultime comunali (Maggini 2017), Catanzaro sembra non seguire questo trend nazionale: infatti, la percentuale di aventi diritto che si sono recati alle urne al primo turno nel 2017 è molto simile a quella del 2012 (-0,7%). Invece, un elemento che accumuna Catanzaro a molte (o a tutte) altre grandi città riguarda l’esito del primo turno (Emanuele e Paparo 2017): il M5S non arriva al ballottaggio, il centrodestra rimane un blocco elettorale con cui fare i conti, e la sfida al secondo turno sarà tra un candidato sostenuto dal Partito Democratico (e alleati) ed uno supportato da Forza Italia (e alleati). Infine, come nel 70% dei comuni superiori andati al voto in questa tornata di elezioni amministrative, anche a Catanzaro sarà necessario un ballottaggio per decidere l’esito della competizione. Ancora pochi giorni e si conoscerà il nome del futuro sindaco della città calabrese.

     

    Bibliografia

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

     


    [1] Al momento della chiusura di questo contributo, le sezioni scrutinate sono 89 su 90, quindi le percentuali definitive ottenute dai candidati e dalle liste potrebbero subire delle variazioni rispetto a quanto presentato.

    [2] Nella parte superiore di ciascuna tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari (per le comunali).

    Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (comunali) o partiti (politiche ed europee) di sinistra ma non in coalizione con il Pd;

    il Centro-sinistra somma candidati (comunali) del Pd o le coalizioni (politiche ed europee) con il Pd;

    Il Centro è formato da candidati (comunali) o coalizioni (politiche ed europee) sostenuti o contenenti almeno uno fra Udc, Ncd, Fli, Sc, Dc, Adc, Api, Udeur;

    il Centro-destra somma candidati (comunali) sostenuti da Fi (o Pdl) o coalizioni (politiche ed europee) contenenti Fi (o Pdl) o Direzione Italia, Gs, Mpa;

    la Destra è la somma di candidati (comunali) sostenuti da  Lega, Fdi o La Destra o coalizioni (politiche ed europee) contenenti almeno uno di questi.

    Criteri per l’assegnazione di un candidati a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o dal Pdl (o Fi) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Comunali 2016, chi sale e chi scende nelle grandi città

    Comunali 2016, chi sale e chi scende nelle grandi città

    di Bruno Marino e Nicola Martocchia Diodati

    Incertezza. Questa è la parola chiave utilizzata da molti commentatori e leader politici il lunedì dopo le elezioni nel commentare i risultati. È possibile trovare trend più chiari analizzando i comuni capoluogo di regione esclusa Roma? Mentre più estese analisi sui capoluoghi di provincia sono già state presentate nei giorni scorsi[1], in questo articolo analizzeremo i risultati elettorali di partiti e schieramenti a Torino, Milano, Trieste, Bologna, Napoli e Cagliari, confrontandoli con le più recenti elezioni locali e nazionali(vedi Tabelle 1-6 in fondo). Nonostante le analisi vadano lette tenendo conto sia della differenza temporale tra le competizioni che della diversa offerta politica presente in alcune città e in alcune elezioni, confrontare i risultati del primo turno delle amministrative 2016 nelle sei città sotto esame con differenti e passate elezioni è una strategia efficace per comprendere i cambiamenti nel supporto ricevuto da partiti e coalizioni. Infatti, nonostante un confronto quasi naturale potrebbe essere quello tra le comunali 2016 e le comunali 2011 (considerando solo il primo turno naturalmente), è utile anche considerare il confronto tra questa tornata amministrativa e, rispettivamente, le elezioni europee del 2014 e le ultime elezioni regionali.

    Iniziamo dal primo confronto. I risultati di domenica 5 giugno, paragonati con quelli del primo turno delle elezioni comunali del 2011, in tutte le sei città qui considerate mettono in evidenza una diminuzione dell’affluenza, che è inferiore in media di circa nove punti percentuali rispetto al 2011. Facendo un passo in avanti, i risultati ottenuti sia dal PD che da FI sono particolarmente negativi. Nelle sei città il PD perde una considerevole parte del consenso ottenuto alle scorse comunali, sia in termini assoluti che in termini percentuali (con l’eccezione di lievi progressi in valori percentuali a Milano e Cagliari). Il calo più considerevole subito dal PD rispetto al 2011, in percentuale, si verifica a Napoli e anche a Torino, città nella quale il partito di Renzi esprimeva il sindaco uscente, Piero Fassino. Questo risultato, tenuto anche conto dei risultati delle analisi dei flussi elettorali nei capoluoghi sabaudo[2] e partenopeo[3], non è così sorprendente. Inoltre, confrontando i risultati dei blocchi politici nel 2016 e nel 2011, anche la coalizione di centrosinistra perde considerevoli fette di elettorato in tutte le città qui considerate. In particolare, a Milano il centrosinistra (ovvero la coalizione di cui fa parte il PD) perde più di 90.000 voti rispetto alle elezioni che portarono Giuliano Pisapia al ballottaggio nel 2011. Considerando nel computo dei voti 2016 anche la sinistra, che nel 2011 si presentava con il PD e oggi ha corso da sola, le perdite per il centrosinistra si riducono ma rimangono comunque considerevoli (circa 70.000 voti in meno).

    Se il PD piange, FI certo non sorride. Confrontando i risultati ottenuti dal partito di Berlusconi oggi con quelli di cinque anni fa (vale a dire, confrontando FI nel 2016 con il PDL nel 2011), si nota un calo ancora più considerevole di quello del PD: infatti, considerando tutte le sei città sotto esame, FI perde più di 200.000 voti rispetto al PD, che si ferma attorno ai 100.000 voti persi. Colpiscono in particolare le notevoli perdite di Milano e Napoli, mentre in termini percentuali gli arretramenti più pesanti sono a Torino e, di nuovo, a Napoli. Il trend negativo evidenziato da Forza Italia trova una conferma anche passando alla coalizione di centrodestra. Infatti, pur tenendo presente che la struttura del centrodestra nel 2016 non rispecchi in tutti casi la formazione presentatasi nel 2011, anche la coalizione di cui FI fa parte perde voti in tutte le sei città analizzate.

    Contrariamente a quanto osservato per PD e FI, per quanto riguarda la Lega e il M5S le variazioni di voto nei sei capoluoghi appaiono molto diverse. Nel primo caso, la Lega aumenta il proprio consenso, in valori assoluti, in due città (Milano e Trieste), ma va ricordato che il partito di Salvini non si è presentato con liste autonome a Napoli e Cagliari nel 2016 – quindi il confronto per la Lega in questo articolo è fatto solo su Torino, Milano, Bologna e Trieste. Per quanto riguarda il M5S, il confronto tra comunali 2011 e comunali 2016 è estremamente positivo, infatti il movimento fondato da Grillo accresce il proprio elettorato in tutte le sei città sotto esame in maniera consistente, sia in termini assoluti che percentuali tra il 2011 e il 2016. Colpisce l’avanzata a Torino (più 86.000 voti), città dove, non a caso, la candidata pentastellata Chiara Appendino è arrivata al ballottaggio. Tuttavia questo dato va letto alla luce del fatto che cinque anni fa il partito di Grillo non era ancora uno dei protagonisti della scena politica nazionale. Questo ad evidenza, semmai ve ne fosse ancora bisogno, dei considerevoli progressi compiuti dal M5S in termini di centralità elettorale e politica.

    Se il confronto tra le comunali del 2011 e del 2016 risulta particolarmente appropriato, visto che si tratta dello stesso tipo di elezioni, non può tuttavia essere considerato esaustivo, soprattutto alla luce dei cambiamenti politici avvenuti negli ultimi due anni. Un secondo confronto può essere infatti quello tra le comunali del 2016 e le elezioni europee del 2014. Naturalmente, va tenuto conto del fatto che le elezioni europee, come del resto le elezioni comunali, vengono spesso considerate come ‘elezioni di secondo ordine’ (Reif and Schmitt 1980; si veda anche Hix e Marsh 2007), in cui, ad esempio, i partiti di governo ricevono un minor sostegno da parte dell’elettorato e vi è una contrazione dei partiti grandi in favore di quelli più piccoli. Inoltre, tendenzialmente le elezioni europee favoriscono il voto d’opinione in chiave nazionale mentre le comunali, al contrario, sono notevolmente influenzate da fattori locali e da un voto candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007). Inoltre, un’ulteriore differenza da tenere a mente nel confrontare le elezioni comunali 2016 con quelle europee del 2014 è legato alla differente affluenza tra le due elezioni. Rispetto al 2014 infatti vi è una decrescita dell’affluenza a Milano, Bologna e Torino, mentre si assiste ad un incremento della partecipazione a Cagliari, Trieste e Napoli. Tutto ciò premesso, anche dal confronto comunali 2016 – europee 2014 emerge che il PD perde consenso in tutte le sei città considerate, sia in termini assoluti che percentuali. Nei sei capoluoghi considerati, quindi, poco sembra rimanere di quell’ottimo risultato che Matteo Renzi ed il PD avevano ottenuto in tutta Italia (Maggini 2014): il PD arretra in maniera particolarmente rilevante a Milano (perdendo più di 110.000 voti), a Torino (meno 82.000 voti), e Napoli (con una perdita di più di 85.000 voti). Inoltre, considerando le percentuali di voto, il PD arretra, in media, di circa 20 punti percentuali a Bologna, Trieste e Cagliari. Quest’ultima città rappresenta, inoltre, l’unico caso in cui il supporto degli altri membri della coalizione a supporto del sindaco uscente Zedda abbia permesso al centrosinistra (PD più alleati) di aumentare il proprio bacino di voti, sia in termini percentuali che assoluti.

    Muovendoci verso la parte destra dello schieramento politico, anche FI riduce il proprio consenso elettorale rispetto alle scorse europee, anche se in maniera meno rilevante rispetto al PD. Questo ovviamente dipende anche dal fatto che nel 2014 il partito di Berlusconi non ha ottenuti risultati paragonabili a quelli del PD. Nello specifico, FI perde un massimo di 35.000 voti circa a Torino, mentre la città in cui, in percentuale, diminuisce in maniera più rilevante il proprio consenso è Napoli (meno 9 punti rispetto alla percentuale dei voti raggiunta nel 2014). Al contrario, il partito di Berlusconi riesce ad allargare il proprio elettorato di più di 6.000 nuovi elettori a Milano, città dove anche il centrodestra (se considerato con la composizione attuale) accresce rispetto alle europee del 2014 il proprio bacino di voti di più di 30.000 unità.

    Simili risultati sono quelli del Movimento 5 Stelle, che vede accrescere il proprio consenso in valori assoluti ed in percentuali solo a Torino, mentre vede diminuire il proprio elettorato in tutte le altre città considerate. Un risultato particolarmente negativo per il M5S è rappresentato da Napoli (dove il movimento perde quasi 48.000 voti) e Milano (dove la perdita è pari a circa 29.000 voti).

    Un poker di trend positivi invece per la Lega, che in tutte le quattro città in cui si presenta accresce il proprio elettorato rispetto al 2014, con una punta di circa 17.000 voti guadagnati a Milano.

    Il terzo, ed ultimo, confronto è quello con le ultime elezioni regionali. In questo caso bisogna ricordare come l’ultima tornata di elezioni regionali nelle regioni considerate non si siano svolte nello stesso periodo di tempo: nello specifico, Lombardia e Friuli Venezia-Giulia sono andate alle urne nel 2013, in Piemonte, Emilia Romagna e Sardegna le elezioni regionali si sono svolte nel 2014 e, infine, in Campania si è votato a maggio 2015. Tuttavia, poiché le elezioni regionali sono competizioni influenzate da fattori locali, il confronto di queste ultime con le elezioni comunali 2016 è particolarmente interessante per la comprensione dell’evoluzione del supporto ai principali partiti e coalizioni. A differenza di quanto osservato fino ad ora, il confronto con le ultime regionali sorride leggermente al PD: il partito di Renzi in termini assoluti accresce il proprio elettorato a Bologna, mentre non arretra, sostanzialmente, a Trieste e Cagliari. Nonostante ciò, se ci muoviamo a considerare le variazioni in termini percentuali, solo a Milano la percentuale dei votanti che hanno espresso la preferenza per il PD è maggiore nel 2016 rispetto alle scorse regionali. Nelle altre cinque città il PD perde terreno. Passando dal PD al centrosinistra, anche in questo caso c’è un arretramento in tutto il Nord, mentre il centrosinistra ha prestazioni positive solo a Cagliari e, in valori assoluti, a Bologna.

    Forza Italia, in termini assoluti, mantiene i propri consensi a Trieste e Milano, mentre in valori percentuali solo la buona performance di Milano impedisce al partito di Berlusconi di perdere terreno in tutte le sei città considerate. Risultati diversi per la Lega, che anche in questo confronto guadagna terreno ovunque si presenti nel 2016 (tranne che a Bologna in valori percentuali). Un quadro più frammentato è quello che emerge dall’analisi riferita al M5S, che perde terreno a Napoli e Milano e, invece, ne guadagna a Trieste, Bologna e Torino.

    Concludendo, l’analisi di questo articolo ci restituisce l’immagine di sei capoluoghi di regione che si comportano in maniera molto peculiare: le forze di governo arretrano ovunque, mentre i partiti che ottengono risultati più soddisfacenti sono quelli che si oppongono in maniera più strenua al governo: il M5S e, con risultati ancora più positivi, la Lega. Forza Italia, invece, conferma il proprio trend decrescente. In altre parole, l’incertezza di cui i leader politici hanno parlato in riferimento ai risultati a livello nazionale sembra non abitare nelle sei città sotto esame.

    Tab. 1 – Il voto a Torino: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau torino

    Tab. 2 – Il voto a Milano: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau milano

    Tab. 3 – Il voto a Trieste: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau trieste

    Tab. 4 – Il voto a Bologna: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau bologna

    Tab. 5 – Il voto a Napoli: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau napoli

    Tab. 6- Il voto a Cagliari: partiti e blocchi politici a confronto con il passato

    tableau cagliari

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M. e De Sio, L. (2016), ‘Radiografia di una mutazione genetica: i flussi elettorali a Torino’, /cise/2016/06/06/radiografia-di-una-mutazione-genetica-i-flussi-elettorali-a-torino/.

    Chiaramonte, A. e Emanuele, V. (2016) ‘Multipolarismo a geometria variabile: il sistema partitico delle città’, /cise/2016/06/08/multipolarismo-a-geometria-variabile-il-sistema-partitico-delle-citta/.

    Fabrizio, D. e Feltrin, P. (2007), ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna, Il Mulino, pp. 175-199.

    Hix, S. e Marsh, M. (2007), ‘Punishment or Protest? Understanding European Parliament Elections’, The Journal of Politics, 69(9), pp. 495-510.

    Maggini, N. (2014), ‘I risultati elettorali: il Pd dalla vocazione all’affermazione maggioritaria’, in L. De Sio, V. Emanuele e N. Maggini (a cura di), Le Elezioni Europee 2014, Roma, CISE, pp. 115-124.

    Paparo, A. e Cataldi, M. (2016), ‘L’avanzata prorompente di un nuovo leader? L’analisi dei flussi a Napoli’, /cise/2016/06/06/lavanzata-prorompente-di-un-nuovo-leader-lanalisi-dei-flussi-a-napoli/.

    Reif, K. and Schmitt, H. (1980), ‘Nine Second-Order National Elections – A Conceptual Framework For The Analysis Of European Election Results’, European Journal of Political Research, 8(1), pp. 3-44.

    [1] Si veda l’articolo di Chiaramonte ed Emanuele (2016): /cise/2016/06/08/multipolarismo-a-geometria-variabile-il-sistema-partitico-delle-citta/.

    [2] Si veda l’articolo di Cataldi e De Sio (2016): /cise/2016/06/06/radiografia-di-una-mutazione-genetica-i-flussi-elettorali-a-torino/.

    [3] Si veda l’articolo di Paparo e Cataldi (2016): /cise/2016/06/06/lavanzata-prorompente-di-un-nuovo-leader-lanalisi-dei-flussi-a-napoli/.

  • Regionali 2015: sorpresa Toti, la Liguria torna a destra dopo 10 anni

    I risultati delle elezioni regionali in Liguria sono stati tra quelli più sorprendenti di questa tornata elettorale. Inoltre, nonostante il PD abbia vinto in quasi tutte le regioni coinvolte, la perdita della Liguria, passata dal centrosinistra al centrodestra, ha attirato l’attenzione di molti commentatori.

    La nostra analisi pre-elettorale[1] dedicata alla Liguria aveva messo in guardia coloro i quali prevedevano una facile vittoria del centrosinistra. Le divisioni all’interno del PD e il fatto che il Movimento Cinque Stelle avesse proprio in questa regione uno dei suoi capisaldi erano elementi da non sottovalutare. La vittoria di Giovanni Toti, dunque, appare leggermente meno imprevista, anche se la portata del risultato ottenuto dall’eurodeputato di Forza Italia risulta in ogni caso sorprendente. Una prima analisi può essere fatta a partire dalla Tabella 1, che presenta i risultati complessivi dei candidati presidente e delle liste a loro sostegno e anche il numero di seggi assegnati in consiglio regionale.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni regionali 2015 in Liguria. Valori assoluti, percentuali e seggi

    Il primo dato che colpisce è il distacco tra Giovanni Toti e Raffaella Paita: quasi sette punti percentuali (e circa quarantamila voti) separano i due contendenti. Il candidato del centrodestra ha ottenuto il 34,4% dei consensi, contro il 27,4% della rivale. Terza classificata la candidata del Movimento Cinque Stelle, Alice Salvatore, con un ragguardevole 24,8%. A parte i risultati dei candidati e delle liste minori, è utile soffermarsi sul risultato di Luca Pastorino, parlamentare fuoriuscito dal PD e sostenuto dall’ex candidato alla segreteria nazionale Pippo Civati. La sua candidatura ha infatti ottenuto il 9,4% dei voti, un risultato che, ovviamente, potrebbe aver influito sull’esito delle elezioni. Già da più parti all’interno del PD si è detto che la divisione a sinistra tra Paita e Pastorino ha ottenuto come unico effetto quello di far vincere il centrodestra perché – questa è la conclusione implicita – se il centrosinistra si fosse presentato unito, avrebbe sicuramente vinto. Infatti, come sottolineato da vari autori, se gli elettori avessero voluto votare in maniera strategica, una elezione maggioritaria (ed oltretutto “a sistema presidenziale”) avrebbe favorito tale scelta (Cox 1997). I sostenitori di Pastorino, tuttavia, potrebbero facilmente replicare che questa è solo una delle possibili ipotesi alternative nel caso in cui il centrosinistra avesse presentato una candidatura e liste unitarie. Magari il centrosinistra avrebbe perso di poco, invece di vincere. Tuttavia, queste sono solo ipotesi. Meglio, quindi, concentrarsi sui dati reali.

    Un ulteriore dato presentato nella Tabella 1 sul quale è utile riflettere è certamente quello dell’affluenza: mentre alle regionali del 2010 i votanti erano pari al 61% circa degli aventi diritto, il 31 Maggio si è recato alle urne poco più del 50% degli elettori. Un calo significativo, che potrebbe aver influito sugli esiti della competizione.

    Per quanto riguarda la futura composizione del consiglio regionale, la coalizione di centrodestra potrà contare su 16 seggi su 31 (6 del “listino” di Giovanni Toti, 5 assegnati alla Lega, 3 a Forza Italia e uno a Fratelli d’Italia più il seggio atribuito al Presidente), mentre il centrosinistra disporrà di 8 seggi (7 assegnati al PD e uno a Raffaella Paita). 6 seggi toccheranno al Movimento Cinque Stelle e 1 al partito Rete a Sinistra, che ha sostenuto Luca Pastorino. Appare quindi chiaro come Giovanni Toti, disporrà della maggioranza assoluta dei seggi all’interno del consiglio regionale: una maggioranza assai risicata (51.6%), ma tale da permettergli di governare da solo.

    Per quanto riguarda i partiti, il PD ottiene il 25,6% dei suffragi, seguito dal Movimento Cinque Stelle (22,3%), Lega Nord (20,2%) e Forza Italia (12,7%). Il partito di Salvini ha raccolto quasi 110.000 voti in regione, raddoppiando, in termini percentuali, i propri consensi rispetto alle regionali del 2010. Si tratta del miglior risultato della Lega alle regionali in Liguria. Infine, notiamo come sia Toti che la Paita abbiano raccolto, in percentuale, meno consensi della somma delle liste che li sostenevano. Al contrario, Alice Salvatore ha ottenuto più consensi del Movimento Cinque Stelle.

    Se i risultati presentati fino ad ora riguardano l’aggregato a livello regionale, la Tabella 2 ci aiuta a comprendere le dinamiche sub-regionali disaggregando i risultati dei candidati presidente e delle liste a livello provinciale.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni regionali 2015 nelle quattro province delle Liguria. Valori assoluti e percentuali

    Come prevedibile, il centrodestra ottiene i risultati peggiori nelle due province storicamente più di sinistra, La Spezia e Genova. Tuttavia, la coalizione di Raffaella Paita ottiene i risultati migliori a La Spezia e a Savona, registrando invece nella provincia di Genova il peggior risultato di tutte e quattro le province. Si noti, inoltre, a La Spezia, città d’origine dell’ex assessore Paita, la prima coalizione risulti essere quella di centrodestra, non quella di centrosinistra. Ad Imperia e nella stessa Savona il centrodestra stacca il centrosinistra, rispettivamente, di 16 e di 11 punti percentuali circa. A Genova, invece, il distacco tra le due coalizioni principali si riduce a circa 5 punti percentuali, ma qui il centrosinistra è terzo, scavalcato dal Movimento Cinque Stelle.

    Nella provincia di Genova il Movimento Cinque Stelle è il primo partito (25,4% dei consensi), seguito a poca distanza dal PD (24,2%), Lega Nord (18,7%) e Forza Italia (10%). A Savona e La Spezia, invece, la situazione è diversa: in entrambe le province il PD è il primo partito, seguito a La Spezia dal Movimento Cinque Stelle e dalla Lega Nord, mentre a Savona dietro ai democratici si piazzano la Lega Nord e il Movimento Cinque Stelle. Infine, ad Imperia, una delle province tradizionalmente più a destra, il primo partito risulta essere, per pochissimi decimali, la Lega Nord, seguito dal PD e da Forza Italia. Quarta posizione per il Movimento Cinque Stelle.

    La situazione dei candidati presidente è parzialmente diversa. Mentre Giovanni Toti risulta il più votato a Savona, Imperia e anche a Genova, nella natia La Spezia la candidata di centrosinistra ottiene, seppur per poche centinaia di voti, la maggioranza relativa dei consensi. Al contrario, a Genova Raffaella Paita ottiene, in termini percentuali, il risultato peggiore tra le quattro province, proprio come la sua coalizione. Invece, Alice Salvatore e Luca Pastorino proprio nella provincia di Genova ottengono il risultato migliore – rispettivamente: il 27,6% e l’11,8%.

    L’analisi dei risultati dei candidati presidente e dei partiti nelle singole province ci restituisce l’immagine di una Liguria non più semplicemente divisa tra province orientali ed occidentali. Il centrodestra ha vinto quasi ovunque. Il crollo del centrosinistra a Genova può aver pesato sui risultati complessivi, così come lo strettissimo margine di vittoria di Raffaella Paita a La Spezia o anche il risultato di Alice Salvatore e di Luca Pastorino. Parlare della Liguria come dell’“Ohio italiano” è sicuramente esagerato, visto che parliamo di competizioni regionali e non nazionali. Più realisticamente, mentre il centrodestra può festeggiare una vittoria inattesa, perlomeno nelle percentuali, e il Movimento Cinque Stelle può ritenersi soddisfatto della prestazione della propria candidata, Renzi e il PD hanno davanti una sfida complicata: ricompattare il centrosinistra in regione e tornare ad essere competitivi in zone un tempo ritenute “sicure”. Un compito non da poco.

  • Regionali in Puglia: cronaca di una vittoria annunciata?

    di Bruno Marino e Nicola Martocchia Diodati


    Bruno Marino è PhD Student in Political Science and Sociology presso l’Istituto di Scienze Umane e Sociali della Scuola Normale Superiore di Pisa. I suoi interessi di ricerca comprendono lo studio di partiti e sistemi di partito in prospettiva comparata (selezione dei candidati e dei leader, cambiamento organizzativo, democrazia all’interno dei partiti) e la teoria democratica. Ha contribuito alla realizzazione del Dossier CISE 6 (Le Elezioni Europee 2014).

    Nicola Martocchia Diodati è PhD Student in Political Science and Sociology presso l’Istituto di Scienze Umane e Sociali della Scuola Normale Superiore di Pisa. Si occupa prevalentemente di partiti, comportamento elettorale, teoria della scelta razionale e psicologia politica. È co-autore di diversi articoli sui partiti italiani.


    Al termine del secondo mandato di Nichi Vendola, la Puglia tornerà al voto il prossimo 31 Maggio per eleggere il nuovo presidente ed il nuovo consiglio regionale. Nonostante Michele Emiliano, ex magistrato e sindaco di Bari (sostenuto da diverse liste, fra cui il Partito Democratico, Emiliano Sindaco di Puglia, La Puglia con Emiliano e Noi a Sinistra per la Puglia), sembri avere elevate probabilità di divenire presidente, le elezioni regionali pugliesi hanno un elevato significato politico per l’evoluzione del sistema partitico italiano. Infatti, le tensioni tra Fitto e Berlusconi, spesso al centro del dibattito politico nazionale, hanno trovato sfogo all’interno della competizione elettorale pugliese. A causa di tali tensioni, il centrodestra pugliese non è riuscito a presentarsi con un candidato unitario: da una parte troviamo Adriana Poli Bortone, ex parlamentare, ex ministro, ex sindaco di Lecce ed ex candidata presidente nel 2010 (sostenuta da Forza Italia, Noi con Salvini ed altre liste minori) e, dall’altra, l’ex chirurgo e presidente della provincia di Bari  Francesco Schittulli (appoggiato da Fratelli d’Italia-Alleanza Nazionale, Movimento Politico Schittulli-Area Popolare e Oltre con Fitto). La rilevanza nazionale delle elezioni pugliesi appare così particolarmente evidente: se il candidato sostenuto da Raffaele Fitto e dal Nuovo Centro Destra dovesse sopravanzare Adriana Poli Bortone, voluta da Silvio Berlusconi, la sfida per la leadership del centrodestra tornerebbe all’ordine del giorno.

    Gli altri candidati presidente sono Gregorio Mariggiò (Federazione dei Verdi), Riccardo Rossi, consigliere comunale di Brindisi e ricercatore dell’ENEA (L’Altra Puglia), Michele Rizzi (Partito di Alternativa Comunista) e Antonella Laricchia, studentessa di Architettura (Movimento Cinque Stelle). La tabella sottostante presenta i candidati presidenti e le rispettive liste che li sostengono.

    Tab. 1 – L’offerta elettorale alle regionali 2015 in Puglia

    La legge elettorale pugliese prevede che vengano eletti 50 consiglieri, 23 dei quali selezionati attraverso un sistema elettorale proporzionale basato su liste circoscrizionali concorrenti. Secondo la normativa, la provincia di Bari elegge 7 consiglieri, quella di Barletta-Andria-Trani 2 consiglieri, quella di Brindisi ha in conto 2 seggi. La provincia di Foggia 4; quelle di Lecce e Taranto eleggono, rispettivamente, 5 e 3 consiglieri. Secondo la normativa, inoltre, non è possibile candidare, in ciascuna lista circoscrizionale, più del 60% dei candidati dello stesso sesso. I 23 consiglieri eletti nelle varie province sono poi selezionati proporzionalmente sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Gli elettori possono esprimere una preferenza. Sono inoltre presenti delle soglie di sbarramento: al fine di poter accedere al Consiglio Regionale ciascuna lista o coalizione deve ottenere almeno l’8% dei voti validi a livello regionale, mentre una lista all’interno di una coalizione deve ottenere almeno il 4% dei voti validi, sempre a livello regionale.

    I restanti 27 consiglieri sono eletti nel Collegio Unico Regionale. La legge prevede l’assegnazione di un premio di maggioranza variabile, ovvero: se la lista o il gruppo di liste collegato al candidato presidente che ha ottenuto più voti ha raggiunto o superato la soglia del 40% dei voti validi, sono assegnati alla futura maggioranza 29 seggi. Se questa lista o gruppo di liste ha ottenuto una percentuale di voti validi maggiore o uguale al 25% ma inferiore al 40%, la futura maggioranza ottiene 28 seggi anziché 29. Se, infine, la percentuale di voti validi raggiunta da questa lista o da questo gruppo di liste è inferiore al 25%, la futura maggioranza si vedrà assegnare 27 seggi nel futuro Consiglio Regionale. I rimanenti seggi nel Collegio Unico Regionale sono assegnati alle liste non facenti parte della futura maggioranza che hanno superato la soglia di sbarramento.

    Gli elettori possono votare per un candidato presidente ed una lista collegata, oppure solo per una lista (in questo caso il voto si estende anche al candidato presidente collegato). È possibile anche votare esclusivamente per il candidato presidente (in questo caso il voto non si estende naturalmente alla lista o alle liste collegate) o effettuare il cosiddetto voto disgiunto, vale a dire propendere per l’espressione di una preferenza ad un candidato presidente e ad un partito che non sostiene la candidatura del primo.

    Nonostante, come già osservato in precedenza, Michele Emiliano risulti partire da una posizione più favorevole rispetto agli altri candidati, è comunque utile analizzare i risultati delle ultime elezioni svoltesi in Puglia per comprendere quale sia stato il cambiamento del contesto politico ed elettorale pugliese degli ultimi cinque anni. Ovviamente, data la diversità delle regole elettorali e della tipologia di elezione, non appare possibile comparare direttamente i risultati elettorali. Cercheremo così di porre particolare attenzione al significato politico e alle indicazione di carattere più generale che derivano dalle tornate elettorali precedenti.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni regionali 2010 in Puglia

    Come mostrato in Tabella 2, nel 2010 Nichi Vendola prevalse di circa sei punti percentuali su Rocco Palese (sostenuto dal PDL e diverse liste minori) mentre Adriana Poli Bortone, che rappresentava la coalizione UDC e Io Sud, ottenne un risultato elettorale pari all’’8,7% dei voti validi.. Da notare come Nichi Vendola ottenne, nella sfida contro gli altri candidati governatore, oltre 2 punti percentuali in più rispetto alla somma dei voti raccolti dalla coalizione di liste che lo sosteneva. Sembra così che Vendola disponesse di un vantaggio competitivo rispetto agli avversari sia per via dell’incumbency effect (Butler and Stokes 1969) che grazie alla sua leadership personale (si veda in merito Poguntke and Webb 2005). Questa seconda ipotesi potrebbe trovare conferma anche nel fatto che, al contrario, sia le liste che sostenevano Rocco Palese che quelle a sostegno di Adriana Poli Bertone ottennero una percentuale di voti superiore rispetto a quella del loro candidato governatore. Prendendo in considerazione le liste, invece, è possibile osservare come il partito più votato in Puglia nel 2010 risultò essere il PDL – con più del 31% dei voti – mentre il PD si fermò al 20,7%. Da sottolineare il buon risultato di SEL – che esprimeva il candidato presidente – che ottenne quasi il 10% dei voti validi.

    Tab. 3 – Risultati delle elezioni politiche 2013 in Puglia

    Spostandoci di qualche anno in avanti, lo straordinario successo del Movimento Cinque Stelle sembra, come avvenuto a livello nazionale, aver condizionato l’esito delle elezioni politiche del 2013 in Puglia. Infatti, il partito di Beppe Grillo, ottenendo più del 25% dei voti validi, è risultato essere il secondo partito più votato nella regione, alle spalle del PDL che ha ricevuto quasi il 29% dei suffragi. Il PD ha ottenuto il 18,5% dei voti validi mentre SEL, il partito del presidente della regione, si è fermato al 6,6%, un risultato che, al pari di quello ottenuto nelle altre regioni meridionali, ha reso evidente la grande sconfitta al sud del centrosinistra (D’Alimonte 2013) . La coalizione di Mario Monti (Scelta Civica, UDC e FLI) ha raccolto invece raccolto più del 10% dei voti, un risultato in linea con quanto avvenuto a livello nazionale.

    Tab. 4 – Risultati delle elezioni europee 2014 in Puglia

    Infine, è utile considerare anche i risultati delle elezioni europee del 2014. Nonostante la differenza con altre elezioni di primo ordine (Reif and Schmitt 1980), come le politiche 2013, nelle ultime elezioni europee è possibile osservare un radicale cambiamento dei risultati rispetto al passato. Il PD, infatti, è risultato essere il partito più votato della regione con più del 33% dei voti validi. Al secondo posto si è classificato il Movimento Cinque Stelle, con il 24,6% dei consensi, seguono Forza Italia (che ha ottenuto il 23,5% dei suffragi), NCD-UDC (7,1%) e L’Altra Europa con Tsipras (4,3%).

    Possiamo concludere questa breve presentazione delle principali elezioni  svoltesi in Puglia negli ultimi cinque anni sostenendo che il PD sembra essere notevolmente cresciuto per quanto riguarda la percentuale di voti validi ricevuti. Al contrario, il PDL (e poi FI) hanno visto parzialmente decrescere il loro consenso. Infine, non va sottovalutato il ruolo che potrebbe assumere il Movimento Cinque Stelle. Riuscire a confermare anche solo parzialmente i risultati ottenuti alle elezioni politiche 2013 ed alle elezioni europee del 2014 sarebbe sicuramente un buon risultato per il partito di Grillo. Resta naturalmente da capire cosa succederà il 31 Maggio. Come già sottolineato, la vittoria di Emiliano sembra probabile, ma non possono essere escluse sorprese dell’ultima ora.

    Riferimenti bibliografici:

    Butler, D. H. E. and Stokes, D. (1969), Political Change in Britain: Forces Shaping Electoral Choice, New York, St. Martin’s Press.

    D’Alimonte, R. (2013), Per il Pd débâcle al Sud in L. De Sio, M. Cataldi e De Lucia, F. (a cura di) Le Elezioni Politiche 2013, Roma, CISE, pp. 75-76.

    Poguntke, T. and Webb, P. D. (2005), The Presidentialization of Politics, Oxford, Oxford University Press.

    Reif, K. and Schmitt, H. (1980), Nine Second-Order National Elections – A Framework For The Analysis Of European Election Results, in “European Journal of Political Research”, 8, 1, pp. 3-44.

     

     

     

     

  • Verso le regionali in Calabria: sistema elettorale, candidati e struttura della competizione

    di Bruno Marino

    Il 23 Novembre i cittadini calabresi eleggeranno il nuovo Presidente della Regione ed il nuovo Consiglio Regionale. Con che legge elettorale si voterà? Chi sono i principali candidati? Che assetto avrà la competizione? In questo articolo cercheremo di rispondere a queste domande.

    Partendo dalla legge elettorale, i calabresi voteranno con una variante della Legge Tatarella – vale a dire della legge entrata in vigore nel 1995 che ha regolato l’elezione dei consigli e dei presidenti regionali – ma fino a Settembre non si sapeva esattamente in che modo i voti sarebbero stati trasformati in seggi. Infatti, lo scorso Giugno, il Consiglio regionale aveva approvato una controversa modifica della legge elettorale che, tra l’altro, riduceva il numero di consiglieri da cinquanta a trenta e introduceva altissime soglie di sbarramento per le coalizioni e le liste non coalizzate (15%). Era stato modificato anche il premio di maggioranza, che raggiungeva il 60% dei seggi nel consiglio regionale. Infine, era stata abolita la possibilità di effettuare il voto disgiunto.

    I motivi che avevano portato il Consiglio regionale ad approvare queste modifiche potevano essere diversi: ridurre la frammentazione partitica pre-elettorale, bloccare (o cercare di bloccare) il Movimento Cinque Stelle – che solo un anno prima alle Politiche aveva ottenuto ottimi risultati – o anche semplicemente guadagnare tempo per ulteriori accordi tra consiglieri o tra partiti, visto che, prevedibilmente, la legge sarebbe stata impugnata dal Governo. Non dimentichiamo che la Calabria va al voto a Novembre perché nei mesi scorsi il Presidente Giuseppe Scopelliti si è dimesso dopo la condanna ricevuta per il “caso Fallara” [1].

    Come previsto da molti osservatori, ad Agosto il Governo ha presentato istanza di sospensione della nuova legge elettorale davanti alla Corte Costituzionale. A Settembre il Consiglio regionale calabrese ha deciso di mettere nuovamente mano alla legge elettorale. A seguito delle modifiche approvate, il sistema elettorale calabrese è un proporzionale con premio di maggioranza. Il Consiglio regionale è composto da 30 seggi, compreso il seggio assegnato al Presidente della Giunta regionale. L’80% dei seggi del Consiglio regionale (24) è ripartito proporzionalmente in 3 circoscrizioni: Cosenza, Catanzaro-Crotone-Vibo Valentia, Reggio Calabria. Per essere ammessi alla ripartizione dei seggi le liste (sia coalizzate che non coalizzate) devono superare il 4% dei voti a livello regionale, mentre le coalizioni di liste l’8%. I restanti 6 seggi sono assegnati alle liste che appoggiano il Presidente eletto qualora queste non raggiungano il 50% dei seggi (ovvero 15 su 30) nel riparto proporzionale. Altrimenti, se la coalizione raggiunge o supera il 50% dei seggi, ottiene un premio dimezzato, di 3 seggi. Qualora la coalizione vincente non raggiunga i 16 seggi (il 55%) perfino dopo l’assegnazione del premio intero, è prevista l’’attribuzione di questi seggi aggiuntivi togliendoli da quelli attribuiti alle liste di opposizione. L’elettore dispone di due voti, uno per il candidato Presidente e uno per una lista provinciale. Qualora l’elettore esprima il suo voto soltanto per una lista provinciale il voto si intende validamente espresso anche a favore del candidato collegato a quella lista. Non è prevista la possibilità di esprimere un voto disgiunto. L’elettore può inoltre esprimere una sola preferenza per un candidato della lista prescelta.

    Come sappiamo, una delle caratteristiche più importanti di una legge elettorale è che crea una “struttura di opportunità” per i partiti (si veda ad esempio Tarrow 1994). In altre parole, i partiti che si vogliono presentare alle elezioni agiscono (anche) in base ai limiti e alle possibilità della legge elettorale vigente. Ad esempio, l’esistenza di soglie di sbarramento (implicite o esplicite) molto alte dovrebbe ridurre il numero di partiti che si presentano alle elezioni, e viceversa. I partiti, insomma, ragionano strategicamente in base alla situazione pre-elettorale (sul punto si vedano Duverger, 1951; Sartori, 1997; Cox 1997).

    Perché i partiti di centrosinistra hanno organizzato le primarie per il candidato Presidente così a ridosso delle elezioni? Perché il centrodestra ha scelto il proprio candidato Presidente solo poche settimane prima delle consultazioni? Una delle possibili risposte a queste domande è che la struttura di opportunità della legge elettorale non era certa – poiché la legge elettorale di Giugno era stata impugnata dal Governo. Solo da metà Settembre in poi la situazione si è chiarita.

    Chi sono i principali candidati alla Presidenza della Regione? Il centrosinistra ha candidato Mario Oliverio, ex consigliere regionale, ex deputato ed ex presidente della provincia di Cosenza. Oliverio ha sconfitto, alle primarie[2] di coalizione, il renziano Gianluca Callipo e Gianni Speranza, ex PCI ed esponente di SEL. Forza Italia e alcuni alleati hanno deciso di proporre la candidatura di Wanda Ferro, ex presidente della provincia di Catanzaro. Nuovo Centrodestra e l’UDC hanno candidando alla presidenza della Regione il senatore Nico D’Ascola. Infine, l’avvocato Cono Cantelmi ha vinto le primarie online del Movimento Cinque Stelle, ed è il candidato del partito di Beppe Grillo.

    Si nota subito che ben due dei quattro principali candidati sono stati scelti grazie alle primarie ma alcune differenze vanno evidenziate. Primo, la competizione nel centrosinistra ha riguardato più di un partito, mentre quelle del Movimento Cinque Stelle sono state, ovviamente, primarie di partito. Un’altra differenza tra centrosinistra e M5S ha riguardato il selettorato, vale a dire il corpo elettorale che ha selezionato i candidati (Hazan e Rahat 2010). Alle primarie del centrosinistra tutti gli elettori d’area (in pratica, tutti gli elettori) hanno avuto il diritto di voto[3] , mentre alle primarie online del M5S potevano votare solo gli “iscritti certificati”, vale a dire coloro i quali sono residenti in Calabria e si erano iscritti al movimento prima del 31 Dicembre 2013[4] . È evidente che, per quanto riguarda il selettorato, la competizione nel centrosinistra sia stata più inclusiva rispetto a quella nel M5S. Questo però non vuol dire che sia stata più democratica o competitiva. Infatti, per parlare di democraticità – o, per meglio dire, di inclusività – bisogna tenere in considerazione anche una seconda dimensione, oltre al selettorato, vale a dire la “candidacy”, ovvero capire se e quali regole esistano per la presentazione di candidature alle primarie (Hazan e Rahat 2010). Se, infatti, un partito (o una coalizione) permette a tutti gli elettori di votare alle primarie, ma consente solo a pochissime persone – o magari ad una sola – di correre come candidato alle stesse primarie, è evidente che l’inclusività della procedura non è necessariamente molto alta.

    E per quanto riguarda la candidabilità, per presentarsi alle primarie di centrosinistra era necessario, tra le altre cose, raccogliere almeno 3.000 e non più di 4.000 firme di elettori calabresi, da almeno tre provincie (ed era necessario ottenere almeno 300 firme per provincia)[5] . Invece, per candidarsi alle “regionarie” del Movimento Cinque Stelle era necessario, tra le altre cose, essere iscritto al movimento almeno dal 31 Dicembre 2013 ed essere residente in Calabria[6]. Insomma, sia il centrosinistra sia il M5S hanno previsto delle condizioni che, limitando la “candidatura”, hanno reso le primarie non totalmente inclusive.

    Tab. 1 – Numero di liste e candidati Presidente alle regionali in Calabria, 1995-2014[7]

    Come si vede dalla Tabella 1, le liste presentate in occasione delle elezioni regionali non sono mai state meno di 13. Le regionali del 2014 vedranno la continuazione di un trend discendente, infatti dalle 21 liste presentate nel 2000 si è via via passati alle 17 del 2005, alle 16 del 2010 e alle 15 delle prossime elezioni. Naturalmente, è interessante analizzare nel dettaglio le varie liste che supportano i candidati alla Presidenza della Regione.

    Mentre il Movimento Cinque Stelle e la Sinistra radicale presentano una sola lista a sostegno dei propri candidati Presidente, diversa è la situazione per Oliverio, Ferro e D’Ascola. Mario Oliverio è sostenuto dalle seguenti liste: Pd, Democratici Progressisti, Oliverio Presidente, Centro Democratico, Per cambiare la Calabria – La Sinistra, Calabria in Rete, Cristiano Democratici Uniti, Autonomia e Diritti. Wanda Ferro, invece, è sostenuta da Forza Italia, Fratelli d’Italia e Casa della Libertà. Infine, Nico D’Ascola è appoggiato da Nuovo Centrodestra e Unione di Centro

    La prima cosa che si nota è che NCD e UDC, in disaccordo con gli altri partiti d’area, hanno deciso di correre autonomamente – rendendo così molto probabile la vittoria di Oliverio, visto il peso dei due partiti post-democristiani in Calabria. La competizione, insomma, si annuncia tripolare o quadripolare (nel caso il M5S riesca a confermare i risultati ottenuti alle elezioni politiche del 2013 e alle europee del 2014). Anche nel centrosinistra ci sono state novità degne di nota. Per esempio, è stato deciso di non candidare tutti quelli che erano già stati almeno una volta consiglieri regionali. Un tentativo di rinnovamento e discontinuità, nel segno della “rottamazione” renziana? O una semplice “riverniciatura” per catturare lo “spirito del tempo” che, anche in Calabria, sembra sostenere il cambiamento (almeno apparente) dei vecchi schemi e il “pensionamento” delle vecchie personalità politiche?

    Quel che è certo è che i candidati Presidente dovranno fare i conti con un ambiente elettorale molto particolare. Osserviamo in proposito la Tabella 2

    Tab. 2 – Risultati elettorali dei principali partiti in Calabria – Regionali 2010, Politiche 2013, Europee 2014[8]

     

    Premettendo che stiamo confrontando elezioni diverse fra loro, ci sono comunque alcuni dati da considerare. Primo, la fluidità elettorale sembra essere molto alta. Secondo, la forza dei neo-democristiani in Calabria rimane sostanzialmente costante nel corso degli anni – ecco perché il mancato accordo tra centrodestra e UDC-NCD può fare decisamente male a Wanda Ferro. Terzo, sarà molto interessante analizzare la performance del M5S. Dopo l’exploit alle politiche del 2013 e l’arretramento alle ultime Europee, il partito di Beppe Grillo in Calabria affronta una sfida cruciale. Un piccolo banco di prova per il M5S sono state le elezioni comunali di Reggio Calabria, nelle quali i pentastellati hanno subito una vera e propria batosta, come già sottolineato in un altro contributo[9]. Riuscirà il M5S a superare indenne la sconfitta di Reggio Calabria? Riuscirà il centrosinistra a sconfiggere un centrodestra diviso? NCD e UDC continueranno ad essere un importante ago della bilancia politica calabrese? Appuntamento a fine Novembre per ottenere risposte a queste domande.

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    [1] https://www.gazzettadelsud.it/news/85356/Caso-Fallara–6-anni-.html

    [2] In questo articolo userò la parola “primarie” per intendere qualunque metodo che preveda la possibilità per i membri e/o gli elettori di un partito di selezionare il candidato ad una carica istituzionale.

    [3] https://www.pdcalabria.net/attachments/article/566/attachment-1719699151.pdf

    [4] https://www.beppegrillo.it/2014/09/candidature_online_per_le_regionali_in_calabria_e_emilia_romagna.html

    [5] Si veda il documento in nota 3.

    [6] https://www.beppegrillo.it/2014/06/le_elezioni_regionali_in_calabria.html

    [7] Fonte dati – dal 1995 al 2010: www.elezionistorico.interno.it – per il 2014: https://www.ilquotidianoweb.it/news/politica/730900/Regionali–rush-finale-per-le.html

    [8] Fonte dati: www.elezionistorico.interno.it – Nel 2010 nella casella “Sinistra Radicale/SEL” si sono inseriti i voti ottenuti dalla lista “Rifondazione Comunista-Sinistra Europea-Comunisti Italiani; nel 2010 nella casella “Altri Centrosinistra” si sono sommati i voti ottenuti da Autonomia e Diritti, Partito Socialista Italiano, Alleanza per la Calabria e Slega la Calabria; nel 2010 in “Altri Centrodestra” si sono sommati i voti ottenuti da Scopelliti Presidente, Insieme per la Calabria, Socialisti Uniti PSI, Libertà e Autonomia Noi Sud e Fiamma Tricolore-Destra Sociale. Nel 2013 nella casella “Altri Centrosinstra” si sono inseriti i voti ottenuti da Centro Democratico, mentre in “Altri Centrodestra” si sono inseriti i voti ottenuti da Grande Sud MPA, Fratelli d’Italia, La Destra, MIR, Intesa Popolare e Lega Nord. Nel 2014 in “Sinistra Radicale/SEL” si sono inseriti i voti ottenuti dalla lista L’Altra Europa con Tsipras, nella casella “Altri Centrosinistra” si sono sommati i voti ottenuti da IDV e Verdi Europei, in “Altri Centrodestra” sono stati inseriti i voti ottenuti da Fratelli d’Italia e Lega Nord.

    [9] /cise/2014/11/07/comunali-2014-lanalisi-dei-flussi-elettorali-a-reggio-calabria/

     

    Riferimenti Bibliografici

    Cox, G. (1997), Making Votes Count, Cambridge, Cambridge University Press.

    Duverger, M. (1951), Les Partis Politiques, Paris, Armand Colin.

    Hazan, R. e Rahat, G. (2010), Democracy within Parties: Candidate Selection Methods and their Political Consequences, Oxford, Oxford University Press.

    Sartori, G. (1997), Comparative Constitutional Engineering, New York, New York University Press.

    Tarrow, S. (1994), Power in Movement: social movements, collective action and politics, Cambridge, Cambridge University Press.

  • Le scelte degli europartiti: chi sono i candidati alla Presidenza della Commissione e come sono stati selezionati

    di Bruno Marino

    Uno dei più gravi problemi dell’Unione Europea è il suo “deficit democratico” (Norris, 1997; Majone, 2008; Katz, 2001). Un problema politico e, soprattutto, di legittimità. In altre parole, visto che all’interno dell’Unione Europea i classici processi democratici funzionano poco (o sono del tutto assenti), per quale motivo dovremmo ritenere le decisioni dell’UE moralmente giuste e opportune (cioè, legittime)? (https://www.secolarievoo.com/) [1]

    La risposta della politica europea a questo problema merita di essere analizzata. Come spiegato dal sito europarlamento24[2], “Ci si aspetta, […] con una logica a noi ben nota, che il candidato alla presidenza della Commissione europea presentato dal partito politico europeo che avrà conseguito il maggior numero di seggi al Parlamento, sia il primo a essere preso in considerazione al fine di verificare la sua capacità di ottenere l’appoggio della maggioranza assoluta del Parlamento europeo”.

    Ma chi sono questi candidati? Come sono stati selezionati dai rispettivi partiti? Nei paragrafi successivi risponderemo a queste domande, utilizzando due dimensioni d’analisi presentate da Hazan (2002) e Hazan and Rahat (2010), vale a dire la dimensione nota come ‘candidatura’ e la dimensione nota come ‘selettorato’. La prima risponde alle domande: chi si può candidare in ciascun partito? Ci sono condizioni particolari per presentare una candidatura? La seconda dimensione risponde alla domanda: chi seleziona ciascun candidato?[3]

     

    PARTITO POPOLARE EUROPEO

    Il candidato del PPE è Jean-Claude Juncker, ex primo ministro del Lussemburgo. Sul suo sito (https://juncker.epp.eu/ ), si possono trovare le cinque priorità di Juncker: primo, riforme per creare posti di lavoro e crescita economica attraverso vari strumenti di policy (come lo sviluppo di un mercato digitale europeo); secondo, implementazione di politiche a favore di una unione energetica europea che affronti sia i rischi di incostanti approvvigionamenti da aree ‘calde’ del mondo, sia la necessità di creare una solida azione a favore delle energie rinnovabili; terzo, la negoziazione di un accordo commerciale con gli Stati Uniti; quarto, una riforma dell’Eurozona che limiti il potere della BCE, dando più potere alla Commissione Europea e all’Eurogruppo[4]. In più, il candidato del PPE propone di modificare in senso ‘sociale’ i cambiamenti strutturali richiesti ai paesi dell’Eurozona che ricevono aiuti finanziari. Infine, si propone di dare un peso maggiore all’Eurozona all’interno del FMI. Il quinto punto è molto interessante e riguarda un accordo con uno specifico paese europeo: il Regno Unito. Secondo Juncker, è possibile dare ancora più autonomia agli inglesi, a patto che non si tocchino le fondamenta del mercato comune e che gli inglesi non si oppongano a successive riforme dell’Eurozona.

    Candidatura – il candidato doveva essere (stato) primo ministro. In più, il candidato doveva ottenere il supporto del proprio partito (nazionale) e di almeno altri due partiti di paesi diversi. Due candidati, lo stesso Juncker e Michel Barnier, membro della Commissione Europea, si sono presentati.

    Selettorato  – il congresso del PPE, svoltosi lo scorso Marzo a Dublino, ha selezionato Juncker come candidato alla Presidenza della Commissione UE. I membri del congresso con diritto di voto includevano, tra gli altri, i presidenti e i delegati dei partiti del PPE, i membri della Commissione Europea che facevano parte del PPE e i membri del Consiglio d’Europa che erano contestualmente membri del PPE[5]. Dei 627 voti espressi su più di 800 delegati con diritto di voto (Piedrafita and Renman, 2014: 5), 382 sono andati a Juncker, mentre 245 a Michel Barnier[6].

    PARTITO SOCIALISTA EUROPEO

     Il Partito Socialista Europeo ha candidato Martin Schulz, noto a molti italiani per la famosissima vicenda del kapò al Parlamento Europeo. Ma Schulz non deve la sua notorietà (solo) a quel noto episodio. Al contrario, è un membro dell’SPD dagli anni ’70 e dal 1994 è parlamentare europeo. Nel 2012 è stato anche eletto Presidente del Parlamento Europeo. Sul sito (https://www.martin-schulz.eu/it/) preparato in occasione delle imminenti elezioni europee, Schulz propone un’Europa che si occupi di salari minimi e di combattere la disoccupazione e punta su istruzione e lotta all’evasione fiscale.

     Candidaturai partiti e le organizzazioni membri del PSE potevano presentare un candidato, che doveva avere l’appoggio del 15% dei partiti ‘full member’ e delle organizzazioni del PSE (vale a dire quello che nomina il candidato e altri cinque). Solo Martin Schulz ha ottenuto il supporto necessario. Quindi è diventato, a Novembre 2013, il ‘candidato designato’ del PSE.

     Selettorato – in ogni partito membro del PSE si è votato per confermare il ‘candidato designato’ secondo regolamenti e statuti nazionali. I risultati dovevano essere ratificati da un organo di partito nazionale che fosse stato ‘democraticamente eletto’. Il congresso straordinario del PSE tenutosi a Roma dal 28 Febbraio al 1 Marzo 2014 ha confermato la candidatura di Schulz alla Presidenza della Commissione UE.

    ALLEANZA DEI DEMOCRATICI E DEI LIBERALI PER L’EUROPA

     L’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa ha selezionato come proprio candidato Guy Verhofstadt. Liberale belga, è stato primo ministro per quasi dieci anni prima di approdare, nel 2009, al Parlamento Europeo e, successivamente, alla carica di presidente del gruppo liberaldemocratico nella stessa istituzione. Nel proprio sito (https://www.guyverhofstadt.eu/ ), Verhofstadt presenta il ‘Piano per l’Europa’[7], i cui punti principali sono: riforme economiche europee (come l’accelerazione sull’Unione Bancaria o la creazione di una “comunità energetica Europea”); una più forte protezione dei diritti civili (ad esempio grazie alla creazione di una normativa Europea sulla privacy e di una moderna legislazione anti-discriminazione o all’implementazione di una politica Europea sull’immigrazione); una riforma della Commissione Europea.

     Candidatura – Le candidature potevano essere presentate entro il 20 Dicembre 2013, quando il Congresso dell’ALDE le avrebbe ratificate. Per potersi presentare, un candidato aveva bisogno o del supporto di almeno due partiti provenienti da più di un paese o del supporto del 20% dei delegati con diritto di voto del congresso dell’ALDE[8]. Ad un certo punto sembrava che ci fossero due candidati pronti a scontrarsi, Guy Verhofstadt e Olli Rehn (quest’ultimo vecchia conoscenza della politica italiana).

     Selettorato – Un congresso elettorale straordinario a Bruxelles nel Febbraio 2014 avrebbe dovuto selezionare il candidato, ma un accordo tra Verhofstadt e Rehn (con la rinuncia del secondo alla corsa per candidato Presidente in cambio di un posto di alto profilo all’interno dell’UE[9]) ha reso il congresso una semplice ratifica del patto tra i due politici liberademocratici.

    SINISTRA UNITARIA EUROPEA – SINISTRA VERDE NORDICA

     La Sinistra Europea propone come candidato una personalità di spicco della politica mediterranea ed Europea: Alexis Tsipras, leader del partito greco SYRIZA. Tsipras, nonostante la relativamente giovane età (è nato nel 1974), ha già una lunga carriera politica: è stato consigliere comunale ad Atene ed è membro del parlamento Greco dal 2009. Sul sito della lista della Sinistra Europea (https://www.listatsipras.eu/ ) Tsipras propone agli elettori la propria ricetta politica ed economica[10]: il radicale cambiamento delle politiche europee di austerità; la cancellazione del Fiscal Compact e la rinegoziazione dei Trattati; la creazione di una Conferenza Europea sul Debito; la regolamentazione delle attività finanziarie; il perseguimento dell’obiettivo della piena occupazione; la modifica della legislazione sull’immigrazione a favore dei migranti.

     Candidatura e Selettorato – Il consiglio dei presidenti dell’europartito (composto di 30 persone[11]) ha deciso, nell’Ottobre 2013, di proporre al congresso la candidatura di Alexis Tsipras, il quale è stato ufficialmente candidato nel Dicembre 2013 alla presidenza della Commissione Europea. La proposta della candidatura del politico greco ha ottenuto l’approvazione di 138 delegati del congresso su 164[12].

    PARTITO VERDE EUROPEO

     I Verdi hanno deciso di presentare una doppia candidatura: José Bové (leader no-global francese ed europarlamentare dal 2009) e Ska Keller (europarlamentare tedesca dal 2009). Il programma dei due candidati[13] si concentra su temi come la riforma dell’industria dei servizi finanziari, una tassazione più equa, uno sviluppo dell’industria ‘green’, un’efficace gestione dei cambiamenti climatici ed una riforma dell’industria alimentare.

     Candidatura – I futuri candidati avevano bisogno del supporto di almeno quattro (e massimo otto) partiti membri. Ogni partito poteva supportare massimo un futuro candidato. Entro il 4 Novembre quattro candidature avevano raggiunto il quorum necessario: José Bové, Ska Keller, Monica Frassoni (membro del Parlamento Europeo da  1999) e Rebecca Harms.

     Selettorato – A Novembre 2013 si decise di indire delle primarie online: tutti i cittadini europei di almeno 16 anni di età avevano il diritto di votare. Circa 22.000 persone hanno partecipato alle primarie durate due mesi e mezzo, dalle quali sono emersi vincitori Bové e Keller[14].

    CONCLUSIONI

     Come si è visto, i partiti europei hanno scelto di selezionare i propri candidati in molti modi[15]. Spicca la scelta di alcuni partiti di portare davanti al proprio selettorato solo una candidatura (rendendo il voto poco più di una semplice ratifica di una decisione presa precedentemente), in controtendenza con quanto deciso dai Verdi, che hanno notevolmente esteso la platea di possibili selettori dei propri candidati. Anche se l’affluenza è stata molto bassa, la decisione dei Verdi potrebbe rappresentare il primo passo verso la creazione di primarie dei partiti europei più o meno aperte, in parte compatibili con quelle dei partiti americani o del PD Italiano.

    La scelta dei candidati dei partiti alla Presidenza della Commissione (con gli annessi euro-dibattiti, come quello svoltosi a Firenze il 9 Maggio) sta contribuendo ad aumentare l’attenzione attorno alle prossime elezioni europee. Un fatto certamente positivo, visto che una bassa affluenza alle urne non sarebbe un fatto positivo per le istituzioni europee. Su internet il dibattito sui candidati procede serrato. Parafrasando Pietro Nenni, speriamo che tutta questo non si traduca in ‘web pieno, urne vuote’.


    [1] Per un approfondimento del concetto di legittimità si veda Dahl (1963: 72-73).

    [3] Se non diversamente specificato, la fonte utilizzata su candidatura e selettorato di ciascun candidato alla Presidenza della Commissione UE è al seguente link: https://europedecides.eu/candidates/european-political-parties/ .

    [4] Si veda la relativa discussione sulla necessità di avere una Banca Centrale indipendente (anche) per sottrarre la politica monetaria ai ‘desideri elettorali’ di corto raggio dei politici in Stiglitz (1998); Drazen (2002) e McNamara (2002).

    [15] Ricordiamo che gli altri due eurogruppi presenti nel Parlamento Europeo – ossia il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR) e quello di “Europa della Libertà e della Democrazia” – coerentemente con le rispettive posizioni fortemente euroscettiche quando non esplicitamente anti-europeiste, non presenteranno alcun candidato alla Presidenza della Commissione.

  • Il gruppo dell’ALDE: verso un inevitabile ridimensionamento?

    di Bruno Marino

    Il gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa (ALDE) costituisce il terzo gruppo più numeroso nel Parlamento Europeo (PE), dopo popolari e socialisti. L’ALDE è composto di parlamentari provenienti da due partiti politici europei, il Partito dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa e il Partito Democratico Europeo.

     Il gruppo ha avuto una storia politica molto travagliata. Dopo l’uscita dei gollisti negli anni ’60, il gruppo liberale formatosi nell’Assemblea Comune della CECA (Comunità Europea del Carbone de dell’Acciaio) iniziò un lungo percorso di cambiamento e di inclusione di nuovi membri man mano che l’integrazione europea procedeva. Se si volesse analizzare la storia del gruppo liberaldemocratico[1] all’interno del Parlamento Europeo, la prima cosa che si noterebbe è il cambio di denominazione.

     Dal 1979 al 1985 nel Parlamento Europeo era presente il Gruppo Liberale e Democratico, formato da partiti come l’UDF francese, gli italiani PRI e PLI, l’FDP tedesco o il Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia olandese. Nel 1985 il gruppo cambiò, dando vita al Gruppo Liberale, Democratico e Riformatore. Il gruppo mantenne tale denominazione fino alla metà degli anni ’90, e in questo periodo entrarono a far parte del raggruppamento parlamentari provenienti da altre formazioni politiche nazionali (come il partito Social Democratico Portoghese). Nel 1994 si decise di cambiare ancora una volta: nasceva il Gruppo del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (denominazione mantenuta fino al 2009). Da ricordare, in questi anni, l’entrata nel gruppo dei Liberal Democratici inglesi, partito che negli ultimi anni ha acquisito una notevole centralità al di là della Manica[2]. Infine, nel 2009, l’ultimo cambiamento. In seguito alla formazione di un unico gruppo assieme ai parlamentari del Partito Democratico Europeo si arrivò alla costituzione del Gruppo dell’Alleanza dei Democratici e dei Liberali per l’Europa.

     Questi cambiamenti di denominazione sono anche stati influenzati dall’entrata nel gruppo parlamentare di molti partiti variamente classificabili come “liberali”. Com’è noto, l’aggettivo “liberale” può essere variamente declinato (si pensi alla differenza tra liberalismo sociale o liberal-conservatorismo) ed anche utilizzato da varie parti politiche.

    Parafrasando quanto sostenuto da alcuni autori in merito al Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (si veda ad esempio Ladrech 2006, 494), nel gruppo liberaldemocratico al PE è presente un’eterogeneità maggiore rispetto a quella esistente nel gruppo del PSE o del PPE. La flessibilità della parola “liberale” può essere un’utile chiave di lettura per cercare di capire questo fenomeno. Solo per citare alcuni casi interessanti di partiti che hanno fatto (o fanno) parte del gruppo liberaldemocratico al PE (quindi implicitamente ammettendo di essere “liberali”), ricordiamo il moderato Partito Repubblicano Italiano e il conservatore Partito Liberale Italiano (che, a dispetto del nome, nella Prima Repubblica era in alcuni casi più a destra della Democrazia Cristiana), i Liberal Democratici inglesi e il Partito Nazionalista Basco, la post-democristiana Margherita[3] e gli anticlericali Radicali Italiani.

     Nonostante queste trasformazioni e differenze, i liberaldemocratici hanno sempre rappresentato una forza non indifferente nel Parlamento Europeo. Alle ultime elezioni europee hanno ottenuto più di 80 seggi (con un importante contributo dei Liberal Democratici inglesi e dei Liberali tedeschi, che insieme hanno ottenuto 24 seggi, ovvero circa il 30% del totale). Non proprio un pessimo risultato per uno schieramento che ambisce a rappresentare un’alternativa ai socialisti e ai popolari.

     Figura 1 – Risultati elettorali dei liberaldemocratici. Percentuale di seggi nel Parlamento Europeo, 1979-2009

      

    Come si nota dal grafico, le performance elettorali dei liberaldemocratici seguono un andamento altalenante. Un indebolimento nel 1984 è seguito da un rafforzamento del partito nel 1989. Nel 1994 il partito vede ridursi la propria rappresentanza parlamentare, mentre il 1999 e, soprattutto, il 2004, rappresentano due elezioni molto positive per i liberaldemocratici. Dopo le elezioni europee del 2004, infatti, il gruppo liberaldemocratico ottiene la massima percentuale di seggi finora raggiunta al Parlamento Europeo: il 12%. Questo trend si interrompe quando il gruppo si indebolisce, perdendo vari parlamentari, in seguito alle elezioni europee del 2009. Tuttavia, analizzando i risultati delle elezioni europee dal 1979 al 2009, si nota come i liberaldemocratici siano riusciti a sopravvivere a molte trasformazioni e cambiamenti (come il progressivo allargamento dell’Unione Europea) mantenendo un certo consenso elettorale nel corso degli anni. Ciò appare ancora più evidente dalle performance alle urne dei partiti liberaldemocratici nei singoli paesi europei.

     Tabella 1 – Risultati elettorali dei partiti liberaldemocratici nei paesi membri in percentuale,1979-2009

     

    Analizzando la tabella, si nota come il sostegno ai partiti liberaldemocratici sia considerevole in alcuni paesi (Belgio, Bulgaria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Paesi Bassi, Slovenia e Svezia) e altalenante in altri (Lussemburgo, Regno Unito, Slovacchia, Ungheria). L’Italia, come spiegato in una nota a margine, è un caso a parte, visto che hanno fatto parte dei gruppi parlamentari liberaldemocratici partiti molto diversi tra di loro, come il PRI, il PLI, la Margherita e l’Italia dei Valori, e questo è riflesso nelle performance elettorali dei liberaldemocratici nel nostro paese, molto variabili e soggetti a forti cambiamenti.

     Tabella 2 – Elenco dei partiti membri dell’ALDE alla vigilia delle elezioni europee del 2014

    L’ALDE ha pubblicato sul proprio sito (https://www.alde.eu) le cinque priorità a cui si ispira per la propria azione: la lotta alle discriminazioni e la difesa dei diritti civili; una spinta verso un’economia green, in modo da affrontare i cambiamenti climatici; una più efficace azione dell’UE nel mondo, specialmente nel campo della promozione della democrazia; una riforma del bilancio europeo e la contemporanea difesa della “rettitudine fiscale” (ad esempio, difesa del patto di stabilità); una forte e comune regolazione dei mercati finanziari europei, accompagnata da una nuova governance economica a cura della Commissione Europea.

     Le prossime elezioni europee rappresentano una sfida importantissima per i liberaldemocratici europei. Da una parte la diffusa sfiducia verso le politiche di austerità euro-tedesche potrebbero favorire, in molti paesi europei, i partiti estremisti e le liste ad essi collegate (come le forze della sinistra europea  o gli euroscettici di destra). Dall’altra, i sondaggi sembrano indicare che alcuni partiti dell’ALDE (Liberal Democratici inglesi, FDP tedesco, Italia dei Valori) potrebbero perdere non pochi voti rispetto alle elezioni europee del 2009. A Maggio scopriremo se il ridimensionamento dell’ALDE nel Parlamento Europeo rimarrà una pessimistica previsione o se, invece, diventerà reale.

     


    [1] Userò questo termine per comodità di lettura, in modo da evitare di appesantire il testo con continui riferimenti al nome che il gruppo ha assunto in un determinato anno o durante una specifica legislatura del Parlamento Europeo.

    [2] Dal 2010, infatti, è al governo assieme ai Conservatori, rarissimo caso di un governo di coalizione nel Regno Unito in tempo di pace. I Liberal Democratici sono nati alla fine degli anni ’80 dalla fusione tra il Partito Liberale e il Partito Social Democratico (a sua volta formatosi da una scissione dal Partito Laburista). Per un’analisi di questi cambiamenti e del partito Liberal Democratico inglese si veda Webb [2000].

    [3] Che come si ricorderà era nata dall’unione di vari partiti postdemocristiani, non liberali o liberaldemocratici. Per un’analisi organizzativa della Margherita si veda Baccetti [2007].