Autore: Federico De Lucia

  • Molise 2011. Candidati e liste: due competizioni molto diverse

    di Federico De Lucia

    Un aspetto molto rilevante delle elezioni regionali molisane appena tenutesi è la differenza che si è registrata tra competizione maggioritaria (quella fra i listini regionali) e competizione proporzionale (quella fra le liste di partito).

    Tabella 1

    Dalla Tabella 1 questo fatto emerge chiaramente. Ed emerge in particolare la pessima prestazione del candidato Presidente poi risultato eletto. Oltre che perdere molti voti rispetto alla tornata elettorale scorsa, Iorio ha ottenuto ben 12.000 voti in meno di quanti non ne abbiano ottenuti le liste che lo sostenevano. In sostanza, il 10% di coloro che hanno votato liste di centrodestra ha adottato il voto disgiunto, optando per un candidato diverso da Iorio. Si tratta di un fenomeno molto significativo nella sua mole, che non si era mai verificato in passato. Tutti gli altri candidati hanno invece ottenuto più voti di quanti non ne avessero presi le liste che li sostenevano: Frattura si è esibito in una ottima performance personale, ottenendo quasi 15.000 voti in più delle liste di centrosinistra, mentre Federico, del Movimento 5 Stelle, ha ottenuto addirittura il doppio dei voti della propria lista di sostegno.

    Assumendo poi un ottica diacronica, ci rendiamo conto di come la competizione elettorale fra liste abbia assunto un aspetto piuttosto diverso da quella fra candidati Presidente.

    Figura 1

    Dal grafico riportato in Figura 1, vediamo come, rispetto al 2006, il distacco fra le liste di centrodestra e quelle di centrosinistra si sia significativamente innalzato. Il centrodestra ha guadagnato 3,5 punti, mentre il centrosinistra ne ha persi 6,6. Il distacco fra le due coalizioni è dunque salito di più di dieci punti: da 5,7 a 15,9. Tali evoluzioni, come risulterà chiaro quando si vedranno le percentuali dei partiti, sembrano spiegate quasi interamente dalla ristrutturazione dell’offerta partitica: in primo luogo l’UDEUR ha cambiato schieramento rispetto al 2006; in secondo luogo la presenza della lista di Grillo è certamente stata più penalizzante per le liste di centrosinistra che per quelle di centrodestra.

    Il dubbio che siano stati i movimenti dei partiti a determinare gli spostamenti degli elettori da una coalizione all’altra delinea l’elettore molisano come un elettore fortemente fidelizzato alla propria lista di riferimento, e questo marca una certa distinzione con ciò che si è detto a proposito della competizione fra candidati. In quest’ultima certo non è stata la stabilità rispetto al passato a farla da protagonista: Iorio ha perso 7 punti percentuali rispetto a 5 anni fa, ed in questo caso non a seguito di modifiche nell’offerta elettorale ma al contrario in conseguenza di una scelta precisa ed autonoma di una cospicua quota dei propri elettori, che gli ha coscientemente preferito altri candidati, ricorrendo massicciamente al voto disgiunto, e cioè ad un istituito generalmente considerato esclusivo appannaggio di un elettorato “sofisticato”, e dunque di nicchia.

    Le due competizione si stagliano dunque come assolutamente indipendenti. Pare cioè di poter dire che mentre gli elettori molisani restano assolutamente fedeli ai propri partiti di riferimento (più precisamente ai propri candidati di lista), tanto da seguirli nei loro spostamenti da uno schieramento all’altro, lo stesso non possa assolutamente essere detto per quanto riguarda il candidato Presidente. In ordine alla scelta di quest’ultimo, gli elettori molisani non hanno avuto remore a scegliere il candidato da loro preferito, senza lasciarsi condizionare troppo dal fatto che fosse o meno sostenuto dalla lista di partito da loro votata.

  • Molise 2011: Iorio perde 7 punti percentuali ma la spunta di un soffio

    di Federico De Lucia

    Le elezioni regionali molisane hanno sancito la riconferma del Presidente uscente Iorio, che è riuscito a prevalere di un soffio sul candidato del centrosinistra Frattura. Sono stati solo 1.500 i voti di scarto fra i due, corrispondenti allo 0,8% dei voti validi. (https://brownshvac.net)

    In Tabella 1 riportiamo i risultati della competizione fra i listini regionali dei candidati Presidente.

    Tabella 1

    Detto dello scarto minimo fra i due candidati maggiori, appare tanto significativa da meritare una nota la prestazione del candidato del Movimento 5 Stelle, Antonio Federico, che, con il 5,6% dei voti, potrebbe aver recitato un ruolo decisivo nel determinare il mancato sorpasso del centrosinistra ai danni dello schieramento conservatore, alla guida del governo regionale da 10 anni.

    Nel grafico riportato in Figura 1 è possibile osservare l’evoluzione dei rapporti di forza fra centrodestra e centrosinistra, per quanto riguarda i voti ai listini regionali (voto maggioritario), in tutte e quattro le tornate elettorali regionali molisane della Seconda Repubblica.

    Figura 1

    Come si vede, dopo un momento di iniziale equilibrio (elezioni del 1995), il centrodestra ha ottenuto una vittoria schiacciante nel 2001, anno nel quale è iniziato il primo mandato del Presidente attuale. Da allora però, il consenso allo schieramento di Iorio è andato costantemente calando. Nel 2006, in un momento nazionale molto favorevole alla coalizione di centrosinistra, Iorio, pur perdendo 4 punti rispetto a cinque anni prima, era riuscito a confermarsi Presidente con uno distacco nettissimo dal suo avversario. In questa tornata, invece, la vittoria è arrivata sul filo di lana, e questo a causa di un ulteriore arretramento dello schieramento conservatore. A confronto con il 2006, infatti, il centrodestra ha perso più di sette punti percentuali, per un totale, in termini assoluti, di quasi 23.000 voti. Assolutamente troppi per poter essere giustificati dalla decrescita della partecipazione (l’affluenza è passata dal 65,1 al 59,8%), che invece è sufficiente a spiegare il calo, in termini assoluti, del centrosinistra. La coalizione progressista infatti, pur perdendo circa 8.000 rispetto al 2006, a livello percentuale è rimasta sui livelli delle scorse elezioni regionali, attorno al 46%.

    Il distacco fra i candidati delle due coalizioni si è dunque ridotto moltissimo (dall’8 allo 0,8%). Non abbastanza però da consentire al centrosinistra il sorpasso, anche se veramente di un soffio.

  • Regionali Molise 2011: l’offerta politica

    di Federico De Lucia

    Nel prossimo fine settimana i cittadini della più piccola fra le Regioni a statuto ordinario italiane, il Molise, si recheranno alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Regione e per rinnovare il Consiglio regionale. Pur non potendo parlare di una tornata elettorale molto rilevante dal punto di vista della politica nazionale, visto lo scarso peso demografico della Regione, si tratta comunque del primo banco di prova cui si sottopongono i partiti e gli schieramenti dopo le elezioni amministrative dello scorso maggio.

    L’offerta politica che si presenterà agli elettori mostra un contesto quasi perfettamente bipolare, il che appare nettamente contraddittorio rispetto alle evoluzioni che il sistema partitico nazionale ha evidenziato negli ultimi anni. In particolare, agli elettori si presenteranno un centrodestra ed un centrosinistra sostanzialmente compatti: il primo candida per la terza volta consecutiva (la quarta, se consideriamo anche la tornata del 2000, poi annullate dal TAR) il Presidente uscente Michele Iorio; il secondo gli oppone il democratico Paolo di Laura Frattura. Gli altri due candidati in lizza sono Giovancarmine Mancini, candidato di La Destra, e Antonio Federico, sostenuto dal Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo. In Molise in sostanza non vi è traccia della novità più consistente che a livello nazionale si è registrata negli ultimi tempi: il Terzo Polo.

    Se si dà una occhiata alla storia elettorale del Molise della Seconda Repubblica, ci rendiamo conto di come questo non sia un caso. Il Molise è una delle Regioni italiane in cui il bipolarismo si è instaurato con più rapidità, ed in cui esso si è consolidato con più tenacia. In Tabella possiamo vedere come già nel 1995 gli schieramenti in campo fossero solo due. La stessa situazione si è verificata nel 2001 e nel 2006. Nel 2000 i candidati alla presidenza furono 4 ma, come oggi, 2 di essi erano sostenuti da liste isolate e assolutamente minoritarie (allora furono i Radicali e la Fiamma Tricolore).

    Tabella 1

    


    Bipolarismo sì, ma anche frammentazione, in ossequio al paradigma che ha caratterizzato l’intero paese nell’ultimo ventennio. Il numero di liste presentate è sempre stato molto alto se si pensa alle limitate dimensioni del contesto di cui parliamo, e questo sia per quanto riguarda il centrodestra che per quanto riguarda il centrosinistra. Ed anche alla tornata elettorale che si svolgerà fra pochissimi giorni gli schieramenti politici si avvicinano con un aspetto piuttosto variegato.

    Tabella 2

    Il centrodestra è composto dal PdL, da due liste centriste come l’UDC e l’AdC (il movimento di Pionati), da due liste meridionaliste come l’UDEUR e Grande Sud (la nuova formazione guidata da Miccichè), e da due liste civiche locali già attive da ormai un lustro (Progetto Molise e Molise Civile). Il centrosinistra è invece composto da PD, IdV (molto forte, come noto, nella Regione originaria di Di Pietro), SEL, FdS, PSI, dalla lista Alternativ@ (in cui sono confluiti candidati di ApI e di FLI), e dalla lista civica Costruire Democrazia (che fa capo al senatore ex IdV, Peppino Astore).

    Ed il Terzo Polo? Semplice: in questa regione ancora non esiste. L’UDC è legatissimo al candidato Iorio (addirittura circolano voci su un suo prossimo trasferimento nel partito di Casini), e dunque non si è discostato dalla sua collocazione di centrodestra. L’ApI, priva di interlocutori centristi, ha preferito rimanere nel suo schieramento di provenienza. FLI, infine, dilaniato dall’incapacità di scegliere, ha preferito evitare di presentare il simbolo, e ha lasciato che alcuni suoi esponenti venissero ospitati dalla lista dell’ApI.

  • Provinciali 2011: i ballottaggi caso per caso

    di Federico De Lucia

    La netta sconfitta del centrodestra è stata determinata dal combinato agire di due fattori: la smobilitazione dell’elettorato di destra, e il comportamento strategico di quello di sinistra. Nella Tabella 1 presentiamo la dimostrazione più dettagliata di come questi fattori abbiano agito nei 6 casi in esame, singolarmente considerati. In via preliminare, ricordiamo come gli apparentamenti ufficiali intervenuti fra primo e secondo turno siano stati pochi e di scarsa importanza: l’UDC, non senza polemiche locali, ha scelto di sostenere esplicitamente il candidato di centrodestra a Vercelli; la Lega Nord si è apparentata con il candidato del PdL a Trieste; il candidato del centrosinistra a Pavia ha ottenuto il sostegno esplicito di due candidati minori, i Verdi e i Pensionati (ma non quello del candidato della FdS).

    Tabella 1

    Come si vede dalla Tabella, il centrosinistra ha vinto in 4 casi su 6: Pavia, Mantova, Trieste, Macerata. In 3 di questi, ovvero ovunque tranne che a Pavia, lo schieramento progressista partiva da un risultato del primo turno che lo vedeva in vantaggio rispetto agli avversari. A Trieste tale vantaggio era assolutamente evidente, in conseguenza da una parte della totale assenza di candidati di sinistra di disturbo e, dall’altra, della eccessiva frammentazione dell’offerta politica di centrodestra. A Mantova e a Macerata il vantaggio del centrosinistra nei confronti del centrodestra era invece limitato a qualche decimo di punto, ma in entrambi questi casi si registrava la presenza di candidati minori della sinistra radicale tutt’altro che ininfluenti dal punto di vista del consenso. A Pavia invece i progressisti partivano da uno svantaggio evidente, superiore ai 10 punti percentuali, che, cosa ancor più da rimarcare, non era affatto colmato dalle quote di consenso dei pur presenti candidati minori alla sinistra del PD. La vittoria del centrosinistra in questi contesti può essere considerata come il prodotto dei fattori sopraindicati, anche se presenti con dosature diverse a seconda del contesto: a Trieste è bastato in buona sostanza rimobilitare il proprio elettorato per ottenere la vittoria; a Mantova e a Macerata è intervenuto, in modo puntuale e quasi matematico, il voto strategico degli elettori che al primo turno avevano votato i candidati minori di sinistra; a Pavia, dove nemmeno quest’ultimo sarebbe bastato, è stata decisiva la smobilitazione dell’elettorato di centrodestra.

    A Vercelli e a Reggio Calabria ha invece vinto il centrodestra. In entrambi questi casi era lo schieramento conservatore a partire da una posizione di forte vantaggio, ma per motivi diversi. A Vercelli si era sfiorata la vittoria già al primo turno nonostante la defezione dei candidati del terzo polo, e questo a causa della collocazione politica storicamente conservatrice dell’elettorato locale. Dopo un primo turno del genere, potrebbe stupire il minimo scarto con cui Vercellotti ha prevalso su Bobba al turno di ballottaggio: il riavvicinamento fra i due schieramenti è dipeso essenzialmente dallo stesso fenomeno che abbiamo visto a Pavia, ovvero dall’astensionismo degli elettori di destra, che, forse convinti di aver già vinto, hanno rischiato seriamente di regalare al centrosinistra anche Vercelli. A Reggio invece lo scarto di quasi venti punti che si era registrato al primo turno fra Raffa e Morabito è stato provocato dalla spaccatura del PD locale, in buona parte allettato dalla strategia terzista di Pietro Fuda. Una spaccatura che, non essendo intervenuti apparentamenti ufficiali fra i due candidati di sinistra, non è stata sanata in occasione del ballottaggio.

  • Provinciali 2011: l’affluenza alle urne in occasione dei ballottaggi

    di Federico De Lucia

    Al turno di ballottaggio delle Provinciali 2011 l’affluenza alle urne, rispetto al primo turno, è calata di ben 15 punti percentuali. È passata, in particolare, dal 60,8% al 45,9% degli aventi diritto. Nella Tabella 1, possiamo vedere i dati della partecipazione elettorale Provincia per Provincia.

    Tabella 1

    Il calo è, come si vede, generalizzato. Esso varia da un minimo del 6% a Trieste ad un massimo del 14,3% a Pavia. Come vero e proprio caso anomalo, va segnalato poi il crollo di Reggio Calabria: si è recato alle urne solo il 34,6% degli elettori, quasi la metà di quanti avevano votato due settimane fa. Se il dato reggino è in gran parte spiegato con il fatto che l’elettorato meridionale è molto meno interessato all’elezione del Presidente di quanto non lo sia all’elezione dei consiglieri, e che quest’ultima era già in gran parte decisa dopo il primo turno, possiamo fare una interessante osservazione sui dati degli altri casi.

    Colorando in Tabella il nome delle Province, si è segnalato quale fosse lo schieramento che si trovava in vantaggio dopo il primo turno in ciascuno dei casi in esame. Come si vede, l’affluenza cala di più dove il centrodestra era in vantaggio e cioè a Vercelli e a Pavia (oltre che a Reggio). In questi due contesti una vittoria delle sinistre poteva apparire quasi impossibile a chi avesse osservato i risultati del primo turno. Segnaliamo questa relazione per far notare un’altra possibile spiegazione dell’astensionismo degli elettori di centrodestra: potrebbe cioè darsi che l’elettorato di centrodestra abbia scelto di restare a casa non per lanciare un messaggio di insoddisfazione nei confronti dei propri partiti, ma al contrario perché in questi contesti era sicuro di aver già vinto. Tuttavia un atteggiamento del genere appare non proprio consono al momento che stiamo vivendo a livello di clima politico generale, e l’importanza cruciale che questi ballottaggi hanno assunto sotto il profilo delle loro conseguenze sulla politica nazionale avrebbe consigliato un maggior grado di attivismo militante. Questa ipotesi pare inoltre contraddetta, almeno parzialmente, dal fatto che anche a Macerata e Mantova, dove al contrario la battaglia fra i due schieramenti era apertissima, si è registrata una diminuzione dei consensi assoluti del centrodestra.

    Comunque, a prescindere da quale sia il motivo per cui l’hanno fatto, restando a casa gli elettori di centrodestra hanno regalato al centrosinistra Pavia ed hanno rischiato seriamente di fare lo stesso con Vercelli.

  • Provinciali 2011: finisce 7 vittorie a 4 per il centrosinistra, anche al ballottaggio gli elettori di destra restano a casa

    di Federico De Lucia
    Alla fine gli elettori di centrodestra hanno scelto di rimanere a casa anche in occasione di questo importante turno di ballottaggio. Contrariamente rispetto a due settimane fa, è ora possibile attribuire un significato esatto a questo comportamento. Astenersi al secondo turno è cosa ben diversa, infatti, che astenersi al primo. Un conto è astenersi per mandare un semplice, più o meno risentito, messaggio di insoddisfazione verso i propri rappresentanti, altro conto è scegliere deliberatamente, non recandosi alle urne al ballottaggio, di rischiare di regalare la vittoria allo schieramento avversario. (Ambien) Restando a casa in questa ultimissima occasione, gli elettori di centrodestra hanno fatto questa seconda scelta, o quantomeno hanno ottenuto questo secondo risultato. Il risultato, inutile dirlo, è l’esponenziale rafforzamento del messaggio di insofferenza da loro inviato a PdL e Lega Nord. L’affluenza, rispetto al primo turno, è calata in modo vistosissimo: si è passati dal 60,8% al 45,9% degli aventi diritto al voto. Un tracollo che ha colpito in modo nettamente asimmetrico il centrodestra, come reso palese dalla Tabella 1.

    Tabella 1

    Fra il primo ed il secondo turno (considerando nel primo di questi anche i candidati minori delle due aree politiche) i candidati di destra hanno perso quasi 80.000 voti, mentre quelli di sinistra hanno confermato lo stesso numero di elettori di due settimane prima. Pare cioè essersi concretizzata la peggiore fra le prospettive che due settimane fa avevamo indicato come possibili per il centrodestra. Mentre i propri sostenitori sono rimasti in gran parte a casa, gli elettori delle sinistre hanno confermato un grado di mobilitazione notevole e, quel che più conta, si sono mostrati come assolutamente disponibili a votare in modo strategico, cioè a modificare razionalmente il proprio comportamento elettorale fra primo e secondo turno, convergendo sul candidato più progressista fra i due rimasti in lizza, al fine di canalizzare su un solo nome il voto contrario alle forze conservatrici.
    In attesa di procedere ad una analisi più approfondita, riportiamo qui il riepilogo definitivo delle vittorie e delle sconfitte alle elezioni Provinciali 2011. Si tratta di una tabella già pubblicata in un precedente articolo, ma che adesso è stata aggiornata con i risultati dei ballottaggi.

    Tabella 2

    Il computo del ballottaggio è 4 successi a 2 per il centrosinistra, che riesce così nell’impresa di portarsi sul 7 a 4 complessivo, esattamente come nel 2006. Dal comportamento razionale dell’elettorato di centrosinistra e dall’ulteriore smobilitazione da parte di quello di destra sono derivate ben tre delle quattro vittorie ottenute dal centrosinistra in questo turno di ballottaggio: mentre a Trieste è stato infatti sufficiente mantenersi fedele il bacino di voti del primo turno, sia a Mantova che a Macerata che a Pavia le differenze di mobilitazione dei due elettorati sono stato assolutamente decisive nel determinare l’esito favorevole ai progressisti. In particolare, può essere considerata una vera e propria impresa il successo di Pavia, dove il candidato di sinistra partiva da uno svantaggio superiore ai dieci punti percentuali: in quel caso i due fattori cui si faceva riferimento (voto strategico degli elettori dei candidati di sinistra minori, astensionismo degli elettori di destra) hanno agito simultaneamente, determinando una sorta di ribaltone rispetto a ciò che si era visto due sole settimane fa.
    Se a questi successi aggiungiamo il fatto che anche nei due casi in cui il centrosinistra è uscito sconfitto, Vercelli e Reggio Calabria, come vedremo, la smobilitazione dell’elettorato di destra ha portato ad una vittoria risicatissima, il quadro che risulta è una sorta di corollario di quello di due settimane fa. Una sconfitta bruciante dello schieramento governativo, colpito da un evidente astensionismo asimmetrico, ed una sinistra al contrario capace di tenere le posizioni, e di sfruttare a proprio vantaggio la pessima prestazione degli avversari.

  • Provinciali 2011: il voto ai partiti, calano i grandi e salgono i piccoli

    di Federico De Lucia

    Dopo aver analizzato, in precedenti articoli, le prestazioni degli schieramenti e dei partiti parlamentari, confrontandole con le tornate elettorali degli ultimi cinque anni, forniamo ora il riepilogo delle prestazioni di tutti i partiti (parlamentari o meno, grandi o piccoli che siano). In questo caso, a causa di esigenze di omogeneità nell’offerta politica, ci limitiamo ad un confronto con le regionali scorse. Ovviamente, a maggior ragione che per le analisi precedenti, il nostro aggregato territoriale si limita alle sole 8 Province per le quali il confronto con il 2010 è possibile. Nella Tabella riportiamo i risultati delle elezioni sia in valori assoluti che in percentuali.

    Tabella 1.

    Come già si era visto in un precedente articolo, i cinque partiti più grandi, quelli rappresentati in Parlamento, perdono consensi assoluti rispetto all’anno scorso. Ed in particolare sono i partiti di governo a mostrarsi più in difficoltà, mentre fra quelli di opposizione, l’unico a tenere è il PD. I partiti minori sono invece tutti in attivo rispetto alle regionali. In particolare, ed in coerenza con le aspettative, è SEL, la formazione di Vendola, a fare il passo in avanti più significativo. Il valore assoluto di quest’anno raddoppia rispetto a quello delle regionali scorse. Le altre liste minori (FdS, PSI, La Destra, ApI) rimangono per lo più costanti, il che, va detto, in un contesto di calo della partecipazione è un dato che identifica comunque una prestazione positiva. Come si vede, ottengono una quota rilevante di consenso, ben maggiore rispetto alle regionali, i movimenti minori, liste civiche od altro, che in tabella abbiamo collocato sotto la voce Altri (di CDX o di CSX o del Terzo Polo). Questo dipende dal fatto che a livello provinciale (e comunale), queste piccole liste hanno tradizionalmente molto più successo rispetto che a livello regionale.

    Passando a commentare i valori percentuali, le impressioni ricavate dall’analisi dei voti assoluti escono addirittura rafforzate. I partiti di governo sono in grossa difficoltà. PdL e Lega Nord calano in modo consistente, e le loro perdite non sono affatto compensate dalla pur consistente crescita del voto ai movimenti minori e alle liste civiche d’area. Lo schieramento nel suo complesso subisce dunque un notevole ridimensionamento, perdendo quasi 11 punti percentuali.

    Sulla sinistra, il PD riesce a tenere le posizioni, mentre l’IdV cala sensibilmente. Salgono invece i partiti minori, le liste civiche e le formazioni della sinistra radicale. In particolare è SEL a fare il balzo maggiore, collocandosi, nel nostro aggregato, poco al di sotto del 4%. Sebbene si tratti di un considerevole passo in avanti rispetto al 2010, anno nel quale la formazione di Vendola era ancora agli esordi, va detto che la percentuale ottenuta non appare lusinghiera quanto quella che i sondaggi indicavano come prevedibile. Il movimento di Vendola, pur salendo molto rispetto all’anno scorso, nel nostro aggregato è rimasto nettamente al di sotto delle attese. Nel complesso il centrosinistra, pur non guadagnando consensi assoluti rispetto all’anno scorso sfrutta la smobilitazione delle destre per salire di 4,5 punti. Lo scarto che separa i due schieramenti, nel corso di un anno, è dunque sceso di ben 15 punti percentuali: dai 17 punti del 2010 ai due scarsi di oggi. Una rimonta pressochè identica a quella che abbiamo rintracciato nella competizione fra candidati.

    Più complessa risulta l’analisi della prestazione dei partiti che compongono il terzo polo. Se si osservano i risultati delle liste singolarmente intese il giudizio non può che essere nettamente negativo: mentre l’UDC cala di più di un punto, l’ApI e soprattutto il nuovo movimento di Fini restano addirittura sotto l’1%. Tuttavia, per questi movimenti, le attenuanti ci sono tutte: in primo luogo il loro dato è sottostimato perché questi partiti non erano presenti ovunque con liste proprie, avendo spesso fatto lista comune fra loro, o essendo entrati in liste civiche locali; in secondo luogo si tratta di movimenti nati da pochissimo, con una organizzazione territoriale estremamente flebile, cosa che a livello locale produce conseguenze assolutamente nefaste; in terzo luogo questi movimenti si collocano in un’area politica che tradizionalmente soffre moltissimo la concorrenza di liste civiche e movimenti locali in generale. Se si osserva l’ottimo risultato della voce “Altri Terzo Polo” (in cui, tra l’altro, sono state inserite anche le varie liste congiunte presentate dai tre movimenti in esame) ci si rende conto bene del fenomeno di cui parliamo: è anche e soprattutto grazie a queste altre liste (civiche o congiunte che siano) che la quota di consensi del nuovo agglomerato centrista è salita sopra l’8%.

    Riassumendo dunque, queste elezioni provinciali mostrano: un deciso calo del centrodestra sotto il profilo del consenso alle liste, sia per il PdL che per la Lega Nord; una tenuta del PD e del centrosinistra in generale, con le perdite di Di Pietro compensate dalla relativa crescita di SEL; un terzo polo di dimensioni ancora piccole, ma che, pur non avendo certo sfondato e non essendo ancora quantificabile esattamente in ciascuna delle sue componenti, si è dimostrato sufficientemente corposo dal costringere gli altri due poli al ballottaggio in molte circostanze.

  • Provinciali 2011: fra i candidati di sinistra e quelli di destra il gap è ormai colmato

    di Federico De Lucia
    Sino ad ora, nelle nostre analisi sulle elezioni provinciali del 15 e 16 maggio scorsi, ci siamo concentrati esclusivamente sulla competizione proporzionale: abbiamo cioè analizzato le prestazioni di partiti e schieramenti solo sotto il profilo dei voti ottenuti dalle liste di candidati consiglieri. Ci concentriamo ora, invece, sulla competizione maggioritaria.
    Nelle Figure 1 e 2 sono riportate (in valori assoluti e percentuali) le prestazioni degli schieramenti di centrosinistra e di centrodestra, sotto il profilo dei consensi ottenuti dai candidati alla presidenza della Provincia. Il confronto che presentiamo è con le regionali dello scorso anno, e cioè con le prestazioni di allora dei due schieramenti nella competizione maggioritaria fra i candidati alla presidenza regionale.
    Ovviamente, anche in questo caso, sono escluse dal nostro aggregato di riferimento le province di Gorizia, Trieste e Campobasso, nelle quali l’anno scorso non si è votato. Nel totale dei due schieramenti vengono conteggiati anche gli eventuali candidati minori che affersicono alla stessa area politica (ad esempio i candidati autonomi di IdV e SEL per il centrosinistra, o di La Destra per il centrodestra), al fine di fornire una esatta indicazione dei rapporti di forza fra i due schieramenti.


    Come si vede, che si parli di valori assoluti o di percentuali, l’impressione che si ricava dalle due figure è piuttosto netta: da una parte il centrodestra scende sensibilmente, dall’altra il centrosinistra tiene e si consolida. Nonostante questo, e contrariamente rispetto alle contemporanee elezioni comunali, il centrodestra rimane in lieve vantaggio nel nostro campione, che, ricordiamolo, è nettamente favorevole al blocco conservatore sotto il profilo della geografia politica. (stomadentlab.com)
    I candidati di centrosinistra, rispetto all’anno scorso, ottengono ben 25.000 voti in più, e questo è un dato che va sottolineato, se si pensa che l’affluenza è nel frattempo calata. Una rimobilitazione che si traduce in un incremento di ben 4,6 punti percentuali. I candidati di centrodestra, invece, perdono quasi 260.000 voti rispetto all’anno scorso, e crollano di ben 10,3 punti. Nel nostro aggregato dunque, il gap che separava le due coalizioni si è assottigliato sin quasi ad estinguersi. L’anno scorso era di 17,2 punti, ora è di soli 2,3. Tra l’altro, è bene ricordarlo, l’evidente calo del centrodestra che si è documentato non è in nessuna misura l’effetto ottico prodotto dalla nascita del terzo polo. Le forze che compongono tale formazione centrista provengono tutte, in effetti, dal centrodestra, ma alle regionali scorse, nel nostro aggregato, l’UDC aveva già una collocazione in gran parte autonoma, molto simile a quella che ha avuto in questa occasione. Dove correva da solo dunque, il partito di Casini è stato considerato come esterno al blocco di centrodestra sia per i dati del 2011 che per quelli del 2010. I voti maggioritari dei candidati terzisti sono raddoppiati rispetto a quelli dei candidati casiniani dell’anno scorso, e questo a causa, certo, della scissione finiana, ma anche, è bene dirlo, di un netto travaso di voti in fuga da Berlusconi. Il centrodestra ha dunque perso molti consensi: li ha persi verso il nuovo aggregato centrista, verso i candidati minori e verso l’astensione. Il centrosinistra è stato invece capace di rimobilitare il proprio elettorato, colmando quasi interamente la distanza che lo separava dai rivali in questo aggregato territoriale.

  • Provinciali 2011: l’astensionismo asimmetrico punisce il centrodestra

    di Federico De Lucia

    Come si è visto a proposito del computo delle vittorie, le elezioni provinciali appena tenutesi sono state caratterizzate da una evidente multipolarizzazione dell’offerta. Le difficoltà interne che stanno vivendo centrodestra e centrosinistra a livello di politica nazionale hanno portato ad una proliferazione delle candidature minori: questo non poteva che rendere più difficile per i poli maggiori il raggiungimento della vittoria al primo turno, ed il numero dei ballottaggi è conseguentemente triplicato rispetto alle provinciali scorse. Questo dato però non ci fornisce indicazioni precise sulle vere e proprie performance elettorali dei due schieramenti maggiori. A questo fine pubblichiamo le due Figure seguenti, che riportano, in valori assoluti e percentuali, l’andamento dei due blocchi politici di centrodestra e centrosinistra nell’arco degli ultimi cinque anni (confrontando le amministrative odierne a quelle scorse, e alle ultime elezioni politiche e regionali). L’aggregato territoriale che ci interessa corrisponde alle 8 Province, tra quelle che hanno votato domenica e lunedì scorso, con le quali è possibile operare un confronto con le regionali dello scorso anno. Sono dunque escluse dal nostro aggregato le due province friulan-giuliane e quella molisana.

    Per “centrodestra” e “centrosinistra” intendiamo gli aggregati formati dai partiti che attualmente si possono attribuire alle due coalizioni principali a livello nazionale. Ci siamo dunque limitati, in questa analisi, alle sole formazioni identificabili come partiti effettivamente strutturati: PD, SEL, IdV, FdS, PSI, Verdi, Radicali per il centrosinistra, e PdL, Lega Nord e La Destra per il centrodestra. Abbiamo tralasciato volutamente le liste civiche e i movimenti minori.

    Figura 1

    Nella Figura 1 possiamo vedere in modo inequivocabile come sono andate effettivamente le cose: l’elettorato di centrodestra si è totalmente smobilitato, in modo incomparabilmente maggiore rispetto a quello di centrosinistra, e non solo rispetto alle ultime elezioni politiche (cosa di per sé piuttosto comprensibile), ma anche rispetto alle regionali dello scorso anno. Il centrodestra perde addirittura 311.000 voti rispetto al 2010, quasi il 38% del proprio elettorato. Il centrosinistra si limita a perdere 36.000 voti, solo il 6% del proprio elettorato. In sostanza siamo tornati ad una situazione simile a quella del 2006, il momento migliore dell’Unione prodiana, con il centrosinistra in lieve vantaggio. Che l’elettorato di centrodestra (e specialmente quello berlusconiano) non si mobiliti in occasione delle elezioni amministrative è cosa abbastanza usuale. Le cose che stupiscono sono due: in primo luogo la misura del ridimensionamento rispetto alle regionali dello scorso anno, che pure erano elezioni amministrative anch’esse; in secondo luogo il fatto che tale calo abbia coinvolto, per la prima volta da molti anni, anche la quota leghista dell’elettorato di centrodestra, come già si è visto in un precedente articolo.

    Se osserviamo la Figura 2, che riporta non i valori assoluti ma quelli percentuali, l’impressione è addirittura più sfavorevole nei confronti del centrodestra. Al netto delle fluttuazioni della partecipazione elettorale risulta ancora più evidente il calo dei partiti di governo rispetto alle regionali del 2010, mentre appare più nitida la capacità di tenuta che in questa occasione hanno evidenziato le sinistre. Ci teniamo a sottolineare che gli aggregati di centrodestra non comprendono l’UDC nemmeno per le scorse tornate: il crollo di PdL e Lega è interamente da addebitarsi alle proprie perdite, e non a rimodulazioni dell’offerta politica.

    Figura 2

    La differenza, in queste elezioni provinciali, pare dunque averla fatta la disillusione dell’elettorato di centrodestra che, disertando le urne, pare aver voluto mandare un messaggio molto chiaro ai propri rappresentanti. Vedremo se le cose cambieranno ai ballottaggi: se così non dovesse essere per le destre potrebbe essere una debacle, ed il centrosinistra, pur senza eccessivi meriti, potrebbe effettivamente ritrovarsi vincente.

  • Provinciali 2011: al crollo dei partiti di governo si oppone la tenuta del PD

    di Federico De Lucia

    Una delle più interessanti analisi che si possono fare relativamente alle recenti elezioni provinciali è quella che si riferisce alle performance elettorali dei principali partiti. Nelle Figure che seguono si riporta, in valori assoluti e percentuali, l’andamento dei partiti italiani attualmente presenti in Parlamento. L’area geografica di riferimento corrisponde alle sole 8 Province nelle quali, fra quelle in cui si è votato domenica e lunedì scorsi, è possibile operare un confronto con le regionali dello scorso anno: si tratta dunque di Vercelli, Pavia, Mantova, Treviso, Ravenna, Lucca, Macerata, Reggio Calabria, mentre sono escluse dal nostro aggregato Gorizia, Trieste e Campobasso. Il periodo di riferimento copre tutto l’arco temporale che ci separa dallo scorso turno amministrativo: si confrontano dunque i dati di questa tornate con quelli delle provinciali scorse, con quelli delle ultime elezioni politiche e con quelli delle ultime elezioni regionali.

    Figura 1

    Concentrandoci in primo luogo sui valori assoluti si nota subito come la differenza sia stata fatta, in queste elezioni, dalle diverse capacità di mobilitazione dei due schieramenti. In particolare risulta evidente la smobilitazione dell’elettorato di centrodestra: PdL e Lega Nord, rispetto alle regionali scorse, perdono rispettivamente 181.000 voti (il 40,1% del proprio elettorato 2010) e 132.000 voti (il 36,3% del proprio elettorato 2010). Per la Lega si tratta del primo, brusco calo da cinque anni a questa parte, ed è proprio questo che potrebbe preoccupare i vertici del Carroccio. Per il PdL si tratta di una smobilitazione che potrebbe ricordare quelle, usuali, che FI era solita mostrare alle elezioni amministrative: se però confrontiamo il dato 2011 con quello delle scorse comunali (2006) ci rendiamo conto bene di quanto la smobilitazione odierna sia maggiore di quella allora. Il PD pur soffrendo anch’esso, limita le perdite a soli 35.000 voti, corrispondenti all’8,6% dei propri elettori dello scorso anno: una sostanziale tenuta rispetto al 2010, che conduce il partito di Bersani al sorpasso ai danni di quello di Berlusconi, anche senza tornare ai fasti del 2006. Anche i due partiti minori, UDC e IdV, perdono molti elettori: il partito di Di Pietro ben 38. (Diazepam) 000 (il 37,1% del proprio elettorato, quello di Casini  28.000 (il 30,8% del proprio). Per quest’ultimo tuttavia si deve considerare una attenuante: a Treviso l’UDC si è presentata in lista comune con FLI e ApI, e i voti ottenuti da tale aggregato non sono stati dunque addebitati ai postdemocristiani. Il loro totale di voti dunque è leggermente sottostimato.

    Questi dati, ovviamente, pur segnalando in modo inequivocabile il calo di popolarità elettorale che sta vivendo il sistema partitico attualmente rappresentato in Parlamento, potrebbero assumere un peso diverso se pensiamo che rispetto alle regionali scorse l’affluenza è calata di circa 5 punti percentuali. Appunto per sgombrare il campo da questi legittimi dubbi riportiamo in pagina la Figura 2, dedicata, per ogni partito, non ai valori assoluti ma alle percentuali sul totale dei voti validi.

    Come si vede, le cose non cambiano quasi per nulla. Le perdite dei due partiti di centrodestra sono ben lontane dall’essere compensate dal calo del’affluenza: il PdL perde quasi nove punti, crollando al 17,9% e raggiungendo il suo minimo storico, mente la Lega interrompe l’ascesa delle ultime tornate, e cala di sei punti percentuali, attestandosi al 15,4% del nostro totale (ricordiamo che stiamo parlando di un territorio in gran parte settentrionale, essendo solo Reggio Calabria la provincia, fra quelle considerate, nella quale il Carroccio non si è presentato). Anche UDC e IdV subiscono un arretramento significativo rispetto all’anno scorso. Il PD è l’unico le cui lievi perdite siano compensate dal calo dell’affluenza. In termini relativi i democratici riescono addirittura a recuperare qualche decimo di punto rispetto alle regionali dell’anno scorso, confermandosi comunque sui livelli che sono loro propri, per lo meno in questo aggregato territoriale (a conferma di ciò si noti il dato del 2006).

    Figura 2

    Nel complesso dunque si deve notare un deciso arretramento dei partiti parlamentari rispetto alle tornate elettorali degli ultimi anni. Una porzione di queste perdite si spiega con il fatto che molti delusi hanno scelto di affidarsi a chi in Parlamento non è attualmente rappresentato (ad esempio le sinistre radicali). A prescindere da dove si sia diretta questa quota di consenso, il fatto che il calo di voti sia così nettamente sbilanciato a sfavore dei partiti di governo non può che essere sottolineato con forza.