Autore: Lorenzo De Sio

  • L’Italia inquieta del 2014

    L’Italia inquieta del 2014

    di Lorenzo De Sio

    Un paese inquieto. Stretto tra l’insoddisfazione per il presente della politica (e, in modo crescente, anche per il processo di integrazione europea), il disagio per una crisi economica che non accenna a placarsi (vedi l’analisi di Vincenzo Emanuele), e al tempo stesso la disponibilità ad aprire un credito a proposte politiche potenzialmente nuove – quella del neosegretario Pd Renzi in primis (vedi l’analisi). E’ quello che emerge dalle analisi tratte dall’indagine Osservatorio Politico CISE del dicembre 2013. Ma qual è – se esiste – il filo rosso che unisce dati apparentemente ambigui e contraddittori? Qual è una possibile chiave di lettura? Cosa si muove sottotraccia nell’Italia inquieta del 2014?

    E’ difficile cercare una risposta a questa domanda senza chiamare in causa quel processo politico profondo che sta scuotendo l’intera Europa occidentale. Uno scontro il cui clangore delle armi si comincia a sentire già ora, e che molto probabilmente ci riserverà sviluppi politici difficili nei prossimi mesi e ancor più nei prossimi anni, catalizzati dalle elezioni europee di fine maggio. Si tratta di un processo invero abbastanza semplice, come ha suggerito pochi giorni fa Nadia Urbinati su Repubblica[1].

    Da anni le istituzioni europee (secondo una visione dell’economia globale che è in linea con quella del mondo economico e finanziario internazionale) stanno forgiando una particolare visione della cittadinanza europea. Una visione che pone la massima enfasi sulla libertà. In cui ciascun cittadino viene dotato di un “kit” di base di diritti e libertà essenziali, con cui poi andarsene in giro per la vasta Europa, appeso a poco più che le sue capacità di iniziativa e di riuscita individuale. Con la possibilità di raggiungere i traguardi più alti, ma anche (e forse più spesso) di sprofondare nella miseria più nera. In altre parole, una visione molto simile a quella che da secoli anima gli Stati Uniti, non l’Europa.
    Europa in cui viceversa la cittadinanza – da secoli – è sempre stata costruita e fondata essenzialmente sull’uguaglianza. Attraverso processi di inclusione sociale, tesi proprio ad alleviare l’estrema miseria e disuguaglianza, e a tenere i cittadini uniti in reti di protezione sociale (quelle reti il cui progressivo smantellamento sembra essere divenuto il punto principale dell’agenda politica europea).

    Che questa visione di cittadinanza sia quella più consona alla maggior parte dei paesi europei è confermato chiaramente anche nel caso dell’Italia, in base ai nostri dati. Su una domanda tesa a misurare la disponibilità a sacrificare il welfare in nome di una minore pressione fiscale (la classica dimensione “egualitarismo/liberismo”), gli italiani infatti si pronunciano chiaramente a favore del welfare. In misura massiccia (75%) e assolutamente trasversale agli schieramenti (vedi l’analisi di Aldo Paparo).

    Non diversamente dagli altri grandi paesi europei. E quindi ne scaturisce uno scontro che è ormai diventato inevitabile e ineludibile, e che potrebbe emergere come un asse comune in grado di orientare il voto alle prossime elezioni europee in vari paesi. Quello che vede da un lato i fautori di un’idea liberista di Europa, sorretti dal mantra del rigore di bilancio e del contenimento del debito. E, per adesso, dall’altro lato un fronte sempre più agguerrito che, nel rivendicare il primato dell’uguaglianza (su base, però, etnica), si mostra ben disponibile a sacrificare pezzi enormi di libertà e diritti della democrazia. Così la notizia dell’alleanza di ferro tra Marine Le Pen e Geert Wilders, populisti eleganti ma xenofobi in Francia e Olanda, entrambi dati in grande ascesa – ed eccitati all’idea di estendere il patto a Beppe Grillo (anche se per adesso pare che il loro partner italiano sarà la Lega Nord). Un’alleanza cementata dall’ostilità verso l’integrazione europea, ma soprattutto da quella verso gli immigrati, visti come responsabili della crisi economica e soprattutto come minaccia al welfare e ai valori europei. Che vede al centro la dottrina della preferenza nazionale, elaborata per primo da Le Pen padre: “prima i francesi!”. Dottrina che, introducendo una nozione di cittadini di serie A e B, configura proprio il sacrificio dei diritti (e della democrazia) nel nome di una presunta uguaglianza su base etnica. Con sviluppi non difficili da immaginare, se si guarda alla storia d’Europa.

    Che non si tratti di speculazioni astratte lo dicono anche i dati del nostro recente sondaggio, in cui abbiamo voluto testare la presenza in Italia di potenziali atteggiamenti di welfare chauvinism [Andersen e Bjørklund 1990]. Scoprendo che circa il 58% degli italiani è d’accordo con il fatto che il welfare dovrebbe sempre dare la precedenza agli italiani sugli immigrati. Questo tema finora è stato confinato alla nicchia della Lega Nord; tuttavia Grillo in più di una occasione ha ammiccato visibilmente in quella direzione. Sarà un tema chiave delle prossime elezioni europee?

    Lo sarà, forse, soprattutto se continuano a latitare quelle posizioni che potrebbero proporre una soluzione al dilemma; ovvero proposte per riformare profondamente i sistemi di welfare europei, mantenendo tuttavia una visione attenta all’uguaglianza, e evitando le tentazioni liberiste che si sono finora imposte nel progetto europeo. E senza introdurre discriminazioni che distruggerebbero i diritti della democrazia.

    Su questo finora i partiti della sinistra europea hanno decisamente latitato. Tuttavia, ad esempio nel caso italiano, i nostri dati mostrano come – dietro apparenti contraddizioni – si aprano degli spazi di opportunità. La contraddizione apparente è quella mostrata da Aldo Paparo, quando osserva che la maggioranza degli italiani è su posizioni in un caso di sinistra (la maggioranza del 75%, vista poc’anzi, per mantenere il welfare) e nell’altro di destra (il 54% del campione ritiene che i sindacati oggi in Italia abbiano troppo potere). In realtà non è difficile immaginare la composizione di questa contraddizione: si tratta di un atteggiamento che riconosce la necessità (e la possibilità) di cambiare alcuni degli strumenti per assicurare l’uguaglianza, senza tuttavia mettere in discussione i valori stessi di uguaglianza. Non deve quindi – ad esempio – sorprendere la curiosa convergenza di posizioni tra Renzi e il segretario della Fiom Landini, proprio sui temi del lavoro e del welfare. E non stupiscono i dati (mostrati da Nicola Maggini) che mostrano come il successo di Renzi alle primarie sia stato nettissimo anche tra gli elettori di sinistra.

    Si tratta quindi forse di una finestra di opportunità che sembra aprirsi tra gli elettori italiani. Consapevoli che un’epoca si è chiusa, e che la crisi deve portare a ripensare gli strumenti dell’uguaglianza; tuttavia altrettanto consapevoli che quest’uguaglianza non può e non deve essere sacrificata. In un momento in cui il pallino della politica italiana sembra in mano al centrosinistra, e in particolare al neosegretario del Pd Renzi, sembra naturale che sia proprio Renzi a cercare di raccogliere questa sfida, che tra l’altro gli permetterebbe di riempire di contenuti una leadership che appare sì molto forte e molto trasversale (vedi l’analisi) ma ancora difficile da decifrare. Offrendo forse una soluzione all’Italia inquieta del 2014.

     

    Riferimenti bibliografici

    Andersen, Jørgen Goul e Tor Bjørklund (1990). “Structural Change and New Cleavages: The Progress Parties in Denmark and Norway”, Acta Sociologica 33 (3), pp. 195-217.

     


    [1] La destra anti-europea, 21 dicembre 2013.

  • Do parties still orient voters in times of crisis? Experimental evidence of partisan cueing effects in 2013 Italy

    De Sio, L., Paparo, A., Tucker, J. A., & Brader, T. (2014). Do parties still orient voters in times of crisis? Experimental evidence of partisan cueing effects in 2013 Italy. In L. Bardi, H. Kriesi, & A. Trechsler (Eds.), Elections in the times of crisis. Contributions from the 2013 EUDO Dissemination Conference (pp. 11–34). Firenze: EUI/RSCAS/EUDO.

    A promising strand of research is adopting survey experimental approaches to assess the extent to which parties not only aggregate preferences, but are also able to shape them – a research question which becomes crucial as the economic crisis is weakening trust in parties and the party system in many European countries. Typical survey experimental designs adopt party-mention treatments, in order to assess difference in policy support based on the mention of a party to which the respondent has some kind of affinity. Results obtained so far in a variety of countries show the significant presence of party-cuing effects; however, existing research has been mostly experimenting on artificial, low-saliency issues, thus raising concerns of external validity.
    In this paper we report findings from a survey experiment on real-world, high-saliency issues, which was included in the 4th wave of the CISE (Italian Center for Electoral Studies) Electoral Panel. The panel started in early 2012, covering about 12 months before recent general elections, a period of time during which the economic crisis expressed his deepest effects. The design included three issues selected in order to maximize variance on issue complexity and content: rights for gay couples, house property tax and electoral reform. On each policy issue, respondents in the control group were asked to choose among four different policy options, while respondents in the treatment group received the same options, but each accompanied by a proponent party.
    Results show effects of party cuing that are large and significant. Respondents tend to support more a policy if they are informed that such policy is proposed by their preferred party. This effect however varies across issues. The paper also investigates variation across party identification, with findings that confirm theoretical expectations: party identifiers show stronger cueing effects than non-identifiers, although different levels of party closeness do not always correspond to cueing effects that are significantly different.
    Finally we compare cueing effects across groups characterized by different levels of exposure to the economic crisis: we hypothesize that among those who are experiencing economic difficulties such effects should be weaker, expressing less trust in the party system and in specific parties.

  • Effetto Renzi? Una grande turbolenza nelle intenzioni di voto

    di Lorenzo De Sio e Aldo Paparo

    Turbolenza. Secondo noi è questa la parola chiave che meglio identifica in questo momento le intenzioni di voto degli elettori italiani, così come sono state fotografate dall’indagine Osservatorio Politico del Dicembre 2013 (con interviste condotte tra il 16 e il 22 dicembre, quindi dopo l’acquisizione del risultato dell’elezione di Renzi a segretario del Pd, e prima della pausa natalizia).

    Turbolenza che fa registrare in questo momento intenzioni di voto molto alte per il Pd. Ben oltre quei sei punti di “effetto Renzi” individuati da vari istituti nelle ultime settimane. Tanto da spingerci, per la prima volta nella nostra serie di rilevazioni, a non presentare i risultati relativi alle intenzioni di voto.

    Non si tratta tuttavia di una decisione dovuta a scarsa fiducia nella qualità della rilevazione, analoga a quelle precedenti. Anche perché – e qui emerge un dato davvero significativo – le alte intenzioni di voto al Pd permangono anche quando si pondera il campione rispetto al voto espresso a febbraio. Spesso infatti – a causa di una maggiore reticenza degli elettori di centrodestra a farsi intervistare – accade che i campioni di intervistati siano sbilanciati verso il centrosinistra: tuttavia la ponderazione rispetto al voto espresso in passato (aumentare il peso degli elettori di centrodestra) corregge quasi sempre in modo adeguato le intenzioni di voto. Ma non in questa rilevazione. Perchè?

    Guardando in modo più attento i dati si scopre un motivo molto semplice. Ci sono forti flussi di voto in varie direzioni, che indicano una mobilità significativa – al limite della turbolenza – rispetto al voto espresso appena pochi mesi fa. Un dato per tutti: su 1257 rispondenti che dichiarano il voto espresso a febbraio, appena il 51% rivoterebbe lo stesso partito. Se si considerano le coalizioni, questo tasso di fedeltà sale, ma si ferma comunque al 55%. Poco più di un elettore su due oggi pensa che confermerebbe la coalizione votata a febbraio. Gli altri pensano che cambierebbero coalizione o che si asterrebbero[1].

    Ovviamente questo risultato è differenziato in base alla coalizione votata. La Tabella 1 mostra, per gli elettorati delle diverse coalizioni votate a febbraio, le percentuali di coloro che oggi sceglierebbero le diverse possibili opzioni di voto.

    Tab. 1 – Destinazioni nelle intenzioni di voto degli elettori delle varie coalizioni delle politiche

    Come si può osservare, il centrosinistra è di gran lunga la coalizione che può vantare gli elettori più fedeli. L’80% dei suoi elettori di febbraio dichiarano l’intenzione di rivotare uno dei suoi partiti. Identica è la fedeltà verso il Partito Democratico fra i suoi  elettori (qui non riportata). L’unica defezione rilevante, per il centrosinistra, è quella verso l’astensione: circa un elettore ogni sei.

    Il centrodestra e il M5s presentano invece una situazione ben diversa, e in questo sono molto simili. Per entrambi si registrano tre aspetti netti: 1) una fedeltà alla coalizione inferiore al 50%; 2) un flusso verso l’astensione superiore ad un terzo del proprio elettorato; 3) rilevanti passaggi diretti verso il centrosinistra. Quest’ ultima categoria appare significativa: si tratta di un sesto degli elettori di Grillo (47 intervistati su 277: non sono pochi), ma anche, tra chi aveva scelto Berlusconi, di uno su otto (39 intervistati su 300). Situazione ancora più grave – stavolta in modo prevedibile – quella del terzo polo, in cui gli elettori fedeli sono circa un terzo. Questo a causa di due importanti flussi verso l’astensione e verso il centrosinistra, e di un piccolo flusso verso il Ncd di Alfano.

    Infine, appare interessante che oltre un decimo di quanti si erano astenuti a febbraio, dichiari oggi l’intenzione di votare per il Pd: si tratta di 53 rispondenti su 421.

    Come valutare questi dati? Da un lato ovviamente è necessaria molta prudenza. Tutte le rilevazioni delle intenzioni di voto si basano infatti su una evidente finzione: all’intervistato viene infatti tipicamente chiesto “se ci fossero elezioni domani mattina, lei per quale partito voterebbe?”. E’ evidente, tuttavia, che le elezioni non sono la mattina dopo. I partiti non sono in campagna elettorale (anche se sempre di più le nostre democrazie sono in una situazione di campagna permanente); non hanno fatto scelte chiare in termini di alleanze, programmi, candidature; non hanno ancora mobilitato le proprie energie. Gli stessi elettori, in periodo non elettorale, non si sforzano di farsi un’idea, perché sanno di essere lontani dalle elezioni.

    Tuttavia, al tempo stesso, appare sorprendente che – a pochi mesi dal voto di febbraio – quote molto importanti di elettori riferiscano che cambierebbero voto. E a nostro parere è difficile non mettere i dati osservati in relazione con l’emersione nel centrosinistra della leadership innovativa (nelle forme senza dubbio, nei contenuti ancora da chiarire) di Renzi. Si sa da tempo che Renzi ha una capacità di comunicazione che va oltre il bacino tradizionale del centrosinistra, e i dati sembrano confermare questa ipotesi. In altre parole, se possiamo prendere queste intenzioni di voto come un indicatore di attenzione, appare chiaro come – con la nuova leadership del Pd – nuovi segmenti di elettorato stiano mostrando attenzione verso questa proposta politica. Se poi – quando arriveranno le elezioni – questa attenzione si tradurrà in effettivi voti, è ancora presto per dirlo.

    Riferimenti bibliografici

    Barisione, Mauro, Patrizia Catellani, e Lorenzo De Sio. 2011. «La scelta degli indecisi». In Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, a c. di Paolo Bellucci e Paolo Segatti. Bologna: Il Mulino, 359–79.

    Corbetta, Piergiorgio, Arturo Parisi, e H. Schadee. 1988. Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche. Bologna: Il Mulino.

    De Sio, Lorenzo. 2008. «Il secondo motore del cambiamento: i flussi di voto». In Il ritorno di Berlusconi. Le elezioni politiche 2008, a cura di Itanes, 57–70. Bologna: Il Mulino.

    De Sio, Lorenzo, e H. M. A. Schadee. 2013. «I flussi di voto e lo spazio politico». In Voto amaro: disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013., a cura di ITANES, 45–55. Bologna: Il Mulino.

    Effetto Renzi? Una grande turbolenza nelle intenzioni di voto [Scarica la versione PDF]


    [1] In generale, è abbastanza normale che un partito – anche vincente – registri tassi di fedeltà ben inferiori al 100%. Storicamente, nelle ultime tornate elettorali italiane – ed escludendo il terremoto del 2013, i partiti vincenti registrano un tasso di fedeltà di circa l’80% rispetto alle elezioni precedenti, mentre i perdenti sono su livelli sensibilmente più bassi, intorno al 60% (De Sio 2008; vedi più in generale Corbetta, Parisi, e Schadee 1988). Questi valori sono tuttavia relativi al confronto elezione su elezione: nel periodo intermedio tra un’elezione e l’altra è normale che la fedeltà nelle intenzioni di voto sia su livelli sensibilmente più bassi.

     

     

  • Renzi: il primo “leader forte” del centrosinistra?

    Renzi: il primo “leader forte” del centrosinistra?

    di Lorenzo De Sio

    Con l’arrivo di Matteo Renzi alla segreteria del Pd, molti commentatori hanno salutato l’avvento di una nuova generazione al vertice del centrosinistra. Alcuni hanno anche evocato una svolta storica in questo schieramento, con la presenza di un leader in grado di condurre la sinistra alla vittoria nelle future elezioni. (Valium)

    Su questi ultimi scenari ci sia consentito intanto essere un po’ più prudenti, e identificarli spesso più come auspici (o addirittura irreali wishful thinking, direbbe qualcuno) che – per adesso – come rilievi oggettivi. Tuttavia c’è una questione di fondo che merita di essere indagata. Renzi per molti versi appare decisamente diverso dai precedenti leader del centrosinistra. Lo è davvero? Può davvero rappresentare un concreto valore aggiunto per il centrosinistra nelle future elezioni?

    Per cercare di suggerire possibili direzioni di risposta abbiamo quindi testato – nell’indagine Osservatorio Politico CISE del dicembre 2013[1] – la percezione di Renzi da parte degli elettori italiani, rispetto a quattro “tratti fondamentali”. Va detto infatti che gli elettori tendono a farsi un’idea dei leader politici valutando (in estrema sintesi) quattro tratti fondamentali, che gli psicologi in genere riconducono a energia, competenza, empatia e onestà (Funk 1999; Kinder 1986). Si tratta più o meno degli stessi tratti che noi stessi utilizziamo nella vita di tutti i giorni per farci un’idea delle persone nuove con cui entriamo in contatto.

    Con energia si intende non tanto la sensazione di brillantezza e movimento che ci trasmette una persona, ma la sua capacità di incidere in modo effettivo sulla realtà, ovvero la sua capacità di fare la differenza quando interviene su qualcosa. Con competenza si intende – in modo più simile al linguaggio comune – la sua effettiva conoscenza di questa realtà su cui incidere. Empatia e onestà corrispondono invece a tratti relazionali: identifichiamo con empatia la capacità di comprendere il punto di vista altrui (sia in termini razionali che anche emotivi), mentre con onestà si intende più in generale quanto una persona è conforme alle norme sociali (o alle norme di uno specifico gruppo sociale)[2].

    L’aspetto interessante di questi quattro tratti è che permettono di illuminare in modo significativo la storia elettorale della Seconda Repubblica. Un’analisi recente (Barisione, Catellani, e Garzia 2013), contenuta nel volume Voto Amaro del gruppo di ricerca Itanes (ITANES 2013), mostra infatti – confrontando le ultime quattro elezioni, quindi a partire dal 2001 – che per gli elettori Berlusconi è risultato sempre di gran lunga vincente sul piano dell’energia, ma perdente su tutti gli altri tre; e che in realtà i quattro leader del centrosinistra analizzati (Rutelli, Prodi, Veltroni e Bersani) sono sempre risultati estremamente simili tra loro: deboli sul piano dell’energia, più forti sugli altri tre tratti, con una prevalenza più netta nella competenza (tranne Rutelli). Forse a causa di una debolezza di immagine personale, che finiva per far proiettare su di loro, in realtà, l’immagine della coalizione.

    A questo punto la domanda è banale: potendo oggi analizzare Renzi, che profilo presenta rispetto ai precedenti leader del centrosinistra?

    La domanda sarà banale, ma i risultati non lo sono. Con tutte le limitazioni del nostro studio (le indagini Itanes si svolgono dopo le elezioni, mentre la nostra in un periodo lontano dalla campagna; le indagini Itanes sono quasi tutte con interviste faccia-a-faccia, mentre la nostra con interviste telefoniche), quello che emerge è che Renzi ha un profilo nettamente diverso dai leader del centrosinistra del passato. Vediamo come. In particolare è interessante il confronto con gli altri potenziali leader delle due coalizioni principali (Letta, Alfano e l’onnipresente Berlusconi).

    La Figura 1 riporta in un grafico la percentuale di intervistati che attribuisce i vari tratti a ciascuno dei quattro leader esaminati. Anche senza entrare in un confronto dettagliato tra i vari leader, emerge chiaramente come il profilo di Renzi sia nettamente diverso dai leader di centrosinistra del passato.

    Il dato più impressionante è anzitutto il gradimento complessivo del sindaco di Firenze, che si piazza al primo posto – con percentuali vicine all’80% – su tutti e quattro i tratti. Questa caratteristica lo configura per certi versi – e questo non stupisce – come un leader trasversale, che combina caratteristiche corrispondenti a diversi tipi di leadership.

    Anzitutto sul piano dell’energia. E’ questa la novità maggiore, visto che storicamente è stato questo il punto di forza di Berlusconi e il tallone d’Achille del centrosinistra: questo tratto è riconosciuto a Renzi dall’82% degli intervistati (10 punti in più rispetto al Berlusconi attuale, ma in linea con punteggi ottenuti da Berlusconi in passato).

    Ma l’aspetto più interessante è che questo tratto sembra abbinarsi con l’attribuzione a Renzi di altri due tratti tradizionalmente tipici, invece, del centrosinistra: competenza e onestà. Anche questi tratti vengono riconosciuti a Renzi da oltre l’80% degli intervistati; anche se qui – prevedibilmente – si fa sentire maggiormente la competizione con Enrico Letta. Concorrente che invece è nettamente battuto da Renzi non solo sul piano dell’energia, ma anche su quello dell’empatia, ovvero la capacità di “mettersi nei panni” della gente comune. Vale infine la pena di menzionare le caratteristiche di Alfano, in parte simile a Letta: riconosciuto come abbastanza competente e onesto, ma poco competitivo sul piano dell’energia e dell’empatia.

    Almeno dal punto di vista dei tratti di leadership, quindi, sembra di poter dire chiaramente che Renzi è percepito dall’elettorato in modo nettamente diverso dai precedenti leader del centrosinistra. E questo potrebbe forse portare un valore aggiunto a questo schieramento. E’ vero che una parte della letteratura è tuttora scettica sulla reale capacità dei leader di dare “una marcia in più”, con le loro caratteristiche personali, alle posizioni politiche che rappresentano (Curtice e Holmberg 2005; King 2002). E’ tuttavia anche vero che, nel caso italiano, un piccolo ma significativo ruolo autonomo dei leader appare confermato nel caso degli elettori indecisi (Barisione, Catellani, e De Sio 2011).

    C’è tuttavia da porre un altro caveat: è verosimile che in futuro la valutazione estremamente positiva di cui Renzi gode nell’elettorato possa cambiare, man mano che Renzi dovrà precisare meglio la sua piattaforma politica, ma soprattutto man mano che la sua effettiva capacità di incidere sulla realtà (il cuore della valutazione sull’energia) sarà messa alla prova (specialmente, per adesso, su sfide difficilissime come la riforma elettorale e la legislazione sul lavoro). Tuttavia ciò che appare adesso ben chiaro è che il mix di caratteristiche del nuovo segretario del Pd è significativamente diverso da quello dei precedenti leader del centrosinistra. E questo aspetto sembra difficile che non possa fare una differenza. Staremo a vedere.

     

    Riferimenti bibliografici

    Barisione, Mauro, Patrizia Catellani, e Diego Garzia. 2013. «Alla ricerca di un leader». In Voto amaro: disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013., Bol: Il Mulino, 147–58.

    Barisione, Mauro, Patrizia Catellani, e Lorenzo De Sio. 2011. «La scelta degli indecisi». In Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, a c. di Paolo Bellucci e Paolo Segatti. Bologna: Il Mulino, 359–79.

    Curtice, John, e Sören Holmberg. 2005. «Party leaders and party choice». In The European Voter, a c. di Jacques Thomassen. , 235–53.

    Funk, Carolyn L. 1999. «Bringing the candidate into models of candidate evaluation». Journal of Politics 61: 700–720.

    ITANES, a c di. 2013. Voto amaro: disincanto e crisi economica nelle elezioni del 2013. Bologna: Il Mulino.

    Kinder, Donald R. 1986. «Presidential character revisited». Political cognition: 233–55.

    King, A. S. 2002. Leaders’personalities and the outcomes of democratic elections. Oxford University Press.

     Renzi: il primo “leader forte” del centrosinistra? [Scarica la versione PDF]


    [1] Indagine CATI/CAMI (telefonia fissa/mobile) svolta su un campione di 1500 intervistati, rappresentativo della popolazione elettorale italiana su alcune caratteristiche sociodemografiche. Le interviste sono state condotte dalla società Demetra di Mestre tra il 16 e il 22 dicembre 2013.

    [2] Questi tratti vengono di norma rilevati rilevando il grado di consenso rispetto alle seguenti affermazioni: 1) “[leader] è un leader forte?”; 2) “E’ preparato?”; 3) “Capisce i problemi della gente?”; 4) “E’ onesto?”.

  • Una “frattura mediale” nel voto del 25 febbraio?

    di Lorenzo De Sio

    Il Movimento 5 Stelle è senza dubbio il principale vincitore delle elezioni del 24 e 25 febbraio, con un’affermazione che dal nulla ha riportato oltre otto milioni e mezzo di voti. E uno degli aspetti centrali dell’affermazione del M5S è la sua trasversalità: in termini geografici, lungo confini che tagliano trasversalmente le tradizionali zone geo-politiche d’Italia (vedi l’articolo di Matteo Cataldi e Vincenzo Emanuele); in termini politici, con la capacità di pescare in modo completamente trasversale dai tradizionali bacini di centrodestra e centrosinistra (vedi le varie analisi di flusso relative a Torino e Palermo, Monza, Pavia e Varese, Firenze e Roma); infine in termini socio-demografici, con la sua grande capacità di penetrazione interclassista (vedi le analisi di Luca Comodo su dati Ipsos su “Il Sole 24 Ore” del 10 marzo).

    La conseguenza è un curioso paradosso: il M5S spicca quindi per il fatto che il suo elettorato non è particolarmente caratterizzato in nessun senso: né politico, né geografico, né socio-demografico, se si eccettua una forte sottorappresentazione tra i pensionati. Ma allora, qual è la principale caratteristica che identifica gli elettori di Grillo? Per rispondere a questa domanda è necessario ricorrere a dati di sondaggio: noi lo facciamo utilizzando i dati della terza ondata del Panel Elettorale CISE. Si tratta di interviste raccolte prima delle elezioni (la quarta ondata di interviste, postelettorale, è ancora in corso) e che tuttavia rivelano dinamiche significative e coerenti con il risultato del voto e con altre analisi. La prima ipotesi che abbiamo posto è che ovviamente potessero essere rilevanti le caratteristiche generazionali: una sorta di rivolta dei giovani, con un trionfo del M5S nelle prime fasce di età. In realtà quest’ipotesi è in sostanza confermata, ma con modalità leggermente diverse rispetto alle attese (vedi la Tabella 1).

    Il confine tra “giovani” e “meno giovani” è infatti curioso: tra i primi rientrano tutti quelli fino ai 54 anni (con risultati anche di sette punti superiori al totale del campione), mentre il M5S va molto peggio nelle due fasce di età superiori. Ma soprattutto sono gli altri partiti a non risentire in maniera fortissima di effetti generazionali, visto che il Pd è sì sottorappresentato tra i più giovani, ma non di molto, e Sel è addirittura sovra rappresentata (casomai è il Pdl a soffrire di più tra i più giovani). Insomma, non sembra che siamo davvero di fronte a una frattura generazionale. E’ così che abbiamo avuto il sospetto che potesse esserci – prevedibilmente – qualcos’altro dietro il successo di Grillo. Abbiamo quindi preso in esame quella che ritenevamo una variabile chiave: la fonte prevalente da cui l’intervistato dichiara di ottenere informazioni sulla politica. L’ipotesi chiave era che chi si informa prevalentemente attraverso Internet avrebbe dovuto premiare in modo maggiore il M5S, presente in modo più sistematico, capillare e “nativo” sulla Rete.

    Com’era prevedibile, non solo abbiamo avuto ragione ma abbiamo trovato effetti nettamente più potenti di ciò che ci si poteva attendere. La Tabella 2 mostra infatti che esiste una relazione molto forte tra il mezzo prevalente di informazione politica e il partito votato.

    La relazione è talmente forte da essere visibile già in termini qualitativi: i tre principali partiti si suddividono infatti nettamente il ruolo di primo partito tra i tre diversi pubblici. Il Pd è nettissimamente il primo partito tra i lettori di giornali, con 12 punti di vantaggio sul Pdl e addirittura 17 sul M5S (curiosamente, percentuali simile a quelle più comuni nel dibattito pubblico sui giornali a ridosso delle elezioni). Tra i telespettatori il primo partito è invece il Pdl, con tre punti di vantaggio su Pd e M5S. Ma soprattutto è tra chi usa Internet come fonte di informazione prevalente che si registra la caratterizzazione più netta. Anzitutto il M5S è il primo partito; ma soprattutto lo è con una percentuale del 42,5: di 17 punti superiore al totale del campione, e addirittura di 21 punti superiore al secondo partito (il Pd col 21,7). E addirittura il Pdl riporta una percentuale inferiore al 10% (il 9,4%). E non si tratta di una piccola parte dell’elettorato: nel nostro campione, gli intervistati che si informano prevalentemente da Internet sono ormai circa un quinto.

    Ed è chiaro che effetti così forti non possono essere frutto, ad esempio, di un semplice effetto spurio della generazione (ovvero: magari gli “internettiani” votano M5S perché in realtà sono tutti più giovani…). Infatti se si disaggrega il voto a Grillo per fonte di informazione e generazione, si vede chiaramente che l’effetto del canale di informazione rimane ed è ancora molto potente (vedi Tabella 3).

    Come si osserva, anche all’interno di ciascuna classe di età esiste una differenza fortissima tra chi si informa prevalentemente tramite Internet e tutti gli altri: la differenza è sempre di almeno dieci punti in tutte le classi di età, e addirittura di quasi 25 punti tra i 45-54enni.

    In sostanza, questi primi dati sembrano suggerire che siamo davvero di fronte a una sorta di “frattura mediale”: a differenziare l’elettorato dei vari partiti (e in particolare quello dell’M5S) sembrano ormai essere nettamente gli stili e i mezzi di informazione politica.  Si tratta di un’ipotesi da sottoporre ad analisi più approfondite, ma la nostra impressione è che il fatto di basarsi su diversi mezzi di comunicazione abbia di fatto significato, in particolare in questa campagna elettorale, aver assistito a campagne elettorali diverse. Ciascuna con una sua agenda, un suo discorso, e diversi temi salienti. In parte ciò è visibile da altri dati (qui non presentati) in cui emerge una sostanziale assenza di grosse differenze di atteggiamenti politici di base (interesse per la politica, posizioni ideologiche, posizioni su temi specifici) tra i tre “pubblici” analizzati, a cui corrisponde tuttavia una diversa percezione di credibilità dei partiti. Con il Pdl a livelli minimi in tutti e tre i pubblici, e il Pd che invece viene considerato credibile sui temi economici da tutti e tre i gruppi, ma sensibilmente meno credibile sulla riforma della politica tra gli utenti prevalenti di Internet. Per adesso si tratta di indizi, ma abbiamo il sospetto che si tratti di intuizioni da sviluppare.

  • Dall’Europa alla Sicilia: verso le elezioni politiche 2013

    Dall’Europa alla Sicilia: verso le elezioni politiche 2013

    di Lorenzo De Sio e Vincenzo Emanuele

    È online il Terzo Dossier CISE: “Un anno di elezioni verso le Politiche 2013” (a cura di Lorenzo De Sio e Vincenzo Emanuele, CISE, Roma, 2013). Presentiamo qui di seguito le conclusioni del volume, che propongono un’interpretazione complessiva del contesto in cui si svolgono le imminenti elezioni del 24 e 25 febbraio.

    Abbiamo aperto questo volume cercando di tratteggiare al meglio il contesto in cui si svolgono le imminenti elezioni politiche, alla ricerca di una chiave con cui delineare le possibili interpretazioni del risultato. Di conseguenza ci siamo trovati di fronte alla scelta pressoché obbligata di tenere conto di tre elementi chiave. Anzitutto il contesto internazionale, osservato attraverso le lenti dell’influenza della crisi economica sui risultati elettorali in alcuni importanti paesi europei. In secondo luogo, le elezioni siciliane dell’ottobre 2012, in grado di anticipare importanti segnali e dinamiche delle successive elezioni politiche, dato il peso di questa regione. Infine, le elezioni primarie del centrosinistra, come testimonianza di una dinamica di rimobilitazione dell’elettorato di questa parte politica.

    I primi elementi in grado di orientare le nostre interpretazioni emergono inevitabilmente dal contesto internazionale. Come abbiamo visto nel corso del volume, la nostra analisi ha incluso paesi eterogenei tra loro per diverse caratteristiche: Spagna e Francia sono due grandi democrazie europee, ancorché caratterizzate da percorsi di democratizzazione molto diversi tra loro; Olanda e Grecia sono invece paesi più piccoli, tuttavia divisi anch’essi da ben diversi percorsi di democratizzazione e oggi estremamente distanti riguardo alla dimensione chiave del rigore nella gestione dei bilanci pubblici, divenuta cruciale nell’attuale crisi economica e finanziaria. Infine, di questi paesi tre (Spagna, Francia, Grecia) hanno una dinamica competitiva essenzialmente bipolare, mentre l’Olanda è uno dei più classici esempi di sistema partitico multipolare.

    Mariano Rajoy

    In un campione tanto eterogeneo diventa difficile ma particolarmente stimolante cercare chiavi di lettura comuni. Tuttavia appare abbastanza chiaro (anche in relazione all’evoluzione della situazione italiana fino ad oggi) che tanto la crisi economica e finanziaria, quanto le politiche di austerità che ne sono seguite, hanno fatto pagare un prezzo molto pesante ai governi uscenti. In Spagna anzitutto, dove il partito di opposizione (in questo caso il Partido Popular di Mariano Rajoy) è riuscito non solo a battere il partito di governo ma a ottenere immediatamente una netta maggioranza parlamentare, fatto che non avveniva dal 1982. E analogamente in Francia, dove, di nuovo per la prima volta dal 1981, il presidente in carica è stato sconfitto dal suo principale avversario già alla fine del primo mandato. E il peso della crisi non ha risparmiato Grecia e Olanda, pur se con dinamiche più complesse. Il caso più eclatante è quello della Grecia, in cui la violenta esplosione della crisi ha prodotto una vera e propria frantumazione di quello che era un sistema partitico bipolare, con la quasi scomparsa dello storico PASOK (oggi ridotto a poco più di un quarto del suo peso elettorale), la crescita impetuosa della sinistra radicale e l’emersione di movimenti xenofobi, in un quadro di difficile governabilità in costante tensione con le autorità europee riguardo alle durissime misure di austerità. Infine la stessa Olanda ha visto importanti cambiamenti, pur filtrati attraverso le complesse dinamiche di un sistema multipolare basato su delicate trattative coalizionali: si tratta del crollo del CDA – grande partito cristiano storicamente perno di molte coalizioni di governo – ridotto oggi a quinta forza del paese confermando una dinamica già emersa nel 2010 (a crisi già iniziata) in cui gli elettori avevano duramente punito l’allora premier Balkenende. Le dinamiche di questi quattro paesi ci suggeriscono quindi come l’evoluzione fino a oggi degli orientamenti di voto in Italia non sia inattesa: la drammatica crisi del centrodestra del 2011, seguita dall’insediamento del governo Monti, è in linea (pur con le specificità italiane, in particolare la crisi della leadership di Berlusconi) con effetti visti in tutti gli altri paesi europei che abbiamo considerato; e così gli attuali equilibri registrati dai sondaggi, che vedono in questo caso in vantaggio l’opposizione di centrosinistra, e predicono un forte successo del Movimento 5 Stelle.

    Rosario Crocetta (Pd), Presidente della Regione Sicilia

    E l’analisi del voto siciliano fornisce ulteriori elementi in questa direzione. Il risultato, come emerge dalle analisi presentate nel volume, è in effetti di portata storica: per la prima volta dal 1947 una coalizione di centrosinistra riesce a vincere le elezioni ed arrivare al governo dell’isola. Si tratta di un risultato che emerge da diversi fattori: un incremento massiccio dell’astensione; il grande successo del Movimento 5 Stelle (primo partito); la confusione nel centrodestra, che lo porta a correre diviso e a perdere molti consensi rispetto al passato. È interessante notare come nessuno di questi elementi sia davvero specifico della Sicilia: le complesse lotte interne del centrodestra sono in gran parte il riflesso della drammatica crisi di leadership del Pdl nazionale in tutto il 2012; ma soprattutto sia l’aumento massiccio dell’astensione che il successo del Movimento 5 Stelle sembrano suggerire un radicale cambiamento degli equilibri nei rapporti tra cittadini e partiti, in parte anche a causa della crisi economica e delle politiche di austerità. Una possibile ipotesi (da controllare in modo rigoroso, ma già suggerita ad esempio da alcune analisi di elezioni comunali nella primavera 2012) è quella di una (temporanea?) eclissi delle forme più strutturate di intermediazione e organizzazione del voto clientelare, dovuta da un lato a crisi e divisioni nelle élite partitiche, dall’altro all’ormai scarsa disponibilità di risorse da distribuire in cambio di consenso. In questo senso non sarebbe difficile spiegare il fortissimo aumento dell’astensione, e al tempo stesso la riemersione di una voce storicamente presente nella politica siciliana, ovvero il grido di protesta contro i partiti e contro la corruzione del sistema, questa volta – totalmente in linea con le dinamiche nazionali – incanalato nel Movimento 5 Stelle. Per certi versi questi elementi suggeriscono dinamiche simili anche per le imminenti elezioni politiche, tuttavia con l’importante novità, emersa solo all’inizio del 2013, della fine della confusione nel centrodestra, in cui la leadership di Berlusconi (e una minima coesione nel Pdl) appare di fatto ripristinata, con effetti che quindi potrebbero differenziarsi da quanto visto in Sicilia[1].

    Matteo Renzi, Nichi Vendola e Pierluigi Bersani la sera del confronto televisivo su Sky

    Infine, l’ultimo elemento è relativo al risultato delle primarie del centrosinistra. Sono state elezioni combattute che hanno portato a una forte rimobilitazione dell’elettorato di quest’area, e all’avvicinamento anche di fette di elettorato non tradizionalmente legate a questo schieramento politico, in particolare grazie alla capacità di Matteo Renzi di attrarre consensi tra gli elettori di centro e centrodestra. Tanto da portare il Pd a registrare livelli molto alti nelle intenzioni di voto, nelle settimane immediatamente successive alle primarie. Tuttavia, e veniamo oggi all’attualità, ci troviamo di fronte ad alcuni interrogativi. Il primo è relativo all’effetto di mobilitazione delle primarie. E’ vero che l’elettorato di centrosinistra si è riavvicinato ai propri leader a causa delle primarie, tuttavia è anche vero che paradossalmente il rientro alla normalità della politica (e il fatto che le primarie venissero superate da altri eventi della campagna elettorale: l’ingresso in politica di Mario Monti e il ritorno in primo piano di Berlusconi) potrebbe aver in parte fatto abbassare il livello di interesse e mobilitazione degli elettori di centrosinistra (magari tentati da altre scelte come l’astensione o il Movimento 5 Stelle), anche a causa di una campagna del leader-eletto Bersani che non si è distinta per forza ed aggressività. In secondo luogo, uno dei problemi per il centrosinistra potrebbe essere paradossalmente proprio la sconfitta di Renzi, e quindi il possibile allontanamento dal centrosinistra di alcuni elettori di altri orientamenti, che avevano visto nel sindaco di Firenze una possibile scelta, e che oggi potrebbero addirittura essere tentati da un ritorno verso Berlusconi. E quest’ultimo aspetto suggerisce un ultimo elemento interrogativo, ovvero il fatto che la grande visibilità vissuta dal centrosinistra durante le primarie si è svolta in un contesto essenzialmente di assenza di altre proposte politiche, con Monti impegnato nell’attività di governo, Berlusconi ancora completamente assente dalle scene (e il Pdl nella totale incertezza, con addirittura la possibile scelta delle primarie), e Grillo in silenzio.

    Sappiamo che nelle ultime settimane la situazione è completamente cambiata, con l’ingresso (o il ritorno) nell’agone politico di Monti e Berlusconi, e una forte ripresa dell’iniziativa del Movimento 5 Stelle. L’esito di queste elezioni appare a questo punto legato al bilanciamento di questi fattori. Muoversi per ultimi a volte può rappresentare un vantaggio, oscurando quanto fatto dai propri avversari in precedenza; ma al tempo stesso è rischioso, perché il tempo può non bastare per recuperare il terreno necessario. Mancano ormai pochi giorni e sapremo come è andata a finire.

    Riferimenti bibliografici

    Bellucci, P. Costa Lobo, M. e Lewis-Beck, M. S. [2012], Economic crisis and elections: the European periphery, in «Electoral Studies», vol. 31, 3, pp. 469-471.

    Nezi, R. [2012], Economic voting under the economic crisis: Evidence from Greece, in «Electoral Studies», vol. 31, 3, pp. 498-505.


    [1] Tutto ciò è vero a livello nazionale, ma paradossalmente non in Sicilia, dove la tradizionale area del centrodestra è di fatto frammentata, con importanti esponenti presenti in più liste, in diverse coalizioni.

  • The Italian General Election of 2013. A dangerous stalement?

    De Sio, L., Emanuele, V., Maggini, N., & Paparo, A. (Eds.). (2013). The Italian General Election of 2013. A dangerous stalement? Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.

    The third Eurozone economy and one of the six founders of the EEC (the direct ancestor of the European Union) in 1957, Italy is experiencing in recent years a season of political instability and uncertainty, especially after the crisis of Silvio Berlusconi’s leadership in the centre-right camp.
    A situation which has not improved after the results of the general election held in February 2013, whose overall outcome can be described as a dangerous stalemate. A new, anti-establishment party (the 5-Star Movement led by comedian Beppe Grillo) becoming the largest party with 25,6% of votes; the absence of any cohesive political majority in the Senate (whose vote of confidence is required); the installation of a government based on an oversized, hardly manageable political majority, led by Enrico Letta.
    How did all this happen? What are the political and the institutional factors that produced this outcome? What is the size and scope of the success of Beppe Grillo? Where are his votes coming from? Who paid the “cost of government” for the previous legislature? What are the likely scenarios for the future?
    First answers to such questions are presented in this book, which collects revised versions of short research notes published in Italian on the CISE website between February and April 2013, along with additional material published in Italian and English by CISE scholars on the Italian and international media.
    The goal of this book is to provide – in a timely fashion – a set of fresh, short analyses, able to provide a non-technical audience (including journalists, practitioners of politics, and everyone interested in Italian politics) with information and data about Italian electoral politics. Even electoral scholars will find interesting information, able to stimulate the construction of more structured research hypotheses to be tested in more depth. Too often international commentators portray Italian politics in a superficial fashion, without the support of fresh data and a proper understanding of the deeper processes involved. With this book, in spite of its limited scope, we hope to contribute to filling this gap.

  • Un sistema partitico in evoluzione

    di Lorenzo De Sio

    Con l’autunno 2012 iniziano a giungere i risultati più significativi dell’indagine Panel Elettorale CISE. Nella primavera di quest’anno, infatti, il CISE ha inteso iniziare a monitorare quella che già all’epoca era identificabile come una fase cruciale nella transizione del sistema politico italiano. E’ così che è nato il Panel Elettorale CISE: un’indagine di tipo panel, in cui un campione rappresentativo della popolazione elettorale italiana viene intervistato in più occasioni, a distanza di vari mesi, in modo da poter ricostruire non soltanto i cambiamenti complessivi dell’opinione pubblica, ma i veri e propri cambiamenti degli atteggiamenti e delle opinioni a livello individuale.

    Quanti elettori cambiano opinione a distanza di sei mesi? Quali percorsi compiono? Quanti si rifugiano nel non voto? Che caratteristiche hanno? E alcuni, vengono invece rimobilitati quando compare un nuovo partito più attraente? Da quali settori sociali provengono? Domande cui solo un’indagine di tipo panel può rispondere, ricostruendo nel tempo i cambiamenti individuali. Nel caso del Panel Elettorale CISE, le ondate di rilevazione previste sono quattro: la prima si è svolta nella primavera 2012; la seconda si è conclusa pochi giorni fa; la terza si svolgerà poche settimane prima delle elezioni politiche della prossima primavera; la quarta e ultima verrà condotta immediatamente dopo le elezioni.

    In questi giorni presentiamo quindi i risultati del confronto delle prime due ondate: dalla primavera all’autunno 2012. In questo periodo i fenomeni più rilevante sono stati essenzialmente: la crescita notevole del Movimento 5 Stelle (nell’indagine primavera 2012, condotta prima delle elezioni amministrative, era appena intorno al 7%, mentre oggi la maggior parte degli istituti lo colloca oltre il 15%), la crisi del Pdl (oggi ormai intorno al 15%), e la forza del Pd, oggi riportato oltre il 30%. Quali sono stati i flussi di elettori? Quali categorie sociali e politiche sono maggiormente mobili? A queste prime domande troverete risposte nelle analisi che presentiamo in questi giorni.

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    Nota: L’indagine Panel Elettorale CISE è stata condotta con modalità CATI/CAMI (telefonia fissa/mobile) dalla società Demetra di Mestre. La prima rilevazione (N= 2518 su telefonia fissa, 512 su telefonia mobile) è stata condotta tra il 10 aprile e il 5 maggio 2012; la seconda tra il 22 ottobre e il 13 novembre 2012 (N= 1238 su telefonia fissa, 286 su telefonia mobile).

  • L’anno che cambiò la politica italiana

    di Lorenzo De Sio

    Un anno fa il CISE conduceva la prima rilevazione dell’Osservatorio Politico: un’indagine campionaria CATI condotta su un campione di 1500 intervistati, dedicata non soltanto alle intenzioni di voto degli italiani, ma anche e soprattutto a rilevare un insieme più ampio di atteggiamenti e opinioni relativi al rapporto tra cittadini e partiti politici.

    Alcuni semplici dati di quell’indagine: il Pdl primo partito con quasi il 30%; la percentuale di potenziali astenuti sotto il 20% (molto simile alla percentuale abitualmente registrata nelle elezioni politiche); il Movimento 5 Stelle all’1,4%.

    Dati che ci danno la misura di quanto sia accaduto in un anno: l’anno che ha cambiato la politica italiana. La prima indagine dell’Osservatorio Politico fu infatti condotta nell’aprile 2011, alla vigilia delle elezioni amministrative di quell’anno. In un clima di opinione in cui non solo il Pdl era ancora (seppur di poco) il primo partito, ma il clima di opinione prevalente sui media dava per scontato che la leadership del centrodestra non fosse soggetta a crisi di popolarità.

    Sappiamo tutti come andò, e che cosa è successo in seguito. Le amministrative del 2011 hanno segnato una gravissima sconfitta del centrodestra, con la perdita di roccaforti come Milano, seguita poche settimane dopo dall’inaspettato quorum raggiunto ai referendum, con la sconfitta della linea astensionista del governo. Di qui una crisi politica del centrodestra, precipitata in novembre con la caduta del governo Berlusconi, sostituito dal governo tecnico presieduto da Mario Monti.

    Una fase politica che è stata monitorata dalle successive due indagini dell’Osservatorio Politico. La seconda indagine è stata condotta nel dicembre del 2011, poche settimane dopo l’insediamento del governo Monti. La terza indagine, di cui da oggi presentiamo i primi risultati, è stata invece condotta alla vigilia delle amministrative di poche settimane fa, nel maggio 2012. Una rilevazione portata a termine durante le due settimane di black-out dei sondaggi, con l’intento – ancora una volta – di catturare il clima di opinione prima che il risultato di un’importante consultazione amministrativa provocasse un rapido cambiamento degli orientamenti politici.

    E’ così che a partire da oggi presentiamo i primi risultati della terza indagine Osservatorio Politico. Un’indagine che ha visto anzitutto un significativo incremento della base di intervistati CATI: da 1500 a 2500 intervistati, in grado di catturare maggiori sfumature anche all’interno di gruppi più specifici di intervistati. Ma soprattutto rappresenta l’occasione di valutare una prima serie storica, confrontando le tre indagini Osservatorio Politico, e descrivendo la rapida evoluzione dell’opinione pubblica nel corso dell’anno che ha cambiato la politica italiana. E’ questo il taglio delle prime analisi che seguiranno a breve sul sito CISE: valutazioni diacroniche – sull’ultimo anno – su una serie di variabili e temi chiave, in grado di mostrare il cambiamento e di suggerire interpretazioni delle evoluzioni future. Non tanto legate all’attualità (i sondaggi crescenti registrano un ulteriore calo del Pdl e un’ulteriore crescita del Movimento 5 stelle), ma tese a una riflessione sulla dinamica complessiva dell’opinione pubblica.

    La terza indagine Osservatorio Politico rappresenta infine il punto di partenza di un progetto ambizioso. Con quest’indagine si apre infatti il Panel Elettorale CISE: gli intervistati inclusi in quest’ultima rilevazione (più una quota di 500 interviste aggiuntive condotte su telefonia mobile, per correggere le distorsioni dovute al sempre maggior numero di nuclei familiari privi di telefono fisso) saranno intervistati nuovamente nell’autunno 2012, nella primavera 2013 e infine dopo le elezioni politiche 2013. In questo modo avremo a disposizione uno strumento per analizzare – a livello del singolo intervistato – l’evoluzione delle opinioni politiche di un campione di cittadini italiani, in una fase cruciale dell’evoluzione del sistema politico italiano. Per adesso, vediamo l’evoluzione fino a oggi.

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  • In libreria “La politica cambia, i valori restano? Una ricerca sulla cultura politica dei cittadini toscani”

    Come vedono i toscani la politica? Che rapporto hanno con essa? C’è qualcosa di diverso rispetto alla «subcultura rossa» della Prima Repubblica? Da questa ricerca, commissionata dalla Regione Toscana e condotta dal Centro Italiano Studi Elettorali con un approccio misto, quantitativo e qualitativo, emergono risposte articolate. Da un lato, è viva e in salute la partecipazione associativa, espressione di una tradizione che viene da lontano. (PhenQ) Dall’altro, emerge invece un declino della partecipazione politica, assieme a elementi di tensione nel rapporto tra cittadini, partiti e istituzioni. Segni inevitabili del grande cambiamento simbolico e organizzativo che ha investito i partiti di massa. E che li pone di fronte a sfide inedite, per mantenere quel dialogo vitale che i toscani esigono dalla loro classe politica.

    Questi i risultati presentati nel volume appena pubblicato dalla Firenze University Press, come coronamento della ricerca Cultura politica, democrazia e partecipazione in Toscana, condotta tra 2008 e 2010 dal CISE presso l’Università di Firenze, sotto la direzione di Lorenzo De Sio e con la collaborazione di Antonio Floridia, Erika Cellini, Katia Cigliuti, Graziana Corica, Rosa Di Gioia, Lucia Fagnini, Vittorio Mete e Valentina Pappalardo.

    I materiali di base della ricerca sono disponibili qui.