Autore: Roberto D’Alimonte

  • Test siciliano per le coalizioni, in palio i consensi per le politiche

    Test siciliano per le coalizioni, in palio i consensi per le politiche

    Pubblicato sul Sole 24 Ore del 30 Agosto 2017

    In Sicilia si sta giocando in questi giorni una partita complicata. C’è una legge elettorale che assegna la presidenza della regione a chi ottiene un voto più degli altri. C’è un attore- il M5s- che da tempo ha scelto un candidato e da settimane sta facendo campagna elettorale battendo tutta l’isola alla maniera di Grillo 2012. C’è un centro-sinistra diviso con Mdp e Si che candidano Fava e il Pd che ha scelto Micari. Nel centro-destra si tratta ancora, ma pare che Berlusconi si sia rassegnato ad accettare la candidatura di Musumeci, fortemente voluta da Salvini e Meloni. E poi c’è Alfano e quella galassia di frammenti ex e post- democristiani che tutti insieme valgono – a quanto pare- tra il 5 e il 10% dei voti. Per ora sembrano essere schierati con il Pd.

    In questo quadro così frammentato il M5s ha delle ottime speranze di ottenere la sua prima vittoria in una elezione regionale. I pronostici sarebbero diversi se il centro-sinistra e il centro-destra riuscissero a costruire una coalizione molto ampia. Ma al momento non è così. Come già detto, in Sicilia si vince con un voto più degli altri.  Non ci sono soglie da raggiungere per vincere. Basta anche un 30% dei consensi. Con buona pace della nostra Consulta. In queste condizioni una minoranza compatta ce la può fare. E una eventuale vittoria del M5s in Sicilia potrebbe influenzare l’esito delle prossime politiche. E’ così che la pensano in tanti, compresi Grillo, Berlusconi e Renzi.  E non hanno torto. In una situazione di grande fluidità delle opinioni una vittoria a Palermo potrebbe innescare un vento favorevole a livello nazionale in vista delle prossime politiche. Soprattutto se vincesse Grillo, e soprattutto nel resto del Sud che è il bacino elettorale più promettente per i 5stelle.

    Per Renzi e Berlusconi sconfiggere Grillo in Sicilia è quindi un obiettivo molto importante. Soprattutto per Berlusconi.  Ancora una volta è lui il più lucido. La sua strategia è chiara. Non è la Sicilia che gli interessa, ma l’Italia e l’Europa. Ha capito perfettamente che sconfiggere Grillo in Sicilia significa non solo accrescere le probabilità di far bene alle prossime politiche, ma anche di accreditarsi in Europa come la vera diga contro il populismo. Per cogliere un risultato del genere Berlusconi è disposto a tutto. In fondo la Sicilia è solo una pedina di un gioco ben più importante. Per questo pare che si sia convinto ad accettare Musumeci in nome della unità del centro-destra. E sarebbe prontissimo a  ‘perdonare’ Alfano e ad aprirgli le porte della coalizione.  Il cavaliere sa bene che uniti si vince e divisi si perde o quanto meno si rischia. Lo ha capito fin da quando è sceso in campo nel 1994. E questo è vero a Palermo come a Roma. Per questo l’accordo con Alfano per lui si potrebbe e si dovrebbe fare. Tra l’altro in questa elezione non c’è l’Euro di mezzo e quindi non c’è bisogno di trattare su monete parallele e altre diavolerie. L’importante è battere Grillo. Poi si vedrà.

    Il problema è che Alfano non è gradito a tutti nei due schieramenti maggiori. Che lo vogliano Renzi e Berlusconi si spiega. Ma si spiega anche che l’alleanza con lui non sia gradita ad altre possibili componenti delle due coalizioni in costruzione. A sinistra non la vogliono Mdp e soci che vedono l’accordo con Ap come l’anticamera di una coalizione di moderati a Roma dopo le prossime politiche. Ed è per questo che sono intenzionati a candidare Fava. A destra non lo vogliono Salvini e Meloni. Un po’ per la stessa ragione e un po’ perché anche per loro la questione Sicilia si intreccia con le politiche.  Vogliono pesare in Sicilia per pesare a Roma. Insomma siamo davanti a giochi intrecciati il cui esito al momento è ancora incerto.

    E Alfano che fa?  Il leader di Ap ha due obiettivi. Il primo è regionale: ottenere per il suo partito un ruolo di rilievo a Palazzo dei Normanni.  Il secondo obiettivo è nazionale: garantire la sopravvivenza di Ap in entrambe le camere alle prossime politiche. Sono due obiettivi difficili da raggiungere. Il secondo in particolare perchè è differito. Vuol dire infatti una diversa legge elettorale al Senato o un accordo coalizionale per ottenere lo sconto sulla soglia dall’8% al 3%. Sembra che su questo Alfano e il Pd abbiano trovato un accordo. Ma si può dire con certezza che i giochi siano definitivamente chiusi?  Per Ap la collocazione ‘naturale’ è nel centro-destra. Tutto sta a vedere se Berlusconi riuscirà a imporre ai suoi riottosi alleati la sua idea di una coalizione che comprenda tutti i pezzi del centro-destra. Come ai bei tempi. E’ difficile perché la scelta di Musumeci sembra chiudere le porte ad Alfano.  Ma in politica, e soprattutto in quella siciliana, i colpi di scena non possono essere esclusi. C’è ancora un po’ di tempo per presentare candidature e decidere alleanze. Nel frattempo i grillini non stanno a guardare.

  • Renzi, Berlusconi, Grillo: chi ha vinto e chi ha perso

    Renzi, Berlusconi, Grillo: chi ha vinto e chi ha perso

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 13 giugno 2017

    Questa volta il M5s non ci ha sorpreso. Cinque anni fa ci fu il caso Parma. L’anno scorso ci furono i casi di Roma e Torino e le 19 vittorie nei 20 ballottaggi. Quest’anno niente. Non essere riuscito a piazzare alcun candidato al secondo turno in nessun comune capoluogo, e solo 10 candidati nei 160 comuni superiori ai 15.000 abitanti, è un brutto segnale per il Movimento. Le elezioni amministrative non sono mai state il suo terreno preferito, ma ci si poteva aspettare che sulla scia dei risultati dello scorso anno avrebbe mostrato dei progressi nella selezione di una classe dirigente a livello locale capace di competere con i partiti tradizionali. Evidentemente non è così. E questo nonostante il fatto che a livello nazionale la stima delle intenzioni di voto lo diano di volta in volta al primo o al secondo posto con percentuali che oscillano tra il 25 e il 30%. Numeri molto lontani da quelli ottenuti in questa tornata elettorale che in molte delle città al voto hanno visto il Movimento con percentuali a una cifra. Va da sé che la debolezza dei suoi candidati e del suo radicamento si è riflessa pesantemente sui consensi alla lista, che complessivamente nei 160 comuni ammontano al 10%. I casi Appendino e Raggi restano per ora una eccezione. Ma da qui a profetizzare il tracollo ce ne corre. Per parlare di ritorno al bipolarismo è bene avere qualche dato in più.

    A livello locale però è vero che la partita si gioca soprattutto tra centro-sinistra e centro-destra. Nei 160 comuni superiori ci sono state 49 vittorie al primo turno. Di queste 23 sono state appannaggio di Pd e alleati e 11 di Fi e alleati. Nei 111 comuni al ballottaggio il candidato del centro-sinistra è al ballottaggio in 78 casi (in 40 comuni in pole position). Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia sono insieme al ballottaggio in 72 comuni, tra i quali ce ne sono 43 in cui il loro candidato è al primo posto. In questi 111 comuni in cui si voterà Domenica 25 ci saranno 52 sfide dirette tra i candidati del centro-destra e quelli del centro-sinistra. A questi si aggiungono una varietà di altre sfide. Nei 10 comuni su 160 in cui il M5s è al ballottaggio in 5 casi affronterà un candidato del centro-destra e in 4 casi uno del centro-sinistra. Interessante è anche la situazione nei 25 comuni capoluogo. Tre sono già stati assegnati (Como, Palermo e Frosinone). Nei 22 comuni al ballottaggio ci saranno 18 sfide dirette tra centro-sinistra e centro-destra. In 12 casi il candidato di Fi e alleati è primo.

    comunali 2017 aggregato mg

    NOTA:

    La tabella riporta i risultati maggioritari per i candidati sindaci relativamente alle elezioni comunali (precedenti e 2017). Per le politiche 2013 si usano i voti alle coalizioni (Bersani, Berlusconi, Monti, etc.). Per le europee del 2014 in ogni riga è riportata la somma dei risultati dei partiti relativi.

    Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (comunali) o partiti (politiche ed europee) di sinistra ma non in coalizione con il Pd.

    Il Centro-sinistra somma candidati (comunali) che hanno in coalizione il Pd (a prescindere da quali altri partiti ne facciano parte e dell’appartenenza partitica del candidato sindaco) o le coalizioni (politiche ed europee) con il Pd.

    Il Centro è formato da candidati (comunali) o coalizioni (politiche ed europee) sostenuti o contenenti almeno uno fra Udc, Ncd, Fli, Sc, Dc, Adc, Api, Udeur.

    Il Centro-destra somma candidati (comunali) che hanno in coalizione Fi (o Pdl o altri centro-destra, a prescindere da quali altri partiti ne facciano parte e dell’appartenenza partitica del candidato sindaco) o coalizioni (politiche ed europee) contenenti Fi (o Pdl o altri centro-destra);

    La Destra è la somma di candidati (comunali) sostenuti da Lega Nord, Fdi o La Destra o coalizioni (politiche ed europee) contenenti almeno uno di questi.

    Criteri per l’assegnazione di un candidati a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o Fi (o Pdl) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Test su divisioni a sinistra e tenuta M5S

    Test su divisioni a sinistra e tenuta M5S

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’11 giugno

    Le elezioni locali in Italia hanno sempre avuto una rilevanza nazionale. Un anno fa fecero scoprire alla massa degli osservatori la competitività del M5s. In particolare la sconfitta di Fassino a Torino al secondo turno contro la Appendino fu una grande sorpresa. Come le 19 vittorie del Movimento nei 20 ballottaggi in cui era presente. Fu allora che partì la campagna di delegittimazione dell’Italicum con la scusa che avrebbe fatto vincere Di Maio contro Renzi.

    Oggi si torna a votare in un contesto diverso dall’anno scorso e soprattutto da cinque anni fa. Il numero dei comuni maggiori al voto non è elevato. Si tratta di 161 comuni sopra i 15.000 abitanti. Ma tra questi ci sono 25 comuni capoluogo, di cui alcuni  importanti come Palermo, Genova, Verona, Parma. Inoltre quello che rende molto interessante questo test è il fatto casuale che questo insieme di comuni è così ben distribuito territorialmente e politicamente da rappresentare un campione rappresentativo dell’elettorato nazionale. In altre parole, come si vede nella tabella in pagina , nei 150 comuni  in cui si vota oggi, e dove si è votato anche nella tornata precedente con il sistema maggioritario a due turni, i partiti hanno preso – chi più, chi meno- una percentuale di voti simile a quella che hanno ottenuto a livello nazionale, sia alle europee del 2014 che alle politiche del 2013.

    Per esempio, alle europee del 2014 il Pd ha preso il 40,8% a livello nazionale e nei 150 comuni del campione ha preso esattamente la stessa percentuale, mentre alle politiche del 2013 aveva preso una % leggermente inferiore (24,6% contro il 25,4%). Così per gli altri partiti, con l’unica parziale eccezione della Lega. Per questo sarà possibile ricavare dal risultato in questi comuni una stima relativamente attendibile del consenso effettivo di partiti e coalizioni e quindi  dei loro rapporti di forza. Non dovremo quindi basarci più solo sui dati di sondaggio che molti ritengono oggi poco affidabili. Avremo finalmente dei dati ‘veri’ per cercare di capire cosa potrebbe succedere alle prossime politiche.

    Tab. 1 – I risultati delle politiche 2013 e delle europee 2014 nei 150 comuni superiori al voto e a livello nazionale[1]150 rappresentatività

    ll dato più interessante di questa tornata elettorale sta nella diversità della offerta politica tra centro-sinistra e centro-destra rispetto a cinque anni fa. Allora lo schieramento più unito fu il primo, oggi è il secondo.  Sul totale dei 161 comuni sono ben 88 i candidati sostenuti solo dai partiti alla sinistra del Pd. Nei venticinque capoluoghi i candidati dei partiti di sinistra che si contrappongono a quello del Pd sono addirittura 28.

    Tab. 2 – Riepilogo dell’offerta elettorale, candidati e liste161 offerta

    Solo a Oristano , Rieti e Como il Pd non ha almeno uno sfidante alla propria sinistra.  Questo vuole dire che nella maggioranza dei comuni e nella quasi totalità dei capoluoghi la sinistra si presenta più divisa rispetto al 2012. Il contrario di quanto accade nel centro-destra. Nei 161 comuni i candidati sostenuti solo da Lega Nord e Fdi sono  46.  In parte il dato riflette l’assenza della Lega Nord in molti comuni, ma resta il fatto che anche nei capoluoghi solo in due casi (Palermo e Belluno)  ci sono candidati dell’uno o dell’altro di questi due partiti contrapposti a quello di Forza Italia.

    Tab. 3 – Il quadro delle alleanze nei comuni capoluogo (clicca per ingrandire)25 capoluoghi sintesi offertaLe divisioni a sinistra rendono questo passaggio elettorale ancora più problematico per Renzi e il suo partito.  Sono 77 le amministrazioni uscenti targate Pd e alleati tra i 150 comuni, di cui 33 al Nord, 12 nella ex zona rossa e 32 al Sud. Sarà difficile ripetere questa performance. Cinque anni fa il centro-destra era in crisi dopo la rovinosa caduta del governo Berlusconi e il M5s non aveva i consensi che ha ora.

    Tab. 4 – Riassunto delle coalizioni vincenti nelle precedenti elezioni comunali150 uscenti

    E’ proprio il movimento di Grillo l’attore più atteso in queste elezioni. A differenza del 2012, i suoi candidati sono presenti quasi dappertutto. Per la precisione, ci sono in 131 comuni su 161 e in tutti i capoluoghi. Dato che in moltissimi casi la competizione è tripolare, sarà interessante vedere in quanti comuni i suoi candidati andranno al ballottaggio e contro chi.  E se, come l’anno scorso, riusciranno a beneficiare delle seconde preferenze degli elettori che al secondo turno hanno dovuto decidere se astenersi o votare un candidato che non era la loro prima preferenza. L’impressione che si ricava dai casi di  Genova e Parma è che questa volta la sfida sarà più complicata. Ma il M5s ci ha sorpreso in passato e potrebbe sorprenderci ancora.


    [1] Sono inclusi solo quei comuni che superiori lo erano già in occasione delle precedenti elezioni comunali e che quindi già in tale occasione votavano con il sistema elettorale a doppio turno e liste multiple a sostegno dei candidati.

     

  • Consultellum, cambio di strategia per i partiti ma la governabilità rimarrebbe una chimera

    Consultellum, cambio di strategia per i partiti ma la governabilità rimarrebbe una chimera

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 9 giugno

    Pare che il tedesco si sia arenato. In queste ore convulse non si sa se la nuova legge elettorale verrà effettivamente approvata. Ma una cosa è assolutamente chiara: se salta il modello simil-tedesco non ci sarà un’altra legge elettorale. Resteranno in piedi i due Consultelli e si andrà al voto con quelli. A beneficio del lettore che ha perso il filo di Arianna nel labirinto delle proposte elettorali ricordiamo che si tratta di due sistemi creati da due sentenze della Consulta. Quello della Camera prevede un premio di maggioranza che dà il 54% dei seggi alla lista che arriva al 40% dei voti. La soglia per avere seggi è al 3% a livello nazionale. Quello del Senato non prevede un premio di maggioranza. La soglia è all’8% a livello regionale. Scende al 3% nel caso in cui un partito si allei ad altri e insieme arrivino al 20%.

    Noi non siamo tra quelli che si stracceranno le vesti se il tedesco verrà definitivamente affossato. Dal punto di vista che ci interessa veramente, e cioè la governabilità del paese, tra tedesco o consultellum non c’è differenza. L’uno e l’altro non sono in grado di favorire nell’attuale contesto la formazione di maggioranze coese e stabili, come si vede dal confronto delle due simulazioni che proponiamo. Con i dati di oggi e il sistema simil-tedesco solo 4 partiti sarebbero rappresentati. Il leggero vantaggio della coalizione pro-Europa rispetto al fronte populista è effimero. La maggioranza dei seggi potrebbe andare a M5s e Lega Nord. Il voto sarebbe una lotteria e il risultato non è detto che sia il governo dei populisti. Potrebbe essere il non governo. Ma anche nel caso, più probabile, in cui Pd e Fi arrivino a 316 seggi o poco più sarebbe una maggioranza fragile.

    Alla stessa conclusione si approda se i partiti che superassero la soglia fossero più di 4, come abbiamo dimostrato in un precedente articolo. Ovvero se le percentuali delle intenzioni di voto fossero diverse da quelle usate qui. Non sono i numeri esatti che contano. Questi possono cambiare. Ma con sistemi proporzionali dovrebbero cambiare in maniera drastica perché il quadro delineato qui non fosse più verosimile. Al momento nulla lascia pensare a un cambiamento così profondo delle preferenze degli italiani.

    Con gli stessi dati di oggi e il Consultellum al posto del tedesco, alla Camera entrerebbero 6 partiti. Come si vede, cambierebbe la distribuzione dei seggi, ma non cambierebbero gli scenari. Maggioranze fragili e governi deboli. E la stessa probabilità che il fronte populista arrivi alla maggioranza assoluta. Sorridiamo al pensiero di tutti coloro che hanno tifato per la cancellazione del ballottaggio dell’Italicum per la paura di una vittoria del M5s. La verità pura e semplice è che senza dare agli elettori un secondo voto, come in Francia o come nel caso dei nostri sindaci, oggi qualunque sistema elettorale – tedesco, mattarellum-bis, consultellum – non può favorire alcuna reale governabilità. Per questo motivo il ritorno al consultellum non cambia il nostro giudizio sulle prospettive di governo del paese.

    Tab. 1 – Distribuzione dei seggi alla Camera, confronto fra modello tedesco e consultellumtedesco vs consultellum

    Sarebbe sbagliato però affermare che nulla cambierà se il tedesco non verrà approvato e si voterà con i due consultelli. Per i partiti cambieranno molte cose. Soprattutto per Berlusconi. Sarebbe lui il vero vincitore se il tedesco fosse approvato. Sarà lui il principale perdente se non lo fosse. Ed è paradossale che a mettere in crisi il Cavaliere sia stata una sua deputata con un emendamento che ha scatenato la bagarre.

    Il consultellum con tutti i suoi difetti è pur sempre un sistema che alla Camera prevede un premio di maggioranza che va ad una lista e non ad una coalizione. Pd e M5s potranno impostare la campagna elettorale facendo credere agli elettori di poter arrivare al 40% dei voti e quindi alla maggioranza assoluta dei seggi. Questa strategia – da voto utile – è preclusa a Forza Italia, a meno che non si associ a Lega Nord e Fratelli d’Italia. Partendo da una base del 13% delle intenzioni di voto nemmeno un grande illusionista come Berlusconi può far credere di poter arrivare da solo al 40%. Per essere credibile deve “fondersi” con i suoi antichi sodali. Non una coalizione, ma una fusione in una lista unica. Operazione complicata e rischiosa.

    Correre da solo però vorrebbe dire rassegnarsi a giocare un ruolo marginale al momento del voto, anche se dopo il voto il suo pacchetto di seggi sarebbe comunque indispensabile. Con il tedesco il dilemma non esiste. Né con questo sistema ci sarebbero le preferenze. E si sa quanto poco piacciano al Cavaliere. Tanto più che al Senato dovrebbero essere raccolte in diverse regioni in ambiti territoriali molto vasti. Si pensi alla Lombardia e alla Sicilia. Con tutte le conseguenze negative che questo comporta. Insomma, per Berlusconi l’ideale è proprio quel tedesco che la sua collega Biancofiore ha messo in crisi.

    Per i partiti minori il ritorno al consultellum ha dei pro e dei contro. La soglia del 3% alla Camera è molto più abbordabile di quella prevista dal tedesco. Al Senato però la soglia è all’8%. Solo alleandosi, come abbiamo detto, possono sperare di prendere seggi. Ma allearsi con chi? La risposta non è semplice. Per questo il consultellum, abbinato alla diversità dei corpi elettorali, potrebbe produrre risultati ancora più differenziati tra Camera e Senato di quanto farebbe il tedesco.

    Tutto questo preoccupa certamente il presidente della Repubblica che contava, e forse ancora conta, su una legge elettorale armonica. Ma se salta l’accordo a quattro sarà difficile mettere mano a modifiche significative dei due consultelli. Anche se alcune di queste sarebbero utili, necessarie e neutrali.

  • Chi vince e chi perde con il rebus proporzionale

    Chi vince e chi perde con il rebus proporzionale

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 7 giugno

    A differenza di quanto pensano in molti è relativamente semplice capire quale sarà l’esito delle prossime elezioni con il sistema elettorale in gestazione. L’unica incognita è rappresentata dalla soglia di sbarramento. (pestkill.org) Quanti partiti la supereranno? Sulla base dei dati di oggi solo quattro. Con quelli di domani potrebbero essere al massimo sette. Il confronto simulato tra questi due scenari ci dice parecchie cose.

    Se si esclude una maggioranza del fronte populista (M5s e Lega) e si assume che il movimento di Beppe Grillo continui a essere indisponibile a fare alleanze, qualunque coalizione di governo deve includere Pd e Forza Italia. Questi due partiti sono condannati a stare insieme. In altri termini, Silvio Berlusconi sarà indispensabile, e forse non basterà. Per lui il sistema tedesco è una manna. È inutile che lui da una parte ed Ettore Rosato (capogruppo Pd) dall’altra, facciano interviste per escludere questa ipotesi. O che Romano Prodi, Walter Veltroni e tutti i nostalgici dell’Ulivo cerchino di scongiurarla richiamandosi ai bei tempi andati. La realtà – o meglio la verità – è un’altra.

    Un governo Pd-Fi è più probabile in uno scenario a quattro partiti, grazie ai voti dispersi e quindi all’effetto maggioritario della soglia. Ma saranno determinanti di nuovo, come nel 2006, gli eletti della circoscrizione estero, oltre a trentini e altoatesini. In ogni caso maggioranza fragile.

    Tab. 1 – Distribuzione dei seggi in base alla legge elettorale in discussionesimulazione base

    In uno scenario a sette è praticamente certo che Pd e Fi non arriveranno alla maggioranza assoluta. Avranno bisogno di Angelino Alfano o di Giuliano Pisapia con Mdp. E non è detto che basti. I dati di oggi dicono di no. Più probabile che debbano mettersi tutti insieme da Pisapia ad Alfano per fare un governo che assomiglierà a una specie di “arco costituzionale in chiave europea” per arginare il fronte populista. Dall’anti-comunismo all’anti-populismo.

    Con questo sistema proporzionale e la presenza ingombrante del M5s una maggioranza di centrosinistra o una maggioranza di centrodestra appartengono al libro dei sogni. Insieme Pd e la sinistra di Pisapia-Mdp non possono arrivare al 50% dei seggi.

    Tab. 2 – Simulazione corretta per far arrivare al 5% Pisapia, Alfano e Melonisimulazione a7

    Anche se Pisapia arrivasse al 10% un governo con il Pd sarebbe impossibile. Il modello Milano a livello nazionale non funziona. A meno di non immaginare un (improbabile) straordinario successo di Matteo Renzi. Stessa situazione nel centrodestra. Anche se Berlusconi arrivasse al 21% dei voti, come nel 1994, non riuscirebbe a fare un governo con la Lega e Fdi. Oggi il suo partito viene stimato intorno al 13 per cento. C’è qualche buontempone che pensa che possa arrivare al 37% del 2008? Se c’è , si vada a vedere la percentuale della Lega di allora. Con i dati di oggi, e cioè la Lega Nord sopra il 10% e il M5s sopra il 20%, non è possibile che Fi possa tornare ai fasti di una volta e arrivare al 50% dei seggi con i suoi alleati del centrodestra.

    In uno scenario a quattro partiti non si può escludere del tutto che il fronte populista, M5s e Lega Nord, possa arrivare alla maggioranza assoluta. Resta un’ipotesi debole, ma le probabilità non sono zero. Quello che rende un pochino più probabile questo esito è il fatto che gli elettori che voteranno M5s o Lega Nord o Fdi non avranno consapevolezza che l’esito del loro voto potrebbe essere una maggioranza assoluta a favore di questi partiti. Nel caso francese la scelta tra Macron e Le Pen era visibile e chiara. Con un sistema come questo non lo è. In ogni caso questi due partiti oggi valgono circa il 40% dei voti/seggi. Questo dato condiziona pesantemente la formazione dei futuri governi.

    In conclusione, fare un governo dopo il voto sarà un rebus. Entreremo in una fase di grande incertezza. Maggioranze fragili e eterogenee. Qualcuno pensa che in fondo non sia un grosso problema. Sopravvivere senza governare è stata la nostra specialità in passato e forse continuerà ad esserlo in futuro. Mercati e Unione europea permettendo. Cosa potrebbe cambiare il quadro delineato fin qui e le conclusioni che ne abbiamo tratto? Solo una cosa: la disgregazione del M5s. Di certo, non qualche punto in più o in meno al Pd, a Fi o agli altri partiti. Piccoli spostamenti di voti non spostano nulla. È il proporzionale, bellezza!

  • Il patto proporzionale salvato a scapito della governabilità

    Il patto proporzionale salvato a scapito della governabilità

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 6 giugno

    La soglia al 5% c’è, e senza trucchi per aggirarla. Questa è la buona notizia che si ricava dalla lettura del testo del nuovo sistema elettorale, cosiddetto tedesco, che ora va in aula alla Camera. Imboscate di vario tipo sono sempre possibili soprattutto al Senato, ma l’accordo dei quattro maggiori partiti dovrebbe essere una garanzia. Così, per ora registriamo che la promessa di una soglia vera è stata mantenuta. Ci sono anche i collegi uninominali. Rispetto alla proposta originale quelli delle 18 regioni regolate dalla nuova legge sono diminuiti da 303 a 225 in modo da poter trovare una soluzione meno pasticciata al problema dei seggi in soprannumero che in Germania viene risolto allargando il Bundestag, cosa che da noi non si può fare.

    Poi ci sono 26 circoscrizioni (senza Trentino-Alto Adige e Valle D’Aosta) in ciascuna delle quali i partiti presenteranno una lista di candidati che va da 2 a 6 nomi. Erano 25 e l’emendamento Fiano ne ha aggiunto una in Lombardia. Le liste, come in Germania, sono bloccate, cioè non è previsto alcun voto di preferenza. Sono spariti i capilista garantiti, quelli che avrebbero preso il primo seggio disponibile a spese degli eletti nei collegi uninominali. Tutti gli eletti nei collegi uninominali avranno il seggio diversamente da quanto previsto nella proposta originale. Contrariamente a quanto pensano in tanti l’assenza del voto di preferenza non è una cosa negativa. Ricordo che l’attuale consiglio regionale lombardo è stato scelto dal 14% degli elettori andati alle urne. Solo loro hanno usato la preferenza. In queste condizioni è relativamente facile per gruppi organizzati influenzare l’elezione dei consiglieri. In Calabria invece la preferenza viene utilizzata da oltre l’80% dei votanti. Oggi il voto di preferenza da noi è sinonimo di clientelismo (soprattutto al Sud), corruzione e voto di scambio (dappertutto), e lobbies organizzate (soprattutto al Centro-Nord). Questo è l’unico punto su cui siamo d’accordo con Berlusconi.

    Mettendo da parte Trentino Alto Adige (11 seggi), Valle d’Aosta (1) e i 12 seggi della circoscrizione estero, alla Camera i seggi da distribuire ai partiti sono 606. Questi 606 seggi vengono tutti distribuiti proporzionalmente ai voti presi, e così anche al Senato. Per questo motivo chiamiamo “finti” i collegi tedeschi, per distinguerli da quelli veri in cui la vittoria o meno in un collegio incide sulla ripartizione dei seggi tra i partiti. Come in Gran Bretagna, Francia, l’Italia del Mattarellum.

    Gli elettori avranno un solo voto. Con lo stesso voto sceglieranno il candidato nel loro collegio e il partito ad esso collegato. Se non piace il candidato dovranno comunque votarlo per poter votare il partito. Se piace il candidato ma non il partito, dovranno accettare il partito per poter votare il candidato. L’unica scelta vera è quella di non votare. In Germania non è così. Questo, e non l’assenza del voto di preferenza, è uno degli elementi negativi di questo sistema. Detto ciò, occorre anche dire che questo meccanismo rappresenta un incentivo per i partiti più grandi a candidare nei collegi persone credibili per cercare di attirare voti personali che si trasformano automaticamente in voti al partito. Un piccolo vantaggio per il Pd, meno per Fi e M5s.

    Eppure, Berlusconi e Grillo sono i veri vincitori di questa partita. Volevano un sistema proporzionale e lo hanno ottenuto. In questo modo possono presentarsi davanti agli elettori da soli. Berlusconi non avrebbe potuto farlo né con il Mattarellum-bis – alias Rosatellum – né con il Consultellum. Il Cavaliere ha già annunciato in una recente intervista al Giornale la sua strategia. Correre da solo dicendo agli elettori che dopo il voto farà il governo con la Lega Nord e Fratelli d’Italia, come ai bei tempi. Solo che quei tempi non ci sono più e il governo lo farà con Renzi. Ma questo ai suoi elettori non lo dice. Né lo dirà Renzi. Le prossime elezioni – lo abbiamo già scritto – saranno la fiera delle finzioni.

    Il M5S temeva moltissimo i collegi veri. I collegi finti del simil-tedesco gli vanno bene. In più gli va benissimo che non ci siano incentivi per gli altri a fare coalizioni prima del voto. Se la giocheranno testa a testa con il Pd per il primo posto in classifica e poi si vedrà. Renzi voleva le elezioni anticipate e forse le otterrà. Tornare al governo val bene il ritorno al proporzionale. Poteva puntare sul Rosatellum e eventualmente andare al voto con il Consultellum. E invece ha sacrificato il principio maggioritario sull’altare delle elezioni anticipate e – lo dice lui- del pragmatismo.

    Ed è contento anche il presidente Mattarella che voleva fortemente una nuova legge elettorale armonica e la otterrà. La Consulta ci ha detto che i due sistemi elettorali da lei confezionati erano auto-applicativi, ma pare che non abbia convinto il presidente. Molto contenti sono anche loro, i giudici della Consulta e la grande maggioranza dei costituzionalisti italiani da sempre tenacemente ancorati all’idea che la vera democrazia sia quella proporzionale. Viva la rappresentanza. L’intendenza, cioè la governabilità, seguirà. E se non seguirà, pazienza. Per loro non è un problema. I perdenti – per ora – sono i piccoli partiti. Ma in fondo la soglia del 5% non è un obiettivo irraggiungibile né per la sinistra di Pisapia, né per il centro di Alfano né per la destra della Meloni. Se fanno bene i conti, possono giocarsela.

    Noi invece siamo molto scontenti. A noi, e – osiamo credere – alla maggioranza dei cittadini, interessa che dopo il voto ci sia un governo capace di governare e di fare quelle riforme di cui il paese ha bisogno. Il ritorno al proporzionale non garantisce affatto un esito simile. Questo è il vero problema. Non il numero dei collegi uninominali o le liste bloccate.

  • Le vie d’uscita dal rebus dei seggi in soprannumero

    Le vie d’uscita dal rebus dei seggi in soprannumero

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 4 giugno

    I collegi uninominali che la nuova legge elettorale di stampo tedesco vuole introdurre in Italia sono stati attualmente configurati in modo molto diverso da quelli in vigore a Berlino. In Germania vale sempre il principio che chi vince in un collegio si tiene il seggio. Nella proposta di legge elettorale all’esame del nostro Parlamento, così come è ancora congegnata al momento, esistono tre casi in cui questo principio viene violato. Questa non è questione di poco conto. Già i collegi tedeschi sono “finti” perché non servono a decidere la distribuzione dei seggi tra i partiti. In altre parole non hanno un effetto maggioritario come quelli inglesi o francesi o come quelli del vecchio Mattarellum. Se a questo si aggiunge anche il fatto che chi vince nel collegio potrebbe in realtà non vincere, perché pur arrivando primo non gli viene attribuito il seggio, si capisce bene che viene meno anche l’altra funzione del collegio uninominale, cioè quella di consentire agli elettori di essere rappresentati da chi vogliono.

    Primo caso. Un partito vince un seggio in un collegio ma non arriva al 5% a livello nazionale. In Germania si tiene il seggio, da noi no. Il seggio viene assegnato ad altro candidato. Questa norma presenta il vantaggio di impedire che la soglia del 5% possa essere aggirata con accordi di desistenza tra partiti, ma lo stesso risultato potrebbe essere raggiunto lasciando il seggio al partito che lo ha vinto ma impedendogli di utilizzare i voti proporzionali raccolti a livello nazionale.

    Secondo caso. Un partito ha diritto, per esempio, a 10 seggi totali in una data circoscrizione e i suoi candidati sono arrivati primi in 10 collegi uninominali. Uno dei dieci seggi uninominali non viene assegnato al vincente perché uno dei 10 seggi spettanti al partito va al candidato primo nella lista circoscrizionale. In questo caso invece di 10 eletti uninominali e zero proporzionali, il partito avrà 9 eletti uninominali e uno proporzionale, a meno che non si verifichi il caso del tutto improbabile che i dieci candidati vincenti nei collegi abbiano tutti preso il 50% dei voti. La clausola dei capilista garantiti è una peculiarità del nostro sistema che serve a offrire un paracadute a quei candidati di lista dei partiti più grandi che in certi contesti potrebbero non riuscire a ottenere il seggio in concorrenza con i loro colleghi che corrono nei collegi.

    Terzo caso. Un partito ha diritto a 10 seggi totali in una data circoscrizione, ma i suoi candidati sono arrivati primi in 11 collegi uninominali. In altre parole, in base ai voti proporzionali ottenuti, i seggi spettanti al partito dovrebbero essere solo 10, ma ne ha presi 11 nei collegi. In Germania l’undicesimo seggio viene comunque assegnato al partito che lo ha vinto anche se è in soprannumero. In questo modo la composizione del Bundestag si allarga per accomodare questi seggi in soprannumero. A Berlino si può fare perché il numero dei deputati non è fissato in costituzione e quindi può variare. Da noi il numero dei deputati e dei senatori è fisso. Per questo i seggi in soprannumero sono un problema. La soluzione, attualmente prevista e in corso di modifica, è stata quella di prevedere una graduatoria degli 11 candidati uninominali vincenti sulla base delle loro cifre elettorali e escludere dall’ assegnazione dei seggi l’undicesimo del nostro esempio, che si va ad aggiungere al decimo che viene escluso a causa della regola del capolista garantito. Due collegi uninominali dove i vincenti non vincono. Non proprio una bella cosa.

    Dei tre casi analizzati qui solo il secondo può essere risolto facilmente. Basta eliminare la norma che il primo seggio vada al capolista. Vedremo se l’emendamento in queste ore in discussione lo farà. Negli altri due casi qualunque soluzione ha delle controindicazioni. Si tratta di scegliere la soluzione meno peggio. Quella di togliere il seggio a chi vince in un collegio uninominale, come è previsto nel testo attuale, non è certamente la migliore. In queste ore si sta trattando per trovare una diversa soluzione che preveda un numero minore di collegi uninominali (e conseguentemente uno maggiore di seggi proporzionali) in modo da “accomodare” gli eventuali seggi in soprannumero. Sarebbe una soluzione migliore della precedente. Anche questa soluzione ha però una controindicazione in quanto in questo modo si aumenta il numero dei parlamentari eletti nelle liste circoscrizionali con liste bloccate.

    D’altronde l’impianto nel nostro contesto del modello simil-tedesco non si può fare senza qualche compromesso. Giorni fa la soluzione su cui si sta lavorando ora era già stata proposta (da Dario Parrini, deputato e segretario Pd della Toscana), ma rigettata. Sarebbe interessante sapere perché e da chi. Se fosse stata accolta allora, avrebbe risparmiato a chi ha proposto questa legge una gran brutta figura. (Phentermine)

     

  • Maggioranze deboli e alleati scomodi, i conti del proporzionale

    Maggioranze deboli e alleati scomodi, i conti del proporzionale

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 31 maggio

    La direzione del Pd ha deciso di mettere nel cassetto il Mattarellum bis, alias Rosatellum, e puntare sul modello tedesco. È il ritorno al proporzionale. È il ritorno ad un sistema in cui non saranno più gli elettori a decidere chi governa. Le coalizioni non si faranno più prima del voto, come è stato dal 1994 al 2013, ma dopo come è successo dal 1948 al 1992. È il ritorno alla prima repubblica, alle sue alchimie parlamentari e ai suoi governi deboli ed effimeri. Ripetiamolo per l’ennesima volta. Il tedesco è un sistema proporzionale. Il 100 % dei seggi viene diviso tra i partiti con una formula proporzionale. Da noi funzionerà male perché non è sostenuto dal sistema istituzionale e dalla cultura politica tedesche. Però ha delle particolarità che lo rendono interessante: la presenza di collegi uninominali e la soglia di sbarramento del 5 per cento.

    La soglia è l’elemento cruciale. Come abbiamo fatto vedere domenica scorsa, con le attuali stime delle intenzioni di voto una soglia al 5% produrrebbe da noi una drastica semplificazione del sistema partitico. Solo quattro partiti sarebbero rappresentati. I “magnifici quattro” saranno divisi in due campi. Da una parte i due partiti pro-Europa. Dall’altra i due partiti anti-europei. Sarà una specie di quadriglia bipolare ma calata non nel contesto del doppio turno francese, bensì in quello proporzionale italiano. Una differenza di non poco conto. A seconda di come verrà impostata la campagna elettorale potremmo assistere a una sfida dal sapore maggioritario. Il ballottaggio cassato dalla Consulta riapparirebbe sotto forma di una sfida a un turno solo tra chi vuole l’Europa e chi no. Potrebbero vincere gli uni o gli altri. Ma la sfida non avrà la chiarezza e la decisività di quella francese.

    Naturalmente Renzi e Berlusconi da una parte e Di Maio e Salvini dall’altra non diranno agli elettori che dopo il voto faranno un governo insieme. Soprattutto Renzi. Dirà che punterà a vincere, come ha detto nella recente intervista al Messaggero, ma è una finzione. Con il tedesco non si può puntare a vincere, cioè ad arrivare al 50% dei seggi. Troppa grazia Sant’Antonio. Allora tanto valeva tenersi il Consultellum con la sua soglia al 40% che consentiva di arrivare al 54 % dei seggi con meno fatica. Col tedesco si può solo puntare ad arrivare primi. E se così è, ed è così, devi pur dire agli elettori con chi farai il governo dopo il voto. In un contesto quadripolare l’alleato naturale di Renzi è Berlusconi. Quello di Di Maio è Salvini. Ma per entrambi sono alleati scomodi. Renzi non farà campagna elettorale dicendo che governerà con Berlusconi? Deve fingere. E lo stesso farà Di Maio con Salvini. Tutt’al più racconterà una altra favola, quella di un governo di minoranza del M5S appoggiato dall’esterno dalla Lega Nord. Le prossime elezioni con il tedesco saranno la fiera delle finzioni.

    Ma non è detto che alla fine in Parlamento entreranno solo i “magnifici quattro”. I sistemi elettorali sono strumenti potenti. I loro incentivi spingono a fare cose che altrimenti i partiti non farebbero. Con una soglia al 5%, se i partiti alla sinistra del Pd non si coordinano rischiano di sparire. Con una soglia al 3% Bersani può rischiare di correre da solo. Con una soglia al 5% no. Lo stesso vale per Sinistra italiana e per il Campo progressista di Pisapia. Devono unirsi. Ma sappiamo bene che a sinistra l’unità è merce rara. Si uniranno per convenienza ma le divisioni resteranno, alimentate anche dal rapporto conflittuale con Renzi. Anche Alfano e la Meloni rischiano di sparire con una soglia al 5%. Il primo più della seconda. Che faranno? Al momento cercheranno di negoziare, insieme a tutti gli altri candidati alla sparizione o alla fusione, una soglia più bassa. Poi si vedrà.

    Tab. 1 – Possibili coalizioni di governo in base alle attuali intenzioni di voto con il sistema tedesco in tre diverse versioni[1]cise 2

    La partita sul tedesco non è ancora definitivamente chiusa. Il rischio è che si possa chiudere male. Speriamo che Renzi, pur di andare a votare subito, non accetti una soglia più bassa o un meccanismo per aggirarla. In Germania e in Nuova Zelanda (altro paese con sistema tedesco) chi vince uno o più seggi uninominali può utilizzare i suoi voti complessivi anche se sono meno del 5%. Va da sé che i piccoli partiti non possono vincere da soli nei collegi, ma potrebbero farlo se ci fossero accordi di desistenza con i partiti maggiori. È il modo in cui la soglia del 4% nella parte proporzionale del Mattarellum della Camera è stata aggirata. Da lì è passata la “proporzionalizzazione” di quel sistema che in teoria avrebbe dovuto ridurre la frammentazione, ma non lo ha fatto. L’ha sola incanalata in due coalizioni alternative.

    In Germania questi trucchi non esistono. Noi ne siamo maestri. E questo è solo uno dei modi per aggirare la soglia. Perché essa funzioni veramente occorre anche che sulla scheda elettorale i partiti si presentino come liste singole e non come insiemi di liste pronte a scindersi il giorno dopo il voto. E soprattutto occorre che vengano riformati i regolamenti parlamentari per impedire la formazione di gruppi parlamentari che non corrispondono alle formazioni politiche che si presentano alle elezioni.

    Insomma se ritorno al proporzionale deve essere, che almeno lo si faccia tenendo ferma la barra della semplificazione del sistema politico. Possiamo crederci? O la stessa riforma elettorale sarà una finzione?


    [1] Le intenzioni di voto utilizzate sono state calcolate facendo la media di 5 sondaggi pubblicati la scorsa settimana.

  • Legge elettorale, le convenienze (e i danni) del «tedesco»

    Legge elettorale, le convenienze (e i danni) del «tedesco»

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 28 maggio

    Matteo Renzi vuole le elezioni anticipate e a questo punto gli importa poco il sistema elettorale. A Silvio Berlusconi importa molto il sistema di voto, cioè evitare i collegi uninominali, e poco le elezioni anticipate. Al M5S vanno bene sia le elezioni anticipate che il modello tedesco. Alla Lega di Matteo Salvini va bene tutto. Mattarella non vuole le elezioni anticipate ma vuole fortemente un sistema elettorale “armonizzato”. Questo è il puzzle in cui si dibatte la politica italiana oggi.

    In fondo a questo guazzabuglio di interessi si stagliano il ritorno al proporzionale e la fine di un ciclo. Pare che Renzi sia pronto a sacrificare quel che resta della democrazia maggioritaria e del principio fondante della Seconda Repubblica sull’altare delle elezioni anticipate. Pur di andare a votare prima della legge di bilancio e delle elezioni siciliane sembra aver deciso che il sistema elettorale in vigore in Germania possa sostituire i due sistemi confezionati dalla Consulta con le sue improvvide sentenze del 2014 e del 2016. Una decisione del genere equivale all’accettazione del ritorno al proporzionale.

    L’alfiere della Terza Repubblica, il Macron italiano, diventerebbe il restauratore della Prima. Infatti, il sistema tedesco è al 100% un sistema proporzionale. Ma c’è un però. In Germania solo i partiti che hanno almeno il 5% dei voti e quelli che arrivano primi in tre collegi possono partecipare alla distribuzione dei seggi. La soglia del 5% è uno strumento potente. La tabella in pagina mostra cosa succederebbe in Italia con il modello tedesco sulla base delle attuali stime di voto e di alcune ipotesi alternative con soglie più basse.

    Con la soglia al 5% prenderebbero seggi solo quattro partiti. I “magnifici quattro”: Pd, M5s, Forza Italia e Lega Nord. Di per sé questo non è un male. Sarebbe una drastica e salutare semplificazione del quadro politico. Una cosa mai vista in Italia dal 1946. Chissà se la Consulta avrà qualcosa da ridire. L’Italicum da questo punto di vista era meno distorsivo. Con tanti partiti che non arrivano al 5% i “magnifici quattro” sarebbero sovra-rappresentati. Si produrrebbe cioè un effetto maggioritario. E questo va bene.

    Il problema è il governo. Con i dati di oggi ci sarebbero sulla carta due coalizioni che si contenderebbero la maggioranza assoluta dei seggi. Il fatidico 51% potrebbe andare a Pd e Fi, ma anche a M5s e Lega Nord. Potrebbe essere una roulette. Proprio l’esito che la cancellazione del ballottaggio dell’Italicum voleva scongiurare. D’altronde una soglia più bassa (2,5%) – come si vede nella Tabella 1 – ridurrebbe il rischio di una possibile maggioranza M5s-Lega Nord ma indebolirebbe Pd e Forza Italia rendendo necessaria una coalizione tra Berlusconi e i partiti a sinistra del Pd.

    Tab. 1 – Distribuzione dei seggi in base alle attuali intenzioni di voto con il sistema tedesco in tre diverse versioni[1]tedesco 3 soglie

    Insomma, il tedesco non è la panacea dei nostri problemi di governabilità post-referendum costituzionale. Ma non sarebbe un cattivo sistema a condizione che resti un tedesco vero e non un tedesco in salsa italiana. Su questo però i dubbi sono legittimi. In particolare la soglia deve restare al 5% e nel nostro caso non va permesso il suo aggiramento attraverso l’escamotage delle vittorie nei collegi. Le desistenze sono una nostra specialità e servirebbero a far sparire la soglia. Senza soglia al 5% il tedesco in salsa italiana sarebbe il trionfo della rappresentatività e il funerale della governabilità. E va trovata una soluzione soddisfacente per il problema dei seggi in soprannumero. Tema da affrontare in altro momento.

    Meglio del tedesco ci sarebbe il Mattarellum bis, il cosiddetto Rosatellum. Ma è stato messo frettolosamente da parte. Ci dicono che per la sua approvazione mancherebbero i voti al Senato. Può darsi, ma finché non ci si prova non si può sapere. Nell’attuale Senato – dispiace dirlo – può succedere di tutto. Tutto è possibile se si negozia per davvero. Nessun esito è scontato. Varrebbe la pena provarci e lasciare agli altri la responsabilità del no. Ma pare che il percorso sia segnato. Si finirà a Berlino sperando che sia veramente Berlino e non Roma.

    Siamo arrivati a questo punto per la voglia di elezioni anticipate di Renzi e le pressioni di Mattarella per l’armonizzazione degli attuali sistemi di voto. Sono loro i veri protagonisti della partita. Renzi sembra aver deciso. L’interesse per il voto in autunno è tale da giustificare ai suoi occhi il ritorno al proporzionale. Ma vuole essere sicuro che questo sacrificio porti veramente alle elezioni anticipate. Teme la trappola. Il presidente Mattarella vuole fortemente la riforma elettorale. Non sembra disposto ad accettare il rischio di elezioni in autunno, nel bel mezzo del processo di approvazione della legge di bilancio e senza alcuna certezza che si possa fare rapidamente un governo dopo il voto. Noi nel nostro piccolo speriamo di non finire in una palude peggiore dell’attuale.


    [1] Le intenzioni di voto utilizzate sono state calcolate facendo la media di 5 sondaggi pubblicati in questa settimana

  • Modello tedesco, quel proporzionale quasi puro

    Modello tedesco, quel proporzionale quasi puro

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 23 maggio

    Silvio Berlusconi è oggi in un angolo. Nel 2005 con l’aiuto di Pier Ferdinando Casini era riuscito a liberarsi degli odiati collegi uninominali. Li sostituì con il premio di maggioranza del famigerato Porcellum. Ed ecco che ora lo spettro del collegio riappare sotto la forma di un Mattarellum bis, grazie alla convergenza momentanea di interessi tra Renzi e Salvini. Lui con Grillo, e Renzi con Salvini. Strane coppie. Di questi tempi se ne vedono proprio di tutti i colori.

    Tanto è il timore che la riforma elettorale vada in porto che il leader di Forza Italia è arrivato non solo ad accettare il modello tedesco, in cambio della rinuncia al Mattarellum bis, ma addirittura a offrire lo scioglimento anticipato delle camere, cosa contro cui tuonava fino a qualche giorno fa. Nulla di cui sorprendersi. La politica è fatta di interessi di parte. E oggi l’interesse vitale del Cavaliere è quello di impedire la resurrezione del detestato collegio uninominale maggioritario, anche a costo di accettare il “collegio uninominale tedesco”.

    Il sistema elettorale con cui si voterà in Germania il prossimo settembre è un modello “strano”. Apparentemente si tratta di un sistema misto come il Mattarellum bis. Anche a Berlino il 50% dei seggi viene assegnato in collegi uninominali e il 50% con formula proporzionale e liste bloccate. In realtà però tutti i seggi vengono divisi tra i partiti proporzionalmente ai voti ricevuti. I collegi uninominali servono solo a consentire agli elettori di scegliere il 50% degli eletti. L’altro 50% lo scelgono i partiti, visto che non è previsto alcun voto di preferenza. Sia chiaro una volta per tutte: sul piano della distribuzione dei seggi tra i partiti il sistema tedesco è al 100% un proporzionale. Punto. L’unico correttivo è la soglia di sbarramento del 5%. Se un partito non arriva al 5% non prende seggi, a meno che non conquisti per conto proprio qualche seggio uninominale. Cosa ovviamente difficile per i piccoli.

    Gli elettori hanno a disposizione due voti su un’unica scheda: un voto per un candidato nel proprio collegio, l’altro per un partito. Il voto al candidato decide chi rappresenterà quel collegio al Bundestag. Il voto al partito serve a decidere quanti seggi spetteranno alle diverse forze politiche. Il calcolo viene fatto a livello nazionale con formula proporzionale. Per esempio, una volta determinato che un partito ha diritto a un totale di 200 seggi sulla base dei suoi voti proporzionali si va a vedere quanti seggi uninominali ha ottenuto. Supponiamo che ne abbia vinti 50. Vorrà dire che dei 200 seggi che gli spettano 50 andranno ai vincenti nei 50 collegi, e 150 verranno ripartiti tra i candidati di lista nei vari Länder. Una conseguenza di questo sistema è che solo i partiti più grandi hanno la possibilità di eleggere una quota di candidati nei collegi. Per i partiti più piccoli la loro intera rappresentanza nel Bundestag consiste di candidati eletti nelle liste bloccate.

    Tornando a Berlusconi, c’è da dire che farebbe volentieri a meno anche del sistema tedesco a favore di un sistema proporzionale in stile Prima Repubblica, ma al momento deve fare buon viso a cattivo gioco. In fondo il collegio uninominale tedesco a differenza di quello inglese, incorporato nel Mattarellum bis, per lui è il male minore. Gli consentirebbe di non fare accordi prima del voto con nessuno e trattare dopo il voto con il Pd per fare il governo dei moderati, portando in dote il suo prezioso pacchetto di seggi. Che questo pacchetto sia sufficiente a fare maggioranza non è detto. Anzi, allo stato attuale delle cose, è improbabile. Ma poco importa in questa fase. Sarà in ogni caso necessario. E poi con il modello tedesco sarà lui a scegliere tutti gli eletti di Forza Italia grazie alle liste bloccate. Nessun dubbio, quindi, che questo sistema sia preferibile dal suo punto di vista al Mattarellum bis e in fondo anche agli attuali due Consultellum. Ma deve fare i conti con Renzi.

    Per il segretario del Pd si apre una fase delicata. La voglia di elezioni anticipate è forte e rende la proposta del Cavaliere attraente. Ma intanto occorre vedere se questa strada è tecnicamente percorribile. Anche con il modello tedesco occorre disegnare i collegi. E per quest’operazione ci vorrà tempo. Almeno qualche settimana. Se aggiungiamo questo tempo a quello necessario per approvare la nuova legge nei due rami del parlamento, si potranno sciogliere le camere in modo da non rendere ancora più difficile l’approvazione della prossima legge di bilancio e i rapporti con l’Europa ? Ammesso che si possa fare, ne vale la pena? Vale la pena di rinunciare definitivamente a qualunque prospettiva di democrazia maggioritaria in questo paese? Fa sorridere l’ineffabile Augusto Minzolini che sulle pagine del Giornale scrive che «il proporzionale (… ) è l’occasione di un ritorno al futuro: un tuffo nella Prima Repubblica per cominciare a disegnare la terza». Chissà cosa ne pensa Renzi?