Autore: Alessandro Chiaramonte

  • Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013

    CHIARAMONTE, A. C. A., & Sio, L. D. (Eds.). (2014). Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, 1–276.

    Un terremoto: così si può definire il risultato elettorale del 2013, con un sistema che da bipolare diventa a «tre poli e mezzo», e il M5S che dal nulla diventa il primo partito, sospinto da oltre otto milioni di voti. Per la prima volta, dalla fine della Prima Repubblica, a determinare l’esito non è solo una bizzarra legge elettorale, né le scelte coalizionali dei partiti: è invece un massiccio cambiamento nelle scelte di voto degli elettori. Di qui la necessità di un’analisi rigorosa e approfondita di queste elezioni cruciali, che il libro affronta a tutto campo: dalla costruzione dell’offerta politica alla campagna elettorale, dalle dinamiche dell’astensionismo a quelle del voto e dei flussi elettorali, dalla novità del M5S al significativo ricambio della classe politica.

  • The Elections of 2013: A Tsunami with No Winners

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2014). The Elections of 2013: A Tsunami with No Winners. In C. Fusaro & A. Kreppel (Eds.), Italian Politics. Still Waiting for the Transformation (pp. 45–63). NEW YORK: Berghahn Books.

    Italy in 2013 seemed to be continually on the cusp of substantive reform and forward motion, but never quite achieved it. The previous two years had seen the fall of the Berlusconi government and the beginning of the end of the Second Republic, followed by the predominance of technocrats in office. In contrast, 2013 proved to be a year of incomplete transitions, marked by a period during which the Italian political and institutional system reached a near complete stalemate. Grand coalitions were incapable of substantive decision-making, bold initiatives languished in the legislature, foreign policy actions faltered and failed, and the government showed a continued inability to effectively tackle the real economic and social issues that faced the country. Thus, in many ways, Italy has been muddling through as it did following the fall of the First Republic. Although some of the political developments that took place in the waning months of the year may prove to be the foundation for future momentous changes, it is very likely that 2014 will prove to be a further continuation of the seemingly endless transitional period in Italy.

  • Le elezioni politiche del 2013: uno tsunami senza vincitori

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2014). Le elezioni politiche del 2013: uno tsunami senza vincitori. In C. Fusaro & A. Kreppel (Eds.), Politica in Italia. I fatti dell’anno e le interpretazioni – Edizione 2014 (pp. 51–70). BOLOGNA: Il Mulino.

    Il 2013 è stato un anno di transizioni incomplete, in cui il sistema politico e istituzionale italiano ha raggiunto uno stallo decisionale pressoché assoluto. Apertosi con la riconferma del riluttante Giorgio Napolitano alla Presidenza della Repubblica, per l’incapacità del Parlamento di eleggere un successore, l’anno si è concluso con la sentenza della Corte costituzionale che ha giudicato illegittime le parti decisive della legge elettorale in vigore dal 2005. La parabola eloquente di un sistema sull’orlo della paralisi, in attesa della svolta.

  • L’analisi dei flussi elettorali a Firenze

    di Alessandro Chiaramonte

    Pubblicato sul Corriere fiorentino del 1/3/2013

    Dallo scorso lunedì sera l’attenzione dei più si è spostata dall’esito delle elezioni ai possibili scenari per la formazione del futuro governo. Resta però ancora molto da capire cosa sia veramente successo nelle urne. Certo un terremoto: lo straordinario successo di Grillo, l’arretramento del centro-sinistra e del centro-destra, il mediocre risultato di Monti. Molti hanno cambiato la loro scelta di voto rispetto al passato, e di quelli che lo hanno fatto ne ha beneficiato principalmente un partito – il Movimento 5 Stelle – che alle scorse elezioni politiche non c’era nemmeno. Ma chi sono questi elettori mobili? Cosa avevano votato cinque anni fa? E chi si è astenuto rispetto ad allora? In attesa di riflessioni più ponderate e comprensive, alcune parziali risposte a questi interrogativi ci giungono dall’analisi dei flussi voto a partire dai dati delle sezioni elettorali.

    Qui ci concentreremo sul comune di Firenze, dove le differenze di voto tra il 2008 e il 2013 sono state abbastanza, ma non del tutto, in linea con quanto osservato a livello nazionale. A Firenze il centro-sinistra ha contenuto le perdite a 5,3 punti percentuali (passando dal 53,6% al 48,3%), minori rispetto al resto della Toscana (-8,8) e all’Italia nel suo complesso (-8,0); questo soprattutto grazie al buon risultato di Sel (6%), mentre il Pd è sceso dal 48,7% al 41,9%. Il centro-destra si è fermato ad appena il 18% dei voti, giù di 12,8 punti percentuali dal 2008, praticamente la stessa differenza registrata in tutta la regione. La coalizioni guidata da Monti ha di poco superato il 10% così come avvenuto in Italia, ma meglio che nel resto della Toscana dove ha conseguito solo l’8,4%. Infine, il Movimento 5 Stelle di Grillo, pur ottenendo uno straordinaria affermazione con il 18,3%, a Firenze ha fatto decisamente meno bene rispetto al livello regionale (24%) e nazionale (25,5%). 

    Ma passiamo dai saldi di voto alle stime dei flussi elettorali intervenuti tra il 2008 e il 2013 e che sono illustrate nelle tabelle 1 e 2. In particolare, con riferimento al complesso delle sezioni elettorali del comune di Firenze, la tabella 1 riporta le destinazioni dei voti espressi nel 2008 – e dei non voti, includendo in questa categoria l’astensione e il voto nullo o bianco, ovvero coloro che non avevano ancora la maggiore età ma oggi sì – tra le varie coalizioni presenti nelle elezioni del 2013, ovvero, anche qui, il non voto. Il dato forse più interessante da sottolineare è l’infedeltà degli elettori che nel 2008 votarono il Pdl: solo la metà di loro hanno riconfermato il voto per il partito di Berlusconi, mentre i restanti si sono sostanzialmente divisi tra Monti e l’astensione. Non si rileva invece alcun flusso statisticamente significativo tra il voto al Pdl del 2008 e il voto a Grillo nel 2013; si tratta di un dato sorprendente e in controtendenza rispetto ad altre analisi, compiute a livello nazionale, che hanno invece messo in luce la capacità di attrazione del Movimento 5 Stelle presso l’elettorato ex Pdl. A Firenze non è però stato così. Nel campo di centro-destra solo tra i (pochi) elettori della Lega Nord del 2008 si registrano fughe in direzione di Grillo.

    Tab. 1 – Flussi elettorali nel comune di Firenze: destinazioni nelle coalizioni del 2013 degli elettorati 2008 dei principali partiti.

    Tab. 2 – Flussi elettorali nel comune di Firenze: provenienza dei voti delle coalizioni 2013 dagli elettorati 2008 dei principali partiti.

    Di contro all’infedeltà degli elettori di centro-destra, ma anche di quelli dell’Udc e della sinistra radicale, sembra rilevante la fedeltà degli elettori del Pd, che all’80% riconfermano il voto passato. Tenuto però conto della dimensione del Pd fiorentino (oltre 113.000 voti nel 2008), il 20% che se ne è allontanato dalle elezioni precedenti è pur sempre una quota ragguardevole. E’ una quota che rappresenta addirittura la metà dei consensi ottenuti dal Movimento 5 Stelle. Lo si apprezza osservando la tabella 2, che indica proprio le provenienze dei voti che si sono riversati sulle coalizioni concorrenti nelle elezioni del 2013. I dati evidenziano l’incapacità della sinistra di uscire dai suoi abituali confini e la significativa attrattività di Monti tra i delusi da Berlusconi, ma soprattutto confermano e precisano quanto già detto: il bacino al quale Grillo ha attinto non è quasi per nulla di elettori di destra, bensì al 60% di elettori di sinistra (51% ex Pd, 4% ex Sinistra arcobaleno e 4% ex Idv) e per il resto di astensionisti e di sostenitori di formazioni minori fuori dalle principali coalizioni. Insomma, a Firenze il profilo del movimento di Grillo non è quello di un partito trasversale, capace di attrarre voti da più parti dello spettro politico, bensì di un partito di una sinistra “nuova” o “diversa”. Viene da chiedersi allora se ciò abbia a che vedere con un sentimento anti-establishment che a Firenze e in Toscana non può che aver penalizzato maggiormente il partito qui più a lungo al potere, appunto il Pd, e, addirittura, se sia legato ad una delusione nei confronti di un apparato che alle primarie non ha saputo cogliere la novità rappresentata da Renzi. Almeno per ora, tuttavia, queste ulteriori domande sono destinate a rimanere senza risposta.

     


    Nota metodologica: l’analisi dei flussi elettorali qui presentata è basata sul modello di Goodman, corretto dall’algoritmo Ras, applicato a 353 sezioni elettorali. E’ stata condotta da Matteo Cataldi.

  • Volatile e tripolare: il nuovo sistema partitico italiano

    di Alessandro Chiaramonte e Vincenzo Emanuele

    Lo straordinario successo di Grillo e il tracollo elettorale di Pdl e Pd modificano profondamente il paesaggio del nostro sistema partitico.
    Dalle politiche del 2008 era emerso un sistema a “bipolarismo limitato” [Chiaramonte 2010], con la presenza di due grandi partiti, Pdl e Pd, che insieme raccoglievano più del 70% dei voti. Ciò rappresentava una grande novità rispetto agli anni più recenti, caratterizzati da un “bipolarismo frammentato” con molti piccoli partiti in grado di esercitare un notevole potere di ricatto sulle due coalizioni principali. Ma anche rispetto agli anni della Prima Repubblica, in cui la dinamica competitiva fra i due grandi partiti (Dc e Pci) era inserita in un quadro di forte polarizzazione ideologica e in un contesto internazionale che impediva l’alternanza.
    Con le elezioni di domenica e lunedì il sistema partitico italiano ha cambiato pelle ancora una volta. Un partito alla sua prima prova elettorale ha ottenuto il 25,6% dei voti, un fatto che rappresenta un unicum nell’intera storia dell’Europa occidentale (in elezioni non fondative del regime democratico). Anche il clamoroso precedente di Forza Italia del 1994 (21%) è stato superato. Inoltre, non era mai accaduto nell’ Italia repubblicana che tre partiti totalizzassero più del 20% dei voti, trasformando cosi il bipolarismo della Seconda Repubblica in un vero e proprio tripolarismo.

    Figura 1 Indice di bipolarismo (Camera, 1994-2013)

    Nota: L’indice di bipolarismo è la somma dei voti (o dei seggi) delle due coalizioni più forti. Più precisamente, nelle elezioni dal 1994 al 2001 è la percentuale congiunta di voti .

    L’indice di bipolarismo (Figura 1) è la somma delle percentuali di voto (o di seggi) ottenute dalle due coalizioni principali. Come possiamo osservare nella Figura, le due curve fanno registrare un vero e proprio tracollo. Il totale dei voti raccolti dalle due coalizioni maggiori è cresciuto per tutta la Seconda Repubblica, raggiungendo l’apice nel 2006 (99,1%), un’elezione caratterizzata da una competizione perfettamente bipolare. Poi nel 2008 il bipolarismo ha iniziato a perdere terreno (84,4%), rimanendo comunque sui livelli degli anni 1994-2001. Oggi subisce un crollo di quasi 26 punti, cosicché appena il 58,7% dei voti si indirizza verso una delle due opzioni principali, mentre oltre il 40% degli elettori tradisce la dinamica bipolare. Per quanto concerne i seggi le oscillazioni sono più contenute per via della disproporzionalità insita nel meccanismo di trasformazione dei voti in seggi che favorisce le opzioni politiche più grandi, ma il trend è il medesimo, e oggi un quarto della Camera è occupato da forze che rappresentano terzi (e quarti) poli.
    L’ovvia conseguenza di una struttura del sistema costituita da tre partiti sopra il 20% è il drastico abbassamento dell’Indice di bipartitismo, che calcola la percentuale dei voti (o dei seggi) raccolti dalle due liste maggiori. Oggi l’Indice scende al 51% dal 70,6% del 2008 (che rappresentava il livello massimo dal 1979). Si tratta comunque di una quota ben superiore a quella registrata negli anni della Seconda Repubblica (Figura 2), ma tuttavia ben lontana rispetto a quella delle grandi democrazie occidentali. Oggi quasi un elettore su due non vota per uno dei due maggiori partiti.

    Figura 2 Indice di bipartitismo (Camera, 1994-2013)

    Nota: l’indice di bipartitismo è la somma dei voti (o dei seggi) delle due liste maggiori. Per il 2006 non si è considerata la lista unitaria dell’Ulivo, bensì liste separate per Ds e Margherita, ottenuti interpolando il rapporto di forza tra i due esistente al Senato (dove infatti le due liste si presentarono divise). 

    Allargando lo sguardo oltre le tre maggiori forze politiche, le elezioni del 2013 si caratterizzano per la ricomparsa dei piccoli partiti. Sono ben 10 le liste che superano l’1%, lo stesso numero di quelle che entrano in Parlamento. Tuttavia i due numeri non coincidono: Rivoluzione Civile (2,2%) e Fare per fermare il Declino (1,1%) non entrano in Parlamento, mentre il Centro democratico di Tabacci e i sudtirolesi della SVP ottengono seggi rispettivamente con lo 0,5 e lo 0,4% dei voti.

    Figura 3 La frammentazione di liste (Camera, 2006-2013)

    Sono numeri che segnano un’inversione di tendenza rispetto al 2008, quando i partiti sopra l’1% dei voti erano 9 e le liste in Parlamento soltanto 6. Le scelte politiche dei leader avevano determinato una drastica riduzione della frammentazione 5 anni fa, mentre oggi scelte di segno diverso, in presenza dello stesso sistema elettorale, provocano un nuovo aumento del numero dei partiti. Il numero effettivo di liste elettorali (o Indice di Laakso e Taagepera [1979]) ci consegna una misura sintetica del numero di partiti presenti nell’arena elettorale (voti) e in quella parlamentare (seggi). E’ un indicatore efficace per contare i partiti tenendo conto della rispettiva forza elettorale. Ad esempio, in caso di sistema perfettamente bipartitico, con due liste che ottengono entrambe il 50% dei voti, l’Indice fa 2. Come vediamo nella Figura 4, il numero di liste elettorali nel 2013 è salito a 5,3 dal 3,8 del 2008, avvicinandosi ai livelli del 2006 (5,7). Per quanto concerne il numero effettivo di partiti parlamentari, esso rimane più contenuto (3,5), anche se comunque in lieve aumento rispetto al 2008.

    Figura 4 Numero effettivo di liste (Camera, 2006-2013)

    Nota: Numero effettivo di liste elettorali (voti): per le elezioni dal 1994 al 2001 il calcolo è effettuato a partire dai voti di lista ottenuti nell’arena proporzionale. Per le elezioni del 2006 non si è tenuto conto del dato complessivo della lista l’Ulivo, bensì di dati separati per Ds e Margherita, ottenuti interpolando il rapporto di forza tra i due esistente al  (dove infatti le due liste si presentarono divise).

    Questa differenza tra la frammentazione nell’arena elettorale e quella nell’arena parlamentare è dovuta essenzialmente alle complesse e talvolta contradditorie dinamiche del nostro sistema elettorale, assai restrittivo per i partiti non coalizzati (4% di sbarramento alla Camera) ma assolutamente permissivo per le liste coalizzate (2%, con addirittura la clausola di salvataggio del miglior perdente sotto soglia).  Ed infatti lo stesso sistema elettorale che permette a 10 partiti di entrare in Parlamento fa sì che nel meccanismo di traduzione dei voti in seggi si realizzi la più alta disproporzionalità della storia repubblicana (Figura 5). La disproporzionalità si misura tramite l’Indice di Gallagher [1991] e misura le differenze tra i voti e i seggi ottenuti dalle diverse forze politiche: maggiori sono le differenze tra voti e seggi, maggiore è la distorsione creata dal sistema elettorale, e, di conseguenza, più alto è l’Indice di Gallagher.

    Figura 5 Indice di disproporzionalità (Camera, 1948-2013)

    Nota: per le elezioni 1994, 1996, 2001, l’Indice è calcolato sulla sola quota proporzionale.

    Come vediamo, l’Indice si è mantenuto su livelli estremamente bassi durante l’intera fase 1948-1992, grazie alla presenza di un sistema proporzionale quasi puro. Dal 1994 l’introduzione della soglia di sbarramento al 4% per tutte le liste ha provocato un incremento dell’Indice, che ha toccato il suo punto massimo nel 2001 (10,2). Con l’avvento del Porcellum però il sistema era tornato a proporzionalizzarsi, grazie al fatto che le due principali coalizioni fungevano da ombrello protettivo alle piccole liste che potevano così ottenere seggi evitando la soglia del 4%. Oggi la disproporzionalità è schizzata a 17,3, più che triplicandosi rispetto al 2008. Questo perché la coalizione vincente ha ottenuto il 54% dei seggi con appena il 29,5% dei voti. Nel 2006, invece, l’Unione aveva vinto alla Camera con il 49,8% e nel 2008 Pdl e Lega avevano raccolto il 46,8%. Una distorsione nel meccanismo di traduzione dei voti in seggi che classifica l’Italia al secondo posto in Europa occidentale, subito dopo la Francia (17,7 nel 2012) e addirittura prima del Regno Unito (15,1 nel 2010). Ma sia Francia che Regno Unito hanno sistemi maggioritari, mentre l’Italia ha (formalmente) un proporzionale.

    Crisi del bipolarismo, aumento della frammentazione, disproporzionalità al massimo storico. Non c’è dubbio che si sia trattato di un’elezione di svolta. Il dato che certifica in modo inequivocabile il grande cambiamento avvenuto è però un altro: l’indice di volatilità aggregata. Esso non è altro che il cambiamento aggregato netto di voti tra due elezioni successive [Pedersen 1979; Bartolini 1986] e si misura sommando le differenze nelle percentuali di voti tra i partiti fra un’elezione e la precedente. La volatilità è quindi una misura della stabilità di un sistema partitico.

    Figura 6 Volatilità totale (Camera, 1994-2013)

    Nel 2013 la volatilità italiana è più che quadruplicata rispetto al 2008, raggiungendo l’incredibile livello di 41,3 (l’Indice può oscillare fra 0 e 100). Una cifra impressionante, se pensiamo che Mair [2011] considera una volatilità superiore a 20 come soglia per classificare le elezioni come altamente volatili. Solo le drammatiche elezioni greche del maggio del 2012 hanno avuto una volatilità superiore a quella dell’Italia del 2013, prendendo come riferimento un campione di 216 elezioni dal 1965 a oggi in 16 paesi dell’Europa occidentale. Sono numeri che rendono l’idea della portata storica del cambiamento in atto, nonché della destrutturazione del sistema partitico italiano che sembra cambiare pelle ad ogni tornata elettorale. Nemmeno nel 1994 si era raggiunto un livello di volatilità analogo (Figura 6). Eppure quelle del 1994 furono elezioni caratterizzate dalla nascita di nuovi soggetti politici (Forza Italia in primis) e dalla scomparsa dei vecchi (come la Dc). All’epoca tramontava la Prima Repubblica e nasceva la Seconda. Solo il tempo ci dirà se in queste elezioni è nata la Terza.

  • Gli sviluppi della legislazione elettorale in Italia

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2013). Gli sviluppi della legislazione elettorale in Italia. In AA.VV. (Ed.), Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari. Quaderno n. 22 – Seminario 2011 (pp. 85–99). TORINO: Giappichelli.

    Intervento del Professor Chiaramento nel corso del seminario del 2011 dell’Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari

  • Sistemi elettorali

    CHIARAMONTE, A. C. A., & D’Alimonte, R. (2013). Sistemi elettorali. In G. Pasquino, M. Regalia, & M. Valbruzzi (Eds.), Quarant’anni di scienza politica in Italia (pp. 121–136). BOLOGNA: Il Mulino.

    Nata o, meglio, rinata su basi più solide e durature all’indomani del secondo conflitto mondiale per opera di studiosi come Norberto Bobbio e Giovanni Sartori, la scienza politica italiana è oggi in grado di stilare un bilancio della propria attività. È quanto si incarica di fare questo volume illuminante e meditato, i cui capitoli sono stati scritti da specialisti di ciascun settore della disciplina: metodologia, democrazia e democratizzazioni, sistemi elettorali, movimenti sociali, comunicazione politica, rappresentanza, partiti, governi e processo legislativo, opinione pubblica e comportamento elettorale, politiche pubbliche, sistema giudiziario, relazioni internazionali e Unione Europea.

  • The 2013 Election Results. Protest Voting and Political Stalemate

    Chiaramonte, A., & Maggini, N. (2013). The 2013 Election Results. Protest Voting and Political Stalemate. Studia Politica. Romanian Political Science Review, XIII(4), 641–658.

    The economic crisis, the fall of the Berlusconi’s cabinet in November 2011 and the formation of the technocratic cabinet led by Mario Monti provided the ground for the general elections held in February 2013, which reached a stalemate, contrary to what most observers expected. The center-left coalition won in the Chamber but not in the Senate. The result in the Senate made it impossible to form a majority coalition between Bersani’s left and Monti’s center, which many considered the most likely outcome of these elections. In the end, the only available option for the PD, the winner in the Chamber, was to form a cabinet with Berlusconi’s PdL. There are many factors explaining this destabilizing result. The first and most important is the success of a brand new anti-establishment party, the Five Star Movement, which attracted voters from across the political spectrum and became the largest party in the country. The second is the inability of the center-left not only to extend its electoral base at a time when the center-right lost almost half of the votes received in 2008, but also to keep its previous electorate. The third factor is the peculiar nature and functioning of the electoral system for the Senate.

  • ITALIAN AFFAIRS, The 2013 Italian general election: the end of bipolarism?

    Chiaramonte, A., & Maggini, N. (2013). ITALIAN AFFAIRS, The 2013 Italian general election: the end of bipolarism? Italian Politics & Society, (72-73), 27–37.

    The 2013 Italian general elections produced a largely unexpected and destabilizing outcome. The major surprise came from the Movimento 5 stelle (M5s, Five star movement), a brand new, anti-establishment political force which got more than 25% of the valid votes and turned out to be the largest party list in the domestic arena of the Chamber of deputies. The destabilizing nature of the outcome stemmed from the lack of a real winner which ended up in political stalemate. In fact, the center-left won in the Chamber of deputies, but not in the Senate and could not form a cabinet by itself. In the end, the Partito democratico (Pd, Democratic Party) was left with the only unpalatable option to have to form a ‘grand governing coalition’ with Berlusconi’s Popolo delle libertà (Pdl, People of freedom).
    Indeed, the widespread expectation was that the center-left would win with a large margin. For a long time before the vote most of the polls had indicated that Bersani’s lead was large enough to make his coalition gain the absolute majority of seats in both chambers either alone or together with the Monti’s coalition. It was not the case. Actually, what really happened in the ballot box on February 24th and 25th is still unclear to some extent. Here we will try to give a brief and preliminary explanation, analyzing the background to the election, the results and the role played by the electoral systems, the aggregate vote shifts between the 2013 and 2008 elections, the geographical distributions of the vote, and, finally, the transformation of the party system.

  • Il voto diviso tra elezioni nazionali ed elezioni regionali. Ipotesi esplicative e potenziali effetti sulle riforme istituzionali

    CHIARAMONTE, A. C. A. (2013). Il voto diviso tra elezioni nazionali ed elezioni regionali. Ipotesi esplicative e potenziali effetti sulle riforme istituzionali. LE REGIONI, XLI, 15–18.

    Il contributo del Professor Chiaramonte analizza la situazione elettorale su scala nazionale e regionale.