Autore: Marco Improta

  • Come curare l’instabilità dei governi italiani? L’ipotesi (europea) della sfiducia costruttiva

    Come curare l’instabilità dei governi italiani? L’ipotesi (europea) della sfiducia costruttiva

    Policy Brief n.9/2021 della Luiss School of Government

    L’Italia si trova puntualmente a dover fare i conti con una delle sue caratteristiche politico-istituzionali più gravose e deleterie: l’instabilità di governo. La recente caduta del secondo Governo Conte è solo l’ultima manifestazione di quella che sembra in modo evidente una patologia del nostro sistema politico. Una patologia che comporta ricadute su ambiti che riguardano anche la capacità di programmazione economica, la gestione dei rapporti internazionali e il livello di disaffezione dell’opinione pubblica nei confronti delle istituzioni.

    L’esecutivo guidato da Giuseppe Conte e formato da Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Italia Viva e Liberi e Uguali non si è discostato eccessivamente dalla durata media dei governi italiani, pari circa a un anno. L’instabilità di governo in Italia è una questione attuale, dato il suo assiduo riaffiorare, ma ha radici storiche consolidate. Sin dalla nascita della
    Repubblica, le formule di governo che si sono andate a instaurare hanno assunto varie configurazioni, anche molto diverse tra di loro: governi monocolore e multicolore, di minoranza e maggioranza, totalmente e parzialmente tecnici, con ampio supporto parlamentare e con supporto esterno.

    Se rivolgiamo la nostra attenzione ad altri Paesi dell’Europa occidentale è senz’altro più comune rilevare maggiori livelli di durata e individuare una tipica e caratteristica formula di governo da associare a determinati Paesi. Ad esempio, la Germania è il Paese della Große Koalition e delle coalizioni di governo formate da due partiti. Il Regno Unito, invece, è noto per la sua alternanza di governo, con il frequente avvicendamento tra conservatori e laburisti.

    Se da un lato è vero che in Italia il susseguirsi di molteplici esecutivi non ha provocato necessariamente una instabilità politica, data la presenza costante di un partito pivotale al governo come la Democrazia Cristiana, dall’altro questa anomalia italiana è stata spesso declinata come disfunzione da fronteggiare e attenuare tramite diversi iter di riforma. Giuristi, scienziati politici e sociali si sono infatti interrogati nel corso degli anni circa le possibili modifiche istituzionali utili per incrementare la capacità di sopravvivenza degli esecutivi italiani.

    L’ultima proposta avanzata in ordine temporale, resa esplicita direttamente dall’ex Presidente del Consiglio Conte, riguarda l’introduzione della sfiducia costruttiva nell’ordinamento costituzionale italiano. Nello specifico, lo scorso 26 gennaio, Conte auspicava la nascita di una “alleanza […] per approvare una riforma elettorale di stampo proporzionale e le riforme istituzionali e costituzionali, come la sfiducia costruttiva, che garantiscano il pluralismo della rappresentanza unitamente a una maggiore stabilità del sistema politico”. Come sappiamo, il tentativo di Conte di formare una nuova maggioranza è fallito. Tuttavia, il progetto di riforma rimane in vita. Il governo Draghi continuerà su questa strada?

    Come funziona la sfiducia costruttiva nei paesi europei

    La sfiducia costruttiva è uno degli elementi tipici della razionalizzazione del parlamentarismo. Tra i suoi obiettivi risiede primariamente la funzione di stabilizzazione dei governi. In estrema sintesi, e senza soffermarci sui diversi tipi di sfiducia costruttiva esistenti, l’ipotetica funzione di stabilizzazione si dovrebbe realizzare tramite l’impossibilità di sfiduciare un governo, e quindi portarlo alla caduta, senza accordare la fiducia ad un nuovo esecutivo pronto a subentrargli. Ed è questo l’elemento per l’appunto “costruttivo”. Tuttavia in Europa occidentale sono pochi i Paesi che hanno adottato in Costituzione questo strumento. Il caso originario è costituito dal konstructives Misstrauensvotum tedesco, inserito già nella Legge fondamentale del 1949. Le motivazioni che spinsero il Parlamentarischer Rat, ovvero il Consiglio che elaborò la Costituzione, si poggiavano sull’esperienza dell’instabilità dei governi weimariani. In particolare, fu posto l’accento sull’esigenza di rendere le frequenti crisi di governo maggiormente responsabilizzanti, soprattutto per le forze politiche di opposizione e quelle dissidenti interne alla maggioranza. Una responsabilizzazione perseguita tramite l’espressione, da parte delle forze politiche parlamentari, di un esecutivo alternativo come “soluzione” al problema della caduta del governo.

    Rimanendo nel circuito dei Paesi europei maggiormente simili all’Italia in termini di modelli di democrazia Lijphartiani, accanto al voto di sfiducia costruttivo della Germania si registrano la moción de censura spagnola e la motion de méfiance constructive belga. Nel disegno istituzionale spagnolo, alla sfiducia costruttiva è riservata una posizione periferica nell’ambito del sistema di governo, se comparato allo strumento tedesco. Tuttavia, la moción de censura appariva un utile mezzo per attenuare l’elevata conflittualità presente nella società negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime di Franco. Una conflittualità, che, inevitabilmente, si rifletteva anche nella dialettica interpartitica e che avrebbe potuto favorire l’imprevedibilità delle interazioni tra gli attori di governo.

    La medesima esigenza emerge nel caso belga. L’equilibrio tra le varie comunità linguistiche, religiose e culturali, congiuntamente all’esigenza di razionalizzazione dei meccanismi di governo, furono al centro della riforma costituzionale del 1993. Tuttavia, nella scala di centralità nelle varie architetture istituzionali fin qui citate, la sfiducia costruttiva belga appare quella maggiormente marginale.

    Il numero di Paesi che hanno adottato questa misura è, dunque, limitato. Oltre a essere rara la presenza di questo strumento all’interno degli ordinamenti dei Paesi europei, la Tabella 2 mostra come sia rara anche l’adozione e il successo nella sua applicazione.

    Nello specifico, in Germania il voto di sfiducia costruttivo è stato impiegato due volte a livello federale, con esito negativo nel 1972 e positivo dieci anni dopo, con l’avvicendamento tra Helmut Schmidt e Helmut Kohl. Solo pochi anni fa, nel 2018, la moción de censura spagnola ha registrato la sua prima approvazione con la sfiducia dell’ex Primo Ministro Mariano Rajoy in favore del leader del Partito Socialista Pedro Sánchez. Infine, per quanto riguarda il caso belga, nonostante la presenza della sfiducia costruttiva in costituzione dal 1993, tale voto ad oggi non è mai stato adoperato.

    XVIII legislatura e riforme istituzionali: un percorso ancora aperto?

    La necessità di inserire il voto di sfiducia costruttivo in Italia è tornata di recente al centro delle proposte di riforma costituzionale. Non si tratta certamente di un dibattito nuovo: dalla Commissione Bozzi, passando per la Commissione De Mita-Iotti, fino alla tentata riforma costituzionale del 2016, sono stati molteplici i tentativi di rafforzare l’esecutivo, partendo dalla sua durata. La sfiducia costruttiva si inserisce in questo dibattito e trova rinnovata attualità alla luce dell’approvazione della riforma sulla riduzione del numero dei parlamentari e di un tentato accordo tra le forze politiche su una legge elettorale di stampo proporzionale con soglia di sbarramento al 5%. La maggioranza che sosteneva il governo Conte II, in particolar modo il Partito Democratico che ne faceva parte, si era posta l’obiettivo di procedere con l’iter di riforme partendo dalla sfiducia costruttiva fino ad arrivare al superamento del bicameralismo perfetto. Non è sicuro che con la nascita del governo Draghi questo percorso debba conoscere necessariamente una battuta d’arresto. Si tratta infatti di un esecutivo a carattere consociativo, adatto dunque (idealmente) a portare a termine riforme quanto più condivise tra i vari attori in gioco. Tuttavia, le emergenze di carattere sanitario dovute alla pandemia, e le evidenti conseguenze economiche che da essa derivano, occupano inevitabilmente le priorità dell’azione di governo.

    Rimane, dunque, un interrogativo: sapranno i governi instabili di oggi produrre governi stabili per il futuro?

  • Regionali in Calabria: la punta dello Stivale ritorna al centrodestra

    Regionali in Calabria: la punta dello Stivale ritorna al centrodestra

    La Calabria passa al centrodestra. È questo il verdetto che emerge dal voto di domenica. La neo-governatrice regionale Jole Santelli, esponente di Forza Italia, ha raggiunto il 55,3% dei voti, relegando il competitor principale – Pippo Callipo del centrosinistra – al secondo posto con il 30% dei consensi (Tabella 1). Un distacco pari a più di venti punti percentuali. Una differenza minima, invece, risulta esserci tra il 7,35% ottenuto dal candidato del Movimento 5 Stelle, il professore Francesco Aiello, e il 7,22% raccolto da Carlo Tansi, candidato della coalizione civica. Si è trattato, quindi, di una dinamica essenzialmente bipolare, che ha lasciato ai margini le due coalizioni alternative che costituiscono, insieme, un piccolo terzo polo. Quella bipolare, tuttavia, non è una dinamica nuova in questo territorio, poiché storicamente il Movimento 5 Stelle, come in altre parti d’Italia, non è mai riuscito a imporsi con la stessa forza che ha contraddistinto gli ottimi risultati delle politiche del 2013 e del 2018.

    Tab. 1 – Risultati elettorali in Calabria nelle recenti elezioni politiche, europee e regionali[1]

    La nuova Presidente della Regione, nel raffronto con il risultato ottenuto dalla candidata del centrodestra alle scorse regionali Wanda Ferro, ha ottenuto un incremento significativo. Tale incremento può ragionevolmente essere stato favorito dalla scelta di presentare una coalizione di centrodestra unitaria, contrariamente a ciò che avvenne nel 2014, quando il Nuovo Centrodestra di Angelino Alfano e l’Unione di Centro decisero di non appoggiare Ferro, ma Nico D’Ascola, che raggiunse l’8,7%. Domenica si è presentata una situazione analoga, ma per lo schieramento opposto. Il centrosinistra di Callipo ha dimezzato i voti rispetto al 2014, complice la mancata convergenza con le altre forze in campo, in particolare le tre liste civiche a sostegno di Tansi. Infine, nonostante il risultato insoddisfacente, il Movimento 5 Stelle ha visto comunque aumentare, seppur di poco, il consenso per il proprio candidato rispetto alle ultime regionali: passando dal 5% di Conto Cantelmi al 7,35% di Aiello di domenica.

    I segni distintivi di queste elezioni sono stati l’astensione e l’alternanza. Nell’analisi pre-elettorale era stata messa in luce la prevedibilità di un esito di questo tipo (Improta e Angelucci 2020) e le scelte di voto degli elettori calabresi hanno confermato le previsioni della vigilia. Il voto calabrese ha confermato il trend tipico della regione, che non trova eguali nelle altre zone della penisola: la legge ferrea – e ormai ventennale – dell’alternanza al governo. Dall’inizio del nuovo secolo i calabresi non hanno mai riconfermato il governatore uscente, premiando sempre lo sfidante.

    Il voto di domenica, è stato ricordato da più fronti, ha goduto di minore attenzione rispetto al concomitante voto emiliano-romagnolo, a causa dell’elevato grado di prevedibilità e dello scarso interesse della politica nazionale. La partecipazione elettorale, già tradizionalmente bassa rispetto alle altre zone d’Italia (Corbetta e Tuorto 2004), non poteva essere favorita da un contesto di questo tipo e non ci si poteva aspettare la ri-mobilitazione verificatasi, e favorita dal movimento delle sardine, in Emilia-Romagna (Vittori e Angelucci 2020). Tale processo di ri-mobilitazione messo in atto dalle sardine si era affacciato, seppur timidamente, anche in Calabria, ma non ha sortito lo stesso effetto. L’affluenza si è fermata infatti al 44,3%, registrando un lievissimo aumento rispetto al 44,1% del 2014, ma confermando sostanzialmente sia il dato delle ultime regionali che quello delle europee di maggio 2019. La maggioranza dei calabresi dunque non si è recata alle urne, così il ‘partito del non voto’ si conferma, ancora una volta, primo partito della regione.

    Volgiamo ora lo sguardo verso i rapporti di forza tra i partiti. Le scelte di voto degli elettori calabresi alle ultime regionali avevano consegnato un quadro molto favorevole per il Partito Democratico, che aveva raggiunto il 23,7% dei voti. Il voto di domenica ha confermato il primato dei Dem nella regione, mutandone tuttavia di molto l’ampiezza. I democratici infatti si sono fermati al 15,2%, percentuale che cresce se osserviamo i consensi raccolti nelle maggiori province calabresi, dove il Partito Democratico si posiziona come primo partito in quattro province su cinque: Reggio Calabria e Catanzaro (17%), Crotone (16%) e Cosenza (14%). Solo a Vibo Valentia, fortino elettorale di Callipo, i democratici vengono superati dai loro alleati della lista “Io Resto in Calabria”.

    La seconda forza della regione è Forza Italia, che ha sostanzialmente raccolto la stessa quota di voti rispetto al 2014, passando dal 12,28 al 12,34% dei consensi. Si afferma, in questo modo, come primo partito della coalizione di centrodestra, ma solo di poco. Infatti, anche se la Lega non ha realizzato la crescita e l’espansione che ci si attendeva (De Sio 2020), quest’ultima si trova ad insidiare la leadership dei forzisti in regione toccando quota 12,25% di voti. Tuttavia, se confrontiamo il dato di domenica con il risultato ottenuto alle europee di maggio 2019, la Lega ha visto diminuire di circa dieci punti percentuali i propri consensi. Ciò conferma che l’exploit non c’è stato, ma c’è stata, per di più, una frenata. Dall’altro lato, contrariamente a ciò che si è riscontrato in Emilia-Romagna, dove il carroccio non ha raccolto i frutti laddove la propria comunicazione politica si è concentrata (vedi Bibbiano), alcuni comuni calabresi hanno consegnato alla Lega percentuali ben maggiori del 12,25%. È il caso di Riace, comune, fino a poco tempo fa, guidato dal sindaco pro-integrazione Mimmo Lucano, più volte in polemica con segretario leghista. A Riace la Lega si attesta come primo partito con il 20,34%. All’interno del centrodestra, infine, si può registrare un’ampia crescita di Fratelli d’Italia. Il partito di Giorgia Meloni ha incrementato notevolmente i propri consensi passando dal 2,5% delle ultime regionali al 10,9% di domenica. Percentuale, quest’ultima, che ricalca la performance ottenuta in occasione delle ultime europee, dove il partito di eredità missina aveva raggiunto il 10,3%.

    In conclusione, l’esito del voto calabrese non si è discostato dalle previsioni delle settimane precedenti. La Calabria si conferma regione d’alternanza, con alti tassi di disaffezione da parte dei cittadini nei confronti della politica. Dal lato dei partiti, il Partito Democratico è riuscito a confermarsi come prima forza politica della regione, tenendo a distanza di sicurezza Forza Italia e la Lega. Quest’ultima non è riuscita a dare seguito al successo delle europee, a conferma di come la meridionalizzazione della Lega sia più legata al successo di singoli notabili che all’appeal del partito stesso. Il voto calabrese ci dice anche che il Movimento 5 Stelle non riesce più a imporsi come partito di riferimento al Sud, almeno per quanto riguarda le competizioni locali. La Calabria si conferma, infine, terra fertile per Forza Italia che – anche se a livello nazionale conosce momenti di sofferenza e criticità – riesce ad imporsi anche grazie al personale politico presente sul territorio. Personale politico che riesce ad instaurare con l’elettorato rapporti di natura non necessariamente clientelare, ma comunque basati su rapporti costruiti sulle relazioni di tipo personale. A maggio saranno chiamate votare altre due regioni meridionali: la Campania e la Puglia. Vedremo se questi territori confermeranno o smentiranno alcune delle dinamiche verificatesi in Calabria.

    Riferimenti bibliografici

    Corbetta, P. e Tuorto, D. (2004). ‘L’astensionismo elettorale in Italia: trasformazioni culturali o smobilitazione dei partiti?’ Polis18(2), 287-314.

    De Sio, L. (2020). ‘Testa e cuore, alto e basso. Le due facce del voto in Emilia-Romagna (e in Calabria)’, disponibile a https://cise.luiss.it/cise/2020/01/27/testa-e-cuore-alto-e-basso-le-due-facce-del-voto-in-emilia-romagna-e-in-calabria/

    Improta, M. e Angelucci, D. (2020). ‘Calabria al voto: verso la conferma dell’alternanza?’ Disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2020/01/21/calabria-al-voto-verso-la-conferma-dellalternanza/

    Vittori, D. e Angelucci, D. (2020). ‘Elezioni Emilia-Romagna: l’effetto Sardine sulla vittoria di Bonaccini’, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2020/01/27/elezioni-emilia-romagna-leffetto-sardine-sulla-vittoria-di-bonaccini/


    [1] Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale (per le politiche 2018 sono riportati i voti espressamente assegnati ai partiti, prima dell’attribuzione dei voti al solo candidato di collegio sostenuto); nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari.

    Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella categoria partiti di sinistra rientrano: PRC, PC, PCI, PAP, SEL, SI, MDP, LeU, RC. Nella categoria altri partiti di centrosinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA. Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea, CPE. Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT.

    Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (uninominali), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le regionali 2014 e 2020, abbiamo considerato quali voti raccolti dai candidati quelli delle coalizioni (che sostenevano un candidato governatore). Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PRC, PCI, PC, MDP, LeU, SI, SEL, Insieme, PSI, +EU, CD, DemA, Verdi, IDV, Radicali – ma non dal PD. Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD; il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI, CPE, Idea, UDEUR (ma né PD né FI/PDL).Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL). La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell, ITagliIT – ma non FI (o il PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Calabria al voto: verso la conferma dell’alternanza?

    Calabria al voto: verso la conferma dell’alternanza?

    Il 26 gennaio i cittadini calabresi saranno chiamati alle urne per eleggere il nuovo Consiglio Regionale e il futuro Presidente della Regione che dovrà guidare Palazzo degli Itali. Si tratta di un appuntamento elettorale che, a livello nazionale, ha goduto di minore attenzione rispetto al concomitante voto emiliano-romagnolo e che si presenta con un livello più basso di competitività elettorale rispetto a quest’ultimo. Ci si aspetta, quindi, un maggior grado di prevedibilità.

    Il quadro generale, caratterizzato da scarsa attenzione mediatica e da alta prevedibilità, non sembra giocare a favore della partecipazione elettorale, che in Calabria peraltro segue da molti anni un trend negativo. Trend comune anche ad altre regioni meridionali e che riguarda tutti i livelli di competizione elettorale (politiche, amministrative, europee e regionali) (Emanuele e Marino 2015).

    A rendere ancor più evidente il disinteresse nei confronti del voto calabrese vi è stata anche la tardiva scelta dei candidati da parte dei partiti nazionali. Infatti, a circa un mese di distanza dalla scadenza per la presentazione delle liste elettorali, nessun partito aveva ancora ufficializzato la propria decisione circa il candidato governatore da presentare. Ciò testimonia che i nodi da sciogliere all’interno delle coalizioni non erano certamente pochi e fa comprendere come il cammino verso il 26 gennaio sia stato abbastanza agitato e incerto.

    Il centrodestra ha evitato in extremis la rottura del patto coalizionale, messo in pericolo dal veto posto dalla Lega nei confronti di Mario Occhiuto, sindaco di Cosenza, indicato inizialmente come principale candidato da Forza Italia, partito a cui spetta la designazione del candidato governatore per questa tornata elettorale. La convergenza, poi, si è trovata intorno alla figura di Jole Santelli, deputata forzista originaria di Cosenza, già sottosegretario nei governi Berlusconi-bis, Berlusconi-ter e Letta. Oltre alla Lega e a Forza Italia, a sostegno di Jole Santelli ci saranno Fratelli d’Italia, Unione di Centro, Casa delle Libertà e la lista Santelli Presidente.

    Anche la coalizione di centrosinistra ha conosciuto una fase di gestazione complicata. In un primo momento il Partito Democratico ha tentato di ripercorrere l’esperimento delle elezioni umbre (Improta 2019), provando ad individuare un candidato comune con il Movimento 5 Stelle, ripresentando dunque, nonostante l’esito infausto, la formula dell’unità delle forze politiche di governo. Tuttavia, il tentativo è fallito: in Calabria il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle saranno avversari. I Dem hanno deciso di supportare Pippo Callipo, imprenditore, ex Presidente della Confindustria calabrese, già candidato alla presidenza della Regione nel 2010, dove aveva ottenuto poco più del 10% delle preferenze.

    I pentastellati invece hanno optato, a seguito del deciso rifiuto di Luigi Di Maio dell’ipotesi di reiterazione dell’alleanza con il centrosinistra, su Francesco Aiello, docente di politica economica presso l’Università della Calabria, che ha raggiunto il 53% dei voti favorevoli nelle consultazioni effettuate tramite la piattaforma Rousseau. Il Movimento 5 Stelle non sarà l’unica lista ad appoggiare Aiello: per la prima volta, al fianco del Movimento, ci sarà anche una lista civica, denominata Calabria Civica. Infine, a completare l’offerta elettorale vi è un quarto candidato. Si tratta del civico Carlo Tansi, geologo, ex responsabile della Protezione Civile calabrese e attuale consigliere comunale a San Luca, supportato da tre liste: Tesoro Calabria, Calabria Libera e Calabria Pulita.

    Come anticipato in precedenza, il voto calabrese si distingue da quello emiliano-romagnolo soprattutto per il diverso grado di prevedibilità che presenta rispetto a quest’ultimo. Gli ultimi sondaggi elettorali stimano infatti la vittoria della candidata del centrodestra tra il 50 e il 54%, mentre gli sfidanti Callipo e Aiello si collocano rispettivamente in una forbice del 32-36% e dell’8-12%. La possibilità di una vittoria del centrodestra, tuttavia, non si fonda esclusivamente su sondaggi e stime. Il comportamento di voto degli elettori calabresi  è -nella storia recente- caratterizzato da diversi fattori interessanti che possono aiutarci a comprendere meglio alcune dinamiche. Come rilevato da Emanuele e Marino (2015), uno dei fenomeni più ricorrenti è rappresentato dall’alternanza. Sin dal 2000 vi è stato un circuito di alternanza al governo ininterrotto, che ha portato per due volte alla vittoria il centrodestra (2000 e 2010) e per due volte il centrosinistra (2005 e 2014). Vittorie che peraltro si sono verificate con grande scarto tra uno schieramento e l’altro. Per comprendere le ragioni dell’elevato indice di volatilità elettorale è necessario considerare il ruolo significativo che ha esercitato il voto personale nella regione. È stato mostrato, a tal proposito, come alcuni candidati principali (i cosiddetti “signori delle preferenze”) riescano ad ottenere un supporto più stabile e duraturo nel tempo rispetto ai partiti (Emanuele e Marino 2016), grazie alla relazione di tipo personalistico che viene instaurata direttamente con l’elettore. Tale dinamica è favorita dal contesto calabrese, e meridionale in generale, dove l’identificazione partitica, ormai diffusamente in crisi, non ha mai raggiunto livelli significativi, lasciando spazio alla proliferazione di rapporti basati su pratiche clientelari (De Sio e Emanuele 2012).

    Seguendo, dunque, la prospettiva dell’effetto bandwagon (Noelle-Neumann 2006) ci si può aspettare che il 26 gennaio il voto personale possa premiare la coalizione del centrodestra, che gode (ed ha goduto, al momento della formazione delle liste), di maggiore appeal non solo agli occhi degli elettori ma anche dei candidati – soprattutto alla luce del recente successo della Lega, identificata probabilmente come carro del vincitore. Infatti, nelle liste a sostegno di Jole Santelli compaiano anche personalità in uscita dalla maggioranza che sosteneva la giunta Oliverio (come ad esempio Mauro D’Acri e Franco Sergio).

    Discorso diverso è quello relativo al carattere “filogovernativo” del comportamento di voto degli elettori calabresi (Raniolo 2010). In caso di vittoria del centrodestra si verificherebbe, dopo anni, un’inversione di tendenza rispetto alla fedeltà dimostrata nei confronti dei partiti di governo. Tuttavia, va specificato che il particolare momento che sta attraversando la politica italiana, dove la Lega, prima nei sondaggi, si trova all’opposizione e le forze di governo non vengono riconosciute come capaci di durare nel tempo, non rende perfettamente possibile verificare la bontà di tale ipotesi.

    Volgiamo, ora, lo sguardo alla storia elettorale recente della regione. In tabella 1 è possibile osservare i risultati elettorali delle regionali 2014, delle politiche 2018 e delle europee 2019 in Calabria. Il primo dato da considerare è quello relativo all’affluenza. Le ultime regionali e le più recenti europee hanno confermato la propria natura di second-order elections (Reif e Schmitt 1980) registrando una percentuale esigua di votanti, pari al 44%. Solo in occasione delle più partecipate elezioni politiche del 2018 il dato è aumentato di venti punti percentuali toccando quasi il 64%, che si pone tuttavia al di sotto della media nazionale (73%).

    Tab. 1 – Risultati elettorali in Calabria nelle recenti elezioni politiche, europee e regionali[1]

    Per quanto riguarda il risultato elettorale, sulla base dei sondaggi più recenti e in linea con un trend storico, è lecito aspettarsi un incremento di consenso per la Lega rispetto al 5,6% ottenuto alle politiche del 2018, oltre all’inevitabile incremento rispetto alle regionali del 2014, dove la Lega non era presente non avendo ancora ultimato il proprio processo di nazionalizzazione e apertura al Sud (De Sio 2019). Maggiore prudenza è necessaria riguardo il confronto con il dato delle europee del 2019, dove il carroccio aveva ottenuto quasi il 23%. Qualora il partito di Salvini dovesse ampliare il proprio consenso si confermerebbe il trend positivo che ha visto la Lega crescere in molte zone del Sud Italia (D’Alimonte 2018). Oltre alla crescita della Lega, è possibile attendersi una performance elettorale positiva anche per Fratelli d’Italia, che nel 2014 aveva ottenuto solo il 2,5%, ma che già in occasione delle europee 2019 aveva visto crescere il proprio gradimento nella regione, raggiungendo poco più del 10%. Infine, risulta meno prevedibile il risultato di Forza Italia, che, contrariamente ai propri partner coalizionali, deve fare i conti con una crisi all’interno e all’esterno del partito, che tuttavia potrebbe farsi sentire meno in queste elezioni.

    Il centrosinistra è l’incumbent del voto calabrese. Mario Oliverio, governatore uscente, nel 2014 aveva sconfitto Wanda Ferro, candidata del centrodestra, conquistando il 61,4% dei voti. Ma la stagione politica di quegli anni, segnata anche dai successi elettorali del Partito Democratico a guida Renzi – pensiamo in particolare al 40% ottenuto alle europee-, appare ormai distante. La scelta di Callipo si pone in discontinuità con la vecchia classe dirigente del partito, ma, anche a causa dell’esiguo tempo a disposizione, appare ardua la sfida di proporsi agli elettori calabresi come opzione di alternativa e di cambiamento. Quindi, anche se nel raffronto tra politiche 2018 ed europee 2019 si può osservare un lieve aumento di consensi in termini percentuali per il partito traino della coalizione (il PD passa infatti dal 14,3 al 18,3%, mantenendo tuttavia quasi invariato il numero di elettori in termini assoluti), appare difficile aspettarsi un rovesciamento dei pronostici a favore di Callipo e della coalizione del centrosinistra. Un’eventuale vittoria costituirebbe sicuramente una sorpresa.

    Il Movimento 5 Stelle, contrariamente al voto in Umbria, costituirà il terzo polo. A livello locale i pentastellati si trovano ad affrontare una forte emorragia di consensi, avvenuta anche in regioni come la Basilicata e l’Abruzzo, dove a livello nazionale si erano attestati come primo partito (Angelucci 2019). Lo scarso rendimento elettorale del M5S e la difficoltà di tradurre i successi nazionali a livello locale non sono certamente una novità. Si tratta di una questione già ampiamente emersa e ormai ben strutturata (De Sio, Emanuele, Maggini e Paparo 2018). L’exploit nazionale del 2013 non aveva dato seguito ad un “terremoto” analogo nelle regionali calabresi del 2014, dove il candidato pentastellato Cono Cantelmi aveva raggiunto solo il 5%. In tabella 1 è possibile osservare come in occasione delle politiche 2018 e delle europee 2019 il voto al M5S sia aumentato significativamente: in entrambe le tornate elettorali il Movimento di Luigi Di Maio si attesta come primo partito della regione, con il 43,4% e il 26,7%. Sarà dunque interessante capire se il 26 gennaio i pentastellati riusciranno a mantenere il primato e a contenere i competitor, su tutti la Lega, ma anche il Partito Democratico e Fratelli d’Italia. Per il Movimento 5 Stelle il voto calabrese sarà anche un test per verificare l’effettiva preferibilità di una corsa in solitaria piuttosto che l’opzione del “centrosinistra allargato”.

    Domenica la politica nazionale guarderà soprattutto all’Emilia-Romagna. La stabilità del governo, infatti, potrebbe essere minata dall’esito di quel voto. Ma le elezioni calabresi meritano, allo stesso tempo, attenzione. Il risultato che uscirà dalle urne potrà, infatti, mettere in chiaro vari trend interessanti e significativi per la politica italiana, sia a livello locale, sia a livello nazionale. Innanzitutto, ci consentirà di capire se la Calabria si confermerà regione dell’alternanza (come i pronostici sembrano suggerire) e se ed in che misura i rapporti di forza all’interno della regione siano davvero mutati. (https://cozumelparks.com) In secondo luogo, sarà interessante valutare ancora una volta l’impatto del voto personale sul risultato finale. Infine, il risultato delle regionali in Calabria -dopo l’ottimo risultato ottenuto alle europee- ci consentirà di valutare il livello di penetrazione e di strutturazione del consenso elettorale della Lega in una regione dove il carroccio è stato pressoché assente fino alle politiche del 2018.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. (2019), ‘Regionali in Abruzzo: la Lega alla conquista del Sud, cede il M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/regionali-in-abruzzo-la-lega-alla-conquista-del-sud-cede-il-m5s/

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    De Sio, L. (2019), ‘La nazionalizzazione della Lega di Salvini’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/27/la-nazionalizzazione-della-lega-di-salvini/

    De Sio, L., Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (2018), ‘Il risultato? Ancora il clima del 4 marzo, ma il m5S (come nel 2013) non rende bene alle comunali’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 59-63.

    De Sio, L. e Emanuele, V. (2012), ‘Conclusioni. Dall’Europa alla Sicilia, verso le elezioni politiche 2013, in L. De Sio e V. Emanuele (a cura di), Un anno d elezioni verso le Politiche 2013, Dossier CISE (3), Roma, CISE.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2015), Regionali in Calabria, tutti sul carro del vincitore? in Paparo, A. e Cataldi, M. (a cura di) Dopo la luna di miele. Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.

    Improta, M. (2019), ‘Regionali in Umbria: successo della Lega, fallisce l’esperimento PD-M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/10/28/regionali-in-umbria-successo-della-lega-fallisce-lesperimento-pd-m5s/

    Noelle-Neumann, E. (2002), La spirale del silenzio. Per una teoria dell’opinione pubblica, Roma, Meltemi.

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    Reif, K., e Schmitt, H. (1980), ‘Nine second‐order national elections–a conceptual framework for the analysis of European Election results’, European Journal of Political Research, 8 (1), pp. 3-44.


    [1] Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale (per le politiche 2018 sono riportati i voti espressamente assegnati ai partiti, prima dell’attribuzione dei voti al solo candidato di collegio sostenuto); nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari.

    Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella categoria partiti di sinistra rientrano: PRC, PC, PCI, PAP, SEL, SI, MDP, LeU, RC. Nella categoria altri partiti di centrosinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA. Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea, CPE. Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT.

    Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (uninominali), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le politiche 2013 e le regionali 2014 e 2019, abbiamo considerato quali voti raccolti dai candidati quelli delle coalizioni (che sostenevano un candidato, premier o governatore). Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PRC, PCI, PC, MDP, LeU, SI, SEL, Insieme, PSI, +EU, CD, DemA, Verdi, IDV, Radicali – ma non dal PD. Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD; il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI, CPE, Idea, UDEUR (ma né PD né FI/PDL).Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL). La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell, ITagliIT – ma non FI (o il PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Regionali in Umbria: successo della Lega, fallisce l’esperimento PD-M5S

    Regionali in Umbria: successo della Lega, fallisce l’esperimento PD-M5S

    Le elezioni regionali, amministrative ed europee sono tradizionalmente considerate come second-order elections, in virtù del minor grado di attenzione che viene rivolto a questo tipo di consultazioni dagli elettori e dai partiti rispetto alle elezioni politiche, generalmente considerate di primo ordine (Reif e Schmitt, 1980). Unitamente a questo aspetto, va segnalato che l’Umbria, con quasi novecentomila abitanti, costituisce la quartultima regione d’Italia in termini di popolosità. Ciononostante, il voto umbro ha acquistato nelle ultime settimane una notevole centralità nel dibattito pubblico e politico, per via delle potenziali implicazioni del voto regionale sullo scenario politico nazionale, nonché per alcuni aspetti interessanti -e per certi versi innovativi- relativi alle strategie dei partiti e, più in generale, all’offerta elettorale. Prima di commentare i risultati del voto, dunque, appare utile comprendere qual è stato il cammino e quali sono state le peculiarità che hanno contraddistinto queste elezioni.

    In primo luogo, va ricordato che il voto di ieri è stato un voto anticipato. Gli elettori umbri avrebbero dovuto rinnovare il proprio consiglio regionale nel 2020, in concomitanza con altre regioni, tra cui Emilia-Romagna, Campania e Veneto. Tuttavia, un’inchiesta della magistratura partita ad aprile, che ha messo in luce varie irregolarità nella gestione della sanità regionale, ha portato alla caduta anticipata della giunta e alle dimissioni della governatrice uscente del Partito Democratico Catiuscia Marini, la quale era alla guida di Palazzo Cesaroni dal 2010 ed aveva raccolto, in occasione delle regionali del 2015, quasi il 43% di consensi (Carrieri, 2015). Nel corso della consiliatura una delle forze politiche maggiormente critiche riguardo l’operato di Catiuscia Marini è stato il Movimento 5 Stelle: una delle due mozioni di sfiducia presentate ai danni dell’ex governatrice è stata presentata, infatti, proprio dai pentastellati. Le vicissitudini occorse nella politica nazionale, nello specifico l’accordo siglato tra Partito Democratico e Movimento 5 Stelle che ha dato vita al Governo Conte II, hanno profondamente modificato sia le strategie dei Dem che quelle dei pentastellati. Per la prima volta il Movimento 5 Stelle e il Partito Democratico si sono presentati all’interno del medesimo schieramento, a sostegno del candidato governatore Vincenzo Bianconi. Tale scelta ha causato non pochi malumori tra gli attivisti locali e ha fornito allo schieramento avversario di centrodestra, e in particolare al leader della Lega Matteo Salvini, un agevole argomento di accusa efficacemente agitato in campagna elettorale.

    Il voto umbro porta con sé, dunque, anche delle implicazioni a livello nazionale. Si è trattato, infatti, del primo banco di prova per la neonata maggioranza di governo. Se osserviamo le scelte dei leader e dei partiti dei principali schieramenti, e il loro approccio a questo appuntamento elettorale, è evidente innanzitutto la forte partecipazione di molti esponenti politici nazionali alla campagna elettorale nella regione. Oltre a Matteo Salvini, che punta molto sulle elezioni regionali per minare la stabilità del governo, anche il capo politico del Movimento 5 Stelle Luigi Di Maio e il segretario del Partito Democratico Nicola Zingaretti non hanno disdegnato una partecipazione attiva di sostegno al candidato comune Vincenzo Bianconi. Per di più, il 25 ottobre a Narni, in provincia di Terni, in occasione di uno degli ultimi eventi di campagna elettorale, si è registrata anche la partecipazione del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, mentre Matteo Renzi, altro leader che sostiene la maggioranza governativa – ma che con il suo nuovo partito Italia Viva non ha presentato nessuna lista alle elezioni regionali in Umbria-, ha preferito defilarsi.

    Dopo aver descritto l’iter che ha accompagnato gli elettori umbri verso il voto del 27 ottobre e aver rimarcato l’importanza di tale voto anche nelle sue possibili implicazioni nazionali, occorre comprendere più a fondo qual è stata l’offerta elettorale. La coalizione di centrodestra, formata da Lega, Fratelli d’Italia, Forza Italia e da due liste civiche, Tesei Presidente e Umbria Civica, quest’ultima vicina al Nuovo PSI, ha sostenuto l’avvocato folignate Donatella Tesei, dal 2018 senatrice della Lega eletta nel collegio uninominale di Terni ed ex sindaco di Montefalco, piccolo comune di 5.581 abitanti della provincia di Perugia. Il principale competitor del centrodestra è stato Vincenzo Bianconi, imprenditore 47enne di Norcia e presidente di Federalberghi Umbria. Ad appoggiarlo, come anticipato in precedenza, un’atipica e innovativa coalizione di centrosinistra a cui ha preso parte per la prima volta anche il Movimento 5 Stelle. A sostegno di Bianconi, oltre ai pentastellati e al Partito Democratico, si sono presentate anche altre tre liste: Sinistra Civica e Verde, animata principalmente da Articolo 1 – MdP e Sinistra Italiana, l’ecologista Europa Verde e la lista Bianconi per l’Umbria, che comprende al suo interno esponenti di Democrazia Solidale e del Partito Socialista Italiano. A tentare di insidiare i due poli principali vi sono stati altri sei candidati: Rossano Rubicondi, appoggiato dal Partito Comunista di Marco Rizzo; Emiliano Camuzzi, sostenuto da Potere al Popolo e dal Partito Comunista Italiano; Antonio Pappalardo, candidato dei Gilet Arancioni; Martina Carletti, espressione di Riconquistare l’Italia; Giuseppe Cirillo, appoggiato dal Partito delle Buone Maniere; Claudio Ricci, sostenuto da tre liste civiche: Ricci Presidente, Italia Civica e Proposta Umbria. Per Claudio Ricci si è trattata della seconda candidatura consecutiva a Presidente della Regione Umbria. Infatti, nel 2015, con l’appoggio dei principali partiti del centrodestra, aveva fronteggiato Catiuscia Marini raggiungendo quasi il 40% dei voti, uscendo tuttavia sconfitto. Già quattro anni fa, dunque, il centrodestra era riuscito a insidiare una delle regioni appartenenti alla cosiddetta Zona Rossa, insieme di territori conosciuti per la tradizionale cultura politica di sinistra, capaci spesso di consegnare vittorie sicure ai partiti di quell’area (Diamanti, 2009). Come sottolineato da Carrieri (2015), fondamentale fu la capacità di Ricci di compattare attorno alla sua persona l’intera, ed eterogenea, coalizione di centrodestra, e di capitalizzare il suo radicamento territoriale. In particolare, in quell’occasione, il voto al candidato presidente ha superato in termini percentuali (+0,8 punti percentuali) e di voti assoluti (+11.000 voti) i voti alla propria coalizione.

    Nella Tabella 1, contenente i risultati elettorali in Umbria nelle recenti elezioni politiche, regionali ed europee, è possibile osservare alcuni elementi interessanti. Il primo dato da considerare è quello relativo all’affluenza. Si tratta di un dato in crescita: alle scorse regionali del 2015 si erano recati alle urne il 55,4% degli aventi diritto, mentre nella giornata di ieri la percentuale è salita al 64,7%. L’Umbria è una regione che si è sempre contraddistinta per una forte tradizione di partecipazione elettorale (Carrieri, 2015). Tuttavia, quattro anni fa vi è stato un brusco calo. Le ragioni di tale aumento di partecipazione probabilmente sono da rinvenire, anche in questo caso, nelle implicazioni nazionali del voto, segnatamente nella ri-mobilitazione operata dalle forze politiche nazionali, su tutte la Lega di Matteo Salvini, che hanno attribuito al voto umbro connotazioni più larghe rispetto alla meno complessa e farraginosa disputa locale.

    Tab. 1 – Risultati elettorali in Umbria nelle recenti elezioni europee, politiche e regionali[1]

    Volgiamo ora lo sguardo verso i risultati elettorali ottenuti ieri dai partiti principali, confrontandoli con i risultati ottenuti nelle precedenti regionali del 2015, le politiche del 2018 e le europee di maggio 2019. Il Partito Democratico, che nel 2015 si era attestato come primo partito con il 36%, conosce un ulteriore calo di consensi, già registrato in occasione delle politiche del 4 marzo, dove aveva ottenuto il 25. I Dem si fermano infatti al secondo posto con il 22%, in una zona, come ricordato, tradizionalmente favorevole per i partiti di cultura politica di sinistra. Un calo, questo, già anticipato dal 24% ottenuto alle europee. Anche il Movimento 5 Stelle esce nettamente sconfitto dalla competizione elettorale. Questo è particolarmente visibile se confrontiamo la percentuale ottenuta ieri, pari a poco più del 7%, con l’exploit del 2018, anno in cui i pentastellati si erano affermati come primo partito nella regione con il 27,5% dei voti. Se nelle elezioni politiche 2018 e regionali 2019 i voti del M5S sono drasticamente scesi, anche dal raffronto tra regionali 2015 e regionali 2019 i voti in percentuale risultano dimezzati: si passa infatti dal 14,6% del 2015 al 7,4% del 2019. Come nel caso del Partito Democratico, anche i pentastellati avevano subito un calo elettorale qualche mese fa: alle europee, infatti, il partito di Di Maio aveva ottenuto la medesima percentuale delle regionali 2015, vale a dire il 15% dei voti. All’interno del centrodestra, fatta eccezione per il dato di Forza Italia, crescono tutti i partiti. Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni raddoppia in termini percentuali rispetto al 2018, passando dal 5 al 10%, e conferma l’andamento crescente nella regione, già chiaro alle politiche di un anno fa e proseguito in occasione delle consultazioni europee. La Lega di Matteo Salvini, che alle ultime regionali aveva ottenuto il 14% e alle politiche poco più del 20%, vede crescere considerevolmente i propri voti attestandosi come primo partito della regione a quota 37%. Per di più, la Lega, in solitaria, è riuscita quasi a raggiungere la medesima percentuale dell’intera coalizione di centrosinistra (allargata al M5S). Un exploit atteso e prevedibile, se consideriamo il 38% ottenuto a maggio in occasione delle elezioni europee.

    Osservando i dati relativi ai poli è possibile osservare, infatti, che la coalizione di centrosinistra, che comprende anche il Movimento 5 Stelle, ha raggiunto il 37,5% dei voti. Alla sinistra di questa coalizione vi è anche il dato molto deludente delle forze politiche alternative al Partito Democratico, che hanno globalmente ottenuto quasi il 2%. Misero anche il supporto raccolto da Europa Verde e Sinistra Civica e Verde, facenti parte della coalizione di centrosinistra, rispettivamente all’1,4% e all’1,6%. Nonostante l’Umbria sia conosciuta come il “giardino d’Italia”, queste forze ecologiste non hanno saputo mettere a frutto la considerevole ondata di popolarità delle tematiche ‘green’ negli ultimi tempi. Il polo vincitore di queste elezioni, dunque, è la coalizione di centrodestra. L’alleanza oramai strutturale tra Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia ha raccolto il 57,6% dei voti, crescendo sia rispetto alle scorse regionali, dove aveva ottenuto il 39%, sia rispetto alle elezioni politiche, dove si era imposta come prima coalizione della regione con circa il 37% dei consensi.

    Il voto umbro ha espresso chiaramente un netto vincitore. Tutt’altro che chiari sono, invece, i futuri sviluppi in merito alle strategie e alle decisioni della politica nazionale e alle possibili ripercussioni del risultato umbro sulla stabilità del governo Conte II. Già dai primi momenti appare chiaro che l’esperimento tentato dal Movimento 5 Stelle e dal Partito Democratico avrà difficilmente seguito in futuro, mentre, per quanto riguarda la tenuta del governo, occorrerà attendere l’esito di altri appuntamenti elettorali regionali, su tutti il voto in Emilia-Romagna.

    Riferimenti bibliografici

    Carrieri, L. (2015), ‘Regionali 2015: verso un’effettiva contendibilità in Umbria?’ in Paparo, A. e Cataldi, M, (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, CISE, Roma, 2015

    Diamanti, I. (2009), ‘Mappe dell’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro… e tricolore’, Bologna, Il Mulino.

    Reif, K., e Schmitt, H. (1980), ‘Nine second‐order national elections–a conceptual framework for the analysis of European Election results’, European Journal of Political Research, 8 (1), pp. 3-44.


    [1] Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale (per le politiche 2018 sono riportati i voti espressamente assegnati ai partiti, prima dell’attribuzione dei voti al solo candidato di collegio sostenuto); nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari.

    Nella parte superiore, ciascuna riga somma i risultati dei relativi partiti, a prescindere dalla coalizione della quale facessero parte. Nella categoria partiti di sinistra rientrano: PRC, PC, PCI, PAP, SEL, SI, MDP, LeU, RC. Nella categoria altri partiti di centrosinistra sono inseriti: Insieme, PSI, IDV, Radicali, +EU, Verdi, CD, DemA. Nella categoria partiti di centro rientrano: NCI, UDC, NCD, FLI, SC, CP, NCD, AP, DC, PDF, PLI, PRI, UDEUR, Idea, CPE. Nella categoria partiti di destra rientrano La Destra, MNS, FN, FT, CPI, DivB, ITagliIT.

    Nella parte inferiore, invece, si sommano i risultati dei candidati (uninominali), classificati in base ai criteri sotto riportati. Per le regionali 2015 e 2019, abbiamo considerato quali voti raccolti dai candidati quelli delle coalizioni (che sostenevano il candidato alla presidenza). Sinistra alternativa al PD riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra PAP, RC, PRC, PCI, PC, MDP, LeU, SI, SEL, Insieme, PSI, +EU, CD, DemA, Verdi, IDV, Radicali – ma non dal PD. Il Centrosinistra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia il PD (nelle elezioni regionali del 2019 la coalizione include anche il M5S); il Centro riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra NCI, UDC, CP, NCD, FLI, SC, PDF, DC, PRI, PLI, CPE, Idea, UDEUR (ma né PD né FI/PDL).Il Centrodestra è formato da candidati nelle cui coalizioni a sostegno compaia FI (o il PDL). La Destra riunisce tutti i candidati sostenuti da almeno una fra Lega, FDI, La Destra, MNS, FN, FT, CasaPound, DivBell, ITagliIT – ma non FI (o il PDL).

    Quindi, se un candidato è sostenuto dal PD o da FI (o PDL) è attribuito al centrosinistra e al centrodestra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno.

    Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico (Altri). Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e FI/PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Nei flussi a Napoli la smobilitazione del M5S: metà dei suoi elettori 2018 si sono astenuti

    Nei flussi a Napoli la smobilitazione del M5S: metà dei suoi elettori 2018 si sono astenuti

    Le elezioni europee del 26 maggio a Napoli hanno registrato un arretramento del Movimento 5 Stelle rispetto al risultato ottenuto alle elezioni politiche del 4 marzo. La Tabella 1 mostra come in quell’occasione i pentastellati avevano raccolto oltre il 50% dei voti validi, ponendosi in una posizione di netto vantaggio rispetto ai principali contendenti, su tutti Partito Democratico e Forza Italia, che si erano fermati rispettivamente intorno alla soglia del 15% e del 16% (Paparo 2018).

    La percentuale ottenuta il 26 maggio nel capoluogo campano dal Movimento 5 Stelle, invece, si ferma al 40%. Si tratta di un dato comunque di gran lunga superiore alla percentuale raggiunta a livello nazionale, ovvero il 17%, e anche a quella della circoscrizione meridionale nel suo insieme (inferiore al 30%). Alla luce del risultato conseguito dalle altre forze politiche, in particolare dal Partito Democratico al 23%, che si attesta come secondo partito e la Lega al 12% come terzo, si può osservare che il primato cittadino dei pentastellati non è stato messo in discussione dal voto europeo, ma per il partito guidato da Luigi Di Maio si rileva tuttavia una considerevole perdita, pari a 114.428 voti, oltre la metà di quelli raccolte alle politiche.

    In studi recenti è stato fatto notare come il ruolo dell’enfant du pays Luigi Di Maio possa aver giocato un ruolo importante nel complessivo successo elettorale del Movimento 5 Stelle nelle regioni dell’Italia meridionale (Paparo 2018). Spesso, infatti, le scelte di voto degli elettori napoletani hanno seguito criteri relativi alla personalizzazione (Cataldo, Emanuele e Paparo 2011), premiando le capacità di leadership dei candidati tralasciando l’identificazione partitica, come è avvenuto ad esempio anche nel caso delle elezioni comunali del 2016 (Paparo e Cataldi 2016). Da questo punto di vista, dunque, si può sostenere che l’elettorato napoletano abbia perso parzialmente la fiducia circa le capacità di rappresentanza e governo del leader del Movimento 5 Stelle, finendo in maniera massiccia, come si può notare nelle analisi dei flussi elettorali, nell’astensionismo.

    Rispetto alle elezioni politiche del 2018, il voto europeo ha registrato arretramenti anche per quanto riguarda altre forze politiche. Come si può osservare dalla Tabella 1, la percentuale raggiunta nel 2018 dalle formazioni della sinistra radicale si attestava al 6%, mentre il nuovo progetto politico denominato La Sinistra, costruito prevalentemente intorno a Rifondazione Comunista e Sinistra Italiana, si ferma al 3%. Un altro arretramento significativo nel raffronto tra voto del 2018 e voto del 2019 si registra nel caso di Forza Italia. Il partito di Silvio Berlusconi, sceso nuovamente in campo nella competizione elettorale, ha conosciuto una perdita di oltre 40.000 dei 70.000 voti del 2018.

    Tutte le altre forze politiche maggiori hanno, invece, mostrato un incremento rispetto al voto del 2018. Nello specifico, nell’area del centrosinistra, il Partito Democratico, passato dal 15% al 23%, ha aumentato di 4.000 voti. Più Europa ha raccolto un migliaio di voti in più delle politiche, crescendo da circa il 2% a poco più del 3%.  La lista ambientalista Europa Verde ha quadruplicato i voti della lista Insieme nel 2018, raggiungendo il 2%.

    Ad eccezione di Forza Italia, come si è visto in precedenza, anche le forze del centrodestra hanno conosciuto incrementi non solo in riferimento ai risultati percentuali ma anche in termini di valori assoluti. In particolare, Fratelli d’Italia, la cui leader Giorgia Meloni ha chiuso la campagna elettorale per le europee proprio nella città di Napoli, ha preso circa mille voti in più del 2018 migliorando del 60% la propria percentuale, passando dal poco meno del 2,7% al 4,4%.

    Infine, la Lega di Matteo Salvini ha, per la prima volta a Napoli, raggiunto la doppia cifra. Ha quintuplicato il proprio risultato: dal 2,5% del 2018 al 12,4% del 2019. Inoltre, ha triplicato i propri voti in valore assoluto, nonostante nonostante il calo di 20 punti dell’affluenza. Questo aumento di consensi diviene ancora più considerevole se il risultato del voto europeo viene confrontato con il risicato 0,6% ottenuto alle europee del 2014. Nel giro di cinque anni a Napoli la Lega è cresciuta di 20 volte. Il 12,4%, tuttavia, risulta essere molto al di sotto non solo della percentuale nazionale ottenuta della Lega, ovvero il 34%, ma anche dei risultati del sud in genere e anche in Campania (De Sio 2019). Bisogna tuttavia considerare che questa particolare area geografica del paese rappresentava una zona off-limits per il Carroccio.

    Se si prendono in considerazione i voti ottenuti dalle forze politiche alle elezioni europee del 2014, in alcuni casi i trend cambiano. Partiamo dalla sinistra dello spazio politico. L’Altra Europa con Tsipras, animata anche da sensibilità che hanno poi partecipato alla formazione de La Sinistra, nel 2014 aveva raggiunto quasi il 6% dei voti. Percentuale che è stata raggiunta nel 2018 congiuntamente da due forze politiche, Potere al Popolo e Liberi e Uguali, e che si è ridimensionata notevolmente nella performance elettorale del 2019 de La Sinistra. Nel 2014 il Partito Democratico di Matteo Renzi aveva raggiunto a Napoli, come nell’intera penisola, la percentuale record del 40%, cifra ben più elevata sia della percentuale delle politiche del 2018 sia delle europee 2019. Se, dunque, nel raffronto tra politiche 2018 ed europee 2019 il Partito Democratico registra una crescita, non si può dire lo stesso nella comparazione con la precedente competizione elettorale omologa. Dal raffronto tra europee 2014 ed europee 2019 non si può notare solamente l’inversione del trend relativo al Partito Democratico, ma anche nel caso del Movimento 5 Stelle. Nel 2014 a Napoli i pentastellati avevano infatti ottenuto il 26,5%, poco sopra il dato nazionale, ma comunque una percentuale più bassa rispetto al 40% del 2019.

    Tab. 1 – Risultati elettorali delle recenti elezioni nel comune di Napolinapoli tab

    Passiamo ora all’analisi dei flussi elettorali. La Tabella 2 mostra le destinazioni dei flussi elettorali a Napoli fra le elezioni politiche del 2018 e le elezioni europee 2019. Il dato più significativo è rappresentato sicuramente dalla notevole percentuale di elettori del Movimento 5 Stelle del 2018 che hanno deciso di astenersi il 26 maggio. Infatti, che circa la metà (48%) degli elettori dei pentastellati ha preferito non votare. Il 41% ha invece confermato il voto espresso nel 2018, mentre il 6% ha scelto di premiare il partner di governo, la Lega.

    Per quanto riguarda il tasso di fedeltà degli elettorati degli altri principali partiti, la percentuale maggiore è registrata dal Partito Democratico: il 72% degli elettori del 2018 ha votato per il Partito Democratico anche nel 2019. Percentuale molto più bassa rispetto a quella del PD per la Lega: appena il 46% degli elettori leghisti del 2018 ha confermato la scelta di voto nel 2019, con l’unica fuoriuscita significativa verso il non voto. FI e FDI hanno poi tassi di fedeltà ancor più bassi del M5S, il 28 e il 20% rispettivamente, con grandi perdite sia verso il non voto che verso la Lega.

    Interessante infine anche il dato relativo agli elettori di Liberi e Uguali, che hanno nettamente preferito il partito di Zingaretti (44%) rispetto all’esperimento politico di Fratoianni e Acerbo (14%).

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2018 ed europee 2019, destinazioni (clicca per ingrandire)dest

    Osservando ora i dati presenti all’interno della Tabella 3, è possibile comprendere la composizione odierna delle varie constituencies dei partiti nel capoluogo campano in termini di bacini elettorali del 2018. Nel caso del Movimento 5 Stelle, l’82% dei suoi elettori del 2019 lo aveva già preferito il 4 marzo, senza alcun ingresso rilevante da altri partiti. Il Movimento è quindi confinato all’interno del suo recinto, che perde buoi.

    L’esatto contrario emerge per quanto riguarda la Lega: una grande capacità di pescare elettori trasversalmente. Solo il 14% dei suoi voti 2019 proviene infatti dal bacino elettorale leghista nel 2018, mentre è significativa la quota di elettori che ha scelto il Carroccio partendo dai bacini elettorali 2018 del Movimento 5 Stelle (40%) e di Forza Italia (32%).

    Il 67% degli elettori del Partito Democratico lo erano già nel 2018, mentre il 10% aveva votato per il partito guidato da Piero Grasso Liberi e Uguali. Sostanzialmente, non si segnala nessun recupero al di fuori del perimetro del centrosinistra.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2018 ed europee 2019, provenienze (clicca per ingrandire)prov

    In conclusione, ciò che emerge maggiormente da questa analisi del voto a Napoli, e in particolare dai flussi elettorali, è la smobilitazione del Movimento 5 Stelle, con un enorme travaso di elettori pentastellati 2018 verso l’astensionismo.

    Possiamo chiaramente apprezzare questo flusso nel diagramma di Sankey (Figura 1), che mostra in forma grafica le nostre stime dei flussi elettorali a Napoli. A sinistra sono riportati i bacini elettorali del 2018, a destra quelli del 2019. Le diverse bande, colorate in base al bacino 2018 di provenienza, mostrano le transizioni dai bacini delle politiche a quelli delle europee. L’altezza di ciascuna banda, così come quella dei rettangoli dei diversi bacini elettorali all’estrema sinistra e destra, è proporzionale al relativo peso sul totale degli elettori. La banda gialla dal M5S 2018 all’astensione 2019 è quella più grande di tutte, pari al 15% dell’elettorato napoletano. Ciò significa che la combinazione di scelte di voto più frequente, praticata da un elettore napoletano ogni 6,7, è proprio quella di aver votato il Movimento alle politiche ed essersi astenuti alle europee.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Napoli fra politiche 2018 (sinistra) ed europee 2019 (destra), percentuali sull’intero elettorato (clicca per ingrandire)sankey

    Il notevole consenso elettorale ottenuto alle elezioni politiche 2018 dal Movimento 5 Stelle presentava una forte impronta territoriale e geografica nelle regioni meridionali (Emanuele e Vassallo 2018), e in particolare nella città di Napoli, che, alla luce del voto europeo, dimostra ancora di essere un territorio favorevole ai pentastellati (Emanuele e Maggini 2019). Ma, in un’area dove non si è mai diffuso il voto di appartenenza (Parisi e Pasquino 1977) e in un contesto di elevata volatilità elettorale, non è sicuro che lo sia in futuro, anche in quello più prossimo.

     

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, M., Emanuele, V., e Paparo, A. (2012), ‘Elettori in movimento nelle comunali 2011 a Milano, Torino e Napoli’, Quaderni dell’Osservatorio Elettorale, 67, pp. 5-43.

    De Sio, L. (2019), ‘La nazionalizzazione della Lega di Salvini’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/27/la-nazionalizzazione-della-lega-di-salvini/

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2019), , Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/05/27/il-m5s-resiste-solo-nelle-province-a-maggior-richiesta-di-assistenzialismo/

    Emanuele, V., e Vassallo, S. (2018), ‘Gli effetti del Rosatellum e la nuova geografia del voto’, in ITANES (a cura di) Vox Populi. Il voto ad alta voce del 2018, Bologna, Il Mulino, pp. 17-35.

    Goodman, L. A. (1953), ‘Ecological regression and behavior of individual’, American Sociological Review, 18, pp. 663-664.

    Paparo, A. (2018), ‘A Napoli il M5S supera il 50% con ingressi da tutte le direzioni’, in V. Emanuele, e A. Paparo (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE (11), Roma, LUISS University Press, pp. 263-269.

    Paparo, A., e Cataldi, M. (2016), ‘L’avanzata prorompente di un nuovo leader? L’analisi dei flussi a Napoli’, in V. Emanuele, N. Maggini, e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 65-68.

    Parisi, A., e Pasquino, G. (1977), Continuità e mutamento elettorale in Italia: le elezioni del 20 giugno 1976 e il sistema politico italiano, Bologna, Il Mulino.

    Schadee, H.M.A., e Corbetta, P.G., (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman (1953) alle 883 sezioni elettorali del comune di Napoli. Seguendo Schadee e Corbetta (1984), abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 15% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione). Abbiamo effettuato analisi separate in ciascuno dei quattro collegi uninominali della Camera, poi riaggregate nelle stime cittadine qui mostrate. Il valore medio dell’indice VR per le quattro analisi è pari a 10,1.

  • La Zona Rossa verso più incertezza? Flussi elettorali tra voto al partito e al candidato

    La Zona Rossa verso più incertezza? Flussi elettorali tra voto al partito e al candidato

    Dal sondaggio CISE sulle intenzioni di voto alle elezioni politiche del 4 marzo 2018, è scaturita un’analisi di Nicola Maggini riguardo i flussi elettorali tra intenzioni di voto al partito e intenzioni di voto al candidato nel collegio uninominale. Tra le indicazioni che sono state tratte appare molto interessante il dato riguardante il Movimento 5 Stelle, che possiede il tasso di intenzione di voto coerente più alto tra tutte le forze politiche pari al 76%. I dati mostrano che nessun’altra forza politica riesce a raggiungere quota 76. Il centrosinistra, comprendente Partito Democratico e PiùEuropa, raggiunge rispettivamente il 62% e il 44%. La coalizione di centrodestra, formata da Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia, raccoglie rispettivamente il 59%, il 61% e il 64%. In conclusione, Liberi e Uguali registra un tasso di fedeltà pari a 58%.

    L’analisi di Maggini è stata condotta a livello nazionale; in questa sede l’obiettivo è quello di analizzare i flussi elettorali tra voto al partito e voto al candidato in una particolare area geografica del paese: la cosiddetta Zona Rossa. Tale zona è conosciuta per essere particolarmente vicina alla cultura politica di sinistra e comprende le regioni Emilia-Romagna, Toscana, Umbria e Marche.

    Osservando la Tabella 1, comparando i dati di questa precisa area geografica con quelli nazionali, possiamo notare un aumento del tasso di fedeltà per tre forze politiche: Partito Democratico da 62% a 69,3%, Lega da 61% a 64,5% e Fratelli d’Italia da 64% a 69,3%. Vedono invece diminuire il tasso di fedeltà altrettanti partiti: Liberi e Uguali da 58% a 56,7%, PiùEuropa da 44% a 36,2% e Forza Italia da 59% a 56,2%. Infine, rimane stabile il Movimento 5 Stelle che ripete la percentuale rilevata a livello nazionale (76%). Lo scostamento più ampio, in termini negativi, è registrato dal partito di Emma Bonino, Più Europa. Il partito europeista registrava già il tasso di fedeltà più basso a livello nazionale ed è diminuito ulteriormente in questa area specifica. Questo risultato, ragionevolmente, può essere compreso tenendo presente che si tratta di una forza politica nata poco prima dell’inizio della campagna elettorale e dunque non radicata a sufficienza nel territorio. All’interno della coalizione di centrosinistra si può, però, rilevare anche il miglioramento più significativo, ovvero quello del Partito Democratico. Le cause di tale miglioramento è, probabilmente, da rinvenire nella tradizionale persistenza organizzativa dei partiti della sinistra, con particolare riferimento ai partiti considerati eredi della eredità del Partito Comunista Italiano. Alla luce di ciò si può quindi pensare che il partito di Piero Grasso, Liberi e Uguali, non riesca ad imporsi in una zona ipoteticamente favorevole perché, per via della recente formazione, presenta un livello di fidelizzazione più basso rispetto a quello del Partito Democratico. Un altro miglioramento per certi versi sorprendente è quello di Fratelli d’Italia che raggiunge la stessa percentuale del Partito Democratico, partendo però da una posizione leggermente più favorevole su base nazionale. Il tasso di fedeltà raggiunto in questa zona da Fratelli d’Italia è il più alto ottenuto dal partito tra tutte le zone geopolitiche italiane, anche più del Mezzogiorno. È un dato interessante che mostra un avanzamento nel rapporto tra candidato ed elettore di Fratelli d’Italia in una zona tradizionalmente non favorevole.

    Tabella 1 – Matrice di flusso fra intenzioni di voto alla lista e intenzioni di voto al candidato di collegio nella Zona Rossa (clicca per ingrandire)flussi_PR_MG_zona_tab

    In conclusione, i risultati derivanti dall’analisi della Zona Rossa confermano innanzitutto il dato nazionale del Movimento 5 Stelle e dunque si può avvalorare la tesi secondo cui il partito pentastellato può giocare a suo favore la ‘carta fedeltà’. In secondo luogo, se da un lato è vero che il Partito Democratico ha mostrato un miglioramento, dall’altro il 69,3% non è comunque un dato che può soddisfare tenendo conto della zona in cui si è ottenuto. La Zona Rossa, dunque, si mostrerà ancora un porto sicuro oppure tenderà a sfumarsi?

    Figura 1 – Flussi fra intenzioni di voto alla lista e intenzioni di voto al candidato di collegio nella Zona Rossa (clicca per ingrandire)flussi_PR_MG_zona_fig

    Riferimenti bibliografici

    Diamanti I., “Mappe dell’Italia politica. Bianco, rosso, verde, azzurro e tricolore”, Il Mulino, Bologna, 2009


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.