Autore: Luca Carrieri

  • The Valence Side of the EU: EU Issue Voting in the Aftermath of the Eurozone Crisis

    The Valence Side of the EU: EU Issue Voting in the Aftermath of the Eurozone Crisis

    To cite the article:

    Carrieri, L., & Angelucci, D. (2021). The Valence Side of the EU: EU Issue Voting in the Aftermath of the Eurozone Crisis. Swiss Political Science Review, 00, 1– 20. https://doi.org/10.1111/spsr.12492

    The article is open access and can be accessed here.

    Abstract

    In the aftermath of the Euro crisis, EU issues have increasingly affected electoral behaviour, explaining a sizable shift in votes from the Europhile to Eurosceptic parties. This paper advances the argument that EU issue voting is not entirely encompassed in a divisive (pro-/anti-) EU dimension, testing the hypothesis that a EU valence voting is currently conditioning electoral behaviour. In particular, we posit that voters support parties evaluating their credibility in achieving not only EU positional goals (‘leave/remain’ in the EU), but also EU valence ones (i. (vapingzone.com) e., making the country count more in Europe). Furthermore, we assess which parties – pro-/anti-EU – are more likely to be supported on the basis of this valence issue. Based on survey data from France (2017) and Italy (2018), we found that the EU valence issue is an important voting predictor, with pro-EU parties mainly benefitting from it.

  • Regionali in Trentino-Alto Adige: la volta buona per il centrodestra?

    Regionali in Trentino-Alto Adige: la volta buona per il centrodestra?

    Domani si terranno contestualmente le elezioni per le provincie autonome di Trento e Bolzano. I due consigli provinciali formeranno congiuntamente il Consiglio della Regione Trentino-Alto Adige, la quale costituisce un contesto di regione depotenziata, dotata di funzioni sostanzialmente residuali, rispetto ai due enti provinciali autonomi. I due sistemi politici provinciali hanno storicamente espresso due subculture marcatamente distinte. Infatti, la provincia di Trento è stata una provincia bianca durante la prima repubblica (1948-1992), caratterizzata cioè da un’egemonia politica e culturale della DC, mentre durante il ciclo politico bipolare (1994-2008) è stata elettoralmente dominata dai partiti di centrosinistra, in particolar modo da quelli che hanno incarnato la tradizione postdemocristiana (PPI-DL) e successivamente del PD (Diamanti 2009). Al contrario, la provincia autonoma di Bolzano si è contraddistinta per il grande peso demografico della minoranza linguistica tedesca, costituendo un caso molto deviante rispetto alle tradizioni politiche del resto della penisola. Infatti, il partito autonomista di lingua tedesca, la SVP, ha ottenuto per larga parte della sua storia la maggioranza assoluta dei voti a livello provinciale, relegando gli altri partiti nazionali ad un ruolo subalterno. Tuttavia, il quadro che si sta delineando sembra essere piuttosto critico per quei partiti che hanno dominato i rispettivi sistemi politici provinciali, il PD a Trento e la SVP a Bolzano. Quindi, prima di passare al quadro dell’offerta elettorale, ci sembra utile delineare i due sistemi istituzionali ed elettorali provinciali, che forniranno incentivi fondamentali per le strategie pre-elettorali e post-elettorali all’interno dei due sistemi.

    I sistemi elettorali

    Per la provincia autonoma di Trento, la legge provinciale del 5 Marzo 2003 n.2 disciplina il sistema elettorale e i contenuti della forma di governo del di governo provinciale. Si vota in un unico collegio provinciale ed il sistema è di tipo proporzionale, dotato di un correttivo maggioritario. Il presidente e il consiglio provinciale vengono eletti contestualmente. Esiste il divieto di voto disgiunto e le liste devono essere obbligatoriamente collegate ad un candidato presidente. Si può esprimere il voto di preferenza a livello di lista, con la possibilità di una doppia preferenza. Quest’ultima opzione è però condizionata ad una alternanza di genere nell’espressione delle preferenze. I seggi si assegnano attraverso l’applicazione del metodo d’Hondt, senza soglia di sbarramento, con un premio di maggioranza per la lista o coalizione di liste, collegate al presidente eletto. Il premio di maggioranza varia a seconda dei seggi ottenuti proporzionalmente dalle liste: Se la lista o coalizione di liste collegate al presidente eletto ha ottenuto meno di 17 seggi, gliene vengono attribuiti 17, escluso il seggio del presidente, per una somma totale di 18 seggi.

    Se invece la lista o coalizione di liste collegate al presidente eletto non ha ottenuto almeno 20 seggi, ottenendo almeno il 40% dei voti validi, gli vengono attribuiti 20 seggi, oltre il seggio del presidente. La lista o la coalizione di liste collegate al candidate presidente non possono ottenere più di 23 seggi, oltre a quello del presidente, mentre alle liste collegate al candidato o candidati presidente non eletti, si attribuiscono 11 seggi.

    Le caratteristiche del sistema istituzionale della provincia autonoma di Trento non sono molto dissimili da quelle della maggioranza delle regioni a statuto ordinario, laddove la legge provinciale n.2 del 2003 si è inserita sulla scia della disciplina statale che regola il sistema istituzionale ed elettorale delle regioni a statuto ordinario: elezione diretta e contestuale di consiglio e presidente; il principio del simul stabunt simul cadent, premio di maggioranza variabile ed una quota minima di seggi per le coalizioni perdenti. Insomma, una forma di governo semi-parlamentare, o neoparlamentare (Agosta 1999, Baldini 2004, Di Virgilio 2005, Duverger 1996, Fabbrini 2001).

    Per la provincia autonoma di Bolzano, la legge provinciale 14 del 2017 ha recentemente modificato l’elezione del consiglio provinciale di Bolzano. Anche in questo caso esiste un collegio unico provinciale, riservando una quota di rappresentanza alla minoranza ladina, almeno un seggio, sui 35 totali. Ogni elettore dispone di un voto di lista ed è dotato della facoltà di attribuire preferenze per candidati compresi nella lista votata (fino a 4). D’altro canto il presidente della Provincia non è eletto direttamente dagli elettori, costituendo un caso deviante rispetto agli altri sistemi regionali Italiani. Infatti, Il presidente della Provincia è eletto dal Consiglio provinciale, con votazione per appello nominale e a maggioranza assoluta dei suoi componenti e non è previsto un dispositivo di simul stabunt simul cadent, discostandosi da una forma di governo semi-parlamentare. Il metodo di ripartizione dei seggi riproduce i criteri tipici un proporzionale puro, che non è cambiato rispetto a quello usato nel secolo scorso. Infatti, Si utilizza il metodo del quoziente Imperiali e dei più alti resti, in cui si assegnano i seggi per ciascuna lista, dividendo il totale dei voti validi per il numero dei seggi assegnati, ottenendo così il quoziente elettorale. A queste operazioni partecipano anche le liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale intero. Nella sostanza, questa entità provinciale non ha subito grandi di mutamenti di carattere contestuale, forma di governo e sistema elettorale, nel corso del tempo, riproducendo le caratteristiche istituzionali tipiche della prima Repubblica.

    I due contesti provinciali presentano delle caratteristiche molto differenti, i quali potrebbero aprire degli scenari potenzialmente inediti e dirompenti nell’immediato futuro.

    Le regionali 2013

    Il 27 ottobre 2013, in occasione delle precedenti elezioni regionali, nella provincia di Bolzano si osservò un risultato storico. Per la prima volta, infatti, la SVP non aveva conquistato la maggioranza assoluta dei seggi in Consiglio – pur mantenendo un ragguardevole 45,7% dei voti. Decisive per questo risultato erano state le ulteriori avanzate dei partiti indipendentisti di destra (Die Freiheitlichen e Süd-Tiroler Freiheit), che insieme avevano raccolto oltre un quarto dei voti.

    Così, il partito egemone del sistema altoatesino era stato costretto ad un accordo post-elettorale con il PD per formare una maggioranza di governo e garantire l’elezione a Presidente della figura designata attraverso le proprie primarie, Arno Kompatscher.

    In Trentino, invece, il risultato era stato più in linea con i precedenti, e il centrosinistra si era riconfermato ancora una volta la coalizione di governo. Presentatosi unito, con una coalizione organica di PD, UPT e PATT (oltre che alcune forze minori) a sostegno della candidatura alla presidenza dell’ex segretario di quest’ultimo (Ugo Rossi), aveva raccolto poco meno del 60%, un risultato in linea con quelli ottenuti da Dellai nelle sue due vittorie nel 2003 e 2008.[1]

    Il centrodestra si era invece presentato agli elettori molto diviso, con un candidato di Forza Italia, uno della Lega, uno di FDI e uno addirittura del MIR. Nessuno dei 4 era andato oltre il 6,6% dei voti. Assai più successo aveva invece avuto un’altra candidatura riconducibile in termini ideologici al centrodestra, anche se non sostenuta da alcun partito. Si tratta di quella di Diego Mosnana, sostenuta da una coalizione civica (animata principalmente dalle liste Progetto Trentino e Civica Trentina, oltre che da Fare, in posizione marginale). Questi aveva infatti sfiorato il 20% dei voti, più dei 4 candidati di centrodestra sotto insegne partitiche messi insieme.

    Il M5S si era fermato con il suo candidato presidente al 5,7% dei voti. Deboli anche le performance dei due candidati a sinistra del PD (SEL e PRC), entrambi fuori dal Consiglio.

    L’offerta elettorale 2018

    Venendo all’offerta in campo in queste regionali 2018, in Trentino la situazione appare diametralmente opposta a quella di cinque anni fa. Il centrodestra è compatto a sostegno del candidato 2013 della Lega, Maurizio Fugatti. A sostegno della candidatura alla presidenza dell’attuale sottosegretario alla Salute del Governo Conte, si sono infatti schierati, oltre alla Lega, FI, FDI, UDC, e anche le liste cardine della coalizione Mosnana di cinque anni fa (Progetto Trentino e Civica Trentina) – oltre a ulteriori tre liste civiche.

    Il centrosinistra, invece, si è diviso, con il PATT che appoggia il Presidente uscente Rossi, mentre UPT e PD corrono a sostegno di Giorgio Tonini, ex senatore di quest’ultimo. Vi sono poi altri 8 candidati presidenti, tra cui spiccano Degasperi per il M5S, Castaldini per CasaPound e Valer per LeU e L’Altro Trentino a Sinistra.

    Alla luce delle divisioni del centrosinistra, e del risultato del 4 marzo, che ha visto il centrodestra vincitore in tutti i collegi trentini sia alla Camera che al Senato (De Lucia 2018), sembra proprio che i tempi siano maturi per il primo, storico successo del centrodestra. Dall’introduzione dell’elezione diretta del Presidente, infatti, ha sempre vinto il centrosinistra. E anche prima, a ben guardare; anche se negli ultimi anni alcune crepe a livello locale si erano già notate (Paparo 2015a).

    Quanto, infine, all’offerta elettorale per le elezioni nella provincia di Bolzano, la legge elettorale proporzionale non incentiva la formazione di coalizioni pre-elettorali, e infatti i partiti (14 in tutto) corrono ognuno con il proprio simbolo e la propria lista. Solo FDI ha formato una lista unitaria con una forza locale di destra – L’Alto Adige nel Cuore (Paparo 2015b, De Lucia 2016).

    Riferimenti bibliografici

    Agosta, Antonio (1999), ‘Sistema elettorale e governo locale: gli effetti politici e istituzionali della riforma del 1993’, in Stefania Operto (a cura di), Votare in Italia. Riflessioni sulle elezioni amministrative in Italia, Milano, Franco Angeli, pp. 31-58.

    Baldini, Gianfranco (2004), ‘La prima prova del governo neoparlamentare: il governo delle città italiane nel decennio 1993-2002’, in Stefano Ceccanti e Salvatore Vassallo (a cura di), Come chiudere la transizione. Cambiamento, apprendimento e adattamento nel sistema politico italiano, Bologna, Il Mulino, pp. 151-166.

    De Lucia, Federico (2016), ‘Comunali a Bolzano, vince Caramaschi (Pd) ma non ha la maggioranza’.  https://cise.luiss.it/cise/2016/05/28/comunali-a-bolzano-vince-caramaschi-pd-ma-non-ha-la-maggioranza/

    De Lucia, Federico (2018), ‘Il voto del 2018: ancora una scossa di terremoto. Sarà l’ultima?’, in Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi
    conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 105-113.

    Diamanti, Ilvo (2009), Mappe dell’Italia politica, Bologna, Il Mulino.

    Di Virgilio, Aldo (2005), ‘Il sindaco elettivo: un decennio di esperienze in Italia’, in Maurizio Caciagli e Aldo Di Virgilio (a cura di), Eleggere il sindaco: la nuova democrazia locale in Italia e in Europa, Torino, UTET, pp. 5-22.

    Duverger, Maurice, (1996), ‘Les monarchies républicaines’, Pouvoirs, revue française d’études constitutionnelles et politiques, 78, Paris, Éditions du Seuil, pp. 107–120.

    Fabbrini, Sergio, (2001), ‘Features and implications of semi-parliamentarism: the direct election of Italian mayors’, South European society and politics, 6(2), pp. 47-70.

    Paparo, Aldo (2015a), ‘In Trentino il centrosinistra tiene, ma perde ancora a Pergine ed è sotto scacco a Rovereto’, in Aldo Paparo e Matteo Cataldi (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 99-105.

    Paparo, Aldo (2015b), ‘A Bressanone vince il Svp, al ballottaggio gli altri comuni in Alto Adige’, in Aldo Paparo e Matteo Cataldi (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 91-98.


    [1] Rossi e Kompatscher sono dunque stati Presidente del Trentino-Alto Adige, nelle due metà legislatura. Il primo fino al 15 giugno 2016, il secondo dopo tale data.

  • Regionali nel Lazio: l’effetto Zingaretti e le divisioni del centrodestra

    Regionali nel Lazio: l’effetto Zingaretti e le divisioni del centrodestra

    Il rinnovo del consiglio e della giunta regionale nel Lazio si sono svolte in concomitanza alle elezioni politiche, fornendoci l’opportunità di osservare l’eventuale collegamento tra queste due arene all’interno della regione. Già nel 2013, gli elettori laziali avevano dato prova di saper distinguere tra questi due ambiti e di scegliere sulla base di criteri diversi (Carrieri 2013). La tornata elettorale del 2018 ha largamente confermato questa tendenza e i differenziali in termini di voti assoluti e percentuali tra le elezioni regionali e politiche sono stati intensi. In primo luogo, il M5S ha dimostrato una minore competitività in ambito regionale, perdendo più di 400.000 rispetto alle elezioni politiche, dove ha ottenuto il 33% dei voti validi. Pur rimanendo il primo partito del Lazio, il risultato dei grillini alle elezioni regionali è stato nettamente inferiore al dato della Camera dei Deputati. Infatti, la differenza in punti percentuali è stata di -10,9 e la dinamica della competizione regionale ha sfavorito il M5S, mostrando una maggiore resilienza delle due tradizionali coalizioni: il centrodestra ed il centrosinistra. Deve comunque essere sottolineata l’ottima prestazione della candidata presidente, Roberta Lombardi, che ha ottenuto un surplus di voti rispetto al voto circoscrizionale del M5S. Pur aumentando i voti rispetto alle elezioni regionali del 2013, il M5S potrebbe aver scontato la difficile incumbency nella capitale, governata dalla sindaca penstastellata, Virginia Raggi, non riuscendo ad accreditarsi come un’alternativa credibile rispetto alla coalizione guidata da Nicola Zingaretti.

    Anche il centrosinistra ha marcato un importante differenziale tra i due ambiti, dove il presidente uscente, Nicola Zingaretti, sembra aver avuto un effetto traino per l’intera coalizione. Infatti, il PD ha dimostrato un andamento molto negativo alle elezioni politiche nel Lazio, dove il partito è sceso al di sotto della soglia critica del 20% ed i suoi alleati hanno avuto un risultato molto deludente (4,1%) nel loro complesso. Al contrario, i PD è risalito a quota 21,2% alle elezioni regionali, tamponando le ingenti perdite subite. Inoltre, gli alleati del PD, che hanno incluso anche LEU, hanno ottenuto il 12,9% dei voti validi. Se paragoniamo questo dato con quello delle politiche, il differenziale è di circa 200.000 voti assoluti e di +11,4 punti percentuali. La coalizione a sostegno di Zingaretti ha probabilmente raccolto gli incentivi strategici insiti alla costruzione di un’alleanza più ampia, assumendo una configurazione maggiormente competitiva. Ad ogni modo, la candidatura di Nicola Zingaretti è stato il fattore più importante, che ha permesso al centrosinistra di mantenere il governo della regione. Infatti, l’intero centrosinistra è stato sopravanzato dal centrodestra nel voto di lista, mentre Zingaretti ha prevalso su Parisi nel voto per i candidati alla Presidenza. La performance personale di Nicola Zingaretti è stata molto significativa, marcando un differenziale tra voto al Presidente e voto circoscrizionale di circa 150.00 voti. Il presidente uscente ha probabilmente saputo difendere i risultati delle sua giunta, che sono stati trasformati in un risorsa a livello politico, anche se non ha saputo frenare le perdite elettorali rispetto alle precedenti regionali.

    A dispetto della propria sconfitta, il centrodestra non ha ottenuto un risultato negativo a livello di coalizione. Infatti, il centrodestra guidato da Parisi è riuscita recuperare rispetto al risultato delle regionali 2013 ed ha, grossomodo, mantenuto inalterate le posizioni raggiunte alle elezioni politiche. La grande novità è stata l’affermazione della Lega, che era stata sempre irrilevante nelle precedenti consultazioni all’interno del Lazio. Al contrario, la formazione di Salvini è diventato il primo partito del centrodestra laziale, raggiungendo la doppia cifra anche alle elezioni regionali. Il partito perdente è stato FI, che si attestato ben al di sotto del 20% ottenuto nel 2013, venendo sopravanzato dalla Lega alle elezioni politiche. Sebbene, la performance del partito di Berlusconi sia stata leggermente superiore a quello di Salvini alle regionali, FI sembra avere perso la propria posizione egemonica all’interno del centrodestra laziale. Infine, FDI-AN ha probabilmente raccolto l’eredità di AN, il partito post-fascista, ed ha quasi triplicato i suoi consensi all’interno del Lazio, raggiungendo l’8% dei voti validi sia alle regionali che alle politiche. Nonostante le buone performance dei due partiti sovranisti nel Lazio, il centrodestra non è riuscita a riconquistare il governo della regione. Infatti a dispetto di una quota maggiore di voti a livello di lista, dove il centrodestra ha staccato il centrosinistra di quattro punti percentuali, il candidato presidente, Stefano Parisi, è stato battuto da Zingaretti. Tra le ragioni di questa sconfitta, ne possiamo annoverare diverse: da un lato, il minor appeal di Parisi rispetto a Zingaretti, che potrebbe non essere riuscito a spiegare del tutto la propria candidatura, dato il suo precedente impegno nel Comune di Milano, dove era stato il candidato sindaco. D’altro canto, la destra laziale ha subito una rilevante spaccatura, ad opera del sindaco di Amatrice, Sergio Pirozzi. Pirozzi, ottenendo 150.000 voti come candidato presidente, sembrerebbe aver drenato da Parisi un serbatoio di voti decisivi, condannando l’intero centrodestra alla sconfitta.

    Tab. 1 – I risultati elettorali del 2018 nel Lazio, confronto con il 2013 (clicca per ingrandire)LAZIO

    Le elezioni regionali nel Lazio non solo hanno marginalizzato il primo partito Italiano, il M5S, ma hanno anche ribaltato un altro importante schema nazionale. Infatti nel Lazio, il centrosinistra guidato da Zingaretti, è stato in grado di rimobilitare una parte intensa dell’elettorato del centrosinistra, allargando le basi politiche del proprio blocco politico, attraverso la costruzione di una coalizione più ampia. Alle elezioni politiche, il PD di Renzi non ha avuto la stessa capacità e, di conseguenza, il blocco di centrosinistra si è fermato al 22% dei voti validi, mentre ha raggiunto il 34,1% alle regionali. Al contrario, il centrodestra, che è riuscito a costruire una coalizione efficace alle elezioni politiche, non è stato in grado a coalizzare tutte le sue componenti in ambito regionale, escludendo la coalizione di Pirozzi. Infine, il M5S è stato un competitor meno credibile a livello regionale, che rimane l’unica arena competitiva in cui non ha sfondato elettoralmente. Eppure il partito guidato da Luigi Di Maio si può consolare con il risultato delle politiche, dove si conferma il primo partito. In sintesi, la principale indicazione strategica è indirizzata al centrosinistra, che laddove riesce a federare tutte le sue anime e componenti, è capace di essere più competitivo. Nonostante ciò, trasferire questi incentivi dal livello regionale a quello nazionale appare ancora prematuro per il centrosinistra, che ha scontato profonde lacerazioni interne, superate attraverso le capacità del presidente uscente, che si è dimostrato un abile coalition-maker.

    Riferimenti bibliografici

    Carrieri, L. (2013), ‘Le elezioni nel Lazio’, in De Sio, L., Cataldi, M., e De Lucia, F. (a cura di), Le Elezioni Politiche 2013, Dossier CISE(4), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 161-164.


    NOTA: Nella parte superiore della tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari (per le regionali).

    Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (regionali) o partiti (politiche) di sinistra ma non in coalizione con il PD;

    il Centro-sinistra somma candidati (regionali) del PD o le coalizioni (politiche) con il PD;

    Il Centro è formato da candidati (regionali) o coalizioni (politiche) sostenuti o contenenti almeno uno fra NCI, UDC, NCD, FLI, SC;

    il Centro-destra somma candidati (regionali) sostenuti da FI (o PDL) o coalizioni (politiche) contenenti FI (o PDL);

    la Destra è la somma di candidati (regionali) sostenuti, contro FI/PDL, da Lega, FDI, La Destra, FN, FT, CasaPound, o coalizioni (politiche) contenenti almeno uno di questi. Pirozzi è stato inserito in questa voce, così come le liste a suo sostegno nella parte superiore della tabella.

    Criteri per l’assegnazione di un candidato a un polo: se un candidato è sostenuto dal PD o dal PDL (o FI) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo PD e PDL che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • L’analisi dei flussi di voto dal 2013: tra (s)mobilitazione e passaggi di campo

    L’analisi dei flussi di voto dal 2013: tra (s)mobilitazione e passaggi di campo

    Il sondaggio realizzato, in collaborazione con la LUISS e IlSole24Ore, traccia delle traiettorie in parte inaspettate sui passaggi di voto che dovrebbero avvenire tra il 2013 e il 2018. Pur scontando un certo livello di approssimazione, dato che i flussi di voto sono ricavati dalle intenzioni di voto e non da tutte le sezioni elettorali Italiane, tale analisi fornisce delle indicazioni rilevanti per poter intrepretare i potenziali scenari del voto politico Italiano.

    Nelle nostre precedenti analisi (Emanuele e Maggini 2015, Carrieri 2017), il M5S si era configurato come un moderno pigliatutto, riuscendo a conquistare un profilo molto interclassista e sfondando elettoralmente presso tutti i segmenti attivi del mercato del lavoro. L’analisi dei flussi rivela la tendenza del M5S ad incunearsi presso i bacini elettorali del centrosinistra e del centrodestra. Infatti, questo partito conquisterebbe una quota molto significativa di ex elettori di centrosinistra (12,3) e montiani (12,9) del 2013. La percentuale di elettori di centrodestra che passerebbe al M5S non sarebbe inconsistente (7,5%), soprattutto in un uno scenario politico dove i passaggi di voto tra una coalizione e l’altra sono stati tradizionalmente limitati (D’Alimonte e De Sio 2010). Inoltre, secondo le nostre stime, il partito di Di Maio ottiene un elevato livello di riconferme elettorali (71%), rimobilitando una parte molto consistente dei suoi elettori del 2013.  Per di più, il M5S diventa il primo partito elettorale tra i giovani che hanno maturato l’età per il voto dal 2013 ad oggi, evidenziando la propria capacità di attrarre le giovani generazioni e, probabilmente, di svolgere una funzione di socializzazione alla politica per molti di essi. Sembra lecito poter affermare che il M5S stia mettendo in atto una strategia trasversale e pigliatutto in vista delle elezioni del 4 Marzo, che gli conferirebbe una posizione centrale nel sistema politico Italiano.

    D’altra canto, la vicenda del PD e del centrosinistra appare come la cronaca di una sconfitta annunciata. Infatti, dopo le elezioni Europee del 2014, il PD ha registrato molte battute d’arresto elettorali, culminate con la sconfitta referendaria del Dicembre 2016, che hanno prodotto le dimissioni del Presidente del Consiglio, Matteo Renzi. Il dato più problematico per il PD è il tasso di riconferma elettorale rispetto al 2013, che si fermerebbe al 54,7%. Questa netta tendenza alla smobilitazione elettorale sembrerebbe condannare il PD, il quale dovrebbe recuperare una parte rilevante dei suoi ex-elettori per tornare ad essere realmente competitivo. D’altro canto, gli ex-elettori della coalizione montiana, si rivolgerebbero principalmente al PD, garantendogli una tenuta elettorale. La rendita di posizione del PD presso gli ex-elettori centristi di Monti, sembrerebbe indicare un profilo nettamente più moderato del partito, che invece perderebbe voti a sinistra a vantaggio del M5S e LEU. Gli altri cespugli della coalizione di centrosinistra, tra cui spicca la lista Più Europa guidata da Emma Bonino, non compenserebbero le ingenti perdite registrate dal PD tra i suoi ex-elettori. Quindi, il processo di coalition-building realizzato dal centrosinistra sconterebbe dei profondi limiti, non riuscendo a realizzare un’efficace strategia pigliatutto. Il centrosinistra non conseguirebbe né uno sfondamento presso i campi avversari (centrodestra e M5S) né una rimobilitazione del proprio elettorato in fuga. La difficile incumbency del PD, insieme alle divisioni a sinistra, sembrano i principali fattori causali di tale smobilitazione. La spaccatura con LEU, in cui militano diversi ex-esponenti del PD, ha parzialmente danneggiato il centrosinistra, drenando l’11% degli ex-elettori di Bersani nel 2013. Eppure neanche la formazione guidata da Pietro Grasso sfonda presso gli altri bacini di voto potenziali (M5S e astenuti), mentre, il M5S risulta essere il principale beneficiario dei voti in uscita dal centrosinistra, ottenendo il 12,3% di quegli elettori.

    Al contrario, il centrodestra nel suo insieme registrerebbe un elevato tasso di rimobilitazione; FI, Lega, FDI e Noi per L’Italia raggiungerebbero un tasso di riconferma elettorale pari all’84,5% rispetto ai voti conquistati dall’intero centrodestra nel 2013. La storia elettorale Italiana è stata spesso definita come la storia di un astensionismo asimmetrico (D’Alimonte e De Sio 2010), dato dai differenziali tra i voti in entrata e voti in uscita dalle coalizioni. Tale dinamica avvantaggerebbe il centrodestra che è stato capace di diversificare la propria offerta elettorale, aggregando le sue diverse anime all’interno di una coalizione. La gamba sovranista di questa coalizione (Lega e FDI) e quella più moderata ed Europeista (FI e Noi per l’Italia) dimostrerebbero la propria complementarità nell’arena elettorale. Tale complementarità potrebbe però tradursi in un ostacolo ai fini di un’eventuale azione di governo, data la profonda eterogeneità ideologica all’interno della coalizione. Ad ogni modo, il centrodestra non riesce ad oltrepassare le barriere ideologiche preesistenti. Infatti, FI e FDI non intercettano i voti in uscita dalle altre coalizioni del 2013. L’unica parziale eccezione è la Lega di Matteo Salvini, che in parte pescherebbe nel bacino di voto grillino del 2013 (9,1%), dimostrando qualche contiguità ideologica con la proposta Anti-Establishemnt ed Euroscettica del M5S. Le tendenze elettorali di questo schieramento rivelano gli incentivi insiti in un’offerta coalizionale ampia ed eterogenea, che riproduce il tipico formato coalizione della Seconda Repubblica. Pur non riuscendo a conquistare gli elettori delle altre coalizioni del 2013, il centrodestra è l’unica vera coalizione che si presenterà alle prossime elezioni, mediando tra le sue diverse componenti ed accreditandosi, più degli altri, come potenziale vincitore.

    Tabella 1 –  I flussi elettorali fra ricordo del voto 2013 e intenzione di voto 2018, destinazioni (clicca per ingrandire)flussi_ITA_tab

    L’analisi dei flussi ci fornisce delle informazioni utili circa il quadro che potrebbe delinearsi il 4 Marzo. Da un lato, il M5S è sempre di più il vero partito della nazione, che concepisce e realizza una strategia pigliatutto. Da sempre, i passaggi di voto tra una coalizione a l’altra sono stati considerati una merce preziosa e rara, mentre l’astensionismo asimmetrico è stata la vera chiave di volta a determinare l’esito delle elezioni. Nel 2013, il M5S aveva scardinato tale dinamica, drenando milioni di voti da centrosinistra e centrodestra (De Sio e Paparo 2014). Il partito guidato da Di Maio ha saputo mantenere quella capacità di essere trasversale, continuando ad incunearsi nei campi avversari e, probabilmente, beneficiando dei passaggi di voto. La sua indisponibilità a formare una coalizione potrebbe avergli conferito un vantaggio strategico nella campagna elettorale, rafforzando la propria immagine di partito Anti-Establishment. D’altra parte, tale logica potrebbe penalizzare il M5S nella fase post-elettorale, quando si formerà il governo. Viceversa, il centrosinistra appare scontare una forte tendenza alla smobilitazione elettorale, che lo metterebbe in una posizione di forte svantaggio nella competizione politica. L’incapacità di costruire una colazione ampia, che includesse le diverse anime del centrosinistra, potrebbe avere accelerato tale smobilitazione, già aggravata dal peso dell’incumbency del PD. Infine, la coalizione del centrodestra è stata l’unica a replicare le dinamiche del passato, quando si presentavano coalizioni molte inclusive, adatte a vincere le elezioni ma meno capaci di governare stabilmente (Chiaramonte 2010). Eppure tale scelta strategica sembra pagare in termini elettorali, nella misura in cui centrodestra potrebbe rimobilitare ampi segmenti del suo elettorato. L’incentivo strategico alla costruzione di coalizione ampie è ancora largamente presente in Italia, eppure solo il centrodestra è stato capace di raccoglierlo, facendone la propria forza.

    Figura 1 – I flussi elettorali fra ricordo del voto 2013 (sinistra) e intenzione di voto 2018 (destra). Clicca per ingrandireflussi_ITA_fig

    Riferimenti bilbliografici

    Biancalana, C. e Legnante, G, (a cura di), 2017, Partiti ed elettori in tempo di crisi, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli.

    Carrieri, L., (2017), Il M5S: un moderno partito pigliatutto, in Biancalana, C. e Legnante, G, (a cura di), Partiti ed elettori in tempo di crisi, Milano, Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, pp. 43-55.

    Chiaramonte, A., (2010), Dal bipolarismo frammentato al bipolarismo limitato? Evoluzione del sistemapolitica Italiano, in Chiaramonte, A. e D’Alimonte, R., (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino, pp. 203-228.

    Chiaramonte, A. e D’Alimonte, R., (a cura di), 2010, Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino.

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) (2014) Terremoto elettorale, Bologna, Il Mulino.

    D’Alimonte, R. e De Sio. L, (2010), Il voto: perché ha rivinto il centrodestra, in Chiaramonte, A. e D’Alimonte, R., (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino, pp. 75-105.

    De Sio, L. e Paparo, A., (2014) Elettori alla deriva? I flussi di voto tra 2008 e 2013, in Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di) Terremoto elettorale, Bologna, Il Mulino, pp. 129- 150.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2015) Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento a 5 Stelle, in “Cise-Luiss”, 7 dicembre.


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • I flussi elettorali a Genova: Bucci vince grazie ai voti 2013 del M5s

    I flussi elettorali a Genova: Bucci vince grazie ai voti 2013 del M5s

    Marco Bucci è il primo candidato di centrodestra ad espugnare Genova, che, da quando è prevista l’elezione diretta del Sindaco, non aveva mai vissuto un’alternanza alla guida del Comune. A fronte di un ulteriore diminuzione dell’affluenza alle urne, che è calata dal 48,4% al 42,7% sugli aventi diritto al voto, l’affermazione di Bucci è stata abbastanza netta, ottenendo il 55,2% sul totale dei votanti, contro il 44,8 di Gianni Crivello.

    Pur rappresentando una sorta di pietra miliare nella storia elettorale del capoluogo ligure, tale esito non è apparso affatto sorprendente alla luce dei risultati del primo turno, che avevano già segnalato una vocazione maggiormente catch-all del candidato del centrodestra. Anche al secondo turno, Bucci ha confermato questa trasversalità, incrementando la sua presa tra gli elettori del M5S alle precedenti elezioni politiche. Tali voti sono probabilmente quelli provenienti dal candidato sindaco grillino, Luca Pirondini, che hanno premiato il centrodestra cittadino in misura maggiore rispetto al centrosinistra. Questi passaggi di voto dal M5S al centrodestra sembrerebbero essere stati decisivi nel determinare per la vittoria di Bucci, il quale ha anche goduto di un tasso di riconferma elettorale del 100% rispetto al primo turno.

    Tab. 1 – Matrice dei flussi fra primo e secondo turno, destinazioniflussi GE dal primo turno dest

    Inoltre, Bucci ha drenato molti voti dalle tre principali coalizioni elettorali del 2013, quella montiana, quella berlusconiana e quello grillina, e, infatti, la composizione dell’elettorato del candidato del centrodestra è stata molto eterogenea.

    Tab. 2 – Matrice dei flussi fra politiche 2013 e ballottaggio, destinazioniflussi GE dal 2013 dest

    Tab. 3 – Matrice dei flussi fra politiche 2013 e ballottaggio, provenienzeflussi GE dal 2013 prov

    Gianni Crivello ha recuperato una quota rilevante (65%) di coloro che avevano votato che il candidato della sinistra radicale, Paolo Putti, e, più in generale abbia conquistato molti voti tra i candidati minori (Ronzitti, Cassimatis e Merella). Tali bacini elettorali erano comunque piuttosto modesti e, quindi, non sono risultati affatto cruciali. D’altra parte, Crivello ha dimostrato una forte debolezza, già ampiamente attestata dai risultati del primo turno, nello sfondare presso gli elettori grillini, i quali hanno probabilmente espresso una volontà di cambiamento, scegliendo il centrodestra.

    Fig. 1 – Flussi elettorali fra primo e secondo turno (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi GE dal primo turno

    Infatti, il candidato del centrosinistra ha ottenuto soltanto il 4,6% dei voti della coalizione grillina del 2013, mentre ha preso il 10% degli elettori del candidato M5S, Pirondini, un dato molto inferiore rispetto a quello di Bucci. Sostanzialmente, l’elettorato di Crivello è stato alquanto monolitico, composto quasi esclusivamente dagli elettori di Bersani alle elezioni del 2013 (81,9%), i quali, peraltro, si sono smobilitati più intensamente (il 39,7% ha scelto l’astensione) rispetto agli elettori di Berlusconi e Monti. Anche la composizione dell’elettorato di Crivello rispetto al primo turno ha rivelato un’analoga monoliticità, anche se c’è stato un sostanziale allargamento a sinistra. Quindi, la scelta strategica di guardare principalmente alla propria sinistra è risultata fallimentare da parte dell’intera coalizione, che non è stata capace neanche di chiamare a raccolta tutti coloro che l’avevano votata al primo turno.

    Tab. 4 – Matrice dei flussi fra primo e secondo turno, provenienzeflussi GE dal primo turno prov

    In poche parole, il centrodestra è stato capace di vincere rimobilitando il proprio voto e riuscendo, parzialmente, a sconfinare nell’area grillina. Al contrario, il centrosinistra è stato sonoramente punito, scontando gli effetti negativi di una lunga incumbency. Anche se il fattore locale è stato sicuramente determinante, tale esito si deve iscrivere in una linea di tendenza più generale, che ha visto il complessivo indebolimento elettorale del centrosinistra in molte delle sue roccaforti liguri.

    Fig. 2 –Flussi elettorali fra politiche 2013 e ballottaggio 2017 (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)flussi GE dal 2013

     

    Riferimenti bibliografici:

    Carrieri, L. (2017), Scosse telluriche a Genova: lo storico sorpasso del centrodestra sul centrosinistra. I risultati e i flussi elettorali /cise/2017/06/12/scosse-telluriche-a-genova-lo-storico-sorpasso-del-centrodestra-sul-centrosinistra-e-la-smobilitazione-del-m5s/

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 653 sezioni elettorali del comune di Genova. In entrambe le analisi abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in una delle due elezioni prese in esame), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 0,7 per i flussi fra primo e secondo turno; 7,4 per i flussi dal 2013.

  • Scosse telluriche a Genova: lo storico sorpasso del centrodestra sul centrosinistra. I risultati e i flussi elettorali

    Scosse telluriche a Genova: lo storico sorpasso del centrodestra sul centrosinistra. I risultati e i flussi elettorali

    Il risultato delle elezioni comunali a Genova ha evidenziato un inedito sovvertimento dei tradizionali equilibri tra i principali blocchi elettorali, premiando il centrodestra. Infatti, per la prima volta, il centrodestra ha insidiato il primato del centrosinistra, accreditandosi come coalizione favorita per vittoria elettorale. Allo stesso tempo, il M5S mostra alcuni suoi strutturali deficit competitivi a livello comunale ed è rimasto escluso dal ballottaggio.

     

    Le elezioni per il rinnovo del consiglio e della giunta comunale a Genova si sono svolte all’insegna di una forte smobilitazione elettorale e l’affluenza alle urne è diminuita dal 55,5%,  registrato alle elezioni del 2012, al 48,4% degli aventi diritto al voto. In ogni caso, queste elezioni hanno testimoniato il passaggio ad un quadro politico in forte evoluzione rispetto alle precedenti consultazioni elettorali genovesi, con un relativo stravolgimento dei preesistenti rapporti di forza.

    Tab. 1 – Risultati elettorali a Genova nelle ultime elezioni [1] (clicca per ingrandire)tableau genova

    Il dato più clamoroso è rappresentato dal risultato positivo del candidato centrodestra, il manager Marco Bucci, e dei partiti che l’hanno sostenuto. Il centrodestra ha replicato con successo la strategia unitaria messa in campo alle elezioni regionali liguri del 2015, riunendo al suo interno tutte le sue componenti e rivelando la propria inaspettata competitività in una città tradizionalmente ostile. Infatti, durante le precedenti tornate elettorali, i poli di destra e centrodestra, sommati insieme, si erano sempre attestati sotto la soglia del 20% dei voti validi, non riuscendo mai a scalfire il primato cittadino del centrosinistra. Al contrario, alle ultime comunali, il polo di centrodestra ha raggiunto quasi il 40% dei voti, superando sia il blocco centrosinistra sia quello del M5S.

    L’analisi dei flussi elettorali ha dimostrato la maggiore trasversalità politica della coalizione di Marco Bucci, che oltre a rimobilitare una quota cospicua degli elettori del centrodestra (63,5%), ha letteralmente sfondato al centro, ottenendo più del 70% dei consensi tra coloro che avevano votato per Mario Monti alle elezioni politiche del 2013. Inoltre, il candidato del centrodestra ha guadagnato una percentuale di voti molto significativa tra gli ex-elettori grillini (17,1%). Quindi, la composizione complessiva dell’elettorato di questa coalizione è stata molto variegata, rivelando forte vocazione catch-all del candidato del centrodestra, che ha pescato largamente da tre diversi blocchi elettorali.

    Tab. 2 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e comunali 2017, destinazionigenova_flussi_dest

    La Lega Nord ha letteralmente trainato questo successo elettorale, diventando la lista più votata del centrodestra genovese. Come si può notare nella tabella, la formazione leghista non aveva mai sfondato elettoralmente a Genova ed era stata stabilmente ai margini della competizione elettorale locale, dove sembrava condannata a svolgere un ruolo secondario. Al contrario, rispetto alle precedenti consultazioni comunali, il partito di Salvini ha triplicato i propri voti, ottenendo il 13%, e si è affermato come un attore politico di grande rilevanza sulla scena cittadina. Inoltre, si evidenzia una generale affermazione politica dei partiti del blocco c.d. sovranista, confermata anche dal buon andamento elettorale di FDI-AN, che ha preso il 5,3% dei voti, denotando un profondo cambiamento politico-culturale a Genova.

    D’altro canto, nonostante gli sforzi e il protagonismo del presidente della regione Liguria, Giovanni Toti, FI non ha brillato in modo significativo sul piano elettorale, perdendo voti rispetto alle precedenti consultazioni. Tale ridimensionamento elettorale sembra essere stato parzialmente compensato dal buon risultato delle liste civiche che appoggiavano la candidatura di Bucci, che hanno ottenuto l’11,9% dei voti e che sono espressione della gamba più centrista della colazione. Ad ogni modo, un certo sovvertimento dei rapporti di forza tra l’ala moderata e quella sovranista del centrodestra si è materializzato, segnalando la spinta propulsiva del blocco composto da LN e FDI-AN.

    Anche il centrosinistra ha cercato di realizzare una strategia unitaria a sostegno dell’assessore uscente Gianni Crivello, riunendo il PD e MDP (i cui esponenti si sono presentati sotto l’insegna di Sinistra– a Sinistra). Tuttavia, la coalizione di centrosinistra non è riuscita ad imbarcare Sinistra Italiana e Possibile, che hanno sostenuto l’ex esponente grillino Paolo Putti, ed è risultata nella sua configurazione più frammentata rispetto a quella di centrodestra. L’intero polo di centrosinistra ha subito un fortissimo ridimensionamento elettorale rispetto alle precedenti comunali, passando dal 48,3% al 33,4%, e per la prima volta è stato superato in termini percentuali del centrodestra. Tale ripiegamento è stato solo moderatamente attenuato dal peso elettorale del polo di sinistra, che si è fermato al 4,9% dei voti. La relativa frammentazione elettorale del centrosinistra non sembra l’unica spiegazione di questo calo elettorale, dovuto probabilmente alle difficoltà manifestate negli ultimi anni dalle precedenti giunte di centrosinistra nell’amministrare il capoluogo ligure. La scelta di presentare come candidato un esponente della giunta di Marco Doria, la cui amministrazione ha vissuto molti travagli e divisioni interne, potrebbe avere avuto delle conseguenze negative sulla performance elettorale dell’intero blocco di centrosinistra, che ha vissuto una pesante smobilitazione. Il PD va considerato come una delle formazioni politiche sconfitte a livello comunale ed ha sicuramente registrato delle notevoli perdite rispetto alle precedenti elezioni comunali, politiche ed europee. Nonostante la buona performance della Lista Crivello Sindaco (9,5% dei voti), gli alleati del PD hanno limitatamente contenuto questa emorragia di voti e neanche la lista Sinistra–a Sinistra ha sfondato elettoralmente (3%). Tuttavia, la distanza tra il candidato del centrosinistra rispetto al rivale del centrodestra non sembra al momento incolmabile e l’esito finale di questa competizione rimane ancora molto aperto.

    I flussi elettorali evidenziano una certa incapacità del centrosinistra nel rimobilitare il proprio elettorato. La coalizione di Crivello ha recuperato poco più della metà degli elettori di Bersani del 2013 (52,7%), i quali hanno ampiamente disertato le urne. Allo stesso tempo, il centrosinistra non è riuscito a sfondare presso gli altri segmenti elettorali, limitandosi a conquistare il 23,4% degli ex elettori montiani. La composizione elettorale di questa coazione è sostanzialmente monolitica, essendo quasi esclusivamente rappresentativa dell’ex blocco bersaniano del 2013 (85%).

    Il PD va considerato come una delle formazioni politiche sconfitte a livello comunale ed ha sicuramente registrato delle notevoli perdite rispetto alle precedenti elezioni comunali, politiche ed europee. Nonostante la buona performance della Lista Crivello Sindaco (9,5% dei voti), gli alleati del PD hanno limitatamente contenuto questa emorragia di voti. Tuttavia, la distanza tra il candidato del centrosinistra rispetto al rivale del centrodestra non sembra al momento incolmabile e l’esito finale di questa competizione rimane ancora molto aperto.

    Tab. 3 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e comunali 2017, provenienzegenova_flussi_prov

    Il blocco grillino ha subito anch’esso una notevole smobilitazione elettorale, perdendo molto terreno rispetto alle consultazioni politiche del 2013 (32,2%) e alle europee del 2014 (28,1%). I flussi elettorali riflettono un vero e proprio esodo in uscita dal M5S rispetto al 2013. Infatti, il 44,9% degli elettori del M5S ha preferito l’astensione, mentre un’altra rilevante quota in uscita (17,1%) si è indirizzata verso la coalizione di Bucci. D’altro canto, pur pescando alcuni voti all’interno della coalizione bersaniana del 2013, l’elettorato del M5S alle ultime comunali non ha manifestato forti segnali di allargamento verso l’esterno, rimanendo principalmente formato dai suoi ex-elettori (86,1%).

    La ragioni di questo insuccesso sembrano collegate principalmente alle divisioni interne che hanno scosso il M5S a Genova negli ultimi mesi. Da un lato, la controversa esclusione di Marika Cassimatis, vincitrice delle c.d. Comunarie del partito, da parte del fondatore Beppe Grillo, ha prodotto delle forti tensioni tra i penstastellati genovesi, inasprite dalla candidatura a sindaco della stessa Cassimatis. D’altro canto, Paolo Putti, candidato sindaco grillino alle elezioni comunali del 2012, ha corso con una propria lista appoggiata dai partiti della sinistra radicale, ottenendo un lusinghiero 4,9% dei voti validi. Tali candidature non avrebbero semplicemente drenato voti al M5S, ma hanno probabilmente danneggiato l’immagine tradizionalmente monolitica e disciplinata della formazione grillina. Infatti, il candidato sindaco Luca Pirondini ha ottenuto il 18,1% dei voti validi, rimanendo staccato dai suoi competitor locali. Nonostante questo trend elettorale sia stato sostanzialmente negativo, il M5S ha sensibilmente incrementato i propri voti rispetto alle comunali del 2012, a livello di voto di lista, passando dal 14,1% al 18,4% dei voti validi. Evidentemente, questo partito manifesta ancora delle sostanziali difficoltà nella competizione a livello locale o regionale, che non sembra l’arena competitiva più congeniale per il movimento grillino (Carrieri 2013). Ciononostante, il serbatoio di voti detenuto dal M5S sarà sicuramente decisivo per determinare il vincitore del ballottaggio e rappresenterà il principale terreno di caccia sia per Bucci sia per Crivello. Quindi, nonostante la sua battuta d’arresto a Genova, il partito di Grillo si conferma almeno virtualmente come una formazione politica dotata di una forte rilevanza a livello locale, con degli importanti margini di crescita e recupero elettorale.

    Si profila un secondo turno molto aperto e competitivo, dove, per la prima volta il centrodestra appare in grado di spezzare perdurante egemonia della sinistra politica all’interno di una città storicamente rossa (Diamanti 2009). D’altro canto, la strada del centrosinistra sembra in salita, dovendo scontare un pesante fattore incumbency a livello locale. Inoltre, il candidato Crivello dovrà mettere in campo una strategia problematica e trasversalmente sfidante, dal momento che si vede  costretto a recuperare voti sia alla sua sinistra (la coalizione di Putti) che alla sua destra (il M5S). Al contrario, il centrodestra dispone solo di un dispositivo tattico, quello di pescare nel bacino grillino, e, quindi, potrà dotarsi di una strategia di acquisizione del consenso complessivamente più coerente ai fini della conquista di palazzo Doria-Tursi.

    Fig. 1 – Flussi elettorali a Genova fra politiche 2013 e comunali 2017 (percentuali sull’intero elettorato, clicca per ingrandire)genova_flussi_fig

    Riferimenti bibliografici:

    Carrieri, L., 2013, Le elezioni nel Lazio, in De Sio, L., Cataldi, M., e De Lucia, F., Le Elezioni Politiche del 2013, DOSSIER CISE, Roma-Firenze, pp. 161-163.

    Corbetta, P.G., A. Parisi e H.M.A. Schadee [1988], Elezioni in Italia: struttura e tipologia delle consultazioni politiche, Bologna, Il Mulino.

    De Sio, L., Cataldi, M., e De Lucia, F., 2013, Le Elezioni Politiche del 2013, DOSSIER CISE, Roma-Firenze

    Diamanti, I., 2009,  Mappe dell’Italia politica, Il Mulino, Bologna.

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi riportati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 653 sezioni elettorali del comune di Genova. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (oggi o nel 2013), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Il valore dell’indice VR è pari a 8,6.


    [1] Nella parte superiore di ciascuna tabella sono presentati i risultati al proporzionale; nella parte inferiore si usano i risultati maggioritari (per le comunali).

    Sinistra è la somma dei risultati ottenuti da candidati (comunali) o partiti (politiche ed europee) di sinistra ma non in coalizione con il Pd;

    il Centro-sinistra somma candidati (comunali) del Pd o le coalizioni (politiche ed europee) con il Pd;

    Il Centro è formato da candidati (comunali) o coalizioni (politiche ed europee) sostenuti o contenenti almeno uno fra Udc, Ncd, Fli, Sc, Dc, Adc, Api, Udeur;

    il Centro-destra somma candidati (comunali) sostenuti da Fi (o Pdl) o coalizioni (politiche ed europee) contenenti Fi (o Pdl) o Direzione Italia, Gs, Mpa;

    la Destra è la somma di candidati (comunali) sostenuti da  Lega, Fdi o La Destra o coalizioni (politiche ed europee) contenenti almeno uno di questi.

    Criteri per l’assegnazione di un candidati a un polo: se un candidato è sostenuto dal Pd o dal Pdl (o Fi) è attribuito al centro-sinistra e al centro-destra rispettivamente, a prescindere da quali altre liste facciano parte della coalizione a suo sostegno. Se un candidato è sostenuto solo da liste civiche è un candidato civico. Se una coalizione è mista civiche-partiti, questi trascinano il candidato nel loro proprio polo se valgono almeno il 10% della coalizione, altrimenti il candidato resta civico. Se un candidato è sostenuto da partiti appartenenti a diverse aree (escludendo Pd e Pdl che hanno la priorità), si valuta il relativo contributo dei diversi poli alla coalizione del candidato per determinarne l’assegnazione (al polo che pesa di più).

  • Roma cambia colore: l’avanzata del M5S e la trincea del PD

    Roma cambia colore: l’avanzata del M5S e la trincea del PD

    di Luca Carrieri

    Il voto del 5 Giugno a Roma per il rinnovo del consiglio e della giunta comunale ha rappresentato un profondo sovvertimento dei rapporti di forza tra i principali partiti e blocchi politici all’interno della capitale. A fronte di un significativo aumento dell’affluenza rispetto alle precedenti comunali, che è passata dal 52,8% al 56,2%, le scelte di voto sono radicalmente mutate, denotando una forte tendenza all’instabilità elettorale.

     Tab. 1 – Il voto a Roma: partiti e blocchi politici a confronto con il passato 

    tableau roma

    Il PD, che appoggiava la candidatura del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, è stato senz’altro uno dei partiti perdenti in questa prima tornata di voto. Nella storia elettorale recente, cioè sin dalle elezioni politiche del 2013, i democratici erano stati il primo partito elettorale all’interno dei confini urbani, mantenendo tale primato fino all’exploit delle Europee del 2014, che li aveva portati al 43,1%. Le presenti comunali segnano una preoccupante battuta d’arresto per il PD, che si è fermato a quota 17,2% ed è stato “doppiato” elettoralmente dal M5S (35,3%), che si è affermato come formazione politica dominante nella capitale. Le premesse di questa sconfitta, affondano le proprie radici nelle inchieste giudiziarie di “Mafia Capitale”, che hanno coinvolto esponenti di spicco del PD romano, e nelle controverse dimissioni del sindaco uscente del partito democratico, Ignazio Marino. I gravi scandali si sono riverberati sul partito locale, che è stato commissariato dai vertici nazionali ed ha conosciuto un forte ridimensionamento di carattere organizzativo, con la chiusura di molti circoli. Inoltre, lo scioglimento anticipato delle giunte locali rappresenta sempre un evento assai rischioso per i partiti “incumbents” che normalmente subiscono una smobilitazione dei propri elettori alle successive elezioni (D’Alimonte e De Sio 2011). Tale dinamica sembra essersi materializzata anche in questo caso e le perdite elettorali registrate dal PD sono state ingenti (-66.815 voti e -9 punti percentuali rispetto alle elezioni comunali del 2013, vedi Tabella 1). Tuttavia, il declino del PD non è stato compensato dalle performance elettorali dei suoi alleati e dalle liste civiche che lo appoggiavano, che complessivamente hanno ottenuto il 7,5% dei voti validi, un dato inferiore a quello del 2013 (8,9%). Inoltre, la candidatura di Giachetti non sembra aver conferito un particolare slancio all’intera coalizione e la sua lista, RomaTornaRoma, si è fermata al 4,2% dei voti.

    Tab. 2 – Il voto nei municipi di Roma

    municipi di roma

    Nota: tabella a cura di Fabiano Moscatelli.

    Il risultato all’interno dei Municipi (Tabella 2) rafforza ulteriormente questa impressione negativa sulla performance del candidato del PD. Giachetti ottiene la maggioranza relativa dei voti soltanto all’interno del primo (il centro storico) e del secondo municipio (Nomentano-Parioli). Dalla mappa (Figura 1) si può notare come la concentrazione del voto del PD assomigli ad una vera e propria “trincea”, assediata da ogni parte da una marea gialla, “grillina”. Rimandando ovviamente ad analisi più approfondite, l’area della città in cui Giachetti prevale è quella più centrale, anziana, benestante ed istruita della città, segnalando una trasformazione del profilo sociale e demografico del voto dei democratici, che perdono terreno nelle zone più periferiche o in quelle storicamente rosse. In questa tornata elettorale, il centrosinistra ha assunto una fisionomia più “borghese” e una minore vocazione popolare, subendo un’erosione di consensi anche nelle roccaforti tradizionali, come Garbatella-Ostiense, Pigneto, Ardeatina e Centocelle.

    Fig. 1 – Mappa del voto nei municipi di Roma

    mappa roma 2016

    Fonte: www.corriere.it

    Al contrario, ad aver vinto questa prima tornata di voto è stato il M5S, insieme alla sua candidata Virginia Raggi. Il M5S aveva già rivelato le sue potenzialità elettorali alle politiche del 2013, dove aveva raggiunto il 27,3% a livello romano, sfiorando il sorpasso al PD. La forbice tra i due partiti si era nuovamente allargata alle elezioni Europee del 2014, dove però i pentastellati avevano contenuto le perdite, confermando un solido 25% dei voti validi. D’altra parte, i “grillini” avevano mostrato difficoltà più acute nella competizione regionale e in quella locale, dove i loro candidati non avevano mai propriamente sfondato. Infatti, alle precedenti comunali il M5S si era fermato al 12,8%, non replicando il successo delle politiche del 2013 e rimanendo ampiamente staccato dal centrosinistra e dal centrodestra. Le presenti elezioni segnano un’inversione di tendenza. Rispetto alle precedenti comunali, il partito ha quasi triplicato i suoi consensi, ottenendo il 35,3% dei voti validi e conquistando 281.650 voti in più rispetto al punto di partenza.  Tale percentuale di voto costituisce un esito straordinario per un partito singolo in un’elezione amministrativa e indica quanto il M5S abbia messo delle radici anche a livello comunale, in cui non era mai stato veramente competitivo.

    L’analisi del voto municipale ha visto prevalere Virginia Raggi in 13 municipi su 15, dando la misura del successo pentastallato nella capitale. La candidata del M5S ha raggiunto il suo risultato migliore a Tor Bella Monaca, una delle periferie estreme della città, sfondando la soglia del 40% dei voti. Inoltre, ha scalzato il PD e la sinistra dalle sue roccaforti storiche, come Garbatella-Ostiense e ha vinto in quelle della destra, come Cassia-Flaminia. Complessivamente, ha ottenuto un consenso più trasversale ed eterogeneo all’interno della città, mettendo in luce la crisi dei partiti tradizionali.

    La vicenda del centrodestra romano è stata invece più complessa e travagliata. La coalizione guidata dall’ex premier Silvio Berlusconi aveva puntato in un primo momento su Guido Bertolaso, ex capo del dipartimento della protezione civile. Tale candidatura ha però creato un’insanabile spaccatura tra FI e LN-FDI. Questi ultimi partiti, i cosiddetti partiti “lepenisti”, hanno costituito una coalizione di destra, che ha invece sostenuto la candidatura di Giorgia Meloni, presidente di FDI-AN. In seguito, lo stesso Silvio Berlusconi ha cambiato idea a campagna elettorale in corso, scaricando Bertolaso e decidendo di appoggiare Alfio Marchini, costruttore romano, già candidato alle precedenti elezioni comunali. I risultati elettorali del centrodestra sono stati ampiamente sotto le aspettative. FI ha subito un crollo senza precedenti, fermandosi al 4,2%, risultando l’altro partito perdente insieme al PD. Tale esito elettorale è stato modestissimo, soprattutto se paragonato ai precedenti elettorali di FI-PDL, che si era attestato stabilmente al di sopra del 10%. Le liste alleate del centrodestra non sono state in grado di intercettare tali voti in uscita, neanche quelle del candidato Marchini, e di evitare il collasso del centrodestra a Roma. Le insegne partitiche non hanno giovato a Marchini, il quale non ha ottenuto particolari benefici dall’appoggio di Berlusconi. Nel voto a livello municipale la sua candidatura ha avuto un risultato di rilievo soltanto nel municipio Cassa-Flamina, in cui ha raggiunto il 17% dei voti validi.

    La coalizione di destra ha avuto una dinamica certamente più positiva dei rivali del centrodestra. Infatti, pur non raggiungendo il secondo turno elettorale, FDI-AN, il partito della candidata Giorgia Meloni, ha fatto un vero e proprio balzo in avanti, conquistando il 12,3% dei voti. Si tratta di un autentico “ritorno” della destra romana di matrice missina, che storicamente ha avuto un forte radicamento all’interno della città. L’effetto traino di Giorgia Meloni è stato decisivo, testimoniato dalla sua affermazione personale nel voto maggioritario. Il risultato della LN, che si è presentata sotto le insegne della lista Noi con Salvini, non è stato straordinario, fermandosi al 2,7% ma si è comunque inscritto in un trend di lieve e costante aumento rispetto alle precedenti consultazioni. Nel complesso questa coalizione, che è arrivata al 19,6% sembra in grado di avanzare la propria egemonia sull’intero campo di un centrodestra allargato a Roma.

    Il voto per la Meloni nei municipi fornisce alcune indicazioni interessanti. La Meloni ha avuto le sue aree di relativa forza specialmente nel quinto (Prenestino-Centocelle) e sesto (Tor Bella Monaca) municipio, dove ha superato il candidato del PD Giachetti, Buone indicazioni di voto per lei sono giunte anche da Tiburtina ed Aurelia (rispettivamente quarto e tredicesimo municipio). Si può dire che la Meloni ha avuto una distribuzione del voto abbastanza omogenea a livello territoriale ed un profilo sensibilmente “popolare” a livello sociale.

    Il risultato a livello di “poli” (Tabella 1) indica una profonda ristrutturazione dei rapporti di forza dentro il comune di Roma. Il polo di centrosinistra ha vissuto un impressionante declino elettorale. Nella capitale, il centrosinistra ha sempre potuto contare su un decisivo serbatoio di voti, molto importante anche a livello nazionale. Dalle politiche del 2013 alle Europee del 2014 le percentuali del polo di centrosinistra sono oscillate dal 33,7% al 45,4%, questo gli aveva consentito di mantenersi costantemente come dominante in tutto il periodo in esame. Ovviamente, il PD è sempre stato il principale perno di tale polo, anche se in passato il contributo elettorale dei partiti minori del centrosinistra è stato molto rilevante. Alle ultime comunali il polo di centrosinistra ha coinciso praticamente con il solo PD. La cosiddetta vocazione maggioritaria del PD non ha funzionato a Roma ed il polo nel suo insieme è sprofondato al 25,9%. Il cambiamento dell’offerta elettorale in capo al centrosinistra sembra aver contribuito ad una smobilitazione. Questo esito ha fornito precise indicazioni strategiche al centrosinistra a livello comunale: un’offerta elettorale più inclusiva sarebbe stata maggiormente in grado di portare benefici elettorali. Un centrosinistra con un formato coalizionale ampio è stato storicamente più competitivo.

    Molte di queste considerazioni sono valide anche per il polo di centrodestra, anch’esso ai suoi minimi storici (11%) dal 2013. La spaccatura consumatasi tra i due poli, quello della destra e del centrodestra è andata a scapito di quest’ultimo. Il dato di FI indica una strutturale debolezza del partito di Berlusconi a livello locale, ulteriormente aggravata dalla sua strategia autarchica. Anche il polo di destra non ha messo in campo una strategia ottimale. Infatti, nonostante il buon risultato della Meloni, la sua coalizione non ha comunque raggiunto il ballottaggio. Pur avendo ribaltato i rapporti di forza elettorali all’interno dell’area di centrodestra, tale divisione non ha concretamente avvantaggiato nessuna delle due forze in campo. Inoltre, la somma di questi due poli avrebbe potuto condurre ad un risultato superiore a quello del centrosinistra. Quest’elezione ha rappresentato dunque un’importante occasione sfumata per l’insieme di questo blocco.

    Il maggiore beneficiario di questa frammentazione a livello di poli elettorali è stato il M5S. Ovviamente, molti altri fattori hanno contribuito a determinare le fortune elettorali del M5S, ma il restringimento del perimetro delle altre coalizioni lo ha posto in una situazione di vantaggio. Infatti, l’ampia inclusività dei poli del centrosinistra e del centrodestra aveva in precedenza posto un argine alla tripolarizzazione del sistema partitico romano ed all’emergere del M5S come soggetto autenticamente locale. Il cambiamento dell’offerta elettorale da parte dei vecchi attori partitici ha aperto una finestra-opportunità per il M5S, che anche grazie alle tante disfunzioni locali, alla corruzione e allo scioglimento anticipato della giunta Marino, è così riuscito a catalizzare il malcontento popolare e a trasformarlo in uno straordinario successo. Pur aspettando i risultati del ballottaggio, che spesso riservano dei ribaltamenti di fronte, non si possono comunque oscurare i dati parziali, che hanno segnato una forte avanzata locale del M5S.

    Riferimenti bibliografici

    D’Alimonte, R. e Chiaramonte, A. (a cura di), 2010, Proporzionale se vi pare, Bologna, Il Mulino.

    D’Alimonte, R. e De Sio, L. (2010), ‘Il voto. Perché ha rivinto il centrodestra’, in R. D’Alimonte e A. Chiaramonte (a cura di), Proporzionale se vi pare, Bologna, Il Mulino.

  • Regionali 2015: verso un’effettiva contendibilità in Umbria?

    Regionali 2015: verso un’effettiva contendibilità in Umbria?

    di Luca Carrieri

    Le elezioni regionali in Umbria rappresentano una delle principali sorprese dell’ultimo election day. Infatti, mai prima d’ora la coalizione di centrodestra era riuscita a contendere il governo della regione al centrosinistra e lo spoglio elettorale è avvenuto in un clima di forte incertezza, segnalando un tendenziale equilibrio tra i due principali candidati. Soltanto a tarda notte la presidente uscente del centrosinistra, Catiuscia Marini (Pd), ha avuto la certezza della riconferma, superando il concorrente del centrodestra, Claudio Ricci. Ad ogni modo, il quadro politico risulta stravolto rispetto a quello che era emerso alle elezioni europee del 2014, in cui il Pd si era configurato come un vero e proprio partito dominante all’interno di questa regione, e troviamo così una conferma inaspettata della fortissima tendenza alla volatilità elettorale dell’intero sistema partitico italiano.

    Il primo dato che merita una certa attenzione riguarda il netto calo dell’affluenza elettorale. Infatti, rispetto alle elezioni regionali del 2010, la partecipazione è diminuita di 10 punti percentuali, passando dal 65,4% al 54,4%. Sebbene, la tendenza alla smobilitazione elettorale rappresenti un fenomeno politico di lungo periodo [D’Alimonte e De Sio 2010] e con una generale diffusione in tutto il territorio nazionale, il dato odierno non deve essere sottovalutato nelle sue dimensioni. Infatti, l’Umbria è una regione che si è sempre contraddistinta per una forte tradizione di partecipazione elettorale e dotata di un elevato capitale sociale. Le presenti elezioni regionali hanno però rappresento una forte battuta d’arresto in termini di partecipazione elettorale, in particolare rispetto alle elezioni europee del 2014, in cui si era registrata un’affluenza del 70,4%, molto superiore alla media nazionale. Sebbene la comparazione tra due competizioni elettorali diverse, quali le europee e le regionali, rappresenti un’operazione parzialmente impropria, la forte ondata astensionista delle regionali rispetto alle europee non deve essere offuscata. Nell’arco di un anno la diminuzione è stata di 16 punti percentuali. Tale smobilitazione appare sostanzialmente connessa ad un diffuso livello di malcontento popolare rispetto ai sistemi politici regionali, che ha investito anche la regione Umbria e sembra avere investito e danneggiato principalmente la giunta uscente.

    Tra gli otto candidati alla presidenza, quattro di essi, Simone Di Stefano (Sovranità), John De Paulis (Alternativa riformista), Aurelio Fabiani (Partito comunista dei lavoratori) e Fulvio Carlo Maiorca (Forza Nuova), hanno ottenuto delle percentuali di voto sotto all’1%, risultando sostanzialmente irrilevanti. Michele Vecchietti, appoggiato dalla lista “L’Umbria per un’altra Europa”, formata da ex-esponenti di Prc e Idv, ha ottenuto un modesto 1,6%, non drenando voti alla coalizione guidata da Catiuscia Marini. Anche nel voto di lista, tale coalizione si è rivelata sostanzialmente marginale, non superando il voto al candidato e fermandosi all’1,6. Nel caso umbro, a differenza di quello ligure, le divisioni nel campo del centrosinistra non hanno avuto un impatto significativo e non spiegano le evidenti difficoltà di tenuta elettorale della coalizione guidata dalla Marini. Il candidato del M5s, Andrea Liberati, ha ottenuto il 14,3%, sostanzialmente pareggiando il voto di lista per il M5s (14,6%). Il partito di Grillo è rimasto secondo nella graduatoria dei partiti regionali, eppure il suo risultato non appare esaltante. Infatti, il M5s ha ottenuto meno voti rispetto alle europee del 2014, perdendo circa 39.000 voti e 5 punti percentuali. Inoltre, Liberati è risultato ampiamente staccato dagli altri due candidati e in effetti l’Umbria ha mostrato una certa resistenza del tradizionale bipolarismo, fondato sulla competizione elettorale tra il centrodestra e centrosinistra. L’indice di bipolarismo elettorale [Chiaramonte 2010] a livello di coalizioni è risultato sostanzialmente elevato, pari all’81,7%, mentre i due principali candidati, Marini e Ricci, hanno catalizzato l’82,1% dei voti. Le difficoltà del M5s di imporsi come attore politico a livello regionale e a competere paritariamente con le altre coalizioni sembrano essere derivate dai suoi travagli preelettorali, come quelli inerenti alla scelta del candidato presidente, che è avvenuta a soli 40 giorni dal voto.

    Tab. 1 – Risultati elettorali delle elezioni regionali 2015 in Umbria

    La coalizione di centrodestra ha così ottenuto un risultato molto importante, che qualcuno potrebbe definire “storico”. Effettivamente, la coalizione guidata da Ricci è riuscita ad insidiare, al di là di ogni aspettativa, il tradizionale dominio politico-elettorale del centrosinistra. Tale successo elettorale del centrodestra appare addebitabile allo stesso Ricci, che è stato in grado di compattare attorno alla sua persona l’intera, ed eterogenea, coalizione di centrodestra, e di capitalizzare il suo radicamento territoriale. Infatti, il voto al candidato presidente ha superato in termini percentuali (+0,8 punti percentuali) e di voti assoluti (+11.000 voti) i voti alla propria coalizione, e la lista Ricci ha avuto una buona affermazione elettorale (4,5%). Tuttavia, l’attore autenticamente vincente all’interno del centrodestra è stata la Ln. Il partito di Salvini ha compiuto un vero e proprio balzo in avanti rispetto a tutte le precedenti tornate elettorali, attestandosi al 14% dei voti e accreditandosi come vero e proprio dominus elettorale del centrodestra umbro, riducendo Fi a partner coalizionale minore. L’espansione della Ln è stata clamorosa in questa regione, che era sempre sfuggita al radicamento leghista, anche perché ben presidiata elettoralmente dai partiti di centrosinistra. D’altra parte, Fi si è fermata all’8,5%, confermando le difficoltà attuali del partito di Berlusconi. Se si osservano le precedenti consultazioni regionali (2010) con il Pdl al 32,4% e la Ln al 4,3%, il ribaltamento nei rapporti di forza tra i due partner coalizionali è veramente clamoroso. Fdi-An ha ottenuto il 6,2% dei voti, confermandosi un attore politicamente rilevante nel territorio umbro. Con il risultato di Ricci il centrodestra è arrivato al 39,3% dei voti, registrando un progresso vertiginoso rispetto alle politiche (24,3%) e alle europee del 2014 (22,1%). (Adipex) Tale risultato appare più modesto se comparato con quello del 2010 (37,7%), anche se rappresenta la migliore performance storica del centrodestra umbro in un’elezione regionale. Il differenziale tra i due candidati è stato di 3,5 punti, e per la prima volta il primato del centrosinistra è stato concretamente conteso dal centrodestra, il che rappresenta una novità assoluta nel panorama regionale. Anche alle elezioni politiche del 2013, quando il tradizionale legame di fedeltà tra il centrosinistra e l’elettorato umbro si era parzialmente incrinato, tale rapporto era stato messo in crisi dal M5s e non dal centrodestra. Alcuni segnali di una crescita del centrodestra si erano manifestati alle comunali di Perugia del 2014, in cui l’esponente di Fi, Andrea Romizi aveva superato al ballottaggio il candidato del centrosinistra Wladimiro Boccali, rompendo un monopolio, quello del Pci e dei suoi epigoni, che durava da circa 70 anni. Non era il primo scossone nella regione rossa, dal momento che negli anni ottanta il centro-destra si era affermato in modo ancora più sorprendente nel Comune di Terni. Tuttavia, tale successo perugino, che segnalava una seria incrinatura nei vecchi equilibri politici, era stato in seguito offuscato dal risultato del Pd di Renzi alle elezioni europee di quello stesso anno, pari al 49,2%.

    Il centrosinistra umbro ha corso il rischio di incorrere in una imprevista débâcle ed il presidente uscente, Catiuscia Marini, ha ottenuto una difficile riconferma con appena 3,5 punti percentuali di vantaggio rispetto a Claudio Ricci. Nel 2010 il differenziale tra la stessa Marini ed il candidato del centrodestra, Fiammetta Modena, era stato di circa 20 punti percentuali. Rispetto alle elezioni regionali del 2010, il centrosinistra è passato dal 57,2% al 42,8% dei voti. Quindi, un vero e proprio collasso elettorale si è consumato negli ultimi cinque anni. Eppure, tale verdetto delle urne non ha rappresentato un caso isolato. Già alle politiche del 2013, la coalizione di centrosinistra a sostegno di Bersani si era attestata al 35,6%, e l’Umbria mostrava una potenziale volatilità della sua tradizionale appartenenza politica e culturale al centrosinistra. Il Pd, pur perdendo molti voti rispetto alle europee del 2014, è rimasto pressappoco stabile rispetto alle scorse regionali a livelli di voto percentuale, attestandosi al 35,8%. Tuttavia, la principale differenza rispetto alle scorse regionali è stata la maggiore debolezza dei partner minori del Pd. In effetti, questi partiti minori (Sel, i Socialisti riformisti e la lista Civica e popolare) hanno sommato un 7,6% dei voti validi, un dato non trascurabile, ma neanche minimamente comparabile al 22,8% ottenuto dai c.d. “cespugli” del centrosinistra nel 2010. Tra questi attori vi erano partiti quali Prc e Idv, ormai divenuti irrilevanti nell’odierno scenario partitico, che avevano portato una consistente dote di voti alla coalizione. Molti ex esponenti di questi partiti hanno sostenuto la coalizione guidata da Vecchietti, che però, come si è già visto, non si è rivelato in grado di mettere in campo una rilevante azione di disturbo nei confronti del centrosinistra. Ad ogni modo, la smobilitazione di questo segmento elettorale del centrosinistra appare una delle spiegazioni principali del declino di tale coalizione. La legge elettorale, che prevede un premio di maggioranza senza alcuno sbarramento, garantisce una notevole agibilità politica al Pd, liberandolo dai veti potenziali dei suoi alleati minori e consentendogli di formulare un’offerta politica più ristretta. Eppure, il presente formato coalizionale non ha premiato elettoralmente il centrosinistra, che probabilmente è stato colpito maggiormente dall’astensionismo (anche se per questo aspetto specifico bisogna rimandare ad una puntuale analisi dei flussi elettorali). Sicuramente, la ricandidatura di Catiuscia Marini ha denotato una certa debolezza, ottenendo meno voti in percentuale, della coalizione che la appoggiava. Evidentemente, l’elettorato regionale ha manifestato alcuni segnali di malessere nei confronti del presidente e del ceto politico regionale ed una certa volontà di ricambio.

    Tab. 2 – La recente storia elettorale umbra, per partiti e coalizioni

    Le presenti elezioni umbre hanno probabilmente fatto tremare per qualche attimo lo stesso presidente del consiglio, Matteo Renzi, e potevano rappresentare una storica affermazione del centrodestra, che ha sfiorato l’impresa. Infatti, la piccola Umbria avrebbe potuto paradossalmente rappresentare una spina nel fianco per il governo odierno e dare una legittimazione aggiuntiva all’intero centrodestra come coalizione nazionale. Questa tornata ha evidenziato una certa instabilità di una regione che fino a qualche anno fa solo pochi avrebbero ritenuto contendibile. La diffusa erosione della legittimità sociale del ceto politico regionale del centrosinistra rappresenta probabilmente una delle principali variabili esplicative del declino elettorale della coalizione. Tale fenomeno non chiama semplicemente in causa la vecchia “ditta” bersaniana, ma anche l’odierna leadership di Matteo Renzi, la quale deve rispondere alle esigenze di ripensamento e rinnovamento della politica regionale, che provengono da più parti. D’altra parte si aprono delle prospettive interessanti in capo agli altri attori partitici, il centrodestra e M5s, che sembrano in grado, in un immediato futuro, di potere avanzare una concreta alternativa politica rispetto al tradizionale predominio del centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici:

    Chiaramonte, A., 2010, Dal bipolarismo frammentato al bipolarismo limitato? Evoluzione del sistema partitico italiano, in D’Alimonte, R. e Chiaramonte, A. (a cura di), Proporzionale se vi pare, Il Mulino, Bologna, pp. 203-228.

    D’Alimonte, R. e Chiaramonte, A. (a cura di), 2010, Proporzionale se vi pare, Il Mulino, Bologna.

    D’Alimonte, R. e De Sio, L., 2010, Il voto. Perché ha rivinto il centrodestra, in D’Alimonte, R. e Chiaramonte, A. (a cura di), Proporzionale se vi pare, Il Mulino, Bologna, pp. 75-105.

     

  • Regionali in Umbria: Segnali di continuità

    di Luca Carrieri


    Luca Carrieri è dottorando di ricerca presso la Luiss Guido Carli. I suoi interessi principali interessi sono i mutamenti organizzativi dei partiti politici in e i comportamenti elettorali in Europa. Ha collaborato ai dossier CISE, “Le Elezioni Politiche 2013” e “Le Elezioni Europee del 2014” e con “Astrid rassegna”.


    Il 31 Maggio del 2015 si terranno le elezioni per il rinnovo del Presidente della regione e del Consiglio regionale dell’Umbria. L’esito di tale competizione elettorale è considerato relativamente scontato, considerando il tradizionale dominio elettorale della sinistra all’interno della regione. Infatti, sin dagli anni sessanta, l’andamento elettorale dell’Umbria è stato del tutto assimilabile a quelle delle due regioni “rosse” per eccellenza, Toscana ed Emilia-Romagna, ed i partiti di sinistra, soprattutto il Pci, hanno sempre ottenuto alte percentuali di voto. Sebbene alcuni tratti distintivi della subcultura rossa, come la fitta rete organizzativa social-comunista, siano stati più sfumati [Trigilia 1983; Ramella 2005], l’Umbria si è storicamente configurata come una “regione rossa” a tutti gli effetti. Nonostante tale configurazione politico-elettorale si sia sensibilmente modificata nel corso del tempo e la nozione di “regione rossa” sia diventata relativamente arcaica, la coalizione di centrosinistra ha sempre sopravanzato elettoralmente i suoi avversari politici.

    Qui di seguito viene presentato un breve excursus della storia elettorale umbra, descrivendo i trend politico-elettorali nel quadriennio 2010-2014, che comprendono le elezioni regionali del 2010, le elezioni politiche del 2013 e le europee del 2014. Nell’ultimo paragrafo viene presentata l’offerta elettorale, in termini di coalizione e di candidati alla presidenza, per le imminenti elezioni regionali, spiegando alcuni passaggi della legge elettorale regionale.

    Le elezioni regionali del 2010 sono avvenute nel quadro di una competizione fortemente bipolare, nonostante la presenza di un terzo candidato, Paola Binetti (Udc), che ha ottenuto una quota non irrilevante di voti (5,1%). Nell’arena maggioritaria, l’indice di bipolarismo e stato elevatissimo, cioè pari 94,9%, e nell’arena proporzionale è stato leggermente più alto, pari al 95,6%. Lo scarto nel voto tra i due candidati alla presidenza, Catiuscia Marini (centrosinistra) e Fiammetta Modena (centrodestra), è stato molto elevato, quasi pari a 20 punti percentuali, confermando la storica prevalenza dei partiti di centrosinistra. Per quanto riguarda il voto lista, la differenza è stata ancora più forte. Infatti, i partiti di centrosinistra hanno superato i rivali di centrodestra di 22 punti. Il miglior rendimento del centrosinistra nell’arena proporzionale è apparso fortemente addebitabile all’ampiezza della propria offerta coalizionale. Infatti, i cosiddetti partiti minori della coalizione hanno portato una consistente dote di voti, pari al 22,8%, tra cui spiccano le performance di dell’Idv (8,3%) e Rc-Se-Pdci (6,9%). Se da un lato, appare plausibile che queste formazioni abbiano sostanzialmente eroso voti al Pd (36,2%), d’altra parte, un’ampia offerta coalizionale sembra essere congeniale alla competizione elettorale regionale, al fine di moltiplicare i voti. Al contrario, il centrodestra ha presentato solo due liste (Pdl e Ln), senza costruire un’ampia offerta coalizionale: di conseguenza neanche il candidato presidente del centrodestra, Fiammetta Modena, è riuscito a ottenere una performance significativa.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni regionali 2010 in Umbria

    Le elezioni politiche del 2013 hanno segnato una fortissima battuta d’arresto per le coalizioni di centrodestra e di centrosinistra rispetto alle precedenti consultazioni politiche (2008). Il centrosinistra si è confermata la prima coalizione all’interno dei confini regionali. Tuttavia le sue perdite elettorali sono state ingenti e il Pd ha perso circa un terzo dei voti rispetto alle precedenti politiche, passando dal 44,4% al 32,1%. Tale dinamica elettorale è stata fortemente negativa, soprattutto se paragonata alle altre due regioni “rosse” Toscana e all’Emilia-Romagna, in cui il Pd ha registrato una maggiore capacità di tenuta. Tali perdite non sono state peraltro compensate neppure dalle performance dei partner minori del centrosinistra, Sel e Cd, che hanno ottenuto risultati modesti. Anche il centrodestra ha accusato un vero e proprio dimezzamento dei voti, risultando al terzo posto nella graduatoria delle coalizioni. Il forte ridimensionamento delle due coalizioni è stato imputabile allo straordinario successo del M5s, che proprio in Umbria ha trovato un importante bacino di consensi, raggiungendo il 27% dei suffragi. L’affermazione elettorale M5s ha dato una forte spinta verso una tripolarizzazione della offerta elettorale italiana su tutto il territorio nazionale. In Umbria, il successo del M5s è sembrato in grado di spezzare i tradizionali legami di fedeltà tra gli elettori e la coalizione del centrosinistra.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni politiche 2013 in Umbria

    Tale impressione è rapidamente sfumata all’indomani delle elezioni europee del 2014. Il Pd, guidato dal neo-eletto segretario e presidente del consiglio Matteo Renzi, ha sfiorato la maggioranza assoluta dei voti nella regione. Sebbene si sia trattato di un risultato di grande portata in tutto il territorio nazionale, il risultato umbro ha avuto una sua importanza, poiché ha riconfermato la tradizionale appartenenza politico-culturale di questa realtà regionale alla coalizione di centrosinistra, che era sembrata fortemente messa in discussione alle precedenti elezioni politiche. Il M5s ha invece registrato una netta flessione elettorale, pur risultando il secondo movimento politico all’interno della regione con il 19,5%. La discesa elettorale del partito di Berlusconi, Forza Italia e non più Pdl, è continuata inesorabile, registrando un saldo negativo di circa 5 punti percentuali rispetto alle politiche. Tali voti potrebbero essere stati parzialmente intercettati dalle altre formazioni minori del centrodestra, come Fdi, Ncd-Udc e Ln. Questa tornata elettorale ha evidenziato una forte tendenza alla frammentazione all’interno del centrodestra, i cui confini coalizionali sono, ancora oggi, molto opachi.

    Tab. 3 – Risultati delle elezioni europee 2014 in Umbria

    La legge elettorale, approvata nei mesi scorsi, ha suscitato accese polemiche. Tale legge ha previsto una drastica riduzione del numero dei consiglieri, che sono passati da 30 a 20, accanto all’implementazione di un collegio unico regionale. Alla coalizione di liste collegata al presidente eletto viene assegnato il 60% dei seggi (12), mentre alle coalizioni collegate ai candidati sconfitti vengono attribuiti i restanti seggi (8), senza prevedere però alcuna soglia di accesso al premio. Quindi, non si tratta di un premio di maggioranza eventuale o variabile [Chiaramonte 2011], cosa che ha sollevato alcuni dubbi in relazione alla costituzionalità delle legge (soprattutto alla luce della sentenza della Consulta che ha portato all’incostituzionalità della legge Calderoli nel 2014). La soglia di sbarramento è pari al 2,5%, anche se il numero dei seggi, estremamente basso, riduce effettivamente la proporzionalità della ripartizione, favorendo un incremento della soglia di sbarramento effettiva (che secondo le simulazioni effettuate dal Partito radicale, potrebbe arrivare fino all’8-9%).

    Tale riforma non ha però scoraggiato l’offerta partitica, che invece di ridursi è fondamentalmente lievitata. Infatti, i candidati alla presidenza della regione sono otto. Alcuni di essi sono sostenuti da liste minori e si configurano come veri e propri “frivolous candidates”: Simone De Stefano (Sovranità-prima gli Italiani), Aurelio Fabiani (La casa Rossa-Partito Comunista dei lavoratori), Fulvio Carlo Maiorca (Forza Nuova), Amato John De Paulis (Alternativa Riformista).

    D’altro canto l’offerta politica delle principali coalizioni presenta alcuni tratti di significativo interesse. La coalizione di centrodestra, nonostante le nette divisioni in ambito nazionale, si è ricompattata attorno al suo candidato presidente, il sindaco di Assisi Claudio Ricci. Tale coalizione include Fi, Ln, Fdi e Ncd-Udc (Area popolare per Ricci) e altre due liste civiche (Ricci Presidente e Cambiare l’Umbria con Ricci). L’Umbria è l’unica regione, insieme alla Liguria, in cui i partiti appartenenti al centrodestra, come area politica e culturale, sono riusciti a superare le loro divisioni e a presentarsi uniti. Le liste civiche collegate a Ricci sono due, entrambe con il nome del candidato presidente sul simbolo. Il centrodestra ha allargato sostanzialmente il bacino della propria offerta elettorale rispetto al 2010, in cui si era presentato con solo due liste (Pdl e Ln). Tale moltiplicazione è il frutto di un’oggettiva frammentazione nel campo del centrodestra, anche se essa appare collegata in certa misura anche ad una precisa strategia, tipica della competizione elettorale regionale: infatti in questo ambito le coalizioni tentano di allargare i propri confini, per attrarre gli elettori più fluttuanti. Particolare enfasi è stata attribuita al candidato presidente Ricci, il cui nome è presente in quattro liste su sei. Probabilmente Ricci rappresenta il principale fattore di coesione tra le diverse anime del centrodestra ed il suo radicamento territoriale costituisce un capitale politico da spendere in funzione delle imminenti regionali.

    La coalizione che sostiene il presidente uscente, l’esponente del Pd Catiuscia Marini, è formata da quattro liste: Pd, Umbria più uguale (Sel), Socialisti Riformisti, Iniziativa per l’Umbria civica e popolare. Nonostante le polemiche scaturite dall’approvazione della legge elettorale all’interno della coalizione, molte divisioni sono successivamente rientrate ed il centrosinistra si presenta con una configurazione abbastanza ampia. Tuttavia, il compattamento della coalizione non è stato del tutto completato. La lista “Umbria per l’altra Europa”, che sostiene la candidatura di Roberto Vecchietti, è formata da esponenti di Rc e Idv, costituendo così una fonte di divisione rispetto alle regionali del 2010, in cui il centrosinistra si era presentato in un formato unitario. Ad ogni modo, le divisioni nel campo del centrosinistra non sembrano in grado di ridurre le possibilità di rielezione del presidente uscente, peraltro amplificate dall’assenza di una soglia per l’accesso al premio.

    Il M5s ha vissuto alcune divisioni interne nel corso della campagna elettorale, che hanno portato alla sostituzione del candidato presidente Laura Alunni con Andrea Liberati, a soli cinquanta giorni dal voto. Queste divisioni hanno evidenziato le difficoltà del partito nel reclutare una propria classe politica a livello regionale. Inoltre, nel corso della sua breve storia, la formazione grillina ha dimostrato alcune difficoltà nella competizione elettorale regionale: in particolare il M5s non si mostra disponibile a coalizzarsi a nessun livello, né a moltiplicare la sua offerta elettorale attraverso liste civiche. Questo tipo di strategia ha generalmente debilitato le possibilità di vittoria del M5s e l’arena regionale è sembrata più resistente rispetto alla tendenza nazionale verso la tripolarizzazione del sistema partitico italiano. Tuttavia, le capacità competitive dei pentastellati nel territorio umbro non devono essere sottovalutate. Alle elezioni europee il M5s è comunque risultato il secondo partito elettorale nella regione, sfiorando il 20% dei voti.

    Tab. 4 – Candidati e liste in campo nelle elezioni regionali 2015 in Umbria

    La competizione elettorale regionale in Umbria non ha mai riservato grosse sorprese in passato. Il mutamento della legge elettorale sembra favorire oggettivamente la coalizione elettoralmente dominante (il centrosinistra), sottraendo alcuni incentivi alla formazione di alleanza omni-inclusive. Il centrodestra appare oggettivamente meglio attrezzato che altrove per sostenere l’urto di tale competizione, anche se i rapporti di forza tra queste coalizioni sembrano difficilmente alterabili. Nei mesi scorsi, alcune elezioni regionali (Emilia-Romagna e Calabria) hanno rivelato una fortissima tendenza all’astensionismo. Pur non potendo generalizzare questo trend, esistono diffusi segnali di malcontento popolare nei confronti dei sistemi politici regionali, che potrebbero riguardare anche l’Umbria. Tuttavia, è difficile predire se gli effetti negativi di un’eventuale smobilitazione elettorale possano distribuirsi asimmetricamente tra le diverse coalizioni. D’altra parte, le elezioni europee non hanno rivelato alcuna tendenza al “disgelo” nei rapporti di forza tra le coalizioni in campo, ma hanno semmai riconfermato il forte orientamento progressista all’interno della regione, che se confermato tenderebbe a premiare il centrosinistra e principalmente il Pd.

    Riferimenti bibliografici:

    Chiaramonte, A, 2011, Il premio di maggioranza : cosa è, come varia, dove è (stato applicato), in Chiaramonte, A., e Tarli Barbieri, G., (a cura di), Il premio di maggioranza, Carocci, Roma.

    Chiaramonte, A., e Tarli Barbieri, G., 2011,(a cura di), Il premio di maggioranza, Carocci, Roma.

    Fedele, M., (a cura di), Il sistema politico locale. Istituzioni e società in una regione rossa: l’Umbria, De Donato, Bari.

    Ramella, F, 2005, Cuore rosso, Donzelli Editore Roma.

    Trigilia, C., 1983, Il sistema politico locale, in Fedele, M., (a cura di), Il sistema politico locale. Istituzioni e società in una regione rossa: l’Umbria, De Donato, Bari.

    Fedele, M., (a cura di), Istituzioni e società in una regione rossa: l’Umbria, De Donato, Bari.

  • Abruzzo, la “legge ferrea dell’alternanza”: il Pd riconquista la regione

    di Luca Carrieri

    Il 25 Maggio si è votato contemporaneamente per il rinnovo del Parlamento europeo (Pe) e per il rinnovo del consiglio regionale e del presidente della regione Abruzzo. Le differenze e le interazioni reciproche tra queste due arene elettorali nel territorio abruzzese offrono degli spunti di riflessione molto interessanti. Nella Tabella 1, sono riportati voti assoluti e in termini percentuali per i partiti e le coalizioni[1] alle elezioni del Pe e del Consiglio regionale, evidenziando i differenziali tra le due consultazioni.

    Tabella 1. Confronto fra i risultati delle elezioni europee ed elezioni regionali.

    Elezioni europee 2014 Elezioni regionali 2014 Differenziali (Europee-regionali)
    Lista/Partito Voti % Voti assoluti Voti % Voti assoluti Voti % Voti assoluti
    Pd

    32,4

    218.529

    25,5

    169.820

    6,9

    48.709

    Altri Csx

    6,2

    42.176

    20,9

    139.642

    3,6

    -97.466

    Totale Csx

    38,6

    260.705

    46,4

    309.462

    -7,8

    -48.757

    Fi

    18,7

    126.144

    16,6

    111.022

    2,1

    15.122

    Ncd-Udc

    5,4

    36.497

    6,0

    39.985

    -0,6

    -3.488

    Fdi

    4,7

    31.397

    2,9

    19.213

    1,8

    12.184

    Altri Cdx

    1,5

    10.075

    3,8

    11.244

    -2,3

    -1.169

    Totale Cdx

    30,2

    204.113

    29,3

    181.464

    0,9

    22.649

    M5s

    29,7

    200.699

    21,4

    142.165

    8,3

    58.534

    Altri

    1,4

    9.251

    2,9

    19.467

    -1,5

    -10.216

    Il Pd è stato il primo partito in Abruzzo sia alle europee sia alle regionali. Alle elezioni per il Pe, la grande avanzata elettorale registrato dai democratici a livello nazionale ha contagiato anche l’elettorato di questa regione e il Pd ha marcato uno scarto positivo di quasi 10 punti percentuali rispetto alle politiche del 2013, in cui il partito di Bersani era fermato al 22,6%. Nonostante questo forte trend ascendente, in Abruzzo il Pd ha incontrato delle difficoltà aggiuntive rispetto al resto del territorio nazionale. Il vantaggio rispetto al M5s, secondo partito della regione, è risultato soltanto di 2,7 punti, mentre a livello nazionale il Pd ha ottenuto quasi il doppio dei voti del partito guidato da Beppe Grillo. In sostanza alle elezioni europee, questo aggregato regionale ha rappresentato un’area di relativa debolezza del Pd  e in cui l’intero “blocco” del centrosinistra (che si considera formato, oltre che dal Pd, dalla Lista Tsipras, da Idv e Verdi) ha ottenuto meno del 40% dei voti. Al contrario, alle elezioni regionali l’intero centrosinistra ha conquistato una forte dote aggiuntiva di voti rispetto alle europee. La coalizione è passata dal 38,6% delle europee al 46,4% (+7,8 punti percentuali). In termini di voti assoluti l’incremento netto è stato di quasi 50.000 voti. Si può notare come, nell’ambito del centrosinistra, l’esito del voto europeo abbia interagito moderatamente sul rendimento elettorale registrato alle elezioni regionali.

    Quanto al voto di lista, si è verificata una grande dispersione di consensi all’interno della coalizione. La configurazione dell’offerta elettorale coalizionale si è presentata in partenza molto ampia, poiché il centrosinistra era formato da 8 liste. Le tre civiche (Regione Facile, Abruzzo Civico e Valore Abruzzo), riferibili al candidato presidente Luciano D’Alfonso, hanno ottenuto complessivamente un lusinghiero 12,2%, probabilmente erodendo voti al Pd (che ha perso 50.000 rispetto alle europee). L’esito elettorale di queste liste segnala il successo personale di Luciano D’Alfonso. L’ex sindaco di Pescara sembra essere riuscito a trainare il voto della sua coalizione, pescando nel bacino di coloro che non hanno votato il centrosinistra alle europee. Anche le liste minori del centrosinistra (Sel, Idv e Cd) hanno avuto un risultato abbastanza positivo, superando la soglia di sbarramento all’interno delle coalizioni, fissata al 2% dei voti validi. Il risultato del centrosinistra, oltre a segnalare l’appeal personale di D’Alfonso, conferma l’efficacia di una strategia intesa ad ampliare il perimetro coalizionale alle elezioni regionali.

    Per quanto riguarda il campo del centrodestra, in questa tornata elettorale europea il partito di Berlusconi (che ha ripreso il nome e il simbolo di Fi ponendo fine all’esperienza del Pdl) ha dimostrato una chiara propensione alla “meridionalizzazione” del suo voto. Anche l’Abruzzo non ha rappresentato un’eccezione rispetto a questa tendenza nazionale e in effetti Fi ha ottenuto un risultato superiore alla sua media nazionale, cioè il 18,7% dei voti validi. Gli altri partiti riferibili al centrodestra, Fdi e Ncd-Udc, hanno avuto un discreto rendimento elettorale. (eyesolutions.in) Un dato sorprendente e al di sopra delle previsioni è stato quello della Ln, che alle europee si è attestata all’1,5% dei voti validi. Probabilmente la strategia elettorale perseguita dal segretario della Ln Matteo Salvini, che ha tentato di dare un’impronta maggiormente “nazionale” al movimento leghista, ha dato i suoi frutti.  Si sono manifestate alcune differenze tra l’arena elettorale europea e quella regionale nel campo del centrodestra. Nonostante le divisioni in ambito nazionale, il centrodestra si è presentato unito alle regionali, ottenendo il 29,3% nel voto di lista. Pur attestandosi attorno al 30%, ha perso circa 20.000 voti rispetto alle europee. I voti in uscita dalle liste del centrodestra sembrano essere stati comunque intercettati dal candidato presidente Giovanni Chiodi[2] nel voto maggioritario. Pur essendo stato in grado di “pareggiare” il risultato del centrodestra alle europee, Chiodi ha impresso solamente un moderato slancio alla sua coalizione di riferimento, che non sembra aver sfondato presso i segmenti elettorali dei partiti rivali. Probabilmente le vicende giudiziarie che hanno coinvolto Chiodi durante l’ultimo anno, hanno avuto dei riflessi sul piano politico. La lista civica riferibile al Presidente uscente, Abruzzo Futuro, si è fermata al 3,7%, un risultato modesto paragonato a quello delle liste riferibili a D’Alfonso. Si conferma una sorta di “legge ferrea dell’alternanza” a livello regionale: da quando è prevista l’elezione diretta del Presidente della regione, nessuna giunta uscente è mai stata riconfermata.

    Il M5s ha ottenuto il 29,5% in Abruzzo alle elezioni europee, registrando uno dei suoi migliori risultati a livello regionale (solo in Sardegna il partito di Grillo ha fatto meglio). Già alle politiche del 2013 le province abruzzesi, specialmente Teramo e Pescara, si erano rivelate delle aree di forza relativa del M5s. In generale si era  detto che il Partito di Grillo manifestava una certa vocazione “adriatica” [Diamanti 2013]. Alle europee del 2014 i pentastellati hanno confermato il loro forte radicamento nella regione in esame. Lo scenario cambia radicalmente alle regionali, dove il M5s crolla dal 29,7% al 21,4%, bruciando quasi 60.000 voti. Com’è noto, le elezioni europee, non determinando l’elezione di alcun governo (nazionale, regionale o locale) rappresentano un’arena elettorale in cui gli elettori si sentono più liberi di esprimere sinceramente la loro preferenza partitica [Reif e Schmitt 1980]. Alle regionali invece si eleggono direttamente gli organi esecutivi e rappresentativi, e di conseguenza i comportamenti di voto sono maggiormente vincolati da logiche strategiche. E’ probabile che alle regionali un’ampia quota dell’elettorato conquistato dal M5s alle  europee  non abbia percepito tale  partito come seriamente competitivo. Appare verosimile che, pur di non sprecare il proprio voto, una parte di questi elettori si sia rivolta altrove, in particolare verso la coalizione di centrosinistra. L’analisi dei flussi elettorali potrebbe chiarire la dinamica del voto grillino. Ad ogni modo, l’esito del voto regionale segnala le difficoltà del M5s nell’interpretare questo tipo di consultazione. Le elezioni europee sono un’arena elettorale imperniata sulla competizione tra i singoli partiti, mentre le regionali sono un’arena imperniata sulla competizione tra le coalizioni. Il fatto che il M5s persegua quasi ovunque una strategia “autarchica”, senza coalizzarsi e senza diversificare la sua offerta elettorale, sembra penalizzarlo significativamente  nell’ambito delle elezioni locali e regionali. Inoltre è probabile che il M5s sconti ancora una certa difficoltà nella selezione del personale politico a livello locale ed una forte dipendenza dal suo leader nazionale, Beppe Grillo. Sebbene il consenso espresso per il partito non sia stato irrilevante ed esso risulti saldamente il secondo partito delle regione, non è riuscito a massimizzare l’ ottimo risultato conseguito  alle europee

    Da segnalare che la nuova disciplina elettorale regionale (L.R. 2 aprile 2013, n. 9) ha sensibilmente modificato l’espressione del voto, abrogando il voto disgiunto (“il voto espresso per un candidato Presidente e per una lista diversa da quelle a lui collegate è nullo”, art.9.2). Le differenze tra il voto circoscrizionale ed il voto al candidato Presidente sono risultate irrilevanti, come si può notare nella Tabella 2.

    Tabella 2. Confronto tra voto circoscrizionale e voto al Presidente alle elezioni regionali in Abruzzo.

    Coalizione Voto circoscrizionale Voto Presidente Differenza           (prop.-magg.)
    Voti assoluti Voti % Voti assoluti Voti %
    Coalizione D’Alfonso

    309.462

    46,4

    318.000

    46,3

    -8.538

    0,1

    Coalizione Chiodi

    181464

    29,3

    201.543

          29,3

    -20.079

    0

    Coalizione Marcozzi

    142.165

    21,3

    146.684

     21,3

    -4.519

    0

    Coalizione Acerbo

    19.467

    2,9

    21.363

    3,1

    -1.896

    -0,2

    Un altro dato importante è quello che ha riguardato la dinamica della partecipazione politica: sia alle regionali sia alle europee l’affluenza al voto è aumentata sensibilmente. In particolare, le elezioni regionali hanno segnato un netto avanzamento dell’affluenza, che è passata dal 53% del 2008 al 61,6% del 2014 (+8,6%). Anche alle elezioni europee l’Abruzzo ha manifestato un andamento della partecipazione al voto abbastanza peculiare rispetto al resto del paese. Infatti, è l’unica regione, insieme alla Sardegna, in cui l’affluenza al voto è aumentata, attestandosi al 64,1% (+2,1 rispetto al 2009). Difficile stabilire quale delle due arene abbia trainato l’altra. Da un lato, sembrerebbe che l’elezione del consiglio e del presidente della Regione abbia costituito una posta in gioco molto più attraente per i cittadini abruzzesi, mobilitandoli indirettamente anche alle elezioni europee. D’altro canto, si può notare come la partecipazione alle europee sia stata ancora più intensa rispetto a quella delle regionali. Appare probabile che la mobilitazione al voto per le europee e per le regionali abbiano interagito, rafforzandosi reciprocamente.



    [1] In realtà per quanto riguarda le elezioni europee, si dovrebbe fare riferimento ai “blocchi” e non alle “coalizioni” [Chiaramonte 2007]. Infatti, nelle consultazioni europee non si formalizza alcuna coalizione, come invece avviene alle regionali, in cui il premio di maggioranza costituisce un importante incentivo.

    [2] Giovanni Chodi ha ricoperto il ruolo di Sindaco di Teramo dal 2004 al 2008 e in seguito di Presidente della regione Abruzzo dal 2009 al 2014