Autore: Vincenzo Emanuele

  • L’apocalisse del voto ‘moderato’: in 10 anni persi 18 milioni di voti

    L’apocalisse del voto ‘moderato’: in 10 anni persi 18 milioni di voti

    Nella costante ricerca di immagine evocative per descrivere i fenomeni politici, avevamo parlato di ‘terremoto elettorale’ (Chiaramonte e De Sio 2014) in occasione delle elezioni del 2013. Pochi giorni fa, commentando il voto del 4 marzo, abbiamo parlato di ‘onda sismica’, espressione che, ricollegandosi a quanto accaduto nel 2013, enfatizza la persistenza di dinamiche di cambiamento elettorale per certi versi imprevedibili alla vigilia del voto. Ebbene, rimanendo sulla stessa falsariga, come dovremmo definire il cambiamento avvenuto tra il 2008 e il 2018 se non parlando di una vera e propria apocalisse del voto moderato?

    Confrontare i risultati elettorali è un esercizio utile, ma solitamente ci si concentra su elezioni consecutive, la cui comparazione è ad esempio la base per il calcolo di indicatori di cambiamento come la volatilità elettorale. Eppure stavolta risulta particolarmente utile focalizzarci sul cambiamento avvenuto tra il 2008 e il 2018. Il 2008 rappresenta infatti un metro di paragone importante per dare conto dei cambiamenti avvenuti. Si tratta dell’ultima elezione politica avvenuta prima dell’avvento della crisi economica (che sarebbe scoppiata quello stesso autunno con il crollo della Lehman Brothers) e della nascita del Movimento Cinque Stelle (che sarebbe nato l’anno successivo). Le politiche del 2008 furono, in sintesi, le ultime elezioni pre-crisi e con uno scenario ancora ‘classico’ della Seconda Repubblica: una dinamica bipolare, basata sulla competizione tra due coalizioni concorrenti strutturate attorno a due grandi partiti, il Pdl e il Pd. Attorno a questa dinamica principale, altri attori competevano per ottenere rappresentanza in Parlamento: una sinistra radicale (la Sinistra Arcobaleno), un centro (l’Udc di Casini), una destra radicale (La Destra di Storace).

    Cosa è successo da allora? Per capirlo abbiamo messo a confronto i valori assoluti delle diverse aree politiche nel 2008 e nel 2018. Come vediamo nella Tabella 1, pur con tutti i limiti di una comparazione a 10 anni di distanza – un tempo che non sarebbe stato considerato lunghissimo nella Prima Repubblica ma che appare lungo come un’era geologica nello scenario iper-volatile della politica italiana attuale – i risultati sono impressionanti.

    Tabella 1 – La forza elettorale delle principali aree politiche, Camera (2008-2018)

    confronto 2008-2018

    Fonte: Nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.
    Nota: Sinistra radicale 2008: Sinistra arcobaleno, Partito Comunista dei Lavoratori, Sinistra Critica; 2018: LEU, Potere al popolo, Partito Comunista, Sinistra rivoluzionaria. Centrosinistra 2008: PD, Italia dei Valori, Partito Socialista; 2018: PD, Più Europa, Insieme, Civica Popolare. Centro 2008: UDC. Destra moderata 2008: PDL, MPA; 2018: Forza Italia, Noi con l’Italia. Destra radicale 2008: Lega Nord, La Destra, Forza Nuova; 2018: Lega, Fratelli d’Italia, Casapound Italia, Italia agli italiani.
    Fonte: Nostre elaborazioni su dati del Ministero dell’Interno.

    I partiti mainstream, quelle forze politiche che a livello europeo fanno parte dei gruppi popolare, socialista e liberal-democratico (ossia il PPE, il PSE e l’ALDE) hanno perso in 10 anni quasi 18 milioni di voti. Nel 2008 valevano poco più di 30 milioni di voti, circa l’83% dei voti validi, oggi sono ridotti ad appena 12,3 milioni di voti. In questi anni il centro si è svuotato e non esiste più. Il centrosinistra ha perso quasi 7 milioni di voti, la destra addirittura 9. Una vera e propria apocalisse del voto moderato e filo-europeo.

    Questi 18 milioni di elettori in movimento (circa la metà dei voti validi delle elezioni del 2008) si sono così suddivisi: il 60% circa è andato al M5S, il 20% è andato a riempire le fila della ‘destra radicale’ (o ‘sovranista’), mentre il restante 20% è finito nell’astensione. La sinistra radicale è invece rimasta più o meno costante, poco sopra il milione e mezzo di voti.

    Questi dati ci fanno capire che non si tratta solo di volatilità, è stato letteralmente capovolto il sistema. Il baricentro moderato, europeista, mainstream è saltato: il centrosinistra a guida PD ha dimezzato i voti (da 14 a 7 milioni) e la destra moderata a guida Forza Italia è stata sfidata e battuta dalla destra anti-establishment. Basti pensare che nel centrodestra del 2008 il rapporto tra forze moderate e radicali era di 3,5 a 1 a favore delle prime, oggi invece è di 1,5 a 1 a favore delle seconde.

    Nel complesso, il rapporto tra forze mainstream e forze anti-establishment era di 5,5 a 1 dieci anni fa (30 milioni contro 5,5 milioni). Oggi la situazione si è ribaltata: i partiti mainstream si sono ridotti a 12 milioni, mentre i partiti anti-establishment sono balzati a quasi 20 milioni di voti (il rapporto è quindi di circa 0,6 a 1).

    Resta da vedere come verrà usato questo enorme capitale politico che si è trasferito dai partiti tradizionali verso la Lega e soprattutto il M5S. Dalle scelte che Salvini e soprattutto Di Maio faranno nelle prossime settimane dipenderà non solo il futuro della legislatura ma l’intero equilibrio del sistema politico italiano e la sua eventuale scomposizione e ricomposizione.

  • Il peggior risultato di sempre della sinistra italiana, la seconda più debole d’Europa

    Il peggior risultato di sempre della sinistra italiana, la seconda più debole d’Europa

    Tra i tanti risultati sconvolgenti di questa elezione c’è senza dubbio anche quello della sinistra italiana che mai prima d’ora aveva ottenuto una quota di voti così limitata. Nella Figura 1 sono riportati le percentuali di voto, nelle elezioni dal 1948 a oggi (Camera dei Deputati), della sinistra, intesa sia in termini tradizionali (partiti socialisti, comunisti e loro epigoni), sia in termini di blocco politico (comprendente tutti gli alleati che nella Seconda Repubblica hanno formato le coalizioni elettorali del centrosinistra). Emerge chiaramente che quello del 2018 è di gran lunga il peggior risultato del blocco di centrosinistra che ottiene appena il 26,1% dei voti peggiorando di quasi 5 punti il già magro bottino del 2013, quando si fermò al 30,9% (che già era il record negativo dal 1994). Per quanto riguarda invece il sottoinsieme dei partiti eredi della tradizione social-comunista (Pd, Liberi e Uguali e Potere al Popolo nel 2018), questi si fermano al 23,5%, scendendo ulteriormente rispetto al 2013 e pareggiando il peggior risultato della storia, quello del 2001.

    Si tratta di percentuali di voto molto distanti da quelle registrate ad esempio negli anni ’70, quando la sinistra si fermava appena al di sotto della maggioranza assoluta dei voti (48,9% nel 1976)

    Figura 1 – Andamento della sinistra in Italia (1948-2018)

    la sinistra nella storia d'italia

    Nota: Solo partiti con almeno l’1% dei voti (Camera dei Deputati) sono stati considerati

    Non solo il risultato della sinistra è eclatante in prospettiva diacronica, ma allargando lo sguardo ai paesi dell’Europa occidentale, esso appare ancor più negativo. Come si vede nella Figura 2, che misura la forza della sinistra nelle ultime elezioni politiche in ciascun paese, la sinistra italiana è oggi la seconda più debole dell’Europa occidentale, dopo la Francia dove alle legislative del giugno 2017 il Partito socialista è crollato. Curiosamente, i paesi dove oggi la sinistra è più forte sono quelli del Sud Europa, cioè Grecia, Malta, Portogallo e Spagna. L’Italia, che pure fa parte di quest’area geopolitica, mostra dati in totale controtendenza.

    Figura 2 – La sinistra in Europa occidentale, ultime elezioni politiche in 20 paesi

    sinistra in europa
    Nota: Sinistra tradizionale: partiti comunisti, socialisti e socialdemocratici. Centrosinistra: include anche partiti della nuova sinistra (es. Verdi). Solo partiti con almeno l’1% dei voti (Camera Bassa) sono stati inclusi. Fonte: www.parlgov.org.

     

  • Cleavages, Institutions and Competition

    Cleavages, Institutions and Competition

    Emanuele, V. (2018), ‘Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015)’, London: Rowman and Littlefield/ECPR Press.

    ISBN: 9781786606730

    libro ECPR Press

     

    The study of how party systems are structured across territorial lines is a crucial research question for political scientists, whose answer is fraught with consequences for the political system and the democratic process.

    This book addresses this topic, asking:

    What has been the evolution of the vote nationalisation process in Western Europe during the last fifty years?

    Which factors can account for the vote nationalisation’s variance across Western European party system?

    Through a macro-comparative perspective and original empirical research, involving 230 parliamentary elections in sixteen countries during the 1965─2015 period, this book answers these questions. It analyses the evolution of vote nationalisation in Western European party systems over the last fifty years and looks for an explanation.

    The result is a far-reaching understanding of the macro-constellation of factors involved in the process, including macro-sociological, institutional, and competition determinants.

    ‘In a time where party changes on different levels and the emergence of new parties are characterising European politics, the author analyses and explains the territorial structuring of party support in Western Europe over the last fifty years, thanks to a rich and original dataset. The result is this book that any scholar, student, and practitioner of contemporary politics should read and ponder carefully.’
    Leonardo Morlino, Former President, International Political Science Association (IPSA)

    ‘This in-depth analysis of vote nationalisation in the Western European democracies provides a much-needed clarification of the concept and a comprehensive and systematic explanation of its patterns of variation. In this regard, it makes significant theoretical and empirical contributions and will be a precious source for anyone involved in the study of elections, parties and party systems.’
    Alessandro Chiaramonte, Professor of Political Science, University of Florence

     

  • La mappa dei collegi: Sud in bilico con il M5s avanti

    La mappa dei collegi: Sud in bilico con il M5s avanti

    Come illustrato da De Sio in un altro articolo, nei giorni scorsi il CISE ha somministrato un sondaggio di 6000 casi sulla popolazione adulta italiana con metodologia mista (CATI-CAMI-CAWI) e una stratificazione innovativa. Si tratta di un sondaggio che, date le dimensioni del campione e la rappresentatività delle 3 principali aree geopolitiche del paese, è qualcosa di mai visto in questa campagna elettorale, dal momento che tutti i principali istituti si basano su campioni che oscillano fra gli 800 e i 1500 intervistati.

    Abbiamo utilizzato i dati del sondaggio non soltanto per conoscere le attuali intenzioni di voto a poco più di due settimane dalle elezioni, ma anche per stimare, a partire da queste, le attuali proiezioni sui seggi della Camera dei Deputati. La procedura che abbiamo seguito è la seguente. Disponendo dei dati sul ricordo del voto 2013 e l’intenzione di voto 2018 dei rispondenti, abbiamo costruito delle matrici di flusso, separatamente per le tre zone geografiche. Dopodichè abbiamo utilizzato tali matrici di flusso per trasformare il risultato elettorale osservato nel 2013 (riaggregato nei 232 collegi della Camera) nella stima del risultato 2018 nei diversi collegi. Così, è possibile ipotizzare il vincitore collegio per collegio, oltre a conoscere il margine di vantaggio, il secondo classificato, etc. Naturalmente si tratta di una stima della base di partenza di ciascuna coalizione, che inevitabilmente ignora le dinamiche locali e l’effetto dei candidati, che abbiamo affrontato separatamente in un’altra analisi. Lo scopo di quest’analisi è anzitutto – più che di fare una previsione – di fornire un benchmark, ovvero una base di partenza per valutare il risultato elettorale. Un risultato in linea con queste previsioni indicherà che le grandi dinamiche nazionali di opinione pubblica saranno state prevalenti; forti scostamenti invece ci diranno che le dinamiche locali dei candidati avranno fatto la differenza.

    Cominciando dalle intenzioni di voto, il dato che emerge è la tenuta del sistema tripolare emerso a partire dal 2013. Il centrodestra, come riportato ormai da tutti i sondaggi, è la prima coalizione con il 34,7%. Il Movimento Cinque Stelle è di gran lunga il primo partito con il 29,4% e supera addirittura l’intero ammontare della coalizione di centrosinistra che si ferma al terzo posto con il 27,4% dei voti. Renzi rimarrebbe dunque sotto la fatidica ‘quota Bersani’ sia per quanto concerne la coalizione (-2,2 punti rispetto al 2013) sia per quanto riguarda il partito: il Pd è infatti stimato al 23,7% (-1,7 punti rispetto al 2013). D’altra parte, se è vero che il centrosinistra appare in difficoltà, Liberi e Uguali non sfonda, attestandosi al 5,4%: al sicuro sopra la soglia di sbarramento del 3%, ma troppo indietro per provocare un riallineamento sostanziale a sinistra e incidere in modo significativo sugli equilibri post-voto. Sopra la fatidica soglia di sbarramento c’è anche Fratelli d’Italia al 4,4%, mentre più incerta la posizione di Più Europa. La lista della Bonino vale al momento il 2,6%, abbastanza comunque per contribuire al totale coalizionale utile per la distruzione dei 386 seggi proporzionali, a differenza di Civica Popolare e Insieme che rimanendo sotto l’1% non aiutano il Pd, così come a destra Noi con l’Italia non contribuisce ad accrescere il bottino del centrodestra.

    Tabella 1 – Intenzioni di voto e proiezioni seggi

    sondaggione int voto naz
    Il dato più importante che emerge dalla Tabella 1 è che, stante queste intenzioni di voto, dalle urne non uscirebbe una maggioranza per nessuno dei tre blocchi principali. Il centrodestra, infatti, a differenza di quanto si sente spesso dire in queste settimane, sarebbe ben lontano dai 316 seggi necessari. Si attesterebbe infatti a 251 seggi su 618 (non consideriamo infatti i 12 eletti all’estero). Ciò significa che le mancherebbero ben 65 seggi. Troppi per pensare di governare da soli, magari sollecitando la creazione di un gruppo di ‘responsabili’ proveniente dagli altri schieramenti. Non solo, ma con questi risultati si aprirebbero scenari imprevedibili sul futuro governo: anche una grande coalizione Pd-Forza Italia-galassia centrista, sarebbe infatti una chimera. Il Pd e i suoi alleati collezionano appena 146 seggi che sommati ai 106 di Forza Italia e agli 8 di Noi con l’Italia non basterebbero, anzi sarebbero lontanissimi dalla maggioranza (260). L’unica maggioranza tecnicamente possibile sarebbe quella formata dal M5S in compagnia di Lega e Fratelli d’Italia: insieme arriverebbero a 335. Ma anche in questo caso il contributo di Fratelli d’Italia sarebbe decisivo e la Meloni ha già detto di essere indisponibile ad appoggiare qualunque governo che non esca direttamente dal voto dei cittadini.

    Figura 1 – Mappa del voto nei 232 collegi della Camerafig1Per effetto del voto, la geografia elettorale del paese risulterebbe profondamente modificata anche rispetto al 2013. Come mostrato da Roberto D’Alimonte sul Sole 24 Ore, infatti, il centrodestra tornerebbe a dominare il Nord e il M5S, che nel 2013 era un partito assolutamente trasversale e ‘nazionalizzato’ (Emanuele 2018), dominerebbe invece nel Mezzogiorno, superando il 38% dei consensi. Per effetto di queste trasformazioni, l’unica area competitiva del paese sarebbe paradossalmente la Zona rossa, dove il declino del Pd apre grandi opportunità – insperabili fino a poco tempo fa – per il centrodestra, trascinato da una Lega in grande crescita nell’area. I risultati di collegio sono rappresentati graficamente nella mappa della Figura 1 dove le diverse gradazioni indicano il distacco in termini percentuali fra la coalizione vincente e il secondo classificato. Le vittorie nei collegi suddivise fra le tre aree geopolitiche sono anche riportate nella Tabella 2. La Tabella 3 presenta invece il dettaglio relativo al grado di sicurezza del collegio sulla base del distacco in punti percentuali fra il primo e il secondo classificato. Abbiamo diviso i collegi in 3 categorie: sicuri (quando il distacco è superiore ai 10 punti percentuali), probabili (fra 5 e 10 punti) e incerti (quando il distacco è inferiore ai 5 punti percentuali).

    Tabella 2 – Distribuzione dei seggi per zona geopoliticatab2Tabella 3 – Seggi sicuri, probabili e incerti per zona geopoliticatab3Il Nord presenta un netto predominio del centrodestra: Berlusconi e Salvini vincono in 78 collegi su 91 (di questi, ben 64 sono sicuri o probabili), mentre il centrosinistra, pur crescendo di 3 punti rispetto al 2013, si fermerebbe a 12 seggi (tra cui però quelli di ben 8 collegi sono incerti). Le uniche aree ‘rosse’ del Nord sarebbero, oltre al Trentino-Alto Adige (5 collegi vinti), dove il Pd beneficia dell’accordo elettorale con la SVP, anche a Venezia, in due collegi di Genova e in 4 di Torino.

    Nelle regioni rosse il centrosinistra vince due terzi dei collegi, 27 contro i 13 del centrodestra. Qui è graficamente apprezzabile il declino delle aree di predominio del Pd. Il partito di Renzi perde pezzi di territorio significativi a vantaggio del centrodestra: Foligno e Terni in Umbria, le Marche meridionali (Macerata, Civitanova e Ascoli Piceno), a Rimini, Ferrara, nel Nord-Ovest dell’Emilia (Piacenza e Fidenza) nonché Grosseto, la costa settentrionale della Toscana, fino a Lucca e alla provincia di Pistoia. Non solo, ma altri 12 collegi tra i 27 in cui il centrosinistra è davanti, appaiono al momento come incerti.

    Nel Sud, infine, avverrebbe un nuovo ‘terremoto elettorale’ (Chiaramonte e De Sio 2014).  Qui il M5S farebbe il pieno, ottenendo 79 collegi contro i 22 del centrodestra. Il Sud è l’unica area dove il M5S vince dei collegi, ed è anche l’unica area in cui il centrosinistra non ne vince nemmeno uno. I pentastellati dominerebbero nelle isole, lungo la costa adriatica dall’Abruzzo a Lecce, in Molise, Basilicata e in ampie zone del Lazio (tra cui Roma) e della Calabria. Il centrodestra la farebbe invece da padrone in Campania, in alcune aree del Lazio e della Puglia, e a Vibo Valentia e Gioia Tauro in Calabria. Il dato che emerge inequivocabilmente qui è l’imprevedibilità di questa are geopolitica. Un elemento già emerso più volte in passato (Raniolo 2010) che torna oggi a ripresentarsi con forza: su 101 collegi meridionali, appena uno su 10 è sicuro, mentre oltre la metà (ben 57) sono incerti. Considerando che la stragrande maggioranza di questi è attualmente assegnata al Movimento Cinque Stelle, è qui che il centrodestra si gioca la partita decisiva per avvicinare quella ‘quota 316’ che oggi appare inequivocabilmente lontana.

    Riferimenti bibliografici

    Chiaramonte, A. e De Sio, L. (a cura di), Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013, Bologna, Il Mulino.

    Emanuele, V. (2018), Cleavages, institutions, and competition. Understanding vote nationalization in Western Europe (1965-2015), London, Rowman and Littlefield/ECPR Press.

    Raniolo, F. (2010), ‘Tra dualismo e frammentazione. Il Sud nel ciclo elettorale 1994-2008’, in D’Alimonte R. e Chiaramonte A. (a cura di), Proporzionale se vi pare. Le elezioni politiche del 2008, Bologna, Il Mulino, pp. 129-171.

     


    NOTA METODOLOGICA

    Il sondaggio è stato condotto da Demetra nel periodo dal 5 al 14 febbraio 2018. Sono state realizzate 3.889 interviste con metodo CATI (telefonia fissa) e CAMI (telefonia mobile), e 2.107 interviste con metodo CAWI (via internet), per un totale di 6.006 interviste. Il campione, rappresentativo della popolazione elettorale in ciascuna delle tre zone geografiche, è stato stratificato per genere, età e collegio uninominale di residenza. Il margine di errore (a livello fiduciario del 95%) per un campione probabilistico di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è di +/- 1,17 punti percentuali. Il campione è stato ponderato per alcune variabili socio-demografiche.

  • Il sondaggio CISE: priorità dei cittadini e strategie dei partiti verso il voto

    Il sondaggio CISE: priorità dei cittadini e strategie dei partiti verso il voto

    NOTA: una sintesi di questo articolo appare oggi nella rubrica Atlante Elettorale – a cura della Società Italiana di Studi Elettorali – su repubblica.it.

    Fra meno di tre settimane, gli elettori italiani si recheranno alle urne per il rinnovo del Parlamento, in un’elezione che, stando agli ultimi sondaggi disponibili, pare essere dagli esiti incerti e dalle conseguenze imprevedibili sia dal punto di vista della governabilità che della struttura della competizione. Stante la nuova legge elettorale (il c.d. Rosatellum), uno dei tre poli raggiungerà la maggioranza assoluta dei seggi o sarà necessaria una grande coalizione? E una eventuale coalizione post-voto da quali partiti sarà formata? Il sistema tripolare emerso dopo le elezioni del 2013 sarà confermato dagli elettori? O invece le elezioni rimescoleranno nuovamente le carte, riportando in auge un nuovo bipolarismo, magari plasmato da soggetti politici diversi da quelli che avevano caratterizzato la lunga stagione bipolare nel corso della Seconda Repubblica? In questo contesto, quali saranno i temi decisivi della campagna elettorale? Su quali issues dovranno focalizzarsi i principali partiti per conquistare il voto degli indecisi il 4 marzo?

    Per comprendere le preferenze e le priorità dell’opinione pubblica italiana, nonché per mappare la struttura di opportunità dei partiti in campagna elettorale, il CISE ha condotto nei giorni scorsi un sondaggio CAWI sulla popolazione adulta italiana[1] nell’ambito di una più ampia ricerca internazionale che ha riguardato nei mesi scorsi Olanda, Francia, Regno Unito, Germania e Austria. Ai rispondenti è stato chiesto di esprimere il proprio consenso su 22 temi posizionali (issues divisive che fanno riferimento a due obiettivi rivali, come ad esempio servizi pubblici vs. tasse). Nello specifico, ad ogni rispondente è stato chiesto di posizionarsi su una scala a 6 punti, dove i punti 1 e 6 rappresentano i due obiettivi rivali perseguibili su un certo tema. Successivamente, ai rispondenti è stato chiesto di indicare la priorità che essi assegnano all’obiettivo scelto su ciascuna issue. Il questionario includeva anche 12 valence issues (Stokes 1963), ossia temi ‘imperativi’ che fanno riferimento ad un obiettivo condiviso, sui quali c’è un consenso generale (come ad esempio la protezione dal terrorismo). Su questi temi ai rispondenti è stato chiesto di indicare solo la priorità, dal momento che un consenso del 100% è assunto per definizione (qui l’articolo di Lorenzo De Sio su Repubblica).

    La Tabella 1 riporta, ordinandoli per la priorità attribuita dagli elettori, sia i 12 temi condivisi, sia i 22 temi posizionali. Per questi ultimi presenta solo il lato della issue che ha ottenuto il maggiore consenso fra gli intervistati (riportando in parentesi anche la relativa percentuale di favorevoli/sfavorevoli). Inoltre, nella terza colonna della tabella riportiamo anche i tre partiti che presentano la maggiore credibilità nel realizzare quell’obiettivo (e il rapporto tra credibilità nell’elettorato e intenzione di voto, sempre misurata in percentuale sull’intero campione di intervistati). Per alcuni temi divisivi infine, riportiamo anche i partiti che mostrano una particolare credibilità nel realizzare l’obiettivo opposto (quarta colonna).

    Tab 1 –  I temi del dibattito politico italiano ordinati per priorità, e i partiti ritenuti più credibili per realizzarli

    Obiettivo Priorità (%) Credibilità Credibilità (contro)
    Combattere la disoccupazione 93 M5S (25/23), Fi (21/10), Pd (21/14)
    Garantire il buon funzionamento della sanità 92 M5S (21/23), Pd (18/14), Fi (17/10)
    Combattere la corruzione 92 M5S (30/23), Pd (16/14), Lega (14/12)
    Diminuire i costi della politica 90 M5S (41/23), Lega (10/12), Fi (9/10)
    Ridurre la povertà in Italia 90 M5S (29/23), Pd (18/14), Fi (15/10)
    Rendere i cittadini più sicuri dalla criminalità 89 Lega (36/12), FdI (20/4), Fi (19/10)
    Sostenere la crescita economica 89 Fi (23/10), M5S (22/23), Pd (22/14)
    Proteggere l’Italia dalla minaccia terrorista 84 Lega (30/12), Fi (21/10), M5S (19/23)
    Intensificare la lotta all’evasione fiscale (86/14) 83 M5S (24/23), Pd (19/14), Lega (14/12)
    Limitare l’accoglienza dei rifugiati (80/20) 82 Lega (42/12), FdI (21/4), Fi (19/10) LeU (6/3), +Eur (5/2)
    Rinnovare la politica italiana 82 M5S (32/23), Lega (12/12), Pd (11/14)
    Combattere l’inquinamento e il dissesto del territorio 81 M5S (27/23), Pd (16/14), Fi (11/10)
    Ridurre l’età pensionabile (80/20) 81 M5S (21/23), Lega (20/12), Fi (15/10)
    Rilanciare la scuola italiana 80 M5S (21/23), Pd (18/14), Fi (17/10)
    Far contare di più l’Italia in Europa 78 M5S (21/23), Pd (21/14), Fi (20/10)
    Mantenere la progressività fiscale (chi guadagna di più paga percentuali più alt (74/26) 77 Pd (22/14), M5S (20/23), LeU (10/3) Lega (8/12)
    Mantenere l’obbligatorietà dei vaccini (78/22) 76 Pd (31/14), Fi (16/10), LeU (10/3)
    Rimanere nell’Unione Europea (66/34) 74 Pd (28/14), +Eur (18/2), Fi (16/10) Lega (11/12)
    Rimanere nell’Euro (61/39) 72 Pd (28/14), +Eur (16/2), Fi (15/10) Lega (13/12)
    Aumentare i benefici economici alle famiglie con figli (85/15) 71 Pd (21/14), M5S (20/23), Fi (18/10)
    Ridurre le differenze di reddito tra chi ha redditi alti e redditi bassi (79/21) 71 M5S (22/23), Pd (14/14), Lega (9/12)
    Introdurre per legge un salario minimo orario (80/20) 71 M5S (22/23), Pd (16/14), Fi (15/10)
    Rendere più flessibile la politica economica della UE (76/24) 71 M5S (19/23), Lega (18/12), Fi (16/10)
    Introdurre un reddito di cittadinanza garantito per chi è sotto la soglia di pov (73/27) 69 M5S (30/23), Fi (12/10), Pd (10/14)
    Depenalizzare l’eccesso di legittima difesa (69/31) 69 Lega (30/12), FdI (16/4), Fi (13/10) LeU (5/3)
    Ridurre la libertà delle imprese di assumere e licenziare (60/40) 64 M5S (14/23), Pd (9/14), Fi (9/10) Lega (8/12), FdI (4/4)
    Ridurre l’accesso ai servizi sociali per gli immigrati (60/40) 63 Lega (27/12), FdI (12/4), Fi (9/10) Pd (16/14), LeU (9/3), +Eur (8/2)
    Mantenere l’attuale legislazione sulla cittadinanza ai figli di immigrati (56/44) 60 Lega (23/12), FdI (12/4), Fi (12/10) Pd (18/14), LeU (12/3), +Eur (9/2)
    Mantenere l’attuale normativa che permette il testamento biologico (76/24) 59 Pd (24/14), M5S (18/23), +Eur (17/2)
    Limitare la globalizzazione economica (55/45) 58 Lega (13/12), M5S (12/23), FdI (7/4) Pd (12/14), Fi (9/10)
    Mantenere illegali le droghe leggere (52/48) 53 Lega (11/12), Fi (11/10), FdI (9/4) +Eur (12/2), M5S (11/23), Pd (8/14), LeU (6/3)
    Legalizzare e regolamentare la prostituzione (70/30) 51 Lega (23/12), M5S (13/23), Fi (12/10)
    Abolire le tasse universitarie (62/38) 51 M5S (13/23), Fi (9/10), LeU (9/3) Pd (10/14), FdI (6/4)
    Mantenere le unioni civili per le coppie omosessuali (67/33) 43 Pd (25/14), M5S (16/23), LeU (15/3) FdI (5/4)

    Ciò che emerge con evidenza dai dati della Tabella 1 è che i temi considerati come prioritari dall’elettorato italiano sono soprattutto temi condivisi. Anche negli altri paesi le valence issues apparivano ai primi posti in quanto a priorità, ma in Italia questo fenomeno emerge con maggiore nettezza. Dei primi 10 temi per priorità attribuita dagli intervistati, ben 8 sono obiettivi condivisi. Non solo, ma questi temi presentano una priorità altissima, anche in chiave comparata. Basti pensare che in Germania c’erano solo due temi con priorità superiore all’80% (ossia con almeno l’80% degli intervistati che attribuiva priorità alta a quel tema), in Italia sono ben 14, di cui ben 5 raggiungono o superano il 90%. Questo significa che più ancora che negli altri paesi esiste un’agenda condivisa che può rappresentare un importante punto di partenza per la costruzione di coalizioni post-elettorali qualora non si riuscisse a raggiungere una maggioranza parlamentare uscita dalle urne. Al primo posto nella classifica della priorità spicca, non sorprendentemente, la necessità di combattere la disoccupazione (93%), seguita a breve distanza da altri temi: emerge, infatti, un’agenda di lavoro e crescita economica, ma anche una domanda di protezione (sanità, povertà, sicurezza, limitazione dei rifugiati) e di moralizzazione della politica e della società (riduzione dei costi, lotta alla corruzione, lotta all’evasione). I due temi teoricamente controversi della top 10 hanno in realtà maggioranze nettissime: l’86% è per intensificare la lotta all’evasione fiscale (il 14% per non farlo), e l’80%, è per limitare l’accoglienza ai rifugiati (contro un 20% di contrari). La difesa dell’Italia dalla minaccia terroristica è percepita come un obiettivo prioritario ‘solo’ dall’84% dei rispondenti, una percentuale inferiore a quella di tutti gli altri paesi testati nei mesi scorsi con l’eccezione dell’Austria. In particolare, in Francia (91%), Regno Unito (90%) e Olanda (85%) la necessità di combattere il terrorismo appariva come l’obiettivo con la maggiore priorità in assoluto. In questo senso, appare evidente che il fatto di essere finora rimasti al riparo da attacchi terroristici abbia inciso sulla percezione del problema. Sempre in chiave comparata, poi, emergono con grande forza i temi economici: solo in Francia la necessità di combattere la disoccupazione era percepita con una priorità simile, mentre il sostegno alla crescita economica, che in Italia ha una priorità dell’89%, riceveva un’importanza nettamente inferiore in tutti i paesi (appena il 64% in Germania).

    Al di là dei temi condivisi, anche sugli obiettivi posizionali emerge un certo grado di consenso: esattamente come in Germania, ma più che negli altri paesi analizzati, 7 obiettivi controversi raggiungono un consenso di almeno il 75% degli intervistati, qualificandosi dunque come delle ‘quasi-valenceissues. Oltre ai già menzionati lotta all’evasione e limitazione dell’accoglienza ai rifugiati, appaiono particolarmente condivisi anche gli aiuti economici alle famiglie con figli (85%), il salario minimo e la riduzione dell’età pensionabile (80%), la riduzione delle differenze di reddito (79%), l’obbligatorietà dei vaccini (78%), il mantenimento della legge sul testamento biologico e la necessità di rendere la politica economica europea più flessibile (76%). Particolarmente divisivi risultano invece i temi legati alle droghe, alla globalizzazione, lo Ius soli, l’euro, la libertà per le imprese di assumere e licenziare e il cosiddetto ‘welfare chauvinism’, ossia la riduzione dell’accesso ai servizi sociali per gli immigrati.

    Spostandoci ad osservare la parte destra della Tabella 1, possiamo osservare la credibilità dei partiti nel realizzare i vari obiettivi. E qui purtroppo emerge la crisi della politica italiana: sui dieci temi con la maggiore priorità, i grandi partiti moderati al governo negli ultimi anni (Pd e Fi) ottengono la palma del più credibile solo una volta (Fi sulla crescita economica). È vero che su alcuni temi la forza della loro credibilità va ben oltre la percentuale di chi attualmente li voterebbe (e questo potrebbe portare sviluppi nelle ultime settimane); tuttavia su alcuni temi molto importanti i nuovi partiti “sfidanti” hanno una forza straordinaria, ben al di là della loro base elettorale (ad esempio il M5s sui costi della politica e la Lega sulla limitazione dell’accoglienza e la lotta alla criminalità). I cinque stelle in particolare sono percepiti come la forza politica più credibile in assoluto: sono infatti al primo posto per credibilità sui 5 obiettivi con la maggiore priorità e più in generale sui 34 obiettivi presenti nella Tabella 1, sono primi in 17, contro i 9 della Lega e i 7 del Pd, mentre Forza Italia compare al primo posto solo una volta (sulla crescita economica appunto). Questo risultato potrebbe sorprendere, ma in definitiva ci dice una cosa: il Movimento è ormai ‘pronto’ a governare, o almeno lo è nella percezione dell’elettorato. Inoltre, il fatto che sia percepito come credibile sui più svariati temi (dalla lotta all’evasione a quella contro inquinamento e dissesto del territorio, fino al reddito di cittadinanza) da una porzione dell’elettorato ben più ampia di quella che poi effettivamente dichiara di votarlo, conferma una nostra analisi di qualche tempo fa in cui emergeva chiaramente il profilo trasversale del Movimento Cinque Stelle come partito ‘pigliatutti’, ovvero come il vero ‘partito della nazione’ (Emanuele e Maggini 2015).

    Ma quali sono i temi su cui i diversi partiti dovrebbero insistere per guadagnare consenso in questi ultimi giorni di campagna elettorale? Il nostro sondaggio ci offre l’opportunità di mappare la struttura di opportunità per ciascun partito, evidenziando quali sono i temi sui quali il suddetto partito ha le maggiori opportunità, sintetizzabili con un indice, il IY, o Issue Yield (vedi De Sio e Weber 2014; De Sio, De Angelis e Emanuele 2017). L’indice oscilla da 0 a 1 e ci fornisce una classificazione puntuale dei temi di cui ciascun partito dovrebbe parlare tenendo conto di fattori come l’unità del proprio elettorato su quel tema, il consenso fuori dal partito e la credibilità del partito. La Tabella 2 elenca per ciascun partito, i 10 temi ottimali e le loro caratteristiche (positional /valence; destra/sinistra; economica/cultura). Leggendola attentamente scopriamo un’altra novità significativa che distingue l’Italia in prospettiva comparata. Mentre in genere i partiti di governo sono più forti sui temi condivisi (e gli ‘sfidanti’ invece su temi controversi), qui c’è la visibile eccezione di Pd e M5s. Il Pd è infatti molto caratterizzato su temi controversi, e ha un solo obiettivo condiviso tra i suoi punti di forza (l’altro grande partito mainstream, Forza Italia, ne presenta ben 7 su 10), mentre paradossalmente il M5s è molto forte su alcuni obiettivi condivisi.

    Tab. 2 – I 10 temi ottimali per ciascun partito (in base a unità interna, posizioni condivise fuori dal partito, credibilità)

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    Nello specifico, il Pd ha una struttura di opportunità molto caratterizzata: Europa, diritti civili, temi sociali e, in misura minore temi economici. Un’agenda di sinistra liberal che da un lato si scontra con l’immagine spesso stereotipata di un Pd a vocazione centrista e ‘traditore’ dei valori fondanti della sinistra, e dall’altra appare del tutto inadeguata a fronteggiare i tempi nuovi. Tempi in cui i cittadini chiedono protezione non solo economica, ma anche culturale, appoggiando temi ‘demarcazionisti’ (Kriesi et al. 2006), mentre il partito di Renzi offre il paradigma della società aperta che negli anni del terrorismo, della globalizzazione e della crescente paura dell’immigrazione appare stonato e fuori tempo massimo.

    Forza Italia e, sorprendentemente, il M5S, sembrano possedere il profilo di opportunità tipico dei principali partiti mainstream europei (un’anticipazione di un riallineamento che potrebbe avvenire tra qualche settimana?). Se in Forza Italia emergono temi con una caratterizzazione conservatrice (sui temi dell’immigrazione e dello Ius soli), il partito di Di Maio possiede un profilo dove a temi condivisi si aggiungono altri con una caratterizzazione spiccatamente di sinistra (il reddito di cittadinanza, grande cavallo di battaglia dei pentastellati, ma anche la riduzione delle differenze di reddito e dell’età pensionabile).

    Non sorprendentemente, infine, Lega e Fratelli d’Italia si caratterizzano per una struttura di opportunità prevalentemente legata a temi controversi (principalmente i temi legati all’immigrazione), mentre Liberi e Uguali e Più Europa presentano un profilo interamente posizionale e quasi identico, basato su obiettivi di sinistra sia culturali (Europa, diritti civili e accoglienza) che economici (progressività fiscale). Sembra quindi essersi perso, da un lato l’euroscetticismo della componente di sinistra radicale confluita in Liberi e Uguali (gli ex Sel, originariamente su posizioni vicine a quelle di Mélenchon in Francia) e dall’altra il tradizione liberismo economico dei radicali.

     

    Riferimenti bibliografici

    De Sio, L., De Angelis, A., and Emanuele, V. (2018), ‘Issue yield and party strategy in multi-party competition’, Comparative Political Studies, Online First, DOI:10.1177/0010414017730082.

    De Sio, L., e Weber, T. (2014). ‘Issue Yield: A Model of Party Strategy in Multidimensional Space’ American Political Science Review 108 (4): 870–885.

    Emanuele, V. e Maggini, N. (2015), ‘Il Partito della Nazione? Esiste, e si chiama Movimento 5 Stelle’, https://cise.luiss.it/cise/2015/12/07/il-partito-della-nazione-esiste-e-si-chiama-movimento-5-stelle/

    Kriesi, H., Grande, E., Lachat, R., Dolezal, M., Bornschier, S., e Frey, T. (2006), ‘Globalization and the transformation of the national political space: Six European countries compared’, European Journal of Political Research, 45(6), 921-56.

    Stokes, Donald E. (1963), ‘Spatial Models of Party Competition’, American Political Science Review 57 (2): 368–77.

    [1] Un campione di 1000 interviste via Internet con metodologia CAWI, stratificate per combinazione sesso-età e zona geografica, e ponderate per titolo di studio, interesse politico e ricordo del voto 2013.

  • L’altra faccia del voto in Sicilia: il consenso ai Signori delle preferenze fra ricandidature ed endorsements

    L’altra faccia del voto in Sicilia: il consenso ai Signori delle preferenze fra ricandidature ed endorsements

    Le nostre analisi precedenti sul voto in Sicilia (qui e qui) avevano già ampiamente lasciato ipotizzare il ruolo decisivo giocato dal voto personale, espresso tramite il voto di preferenza. Non certo una novità nel contesto siciliano e più in generale meridionale, caratterizzato da arretratezza socio-economica, scarsa cultura civica, sviluppo di politiche micro-distributive e relazioni clientelari (Banfield 1958; Putnam 1993; Piattoni 2001). Per dirla con Parisi e Pasquino (1977), in Sicilia e nelle altre regioni meridionali, il voto di appartenenza lascia spazio al voto di scambio.

    Qui, infatti, la debolezza dello stato e l’assenza di radicate subculture politiche causano la sostanziale inesistenza di legami stabili tra elettori e partiti. Gli elettori, piuttosto, tendono ad esprimere un voto candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007). In questo contesto, la competizione politica è dominata dai ‘Signori delle preferenze’, ossia politici che detengono un rilevante pacchetto di voti che può essere mantenuto nel tempo in elezioni successive o spostato a sostegno di altri candidati (Emanuele e Marino 2016). In Sicilia come nel resto del Sud Italia il voto personale è sempre esistito, ma in passato ciò avveniva all’interno di forti partiti di massa che provvedevano a selezionare la classe dirigente e a incapsulare il rapporto personale tra notabili e clientes. Oggi, il declino organizzativo dei partiti e l’aumento della volatilità elettorale, nonché l’accresciuta instabilità delle stesse etichette partitiche, hanno reso il voto personale l’unico elemento di continuità nel sistema politico. La sola ancora democratica che mantiene ampie fette dell’elettorato all’interno del circuito rappresentativo. E, di conseguenza, i Signori delle preferenze sono diventati i veri padroni della competizione elettorale. Le loro scelte strategiche (ricandidature, endorsements) sono la variabile indipendente del sistema. I loro pacchetti di voti si spostano fra elezioni successive indipendentemente dalle scelte partitiche e coalizionali. Assicurarsene il sostegno è cruciale per i partiti che vogliano ottenere seggi e soprattutto per i candidati Presidente che vogliano vincere le elezioni.

    Una precedente ricerca sulla Calabria ha chiaramente dimostrato l’esistenza e la forza di questo meccanismo elettorale (Emanuele e Marino 2016). In questo articolo proviamo a mappare il consenso ai Signori delle preferenze in Sicilia fra le regionali del 2012 e le regionali del 2017. Ci siamo concentrati sulle tre province maggiori, ossia Palermo, Catania e Messina.

    Definiamo ‘Signori delle Preferenze’ quei candidati che riescono ad ottenere almeno l’1% dei voti validi alle liste nella provincia nella quale risultano candidati. Considerando che la preferenza è una scelta che non tutti gli elettori utilizzano (nel 2017 il tasso di preferenza è stato del 77,8%), si tratta di una cifra di voti davvero rilevante, che permette di qualificare tali candidati alla stregua di veri e propri partiti, intesi come macchine di organizzazione del consenso[1].

    A Palermo nel 2012 esistevano 25 Signori delle Preferenze (Tabella 1) in grado di raccogliere una media di 7.321 voti, per un totale di oltre 183.000 preferenze, corrispondenti a più del 40% del voto di lista espresso nella provincia. Numeri rilevanti, sebbene inferiori a quelli già osservati a Reggio Calabria, dove alle regionali del 2014 i Signori delle preferenze detenevano oltre i due terzi del voto di lista.

    Proprio come in Calabria, anche qui si può notare la trasversalità politica di questi candidati, appartenenti alla coalizione Crocetta (10), Musumeci (10), Miccichè (4), oltre a Cancelleri del M5S, il quale correva come candidato Presidente ma anche come candidato consigliere in tutte le circoscrizioni.

    Tabella 1. I Signori delle preferenze in Provincia di Palermo, regionali 2012.

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    Nel 2017 il tasso di preferenza si è ridotto, sia a Palermo che nel resto dell’Isola, per via dell’exploit del M5S (passato dal 14,9% al 26,7%), un partito che, per storia e assenza di radicamento e riconoscibilità dei suoi candidati non ha ancora tassi di preferenza paragonabili a quelli degli altri partiti (57,7%, contro l’oltre 80% mostrato dalle altre forze politiche). In questo contesto, ottenere l’1% dei voti validi è diventato più difficile. Ciononostante, i Signori delle preferenze risultano 22 (Tabella 2). Ciascuno di loro detiene una quota di voti leggermente maggiore che nel 2012 (1,68%), sebbene nel complesso i 22 Signori detengano leggermente meno voti (il 37% contro il 40,7% del 2012). Anche in questo caso, notiamo l’esistenza di candidati presenti in entrambi gli schieramenti, sebbene con una prevalenza della coalizione di Musumeci (12) su Micari (7). Emerge poi una novità rilevante, costituita dalla presenza di 3 Signori delle preferenze del M5S, probabile sintomo di una progressiva ‘normalizzazione’ del Movimento di Grillo alle dinamiche di voto dell’Isola.

    Tabella 2. I Signori delle preferenze in Provincia di Palermo, regionali 2017.

    lords pa 17

    Dei 25 Signori delle Preferenze del 2012, 16 si ricandidano nel 2017. Dei 9 Signori del 2012 che non si sono ripresentati al voto, tolto Cancelleri che ha corso solo in provincia di Caltanissetta, siamo riusciti a rilevare la presenza di 3 endorsements certificati[2], riportati nella Tabella 3. Per i rimanenti 5 Signori del 2012 non abbiamo ancora trovato notizie ufficiali riguardanti gli endorsements. Complessivamente quindi disponiamo di 19 link fra candidati del 2012 e del 2017. Di questi, ben 12 sostengono Musumeci (che 5 anni fa ne aveva 7), mentre appena 6 degli 8 Signori di Crocetta vanno su Micari. Nello specifico, Musumeci ottiene l’appoggio di 2 ras delle preferenze dell’Udc (Lentini e Gargano) che nel 2012 sostenevano Crocetta, nonché di Savona e Figuccia che 5 anni fa erano in coalizione con Miccichè. Lo Giudice e Tamajo fanno invece il percorso inverso, passando rispettivamente da Musumeci a Micari e da Miccichè a Micari. Tamajo poi sembra non aver pagato affatto il cambio di casacca, anzi: con 13,984 voti è il primo degli eletti in provincia di Palermo. Micari infine subisce anche la defezione dell’ex Pd Apprendi, candidato con la lista Cento Passi a sostegno di Fava. I cambi di casacca sono notevoli: nel corso di 5 anni ben 12 Signori hanno cambiato partito e 9 hanno cambiato coalizione (o hanno appoggiato un candidato in un diverso partito/coalizione). Eppure, tra candidati che perdono consensi a altri che li guadagnano, il totale dei voti di preferenza per i 19 Signori delle preferenze rimane fondamentalmente stabile nel tempo: 129.347 voti nel 2012, 129.898 nel 2017, con una differenza di appena 551 voti. Badi bene, non significa che si tratti degli stessi voti: solo un’analisi di inferenza ecologica potrà dirci qual è stato il grado di continuità nello spostamento dei pacchetti di voti fra le due elezioni. Qui ci limitiamo a registrare l’impressionante stabilità del consenso complessivo ai Signori delle preferenze che si ricandidano o appoggiano altri candidati. Ma attenzione, questa stabilità non si traduce, a livello sistemico, nel mantenimento dei rapporti di forza tra partiti e aree politiche. Anzi, visti i cambi di casacca, il passaggio di alcuni Signori verso Musumeci e il fatto che alcuni Signori che sostenevano Crocetta abbiano abbandonato Micari ha giocato un ruolo decisivo sull’esito della competizione.

    Tabella 3. Ricandidature ed endorsements in Provincia di Palermo, regionali 2012-2017.

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    Un’ancor più marcata presenza dei Signori delle preferenze è rintracciabile nel collegio di Catania. Qui, nel 2012, 27 persone detenevano quasi 200.000 preferenze, il 45,7% dei voti validi espressi nella provincia (Tabella 4). Come a Palermo, emerge un’eccezionale trasversalità politica di tali candidati: Crocetta e Musumeci disponevano di 8 Signori ciascuno, uno in meno di Miccichè che poteva beneficiare del potente sostegno del Presidente uscente Lombardo e del suo partito, l’Mpa. Anche a Catania, poi, Cancelleri risultava uno dei candidati con più voti, e il M5S beneficiava pure della presenza di un altro Signore delle preferenze, Foti.

    Tabella 4. I Signori delle preferenze in Provincia di Catania, regionali 2012.

    lords ct 12Nel 2017, nonostante un declino del tasso di preferenza complessivo (passato dal 83,5% al 74,9%), si assiste ad un processo di concentrazione del consenso nelle mani di pochi grandi collettori del voto. I Signori delle preferenze si riducono a 25, ma detengono più voti (oltre 212.000, il 47,4%). Su questo rafforzamento incide senz’altro l’incredibile performance di Sammartino, il giovane candidato del Pd capace di raccogliere 32.492 preferenze (Tabella 5). In pratica, lui da solo vale il 7,3% del voto nella provincia di Catania. Eppure, nonostante l’exploit del candidato Pd, a fare la voce grossa a Catania è Musumeci, forte di ben 13 Signori delle preferenze contro i 7 di Micari e i 4 del M5S che, come a Palermo, dimostrano di apprendere rapidamente i meccanismi del consenso personale. Tra questi spicca l’uscente Foti, il più votato fra i pentastellati con 11,593 preferenze.

    Tabella 5. I Signori delle preferenze in Provincia di Catania, regionali 2017.

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    Dei 27 Signori delle preferenze del 2012, solo 11 si ricandidano nel collegio di Catania nel 2017, mentre, come sappiamo, Cancelleri si ripresenta a Caltanissetta e Sudano, eletta nel 2012 con Cantiere Popolare si ricandida nel 2017 con il Pd nel collegio di Palermo, raccogliendo solo 36 preferenze. Eppure a Catania lascia in buone mani il suo pacchetto di oltre 6.000 voti, sostenendo Sammartino, il quale riesce così a moltiplicare i suoi consensi rispetto ai 12.000 del 2012, quando fu eletto con l’Udc[1]. In totale disponiamo di 16 link, di cui 5 endorsements certificati (vedi Tabella 6). Per i rimanenti 10 Signori del 2012 che non si ricandidano non abbiamo ancora trovato notizie ufficiali riguardanti i loro eventuali endorsements. Dei 16 Signori delle preferenze di cui disponiamo informazioni, 8 sostengono Musumeci e 7 Micari. C’è dunque un equilibrio fra i due candidati Presidente di centrodestra a centrosinistra. Eppure, anche qui, sebbene in modo meno marcato rispetto a Palermo, si nota lo spostamento verso il centrodestra rispetto al 2012: all’epoca, infatti, a sostegno di Crocetta c’erano 6 Signori delle preferenze mentre a sostegno di Musumeci appena 5. In particolare, notiamo alcune differenze rispetto al capoluogo regionale: i deputati dell’Udc qui non seguono la scelta del partito di passare al centrodestra: 3 Signori su 4 rimangono nel centrosinistra, entrando nel Pd, nella Lista Micari[4] e in Alternativa popolare. Fa eccezione solo Giuffrida che passa a Idea Sicilia cambiando dunque schieramento. Ciò però non incide sulla sua performance, anzi il suo pacchetto di voti risulta immutato (da 4.383 a 4.378 preferenze). Al contrario, invece, 3 dei 4 Signori che nel 2012 sostenevano la candidatura di Miccichè si schierano con Musumeci (solo D’Agostino defeziona verso Sicilia Futura). Controcorrente rispetto all’esito del voto è poi l’appoggio dell’ex deputato regionale del Pdl, D’Asero a Condorelli (Ap). Nel complesso i Signori delle preferenze che cambiano partito sono ben 9, mentre i cambi di coalizione sono 7.

    Tabella 6. Ricandidature ed endorsements in Provincia di Catania, regionali 2012-2017.

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    A Messina, infine, di cui non ci occupiamo nel dettaglio perché non abbiamo ancora raccolto notizie complete sugli endorsements, l’incidenza del voto di preferenza è stata ancora più marcata. E non solo per il maggiore tasso di preferenza complessivo (82,1%, in discesa rispetto all’86,6% del 2012), ma soprattutto per il peso del voto ai Signori delle preferenze che è passato dal 55,7% del 2012 (Tabella 7) al 65% del 2017 (Tabella 8). In pratica oggi i due terzi del voto a Messina sono nelle mani di 31 persone. Fra questi spicca certamente Luigi Genovese, nipote dell’omonimo nonno, senatore Dc dal 1972 al 1994, figlio dell’ex deputato Pd Francantonio e nipote di Franco Rinaldi, consigliere Pd uscente con oltre 18.000 preferenze. Luigi, passato a Forza Italia, ha ereditato una dote di oltre 17.000 preferenze, risultando, il primo degli eletti in provincia con il 6,3% dei voti complessivamente espressi. L’esempio perfetto di come le elezioni al tempo del voto di preferenza siano spesso un affare di famiglia.

    Tabella 7. I Signori delle preferenze in Provincia di Messina, regionali 2012.

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    Tabella 8. I Signori delle preferenze in Provincia di Messina, regionali 2017.

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    Riferimenti bibliografici

    Banfield, E. C. (1958), The moral basis of a backward society. New York: Free Press.

    Emanuele, V. and Chiaramonte, A. (2016), ‘A growing impact of new parties: myth or reality? Party system innovation in Western Europe after 1945’, Party Politics, Online First, DOI:10.1177/1354068816678887.

    Emanuele, V. and Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Fabrizio, D. e Feltrin, P. (2007), ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in A. Chiaramonte and G. Tarli Barbieri (a cura di), Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle Regioni italiane, Bologna: Il Mulino, pp.175–199.

    Parisi, A. e Pasquino, G. (a cura di) (1977), Continuità e mutamento elettorale in Italia, Bologna, Il Mulino.

    Piattoni, S. (2001), Clientelism, Interests and Democratic Representation: The European Experience in Historical and Comparative Perspective. Cambridge: Cambridge University Press.

    Putnam, R. D. (1993), Making democracy work: civic traditions in modern Italy. Princeton: Princeton University Press.

    [1] La soglia dell’1% è infatti spesso utilizzata nella ricerca comparata per discriminare i partiti rilevanti del sistema (vedi Emanuele e Chiaramonte 2016).

    [2] Per l’individuazione degli endorsements si è fatto ricorso a fonti giornalistiche locali o nazionali che riportassero esplicitamente notizia del sostegno di un Signore delle preferenze del 2012 ad un altro candidato nel 2017.

    [3] Inoltre, in sostegno di Sammartino dovrebbero essere arrivate anche le oltre 5.000 preferenze di Nicotra, ex deputato regionale Udc, poi condannato per danno erariale e passato al Pd nel 2015 insieme allo stesso Sammartino, dopo essere transitati insieme dal movimento ‘Articolo 4’. Al momento però manca una fonte ufficiale che certifichi tale endorsement.

    [4] Si noti che nel caso di Leanza non si tratta di un vero e proprio endorsement: Carmelo Leanza ha infatti raccolto l’eredità elettorale del fratello Lino, deceduto nel 2015.

  • Come in un flipper: A Palermo elettori in frenetico movimento oltre partiti e ideologia

    Come in un flipper: A Palermo elettori in frenetico movimento oltre partiti e ideologia

    Le elezioni regionali siciliane del 5 novembre hanno visto il ritorno alla vittoria della coalizione di centrodestra nel contesto di una partecipazione ai minimi storici (46,75%). L’altro elemento che ha trovato ampio rilievo nei commenti post-elettorali è stata la performance di Cancelleri. Il candidato pentastellato ha raddoppiato i voti rispetto alle regionali di 5 anni fa, ottenendo un notevole surplus di consensi rispetto alla lista del Movimento 5 Stelle. All’opposto, invece, il centrosinistra, che 5 anni fa era riuscito a portare Crocetta a Palazzo d’Orleans, è giunto terzo, e il suo candidato, il rettore di Palermo Fabrizio Micari, ha ottenuto quasi 7 punti in meno delle sue liste.

    A livello aggregato, si è trattato di elezioni caratterizzate da un’alta volatilità elettorale (37,2), sui livelli delle elezioni politiche del 2013 (36,65)[1]. Eppure l’origine di questa instabilità elettorale sembrerebbe essere stata caratterizzata più dal cambiamento dell’offerta politica che dal cambiamento della domanda, ossia del voto degli elettori. Infatti, si è detto nei commenti post-elettorali, il blocco di centrosinistra ha più o meno mantenuto la propria quota di consensi rispetto a 5 anni fa (26%), mentre la destra ha beneficiato della ritrovata unione fra le sue componenti, nonché dell’apporto dell’Udc che nel 2012 sosteneva Crocetta.

    E’ andata davvero così? Per capirlo dobbiamo scendere dal livello aggregato e analizzare le stime di flusso a livello individuale. A questo proposito il CISE ha calcolato i flussi elettorali a Palermo col modello di Goodman (1953), incrociando il voto ai candidati Presidente del 2017 con ben 4 competizioni: le regionali 2012 (voti ai candidati Presidente), le politiche del 2013, le comunali del 2017 (voti ai candidati sindaco) e infine con il voto alle liste del 2017. Attraverso questo focus specifico è possibile mappare i movimenti di voto degli elettori palermitani nel corso degli ultimi 5 anni e farci un’idea di ciò che è accaduto nell’elettorato, al di là dei cambiamenti indotti dalla trasformazione dell’offerta politica.

    La Figura 1 presenta la matrice dei flussi elettorali fra le regionali del 2012 e quelle del 2017. Una rapida occhiata ai dati ed è facile comprendere come al di sotto di un’apparente stabilità dei blocchi politici si celi un impressionante movimento a livello individuale. Micari innanzitutto, lungi dall’essere meramente il candidato dell’area di centrosinistra, ottiene un consenso quasi trasversale. La sovrapposizione fra il suo elettorato e quello di Crocetta del 2012 è minima: appena un quarto dei voti di Crocetta vanno su Micari, il quale a sua volta deve a Crocetta appena il 28% del suo elettorato. Per il resto, un terzo del suo elettorato viene da destra, mentre il 14% viene da ex elettori grillini e un altro 14% proviene addirittura dalla sinistra radicale (Marano). Lo stesso Crocetta cede il 38% dei suoi voti a Cancelleri, e perfino un quinto a Musumeci. Eppure, se quest’ultimo flusso è spiegabile con il ‘ribaltone’ dell’Udc che era in coalizione con Crocetta nel 2012 e nel 2017 torna nel centrodestra, come spiegare il fatto che l’elettorato di Miccichè – oggi nuovamente leader di Forza Italia e candidato nel listino bloccato di Musumeci – si diriga in misura consistente verso Micari (37%) e che solo un quinto vada verso Musumeci? O che addirittura gli elettorati di Fava e Marano, entrambi candidati della sinistra radicale, siano solo in parte sovrapponibili? La Marano peraltro sostituì Fava come candidato Presidente dopo che quest’ultimo per problemi burocratici non aveva fatto in tempo a trasferire la propria residenza in Sicilia, requisito indispensabile per la candidatura. Per questo motivo, la Marano corse addirittura sotto le insegne del simbolo ‘Fava Presidente’. Eppure, solo il 38% del suo voto 2012 va a Fava, il quale a sua volta pesca un quarto dei suoi voti da ex grillini, il 15% da Crocetta e altrettanti elettori dall’area del non voto. Inoltre, nonostante l’apparente stabilità della partecipazione al voto rispetto al 2012, gli elettori che si sono astenuti non sono affatto gli stessi. Se infatti nel 2012 avevamo sottolineato la massiccia defezione dell’elettorato di centrodestra, oggi una quota di quegli elettori torna alle urne per sostenere Musumeci. Oltre un quarto dei voti al neo-Presidente della Regione, infatti, deriva dalla rimobilitazione di ex astenuti del 2012. Un flusso significativo, e probabilmente decisivo per la sua vittoria contro Cancelleri. Anche l’elettorato di quest’ultimo sembra in parte mutato, nonostante si tratti di una ricandidatura sostenuta dalla stessa lista di 5 anni prima, una lista – il Movimento 5 Stelle – che fa della propria alterità al sistema dei partiti il principale cavallo di battaglia. Solo due terzi del voto a Cancelleri 2012 torna sull’ex geometra nisseno, mentre una quota va a destra (10%) una alla sinistra radicale (10%) e un’altra a Micari (13%). (Ambien) A sua volta, poi, il voto a Cancelleri del 2017 pesca anche da altri elettori di sinistra (29% tra Marano e Crocetta) e di destra (17% tra Miccichè e Musumeci), mostrando dunque trasversalità sia nelle cessioni che nelle acquisizioni. In altri termini: la composizione politica dell’elettorato del M5S cambia poco nel complesso, ma gli elettori non sono più gli stessi.

    Fig. 1 – I flussi elettorali a Palermo fra regionali 2012 e regionali 2017 (clicca per ingrandire)

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    (clicca qui per vedere le matrici in forma di tabella)

    Complessivamente, secondo le nostre stime, appena 97.000 elettori palermitani hanno votato in continuità tra le due elezioni (Marano-Fava; Crocetta-Micari; Miccichè e Musumeci-Musumeci; Cancelleri-Cancelleri), sugli oltre 202.000 elettori che si sono recati alle urne in entrambe le consultazioni.

    Questi movimenti, dunque, altre ad indicare la ‘mutazione genetica’ dell’elettorato che sostiene il candidato di centrosinistra, un elemento già emerso l’anno scorso a Torino, sembrano farci capire che tutto l’elettorato, privo ormai di riferimenti ideologici e disancorato da fedeltà partigiane, si muove, disorientato e frenetico, in modo apparentemente imprevedibile tra elezioni successive.

    Per comprendere in modo più chiaro le trasformazioni politiche in atto dobbiamo prendere in considerazione il confronto con le elezioni politiche del 2013 (Fig. 2). In quelle elezioni la partecipazione al voto fu decisamente più alta (61,1% a Palermo città, contro il 45,9% di queste regionali) ed è dunque possibile ottenere un’immagine più precisa dei movimenti di voto dell’intero elettorato e dell’eventuale presenza di astensionismo asimmetrico fra le varie aree politiche.

    Il primo dato che emerge con chiarezza è la conferma della mutazione genetica del centrosinistra. L’elettorato di Bersani del 2013, infatti, può essere preso come riferimento idealtipico dell’area tradizionale di centrosinistra. Ebbene, quella di Bersani è l’area che registra il maggior tasso di astensione tra politiche 2013 e regionali 2017 (42%). Inoltre, quel 58% che torna alle urne, si divide quasi equamente tra il sostegno a Micari e a Fava, mentre una quota significativa (l’11% dell’elettorato di Bersani) si orienta su Cancelleri. Complessivamente, su 50.000 voti raccolti da Micari a Palermo, meno di 18.000 provengono da elettori che alle politiche del 2013 avevano votato per la coalizione di centrosinistra guidata da Bersani. Questo dato eclatante pregiudica la possibilità per Micari di risultare realmente competitivo, nonostante una notevole capacità attrattiva sugli elettorati del centro e della destra. Un voto su due al rettore proviene da ex elettori di Monti (17%) e Berlusconi (32%) e un 11% arriva dai 5 Stelle che nel 2013 furono la prima coalizione in città col 32,7% dei voti. Specularmente, anche il centrodestra cambia pelle: appena un voto su due a Musumeci proviene da Berlusconi, mentre un quarto arriva da Grillo e un sesto da Monti. La forza politica più coesa meno permeabile appare ancora una volta il M5S. Il 58% del voto pentastellato delle politiche torna su Cancelleri, che a sua volta deve i tre quarti del suo consenso al grande bacino 5 stelle del 2013. Eppure, anche in questo caso, notiamo una significativa defezione verso destra: un quinto del voto grillino del 2013 si orienta verso Musumeci, forse un ritorno a casa di tanti elettori di destra che alle politiche avevano sostenuto il Movimento.

    Fig. 2 – I flussi elettorali a Palermo fra politiche 2013 e regionali 2017 (clicca per ingrandire)pol_su_reg

    (clicca qui per vedere le matrici in forma di tabella)

    Sappiamo che la candidatura di Micari è stata proposta e poi fortemente sostenuta da Orlando, il sindaco di Palermo che a giugno si è riconfermato al primo turno. Rispetto alle politiche, il profilo di Orlando appariva estremamente trasversale a conferma del fatto che per gli elettori palermitani il sindaco della ‘Primavera di Palermo’ rappresenta un totem che valica il proprio blocco politico diventando punto di riferimento di tutta la città. Una sorta di ‘candidato della nazione’ che, pur provenendo dal centrosinistra, è in grado di attrarre consensi in tutto l’elettorato. Forse è anche per sua questa capacità di valicare i confini angusti e minoritari della sinistra che l’entourage renziano ha accettato di buon grado che a scegliere il candidato Presidente fosse proprio Orlando. Eppure, il consenso di Orlando è personale e intrasmissibile, i suoi voti si disperdono se non è lui a correre in prima persona. Era già accaduto alla Borsellino alle primarie comunali del 2012. Succede anche nel 2017. Micari è un Orlando in sedicesimi, ne mantiene la trasversalità ma perde consistenza. Solo un terzo del voto a Orlando di giugno si indirizza verso il rettore, il resto si propaga in tutte le direzioni e quasi in egual misura su Musumeci, Cancelleri e Fava. Tanto che tutti i candidati Presidente pescano a piene mani dal grande bacino orlandiano: non solo oltre 8 voti su 10 a Fava e Micari vengono dal sindaco di Palermo, ma anche un terzo dei voti di Musumeci e di Cancelleri.

    Fig. 3 – I flussi elettorali a Palermo fra comunali 2017 e regionali 2017 (clicca per ingrandire)com su reg(clicca qui per vedere le matrici in forma di tabella)

    Infine, osservando i flussi fra il voto di lista e il voto al Presidente nel 2017 (Fig. 4), possiamo avere contezza della rilevanza del voto disgiunto che, secondo i commenti post-voto, avrebbe colpito Micari portando molti elettori di centrosinistra a votare Cancelleri. In realtà i tassi di conferma del voto di lista sul Presidente collegato sono piuttosto alti per tutti i partiti, e oscillano fra il 74% di Alternativa Popolare e il 98% del Movimento 5 Stelle. Non esiste alcun flusso significativo (ossia superiore all’1% dell’elettorato, vedi Corbetta e Schadee 1988) fra una lista e un candidato Presidente non collegato. E’ vero che gli elettori delle liste di centrosinistra che optano per il disgiunto tendono a votare più Cancelleri di Musumeci, ma questo flusso pesa solo per il 6% dell’elettorato di Cancelleri. La vera ragione del surplus di voti del candidato pentastellato la ritroviamo invece nel voto al solo Presidente. Il 10% dell’elettorato palermitano esercita l’opzione di votare per il solo Presidente, dissociandosi dunque dalla tendenza prevalente in Sicilia come in altre realtà meridionali, ossia di votare essenzialmente per i ‘Signori delle preferenze’ (Emanuele e Marino 2016). Ebbene, il 60% di questo gruppo di elettori vota per Cancelleri, contro appena il 20% che si dirige su Musumeci e il 9% che opta per Micari. Nel complesso, il 18% del voto a Cancelleri viene da elettori, presumibilmente grillini privi di particolari preferenze per i candidati consiglieri del Movimento, che hanno votato solo per il Presidente. Non si è dunque trattato, se non in minima parte, di voto disgiunto. I Signori delle Preferenze di entrambi gli schieramenti hanno convogliato il proprio voto verso i candidati Presidente collegati, e gli elettori di queste liste non hanno defezionato. In totale, il 90% di chi ha espresso il voto per una lista, ha poi votato il Presidente collegato.

    Fig. 4 – I flussi elettorali a Palermo fra proporzionale e maggioritario delle regionali 2017 (clicca per ingrandire)pr su mg

    (clicca qui per vedere le matrici in forma di tabella)

    Un dato di stabilità nel quadro di un elettorato iper-volatile e ormai privo di riferimenti politico-ideologici. Segno che probabilmente il voto personale ai Signori delle preferenze costituisce l’unico elemento di continuità fra elettori e sistema politico. Col venir meno delle fedeltà ai partiti e perfino della loro riconoscibilità fra elezioni successive, a Palermo ma forse non solo a Palermo il voto personale è l’ultima ancora della democrazia.

    Riferimenti bibliografici

    Corbetta, P.G., e H.M.A. Schadee (1984), Metodi e modelli di analisi dei dati elettorali, Bologna, Il Mulino.

    De Sio, L. e Cataldi, M. (2016), ‘Radiografa di una mutazione genetica: i flussi
    elettorali a Torino, in Emanuele, V., Maggini, N. e Paparo, A. (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE (8), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 61-64.

    Emanuele, V. (2013), ‘Regionali in Sicilia. Crocetta vince nell’Isola degli astenuti. Boom del Movimento 5 Stelle’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013,  Dossier CISE (3), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 55-58.

    Emanuele, V. (2015), Dataset of Electoral Volatility and its internal components in Western Europe (1945-2015), Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali, https://dx.doi.org/10.7802/1112.

    Emanuele, V. (2017), ‘Le comunali di Palermo tra vecchi e nuovi gattopardi: i risultati e i flussi elettorali’, in Paparo, A. (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE (9), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 175-181.

    Emanuele, V. e Marino, B. (2016), ‘Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalised party system’, Regional and Federal Studies, 26(4), pp. 531-554.

    Emanuele, V. e Riggio, A. (2017), ‘Trasformismo e adeguamento strategico: l’offerta politica in Sicilia’. /cise/2017/10/14/trasformismo-e-adeguamento-strategico-lofferta-politica-in-sicilia/

    Emanuele, V. e Riggio, A. (2017), ‘Sicilia, l’astensione è ancora maggioranza. La mappa per comune’. /cise/2017/11/06/sicilia-lastensione-e-ancora-maggioranza-la-mappa-per-comune/

    Emanuele, V. e Riggio, A. (2017), ‘Disgiunto e utile: il voto in Sicilia e la vittoria di Musumeci. /cise/2017/11/07/disgiunto-e-utile-il-voto-in-sicilia-e-la-vittoria-di-musumeci/

    Goodman, L. A. (1953), Ecological regression and behavior of individual, «American Sociological Review», 18, pp. 663-664.

    Paparo, A. e Cataldi, M. (2013), ‘I flussi elettorali in Sicilia: il Pdl diserta le urne e Grillo
    pesca dal centrosinistra’ in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013,  Dossier CISE (3), Roma, Centro Italiano di Studi Elettorali, pp. 67-74.


    NOTA METODOLOGICA

    I flussi presentati sono stati calcolati applicando il modello di Goodman alle 600 sezioni elettorali del comune di Palermo. Abbiamo eliminato le sezioni con meno di 100 elettori (in ognuna delle due elezioni considerate nell’analisi), nonché quelle che hanno registrato un tasso di variazione superiore al 20% nel numero di elettori iscritti (sia in aumento che in diminuzione).  Abbiamo effettuato analisi separate in quattro zone della città (identificate sulla base a criteri di omogeneità socio-politica) poi riaggregate nelle analisi cittadine qui mostrate. Il valore dell’indice VR nelle quattro zone per le quattro analisi presentate non è mai superiore a 12.


    [1] A livello locale, e in particolare in Sicilia, l’alta volatilità è una costante del voto. Basti pensare che alle comunali di Palermo del giugno scorso la volatilità aveva raggiunto l’incredibile valore di 57,95 (Emanuele 2017). Per le regole di calcolo dell’indice vedi Emanuele (2015).

  • Disgiunto e utile: il voto in Sicilia e la vittoria di Musumeci

    Disgiunto e utile: il voto in Sicilia e la vittoria di Musumeci

    Il centrodestra torna a vincere le elezioni regionali in Sicilia, come del resto è sempre accaduto nel corso della Seconda Repubblica con l’unica eccezione del 2012. Cinque anni fa la destra si divise fra Musumeci e Micciché e il centrosinistra ne approfittò per conquistare Palazzo d’Orleans. Oggi l’unità – costruita dai due sfidanti di allora – consente all’ex presidente della Provincia di Catania di prevalere su Giancarlo Cancelleri.

    Eppure nel 2012 la Sicilia non si era improvvisamente spostata a sinistra. Crocetta raccolse il 30,5% dei voti validi, corrispondenti ad appena il 13,3% del corpo elettorale. Il Presidente uscente vinse solo grazie alla divisione della destra e alla presenza in coalizione dell’Udc, che portò in dote un indispensabile 10,8%.

    Nel 2017 il centrodestra è tornato a marciare unito, dall’Udc a Fratelli d’Italia e la sfida tra i due blocchi tradizionali del bipolarismo italiano non ha avuto storia. Dopo i fallimentari tentativi del 2006 e del 2012, Nello Musumeci diventa il nuovo Presidente della Regione Siciliana, con il 39,9% dei consensi, doppiando il rivale di centrosinistra, Fabrizio Micari e superando di misura Giancarlo Cancelleri, dato per grande favorito fino a un paio di mesi fa (vedi Tabella 1).

    Tabella 1 – Elezioni regionali 2017 in Sicilia: affluenza e voti (assoluti e percentuali) ai candidati Presidente

    sicilia 2017 voto maggioritatio

    Musumeci riesce a contenere il – prevedibile – rendimento coalizionale negativo, inteso come lo scarto tra il voto al presidente e quello alle liste. Un esercito di 350 candidati spinge le sue liste al 42%. Circa 2 punti, dunque, penalizzano il risultato del neo-eletto governatore a confronto con la somma delle liste in appoggio. Su questo versante può riscontrarsi il perfetto adeguamento strategico della coalizione di centrodestra. Tutte e cinque le sigle del cartello valicano il 5% e troveranno rappresentanza all’Ars. Il voto disperso ammonta a 0. Forza Italia, nuovamente guidata da Miccichè, supera il Pd diventando il secondo partito dell’Isola con il 16,4%. Le due liste post-democristiane, ovvero Popolari e Autonomisti e Udc, veleggiano entrambe attorno al 7%. La prima raccoglie esuli del MpA di Raffaele Lombardo e del Pid di Saverio Romano (nel 2012 rispettivamente al 9,5% e al 5,9%), nonché il nuovo movimento dell’ex rettore Roberto Lagalla, ‘Idea Sicilia’. L’Udc, partito ormai inesistente a livello nazionale, torna nel blocco conservatore e, pur cedendo quasi 4 punti rispetto al 2012, sarà ancora al governo, dopo aver sostenuto Crocetta nel 2012. Anche la lista personale di Musumeci (Diventerà Bellissima, 6%) e la lista formata da Fratelli d’Italia e Noi con Salvini (5,6%) superano la soglia.

    Il candidato del Movimento Cinque Stelle patisce poco più di 5 punti di distacco da Musumeci. Eppure, il risultato di Cancelleri assume rilevanza se rapportato a quello della lista collegata. Difatti il rendimento coalizionale risulta di quasi 8 punti. Il Movimento sconta il debole radicamento e la scarsa riconoscibilità dei propri candidati all’Assemblea regionale. Ciononostante, il risultato del M5S è ragguardevole se rapportato a quello del 2012: Cancelleri quasi raddoppia il proprio risultato (dal 18,2% al 34,7%) e la lista pentastellata si conferma il primo partito dell’Isola crescendo dal 14,9% al 26,7%, mantenendosi sui livelli delle elezioni europee del 2014 (26,3%). Altro discorso se invece il raffronto viene fatto con le politiche 2013 (33,6%) o con le aspettative della vigilia. In definitiva, l’avanzata del Movimento è ragguardevole, ma non tale da spezzare la supremazia del blocco di centrodestra. Semplificando oltremodo, verrebbe da dire che il voto di preferenza/scambio ha battuto il voto di opinione/protesta. In questo senso, le proiezioni Demopolis delle ultime settimane erano piuttosto chiare e indicavano la presenza di una relazione inversamente proporzionale fra il divario Musumeci-Cancelleri e l’affluenza. Più l’affluenza andava giù, più si allargava lo iato fra i due competitor. Viceversa, una netta crescita della partecipazione rispetto al 2012 avrebbe potuto ribaltare l’esito della sfida, riportando al voto molti elettori da tempo usciti dal circuito democratico. Per dirla con Hirschman (1970), un aumento dell’affluenza avrebbe portato molti elettori a fare ‘voice’ anziché praticare la ‘exit’, favorendo così il recupero di Cancelleri.

    Passando al centrosinistra, le sigle in supporto di Fabrizio Micari totalizzano più del 25,4% dei consensi, staccando nettamente il 18,5% registrato dal rettore di Palermo nella competizione maggioritaria. Il voto disgiunto punisce il candidato scelto da Leoluca Orlando. E’ la nemesi del “voto utile”, più volte invocato dal Pd in questi anni per trascinare i propri candidati a spese delle forze politiche minori. Oggi il voto strategico punisce proprio il candidato del Pd, già da tempo percepito come terza forza e tagliato fuori dalla ferrea regola M+1 di Cox (1997). All’interno della coalizione, il Pd si mantiene sui livelli del 2012 (-0,4 punti), mentre le due liste locali (Sicilia Futura e Arcipelago Sicilia) raggiungono insieme l’8,2%. Solo la prima (6%) accederà all’ARS, mentre l’agglomerato formato dai seguaci di Orlando e Crocetta si ferma al 2,2%. Si apre invece una stagione difficile per il partito di Alfano, che sperava di sfruttare la roccaforte siciliana per un rilancio della sua proposta politica anche in chiave nazionale. La sua lista, Alternativa Popolare, si è fermata al 4,2%, rimanendo fuori dai giochi. L’esodo che a settembre colpì il partito di Angelino Alfano ne ha svuotato il bacino elettorale. Adesso la sua stessa sopravvivenza politica è messa in discussione e con essa l’assetto coalizionale col quale il centrosinistra si presenterà alle prossime elezioni politiche.

    Fa ritorno al Parlamento siciliano dopo sedici anni la sinistra radicale: Claudio Fava lima di poco quanto ottenuto da Giovanna Marano, ma lo schieramento di una lista unica garantisce a Cento passi per la Sicilia d’oltrepassare la soglia del 5%. Confrontando il voto al blocco di sinistra fra 2017 e 2012, notiamo che c’è stato un netto arretramento nel maggioritario: cinque anni fa Crocetta e Marano totalizzavano il 36,6%, oggi Micari e Fava si fermano al 24,8%, e sarebbero rimasti il terzo polo anche se uniti. Micari non ha dunque perso per colpa della divisione a sinistra. Al proporzionale la situazione è apparentemente simile: le liste di Micari e Fava insieme raggiungono il 30,5%, quelle di Crocetta e Marano facevano il 37%. Eppure, se escludiamo dal computo l’Udc nel 2012 e Alternativa Popolare nel 2017, entrambe estranee al blocco di sinistra, ecco che la situazione si riequilibra: la sinistra valeva il 26,2% nel 2012, vale il 26,4% nel 2017. In fin dei conti, l’elettorato di sinistra rimane una esigua minoranza nell’Isola, e solo le eccezionali e forse irripetibili condizioni createsi nel 2012 gli permisero di arrivare al potere.

    Per quanto concerne la trasposizione dei voti in seggi, la legge elettorale siciliana prevede una doppia competizione: maggioritaria a turno unico per la carica di Presidente e proporzionale con distribuzione provinciale dei seggi e soglia regionale di sbarramento al 5% per le liste. Si tratta di due partite teoricamente separate (è possibile il voto disgiunto) ma di fatto legate dalla presenza di un premio di maggioranza assegnato alla coalizione collegata al candidato Presidente vincente. Un premio che, però, non è majority assuring (Emanuele 2013), non assicura cioè la maggioranza dei seggi. Tanto che, quando si è spezzata la logica bipolare, ossia nel 2012, le elezioni non hanno prodotto una maggioranza all’ARS. Cinque anni fa Crocetta conquistò 39 seggi su 90, premio compreso; oggi Musumeci ne otterrà 36 su 70, riuscendo dunque per un solo seggio (il proprio) a conquistare la maggioranza. A differenza di Crocetta, almeno nei numeri, non sarà una ‘anatra zoppa’.

    Tabella 2 – Risultati delle elezioni regionali 2017 in Sicilia: voti assoluti, percentuali e seggi, riparto proporzionale

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    Tabella 3 – Ripartizione dei seggi nell’Assemblea regionale siciliana

    sicilia 2017 voti e seggi proporzionali

    Grazie all’eccezionale coordinamento strategico dell’offerta, soprattutto tra le fila del centrodestra, la ripartizione dei seggi vedrà una disproporzionalità ridotta, con il 93% dei voti validi rappresentati all’ARS e appena 3 delle 12 liste fuori dai giochi: Siciliani Liberi di La Rosa, Arcipelago Sicilia (il contenitore targato Crocetta-Orlando) e Alternativa Popolare. Come vediamo dalla Tabella 2, che riporta la ripartizione dei 70 seggi all’ARS per ciascuna coalizione, e dalla Tabella 3, che fornisce il dettaglio della distribuzione dei 62 seggi proporzionali per lista, oltre alle 5 liste di Musumeci, trovano posto a Sala d’Ercole anche il M5S (20 seggi, compreso quello a Cancelleri in quanto candidato Presidente arrivato secondo), Il Pd (11), Sicilia Futura (2) e la lista Cento Passi (1). Alla fine, contro tuti i pronostici che prevedevano un Parlamento ingovernabile, l’unione della coalizione del centrodestra ha prodotto una maggioranza. Un antipasto di ciò che attende l’intero paese nel 2018?

    Riferimenti bibliografici

    Cox, G. W. (1997). Making votes count: strategic coordination in the world’s electoral systems. Cambridge University Press.

    Emanuele, V. (2013). ‘Regionali 2012 in Sicilia: come funziona il sistema elettorale’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Dossier CISE (3), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 39-41.

    Hirschman, A. O. (1970). Exit, voice, and loyalty: Responses to decline in firms, organizations, and states. Harvard University Press.

  • Sicilia, l’astensione è ancora maggioranza. La mappa per comune

    Sicilia, l’astensione è ancora maggioranza. La mappa per comune

    In attesa di conoscere i risultati definitivi di liste e candidati, il primo dato che emerge dal voto in Sicilia di domenica è relativo alla partecipazione elettorale. La Sicilia si conferma ‘l’Isola degli astenuti’ (Emanuele 2013a). Come già 5 anni fa, la maggioranza assoluta degli aventi diritto al voto è rimasta a casa. Hanno votato 2.179.295, corrispondenti al 46,75% del corpo elettorale. C’è dunque stata un’ulteriore, seppur lieve, flessione rispetto al 2012, quando i votanti furono il 47,41%. All’epoca si trattò di un tracollo rispetto al 66,7% delle regionali 2008, quando però si votò in contemporanea con le elezioni politiche. Adesso si è trattato di un assestamento, che però conferma un dato ormai strutturale. In elezioni di ‘secondo ordine’ (Reif and Schmitt 1980) la maggioranza dei siciliani non vota più. Il dato di domenica si aggiunge infatti, oltre che alle regionali del 2012, anche alle europee del 2014, quando l’affluenza si fermò al 42,88%. Un gap assai pronunciato rispetto invece alle elezioni politiche del 2013 quando la partecipazione fu del 64,46%.

    Eppure, osservando attentamente i dati scopriamo che la distanza fra elezioni di primo e di secondo ordine in Sicilia è parzialmente gonfiata per via del diverso corpo elettorale di riferimento. Alle elezioni regionali (come anche alle europee), infatti, le liste elettorali della regione comprendono circa 500.000 elettori residenti all’estero che alle politiche votano nella circoscrizione estero, ma alle regionali dovrebbero tornare nel proprio comune di nascita per votare. Escludendoli la partecipazione salirebbe sopra il 52%.

    La Figura 1 riporta il dettaglio della partecipazione per comune. L’affluenza è stata superiore nella parte orientale dell’Isola, e in particolare è stata più alta nelle province di Catania e Messina (rispettivamente 51,6% e 51,7%), le uniche dove i votanti hanno superato gli astenuti. Al contrario, Enna, Agrigento e Caltanissetta si sono fermate sotto il 40%.

    Figura 1 Regionali in Sicilia 2017: mappa dell’affluenza per comune

    Sicilia Affluenza 2017

     

    In termini comparati, rispetto al 2012 notiamo una notevole stabilità della partecipazione. Complessivamente domenica hanno votato 24.130 elettori in meno rispetto a 5 anni fa. L’affluenza è cresciuta nelle 3 province maggiori, Catania, Messina (+0,5 punti) e Palermo (+0,1). Il calo più pronunciato si è registrato invece a Enna (-4 punti). Si nota inoltre un tendenziale rafforzamento del legame tra dimensione demografica dei comuni e partecipazione al voto. Nel 2012 l’affluenza rimaneva piuttosto stabile fra le varie categorie di dimensione demografica per poi scendere leggermente nelle città con oltre 100.000 abitanti, che in Sicilia sono solo 4: Siracusa, Messina, Catania e Palermo. Oggi invece sembra emergere un’associazione positiva fra grandezza del comune e voto. L’affluenza media nei comuni compresi fra 0 e 5.000 abitanti è stata del 45,8%, del 47,5% nelle due categorie successive (ossia quelle comprese fra 5001 e 15.000 e fra 15001 e 50.000 abitanti), del 48% nei medi centri urbani (50.001-100.000) e infine del 48,9% nelle città con oltre 100.000 abitanti. Qui, in particolare, notiamo una crescita di partecipazione nelle 3 maggiori città, con due punti di affluenza in più a Catania e a Messina e 1,7 punti in più a Palermo. In termini assoluti parliamo di una crescita di circa 11.900 votanti. Se consideriamo il calo di 24.130 votanti registrato in tutta l’Isola, significa che escludendo le tre maggiori città, nel resto della Sicilia i votanti sono scesi di circa 36.000 unità, ossia di circa un punto percentuale.

    Questa lieve urbanizzazione della partecipazione al voto sarà stata in qualche modo favorita dal grande risultato del Movimento 5 Stelle che pare aver raddoppiato i voti rispetto a 5 anni fa? In attesa di conoscere nel dettaglio i flussi elettorali, possiamo infatti anticipare che nel 2012 l’elettorato pentastellato era emerso come il più ‘urban-oriented’ dell’Isola (Emanuele 2013b; vedi anche qui) e il boom di Cancelleri e della sua lista potrebbe aver giocato un grosso ruolo nell’evitare un ulteriore crollo della partecipazione.

    Riferimenti bibliografici

    Reif, K., e Schmitt, H. (1980). ‘Nine second‐order national elections–a conceptual framework for the analysis of European Election results’. European journal of political research8(1), 3-44.

    Emanuele, V. (2013a). ‘Regionali in Sicilia, Crocetta vince nell’Isola degli astenuti. Boom del Movimento 5 Stelle’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Dossier CISE (3), pp. 55-58.

    Emanuele, V. (2013b). ‘Regionali in Sicilia, la geografia del voto: Grillo sfonda nelle città’, in De Sio, L. e Emanuele, V. (a cura di), Un anno di elezioni verso le Politiche 2013, Dossier CISE (3), pp. 59-62.

  • Trasformismo e adeguamento strategico: l’offerta politica in Sicilia

    Trasformismo e adeguamento strategico: l’offerta politica in Sicilia

    A meno d’un mese dall’appuntamento del 5 novembre, si delinea – quasi del tutto – l’offerta politica in Sicilia: 900 aspiranti deputati regionali concorrono per 70 seggi a Palazzo dei Normanni. 15 liste supportano 8 candidati alla presidenza: Musumeci, Cancelleri, Micari, Fava, l’outsider La Rosa e gli attualmente esclusi Busalacchi, Lo Iacono e Reale.
    Recenti sondaggi accreditano quale favorito il centrodestra. Con l’eccezione di Alternativa Popolare, la coalizione di Musumeci coincide appieno col blocco rappresentativo dell’intera area politica. Non accadeva dal 2008. Complice un disastroso effetto incumbency ai danni del governo uscente di centrosinistra, le liste al fianco dell’ex presidente della Provincia di Catania brulicano di Lords of Preferences (Emanuele e Marino 2016), ossia di candidati che nelle regionali del 2012 sono stati in grado di raccogliere almeno l’1% dei voti validi nella circoscrizione d’appartenenza. Il peso delle preferenze raccolte nel 2012 dai Lords compattatisi oggi con Musumeci ammonta al 39,4% già solo nel collegio di Palermo, dove si forma un quarto dell’assemblea regionale (16 componenti su 70).
    La Tabella 1 presenta il quadro dell’offerta, ancora sub iudice a causa dell’inammissibilità, dichiarata dall’Ufficio elettorale centrale, dei listini regionali di Busalacchi, Loiacono e Reale, nonché dell’esclusione della lista Micari Presidente a Messina. Un depennamento tanto eclatante quanto il capofila che nel territorio peloritano l’avrebbe trainata: Rosario Crocetta, presidente della Regione uscente.

    Tab. 1 – Offerta elettorale, Sicilia 2017

    offerta sicilia 2017*A data odierna, 14/10/2017, si tratta di candidature giudicate inammissibili e dunque escluse dalla competizione elettorale.

    Giancarlo Cancelleri resta in Sicilia l’unico esponente autenticamente riconoscibile del M5s. Uno studio di Demopolis attesta la notorietà del candidato pentastellato al 68%, con un incremento del 10% dallo scorso mese. Eppure, irta appare la strada che condurrebbe l’ex geometra a Palazzo d’Orléans. Nelle elezioni regionali siciliane le variabili culturali giocano un ruolo maggiore di quelle politiche. Inoltre, l’esigua affluenza – secondo gli ultimi sondaggi, pronosticata al 44% – rinvigorirebbe il voto strutturato, alimentato da “quell’elettorato che coltiva un rapporto organico con i partiti e con i suoi esponenti, e che il più delle volte ha precisi interessi in gioco” (D’Amico 1991).
    Spera, l’entourage di Cancelleri, in una significativa mobilitazione dei cittadini altrimenti astenuti, confidando nel 56,7% che nell’Isola si recò alle urne in occasione dell’ultimo referendum costituzionale. Al M5s gioverebbe una partecipazione vicina al 50%, superiore quindi di cinque punti rispetto a quell’attesa. Equivarrebbero a più di 200.000 elettori. Curioso come durante la passata consultazione l’astensione penalizzasse invece oltremodo il centrodestra. All’epoca, defezionarono l’appuntamento oltre due terzi tra i sostenitori del Pdl di Palermo e Catania, nonché il 45% di quelli di Messina (Cataldi e Paparo 2012).
    La schiera di Musumeci predomina anche numericamente, monopolizzando un terzo dell’offerta in campo: un esercito di 350 candidati raccolti in 5 liste, obbligate a fronteggiarsi con la soglia di sbarramento al 5%, incentivo ad accorpamenti e ostacolo alla frammentazione (D’Agata, Gozzo, Tomaselli 2007). Al contrario del Tatarellum, nessun dispositivo della legge n.7/2005 agevola le liste coalizzate, motivo che ha spinto al congiungimento Noi con Salvini e Fratelli d’Italia, main sponsor del candidato presidente, e l’inaspettata coppia Saverio Romano-Raffaele Lombardo in Popolari e Autonomisti, formazione in sostegno dell’ex rettore di Palermo Roberto Lagalla, assessore designato nella giunta di Musumeci in caso di vittoria. Pone un argine, il limite d’accesso all’Ars, al bailamme di una competizione eccessivamente localizzata, così tale da quando fu abolito nel 1951 il collegio unico regionale.
    Dello stesso tenore le scelte prese tanto nel campo progressista, col Megafono di Crocetta unito ad Arcipelago Sicilia di Leoluca Orlando sotto la sigla Micari Presidente, quanto da Claudio Fava e la sua Cento passi per la Sicilia. La sinistra radicale scongiura l’errore commesso nel 2012, quando il cartello di Giovanna Marano raggiunse il 6,6% restando però fuori dal parlamento regionale, dazio per aver presentato due liste entrambe oscillanti attorno al 3%. Qui si staglia una novità: nell’Isola, le forze politiche del 2017 tentano un miglior adeguamento strategico alle regole elettorali, con l’intento di non “sprecare” consenso. Non sorprende che i candidati alla presidenza diminuiscano da 10 a 8 mentre le liste da 20 a 15 rispetto al 2012 (con la seria possibilità, s’è scritto, che scendano rispettivamente a 5 e 12). Come mostra la Figura 1, l’adeguamento strategico agli incentivi offerti dalla legge elettorale porta il numero di liste e candidati in una posizione intermedia fra l’estrema frammentazione di 5 anni fa e il formato raccolto degli anni immediatamente successivi all’approvazione della legge elettorale (2006-2008): all’epoca, in una cornice ancora bipolare, le liste erano 12 e i candidati Presidente rispettivamente 3 e 5.

    Fig. 1 – La frammentazione dell’offerta politica in Sicilia, 2001-2017

    sicilia 2017 frammentazione offerta

    Ciò nonostante la disproporzionalità – calcolabile tramite l’indice di Gallagher (1991) – non si correla direttamente alla quantità dell’offerta (vedi Tabella 2). Serva ad esempio il 2008: 5 candidati a Palazzo d’Orléans appoggiati da 12 liste non impedirono che il dato (11,4) battesse quello dell’affollata consultazione del 2012 (7,6). Neanche un attento adeguamento strategico postula il superamento della soglia del 5%, assurgendo esclusivamente a condizione necessaria ma non sufficiente.

    Tab. 2 – Disproporzionalità nelle elezioni regionali siciliane (2001-2012)

    sicilia 2017 disproporzionalità 2001-2012
    *Nel 2001 si votò per l’unica volta in Sicilia con il Tatarellum, che prevedeva l’assegnazione di seggi anche a liste con meno del 3% qualora collegate a una coalizione con più del 5%. Con la legge n.7/2005, dal 2006 venne adottato l’attuale sistema elettorale.

    Perdurano, gli interrogativi riguardanti le consultazioni siciliane, ma le risposte iniziano pian piano a giungere. Gli scampoli finali del testa a testa Musumeci-Cancelleri s’animeranno degli endorsements dei rispettivi leader nazionali, in procinto di venire nell’Isola. Rimane apparentemente distaccato, stando ai sondaggi, Fabrizio Micari, il rettore che con la sua ‘sfida gentile’ tenta di guarire il centrosinistra siciliano da una cronica aplasia politico-organizzativa. Le 4 liste, forti di 280 candidati che corrono in suo sostegno potrebbero aiutarlo a scongiurare il rischio di una débacle storica per il centrosinistra, ma allo stesso tempo la percezione di non essere competitivo per la vittoria potrebbe scoraggiare il ‘voto utile’ e favorire la libera uscita di parte del suo elettorato verso Fava e la sinistra radicale.
    A ormai 3 settimane dal voto l’esito delle elezioni sembra dipendere in gran parte da un unico fattore: l’affluenza. Se questa si confermerà bassa come nel 2012, o in ulteriore calo, come sembrano documentare i sondaggi in questa settimane, la strada di Musumeci verso Palazzo d’Orleans sarà spianata. Con i suoi 350 candidati contro gli appena 70 (e per di più, sostanzialmente sconosciuti) a disposizione di Cancelleri, il traino del voto di preferenza sarà decisivo. Il voto personale ai Signori delle preferenze appare oggi l’ultimo ancoraggio ‘democratico’ che lega gli elettori siciliani (e non solo) ai meccanismi della democrazia rappresentativa, in un contesto nel quale i partiti si riducono a vuoti contenitori di candidati, privi di legittimazione popolare e politicamente indistinguibili. Un’alta affluenza – ad oggi difficilmente pronosticabile – invece, ridimensionerebbe il peso del voto personale, facendo rientrare nel circuito elettorale tanti cittadini che da tempo in Sicilia hanno preferito, per dirla con Hirschman (1970), l’exit alla voice, rimettendo quindi il risultato in discussione. In questo contesto un ruolo importante sarà giocato dagli attori politici nazionali: le elezioni siciliane saranno trasformate in una contesa nazionale, ossia interpretate come un crocevia decisivo sulla strada che porta alle elezioni politiche del 2018? O viceversa saranno ridimensionate a contesa locale priva riflessi sul piano nazionale?

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi M., Paparo A., “I flussi elettorali in Sicilia: il Pdl diserta le urne e Grillo pesca dal centrosinistra”, in “Un anno di elezioni verso le politiche 2013”, Dossier CISE N.3, pagine 67-74.

    D’Agata R., Gozzo S., Tomaselli V., “Le elezioni regionali del 2006 in Sicilia: un’analisi territoriale della partecipazione e del voto alla luce delle primarie del centrosinistra”, in “Quaderni dell’osservatorio elettorale”, numero 58, 2007, pagine 43-74.

    D’Amico R., “La ‘cultura elettorale’ dei siciliani”, in Morisi M. (a cura di), “Far politica in Sicilia. Deferenza, consenso e protesta”, Feltrinelli, 1993, pagine 211-257.

    Emanuele V., Marino B:, “Follow the candidates, not the parties? Personal vote in a regional de-istituzionalized party system”, in “Regional and Federal Studies”, 2016, pagine 531-554.

    Gallagher, M., “Proportionality, Disproportionality and Electoral Systems”, in “Electoral Studies”, 2016, vol. 10, pagine 33-51.

    Hirschman, A., “Exit, Voice and Loyalty: Responses to Decline in Firms, Organizations and States”, 1970, Cambridge, Mass., Harvard University Press.

    Istituto Demopolis, “Elezioni Regionali in Sicilia: indagine Demopolis a un mese dal voto”, https://www.demopolis.it/?p=4462, 2017.