Tra pochi giorni gli elettori di 34 comuni siciliani saranno chiamati alle urne per rinnovare il consiglio comunale e il sindaco. Si tratta, evidentemente, di un appuntamento numericamente molto ridotto, che tuttavia rappresenta l’ultimo voto prima delle cruciali elezioni europee del prossimo 26 maggio. Costituisce quindi l’ultima occasione per misurare lo stato di salute elettorale di partiti e coalizioni sulla base di veri voti nelle urne, seppur espressione di scelte sul piano locale, senza doversi quindi affidare ai sondaggi.
Inoltre, quelle siciliane anticipano la tornata ordinaria di elezioni comunali, che si terranno in contemporanea con le prossime, imminenti europee[1]. In questo senso, questo piccolo campione di comuni offre una prima occasione per ottenere interessanti indicazioni circa alcuni interrogativi di ricerca particolarmente rilevanti nell’attuale congiuntura della vita politica del paese, che potremo poi indagare compiutamente all’indomani del 26 maggio.
Prima di tutto, in merito alle scelte strategiche nei due poli. Cosa faranno Forza Italia e Lega nel centrodestra? Correranno da sole o insieme? E nel centrosinistra, riuscirà il PD del nuovo segretario Zingaretti a formare coalizioni larghe che non soffrano di concorrenti sulla propria sinistra? E poi, con riferimento ai risultati, i temi cruciali saranno capacità di tenuta del centrosinistra nei confronti del centrodestra, considerando le molti amministrazioni uscenti che dovrà difendere; e la possibile rielezione di sindaci uscenti del M5S, un evento che ancora non si è mai verificato nonostante le occasioni negli ultimi anni abbiano cominciato ad accumularsi (Paparo 2018a).
Naturalmente, per avere delle risposte, per quanto preliminari e parziali, a questi ultimi interrogativi, occorrerà attendere ancora qualche giorno, quando avremo i risultati. Tuttavia, già ora è possibile osservare il quadro dell’offerta elettorale in campo nelle elezioni comunali siciliane, e analizzare quindi le scelte strategiche degli attori all’interno delle due coalizioni. Ci concentriamo, come sempre, sui comuni superiori ai 15.000 abitanti che andranno alle urne. In questa tornata di comunali in Sicilia sono sette: in ordine decrescente di popolazione, Gela, Caltanissetta, Bagheria, Mazara del Vallo, Monreale, Castelvetrano e Aci Castello.
Innanzitutto, occorre sottolineare come FI, FDI e Lega non corrano mai assieme con i tre simboli a sostegno dello stesso candidato: a Bagheria FDI non partecipa al voto, mentre a Gela è Forza Italia a non essere presente sulla scheda, divisa com’è fra il sostegno al candidato del resto del centrodestra e uno con una coalizione interamente civica in cui sono confluiti anche pezzi di ceto politico di centrosinistra. Ma aldilà di questi casi di mancata completezza del formato coalizionale per assenza di uno dei simboli, occorre evidenziare i numerosi casi in cui vi sono almeno due candidati sostenuti da almeno uno dei tre partiti del centrodestra nazionale. In particolare, nella maggioranza dei casi, la Lega ha presentato candidati autonomi, non sostenuti né fa FDI né da FI, che tre volte sfidano il candidato sostenuto invece dal partito di Berlusconi, quando non quello di entrambi gli altri partiti del centrodestra (Caltanissetta). Vi sono poi casi in cui il l’area del centrodestra siciliano, comprensiva di Diventerà Bellissima, sostiene tre candidati diversi (Monreale, Mazara del Vallo).
Quanto al centrosinistra, il quadro appare non meno frammentato. Innanzitutto, il perno della coalizione, il PD, è in corsa solo in due comuni su sette, e solo a Castelvetrano (non a caso tappa di campagna elettorale per Zingaretti) con il proprio simbolo ufficiale. Nella maggioranza dei casi, il PD locale è diviso a causa di lotte interne fra diversi gruppi, nessuno dei quali in grado di appropriarsi del simbolo del partito, e che quindi animano liste civiche. Queste liste, nei diversi comuni, sostengono candidati in coalizioni con altre liste civiche espressione di notabili con storie politiche anche molto diverse (dal centro di area UDC, al centrodestra berlusconiano, fino pure alla destra vera e propria). Occorre tuttavia ricordare come la Sicilia sia un caso sui generis per il PD. Innanzitutto, si tratta di un contesto in cui la frattura fra renziani e non pare ancora non ricomposta, con il partito regionale ancora guidato da Faraone (riconfermato per mancanza di candidati alternativi lo scorso dicembre), uomo molto vicino all’ex segretario che tuttavia non è riuscito a contenere la vittoria di Zingaretti alle primarie, e pare oggi incapace di tenere unito il partito. Inoltre, in Sicilia, le divisioni fra fazioni nazionali si intrecciano con la politica di alleanze da mettere in campo sul piano locale, che nell’isola avevano già sperimentato un’apertura verso il centro(-destra) all’indomani della vittoria di Crocetta alle regionali quando questi doveva cercare una maggioranza che lo sostenesse all’ARS – ancor prima quindi della segreteria di Renzi e del patto del Nazareno.
In ogni caso, il quadro che emerge da queste comunali in Sicilia non è per nulla rassicurante per la coalizione progressista in vista delle prossime elezioni comunali, che coinvolgeranno oltre 200 comuni superiori, e la maggioranza di quelli della Zona Rossa. Si tratterà di un test decisivo per la tenuta del vantaggio competitivo del centrosinistra nelle sue regioni di tradizionale radicamento (Paparo 2018b) – parlare di egemonia già oggi è fuori luogo. Ma anche di un possibile volano per le elezioni europee, qualora le campagne elettorali per i candidati sindaci e consiglieri fossero in grado di rimobilitare elettori delusi. Infatti, le comunali 2019 costituiscono la tornata ordinaria di comunali, o per lo meno ciò che ne resta. In totale, quasi il 50% dei comuni italiani sarà chiamato al voto per rinnovare i propri organi di governo locale. Ecco quindi che “ripartire dai territori”, considerando anche la tradizione di buoni amministratori e radicamento territoriale su cui il centrosinistra può ancora contare, potrebbe rappresentare una strategia di successo per le elezioni europee [2]. Al momento, però, la Sicilia ci dice che la nuova leadership di Zingaretti non sembra essere ancora riuscita a riformare uno spirito unitario nel campo progressista, che di questa possibile mobilitazione sul piano locale dovrebbe essere il primo motore.
Naturalmente, si tratta di una manciata appena di casi, molto periferici e peculiari in quanto ad assetti del sistema dei partiti (Riggio 2018a). Tuttavia, in attesa della presentazione delle liste per le elezioni comunali nelle altre regioni, le indicazioni che vengono dall’offerta nelle imminenti comunali siciliane sono le uniche che si possono trarre circa la capacità di tenuta delle coalizioni sul piano locale. Da questo punto di vista, quindi, non possiamo che segnalare le grandi difficoltà del centrosinistra e del centrodestra di presentarsi compatti nei diversi contesti locali. Se per il centrosinistra, come detto, in Sicilia le fratture dovute alla polarizzazione intercorsa attorno alla leadership di Renzi sono state più marcate che altrove, e quindi è possibile che siano meno divisive in altri contesti, per il centrodestra si potrebbe quasi dire il contrario. Il fatto che la Lega presenti propri candidati non in via eccezionale ma in maniera piuttosto diffusa nella meridionalissima Sicilia lascia intravedere possibili scenari foschi per l’unità della coalizione nel resto del paese.
Inoltre, non del tutto sorprendentemente, è possibile già oggi fornire una risposta a un altro degli interrogativi di ricerca elencati poc’anzi. Infatti, non occorre attendere i risultati elettorali per conoscere la sorte dei due sindaci uscenti del M5S. Possiamo dire fin d’ora che nessuno dei due conquisterà la palma di primo sindaco del Movimento rieletto sotto le insegne del partito di Di Maio. Infatti, sia Domenico Messinese a Gela che Patrizio Cinque a Bagheria si ritirano dopo un solo mandato elettivo (senza quindi esservi obbligati dalle norme del Movimento). Il M5S è in corsa in entrambi i casi (come peraltro in tutti e sette i comuni), ma con un nuovo candidato.
Più in generale, sui sette comuni superiori al voto, solo a Monreale il sindaco uscente Capizzi è nuovamente in corsa per un nuovo mandato, mentre sei si presentano come “corse aperte”, senza la figura del sindaco incumbent. Inoltre, ulteriore conferma della straordinaria fluidità dei sistemi di partito in questi comuni, l’unico uscente che si ricandida cinque anni or sono era stato eletto con a sostegno una coalizione formata dal PD e due liste civiche, mentre stavolta è appoggiato solo da due liste civiche (una nuova e una già presente nella sua coalizione nel 2014), mentre il PD locale si è diviso fra lui e altri due candidati.
Come detto, quello di Monreale non è un caso isolato. In totale, su sette comuni, ci sono ben cinque i candidati sostenuti da coalizioni interamente civiche all’interno delle quali si nascondono pezzi di ceto politico locale piuttosto trasversali per estrazione e storia politica: quasi uno a comune, quindi. Si tratta peraltro di un fenomeno non nuovo, che anzi negli ultimi anni ha più preso via via sempre più piede, in particolar modo in Sicilia ma non solo (Riggio 2018b).
Riassumendo, il quadro che emerge guardando l’offerta elettorale per le imminenti comunali in Sicilia è quello di un generalizzato sfarinamento del sistema partitico, con i due ex pivot delle grandi coalizioni della Seconda Repubblica che fanno fatica a formare coalizioni unitarie e addirittura, specie il PD, a presentare i propri simboli, divisi spesso fra due o più rivoli nei diversi comuni. Al contrario, i due protagonisti del governo Conte sono quasi sempre in campo, e sarà quindi interessante indagare con quale successo. Come accennato, il M5S difende due amministrazioni, un risultato che dovrà almeno ripetere per potere cantare vittoria, mentre per la Lega la Sicilia è sostanzialmente una terra vergine. Era praticamente assente alle comunali precedenti, e in questi sette comuni alle politiche aveva raccolto il 6% dei voti. A un mese dal fatidico voto delle europee, queste elezioni in Sicilia rappresentano un utile banco di prova per misurare l’avanzata del partito di Salvini nella regione più meridionale del paese, quella che (Campania a parte) ancora alle recenti elezioni politiche del 4 marzo 2018 le aveva regalato il risultato più magro.
Riferimenti bibliografici
Paparo, A. (2018a),’Le fatiche del M5S nei comuni: l’avanzata che non arriva e i sindaci che se ne vanno’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 227-234.
Paparo, A. (2018b),’Conclusioni: verso una nuova geografia elettorale nei comuni?’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 279-283.
Paparo, A. e M. Cataldi (2014), ‘Fi si salva alle Europee anche grazie alla concomitanza con le comunali’, in De Sio, L., Emanuele, V., e Maggini, N. (a cura di) Le Elezioni Europee 2014, CISE, Dossier CISE(6), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 159-163.
Riggio, A. (2018a), ‘Comunali in Sicilia: una legge elettorale sui generis regola un’offerta rinnovata’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 39-47.
Riggio, A. (2018b), ‘Crisi dei partiti in Sicilia: m5S e Lega sconfitti, arretrano anche PD e Forza Italia’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 97-106.
[1] L’unica ulteriore eccezione, oltre la Sicilia, è la Sardegna, in cui il primo turno delle elezioni comunali si terrà il prossimo 16 giugno.
[2] Non si tratta, peraltro, di un caso di scuola. Cinque anni fa, osservammo che Forza Italia (un partito in crisi di consensi e identità proprio come il PD di oggi), ottenne performance relativamente migliori nella metà scarsa dei comuni in cui si votava anche per le comunali rispetto a quelli chiamati al voto solo per le europee (Paparo e Cataldi 2014).