Al termine di una delle tornate elettorali più importanti della XVIII legislatura, il bilancio sull’affluenza al voto per le elezioni comunali del 3-4 ottobre è marcatamente negativo. Il dato finale a livello nazionale ci dice che hanno votato in tutto il 54,69% degli aventi diritto: un vistoso calo di quasi sette punti percentuali nei confronti delle precedenti amministrative (61,58%), le quali a loro volta segnavano un peggioramento rispetto al passato (Emanuele e Maggini 2016). Scontato dire come si registri anche un deciso abbassamento della partecipazione elettorale se paragonato alle politiche del 2018, nei confronti delle quali si perde in proporzione oltre il 18% degli aventi diritto al voto. Complessivamente, si tratta di un esito forse non sorprendente da un punto di vista sostanziale: sia in confronto alle ultime politiche, vista la natura di “secondo ordine” delle elezioni comunali (Reif e Schmitt 1980); sia nel paragone con le precedenti amministrative, dati per esempio gli ampiamente pronosticati successi al primo turno in tre delle cinque maggiori città italiane (con Milano, Napoli e Bologna al centrosinistra).
Ciononostante, è interessante rilevare come un’analisi più dettagliata dell’affluenza alle comunali 2021 riveli la generalità dell’aumento dell’astensione: e da un punto di vista geografico, e per quanto riguarda le caratteristiche dei comuni al voto. La tabella 1 mostra i dati sull’astensione nelle varie zone del paese: Nord (Liguria, Lombardia, Piemonte e Veneto), la cosiddetta “Zona Rossa” (Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria) e Sud (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Lazio, Molise e Puglia).[1] Come evidente, in tutte e tre queste aree si registra un calo di oltre il 5% rispetto all’affluenza delle precedenti tornate comunali (-5,19% al Nord, -5,08% nella Zona Rossa e -5,07% al Sud), mentre ovunque questo decremento è ben più corposo in confronto alle politiche del 2018 (-23,91% al Nord, -20,41% nella Zona Rossa e -13,59% al Sud). Ma non solo: ancora una volta, la palma per la minore partecipazione va al Nord, che si conferma la zona storicamente con il minor interesse per questo tipo di consultazioni. Mentre da un lato questo dato è in controtendenza con le politiche del 2018, dove l’apporto del Nord all’affluenza è stato paragonabile a quello della Zona Rossa (ovvero l’area sempre relativamente più attiva), dall’altro la relativamente maggior partecipazione al Sud è in consonanza con le fondamentali dinamiche localistiche incentrate sui cosiddetti “signori delle preferenze”, che anche in quest’occasione parrebbero confermate (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016).
La tabella 2 si concentra invece sui cosiddetti comuni superiori, ovvero quelli da oltre 15000 abitanti.[2] Questi vengono analizzati anche dalle angolature dei capoluoghi di provincia e di quegli enti in cui il sindaco uscente si ripresenta alle elezioni. Complessivamente, il dato dei comuni superiori (51,94%) è leggermente più basso rispetto all’affluenza media nazionale (-2,75%). Al suo interno, particolarmente significativa è la distinzione fra gli enti al voto in base al loro status o meno di capoluogo di provincia. Infatti, è evidente come l’affluenza sia stata sensibilmente minore nei capoluoghi (49,39%), sia rispetto al dato nazionale (-5,3%) che soprattutto rispetto al voto nei comuni non capoluogo (58,80%, quasi 10 punti percentuali in più e ben sopra la media nazionale), confermando una tendenza già osservata nella precedente tornata amministrativa (Emanuele e Maggini 2016). Come analizzato in seguito, questa situazione sarà peraltro riscontrata anche nelle grandi città al voto, nelle quali i rispettivi elettorati hanno risposto freddamente alla chiamata alle urne. In ogni caso, il generalizzato e significativo calo della partecipazione elettorale è stato fatto segnare sia dai capoluoghi di provincia (-8,18% rispetto alle precedenti comunali e -22,73% rispetto alle politiche del 2018), sia pur in misura minore dai comuni non capoluogo (rispettivamente -6,01% e -14%).
Infine, i dati mostrano anche l’importante portata dell'”effetto incumbent”. Nei comuni superiori in cui il sindaco uscente si è ripresentato alle elezioni, il dato sulla partecipazione (59,99%) è stato ampiamente al di sopra della media nazionale (+5,3%), mentre invece la mancanza dell’incumbent è equivalsa a una partecipazione ben più ridotta (51,43%, -3,26% rispetto alla media nazionale). Inoltre, mentre è vero che il crollo dell’affluenza coinvolge tutti i comuni superiori a prescindere dalla presenza del sindaco uscente o meno tra i candidati, gli enti in cui si ripresenta l’incumbent sono gli unici a reggere relativamente nel confronto con le precedenti comunali, perdendo in proporzione meno del 3% (-2,79%). È interessante notare come l’effetto incumbent sia allo stesso tempo positivo in tutto il Paese e differenziato da un punto di vista territoriale, coerentemente con il quadro fornitoci fin qui dai dati. Infatti, se la presenza del sindaco uscente è meno sentita al Nord (53,84%: -0,85% rispetto alla media nazionale), questa va comunque a migliorare il dato sull’affluenza in questa zona di quasi due punti percentuali (+1.89%). Ancor più, nella Zona Rossa (60,30%) e soprattutto al Sud (65,29%) gli incumbent fanno segnare un dato ampiamente al di sopra della media nazionale (rispettivamente, +5,61 e +10,6%). Quindi, di nuovo, è possibile parlare di un vero e proprio “effetto incumbent” soprattutto in quelle aree in cui le dinamiche personalistiche e locali possono mobilitare l’elettorato in modo più forte e quindi il voto è più candidate-oriented (Fabrizio e Feltrin 2007; Emanuele e Marino 2016).
In ultimo, la tabella 3 mostra i dati sull’affluenza relativi alle cinque più grandi città al voto nella tornata di ottobre 2021: Roma, Milano, Napoli, Torino e Bologna. Si tratta, infatti, di cinque fondamentali capoluoghi di regione e di una gran parte dei principali centri politici ed economici del Paese, ripartiti in maniera piuttosto bilanciata tra le varie zone d’Italia (2 Nord, 1 Zona Rossa, 2 Sud). Di conseguenza, sulla carta le amministrative in queste città rappresentavano un importante test nazionale per i partiti, a pochi mesi dall’elezione del Presidente della Repubblica e dalle prossime politiche. Eppure, gli elettori non hanno risposto in maniera ricettiva. Il dato clamoroso è che solo Bologna, infatti, è stata superata la soglia del 50% dell’affluenza (51,16%), mentre meno di un avente diritto al voto su due si è recato alle urne in tutte le altre città. Inoltre, il dato più basso di sempre al primo turno (Napoli, 47,19%) è stato registrato al Sud che, come visto, solitamente presenta al contrario un livello di partecipazione relativamente più alto a questo tipo di tornate elettorali; presumibilmente grazie alle sopracitate dinamiche, difficilmente riproducibili nel contesto di una grande città. Tutti e cinque questi comuni hanno fatto segnare un calo nella partecipazione rispetto alle precedenti comunali (nonché, in linea con tutte le altre analisi, un ben più vistoso crollo nei confronti delle politiche del 2018, come dalla tabella 3). Questo dato rinforza il trend affermatosi già nella precedente tornata amministrativa (Emanuele e Maggini 2016), andando infatti a inglobare anche l’unico outlier, ovvero quella Roma che al tempo risentì del boom del Movimento 5 Stelle a supporto di Virginia Raggi (Carrieri 2016). L’affluenza nella Capitale è stata infatti del 48,83%, con una variazione del -8,2% rispetto al 2016. L’emorragia più vistosa è stata registrata a Torino (48,06% contro 57,18%, ovvero -9,12%), con la stessa Bologna a perdere il -8,5% dell’affluenza e Milano (47,69%) a segnare un altro dato storico, ovvero la minore partecipazione mai registratasi in città. I numeri dei grandi centri ci permettono di chiudere con considerazioni di più ampio respiro. Infatti, in generale il crollo dell’affluenza sembra non risentire affatto né dell’equilibrio o meno della competizione elettorale, riguardando sia situazioni molto combattute e sentite come Roma, sia corse dall’esito più prevedibile come per esempio quella bolognese; né tantomeno delle diverse aree del Paese, affliggendo (in misure e modi diversi, come visto qui nel dettaglio) l’Italia da Nord a Sud. All’indomani del voto, pur non avendo un quadro completo di tutti i risultati e in attesa dei secondi turni, è quindi già possibile decretare un grande vincitore, se non il vincitore, di questa tornata di elezioni comunali del 2021: l’astensione.
[1] L’analisi non include eventuali regioni e province a statuto speciale al voto: in questo caso, il Friuli.
[2] I comuni superiori analizzati sono 114 e non includono i 4 comuni friulani al voto (Trieste, Pordenone, Cordenons e San Vito al Tagliamento) e Lamezia Terme (CZ), dove si è votato soltanto in quattro sezioni a seguito della decisione del Consiglio di Stato.
Riferimenti bibiografici
Carrieri, L. (2016). ‘Roma cambia colore: l’avanzata del M5S e la trincea del PD’ in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.79-86.
Emanuele, V., & Maggini, N. (2016). ‘Calo dell’affuenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in Cosa succede in città? Le elezioni comunali del 2016, V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Dossier CISE, pp.49-56.
Emanuele, V., & Marino, B. (2016). ‘Follow the candidates, Not the parties? Personal vote in a regional de-institutionalized party system’. Regional & Federal Studies, 26(4), 531-554.
Fabrizio, D., & Feltrin, P. (2007). ‘L’uso del voto di preferenza: una crescita continua’, in Riforme istituzionali e rappresentanza politica nelle regioni italiane, A. Chiaramonte e G. Tarli Barbieri (a cura di), Bologna: Il Mulino, pp. 175-199.
Reif, K., & Schmitt, H. (1980). ‘Nine second-order national elections – A conceptual framework for the analysis of european election results’. European Journal of Political Research, 8(1), pp. 3-44.