Ballottaggi: L’affluenza in calo di 20 punti ha ribaltato i risultati

di Roberto D’Alimonte

Alla fine possono essere tutti contenti o tutti scontenti. Chi più, chi meno. Motivi di soddisfazione e motivi di rammarico si sono equamente distribuiti. Le amministrative rappresentano una sfida difficile e imprevedibile. Soprattutto quando si decidono al ballottaggio. Fattori locali e clima nazionale si mescolano in maniera spesso indecifrabile. E poi, sopra tutto, pesa l’affluenza che nei 18 capoluoghi in cui si è votato domenica è calata mediamente di 20 punti percentuali. Non tutti tornano a votare a distanza di due settimane dal primo turno. Chi per indifferenza, chi per convinzione che la partita sia già chiusa, chi per l’assenza dei candidati sindaco preferiti, chi per la mancanza dei candidati di lista che sono presenti al primo turno ma non al secondo. E così l’elezione può diventare in certi casi una sorta di roulette. E’ capitato anche questa volta.

Per il Pd queste elezioni sono state tutto sommato un successo, ma non travolgente. Ha vinto e ha perso. In questa consultazione il fattore Renzi non ha giocato o ha giocato poco. Pd e alleati hanno vinto in 19 capoluoghi su 27. Otto al primo turno e 11 al secondo. Cinque anni fa erano stati 15. Ma hanno perso male a Livorno, a Potenza e a Perugia, roccaforti del centro-sinistra, oltre che a Padova, Urbino e Foggia dove avevano vinto 5 anni fa. Le sconfitte a Potenza e Perugia sono una spiacevole sorpresa. Qui al primo turno i candidati del Pd avevano sfiorato la vittoria distanziando largamente i loro rivali. Il vero motivo di soddisfazione per il partito di Renzi sono le vittorie in 6 capoluoghi su 7 al Nord. Ha vinto dovunque era all’opposizione e ha perso a Padova dove governava.

Per lo schieramento di Berlusconi queste elezioni rappresentano uno scampato pericolo. Nelle condizioni di incertezza in cui si trova l’esito avrebbe potuto essere peggiore. Certo, bruciano le sconfitte in tutti i capoluoghi del Nord dove governava, soprattutto Bergamo e Pavia. Ma si può consolare con le vittorie a Padova, dove il sindaco sarà Massimo Bitonci della Lega, oltre che a Perugia, Urbino e Foggia. Cinque anni fa aveva vinto in 12 capoluoghi. Adesso sono 6 più Potenza che è un caso particolare. Non è proprio un bel risultato ma, come si è detto, poteva andare peggio.

In fondo anche il M5s può cantare vittoria. Avrebbe potuto restare a bocca asciutta e invece porta a casa un risultato clamoroso con la vittoria di Nogarin a Livorno. Per questo deve ringraziare il Pd e le sue divisioni interne. Ma una rondine non fa primavera. A livello locale l’Italia resta un paese bipolare, con un terzo polo scomodo ma poco influente. In questa arena la competizione è tra coalizioni e non tra partiti come alle europee. Il M5s può vincere solo in circostanze molto particolari, come a Livorno e qualche anno fa a Parma.

Tra tutti il più contento deve essere Fdi, il partito della Meloni, che – dopo la sconfitta alle europee – è salito agli onori delle cronache locali per aver vinto a Potenza presentandosi con il solo appoggio dei Popolari di Mauro e senza quello dei suoi alleati tradizionali del centro-destra, Fi-Ncd-Udc, che avevano puntato su un altro candidato. Insieme a Livorno e a Perugia, la sconfitta del Pd qui rappresenta la maggiore sorpresa di queste elezioni. Il candidato del centro-sinistra aveva ottenuto il 47,8% al primo turno contro il 16,8% di quello di Fdi. Il secondo turno è finito con il vincente De Luca che ha preso il 58,5%. Anche qui come a Livorno hanno pesato le divisioni del Pd, ma qui più che a Livorno ha giocato un ruolo determinante l’astensione. Dopo Terni, Potenza è il capoluogo dove è aumentata di più, ben 26,7 punti percentuali. Il 75,1% degli elettori ha votato al primo turno, e solo il 48,4% al secondo. A Livorno invece l’ affluenza è calata di 14 punti.

Tab. 1 – Risultati del secondo turno nei 18 comuni capoluogo di provincia

I veri perdenti di queste elezioni sono i sindaci. Se ne sono ripresentati in 13 su 27 e solo 4 sono stati riconfermati due di centro-destra (Ascoli Piceno e Teramo) e due di centro-sinistra (Terni e Ferrara). Gli altri sono stati puniti da un elettorato che è diventato sempre più insofferente nei confronti di chi governa. Alle europee il fenomeno non si è verificato grazie al fattore Renzi. Invece le amministrative hanno largamente punito le amministrazioni uscenti. In 16 capoluoghi su 27 il governo locale ha cambiato colore.

Adesso si volta pagina. Per un po’ non ci saranno elezioni alle porte. Renzi potrà dedicarsi totalmente alla sua agenda riformista. Berlusconi avrà il tempo per decidere come rilanciare il suo partito. E anche il M5s potrà riflettere su cosa fare da grande.

Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 10 Giugno

Roberto D’Alimonte (1947) è professore ordinario nella Facoltà di Scienze Politiche della LUISS Guido Carli dove insegna Sistema Politico Italiano. Dal 1974 fino al 2009 ha insegnato presso la Facoltà di Scienze Politiche “Cesare Alfieri” della Università degli Studi di Firenze. Ha insegnato come visiting professor nelle Università di Yale e Stanford. Collabora con il centro della New York University a Firenze. I suoi interessi di ricerca più recenti riguardano i sistemi elettorali, elezioni e comportamento di voto in Italia. A partire dal 1993 ha coordinato con Stefano Bartolini e Alessandro Chiaramonte un gruppo di ricerca su elezioni e trasformazione del sistema partitico italiano. I risultati sono stati pubblicati in una collana di volumi editi da Il Mulino: Maggioritario ma non troppo. Le elezioni del 1994; Maggioritario per caso. Le elezioni del 1996; Maggioritario finalmente? Le elezioni del 2001; Proporzionale ma non solo. Le elezioni del 2006; Proporzionale se vi pare. Le elezioni del 2008. Tra le sue pubblicazioni ci sono articoli apparsi su West European Politics, Party Politics, oltre che sulle principali riviste scientifiche italiane. E’ membro di ITANES (Italian National Election Studies). E’ editorialista de IlSole24Ore. Clicca qui per accedere al profilo su IRIS.