Autore: Roberto D’Alimonte

  • Per battere Trump nel 2020 non basterà un candidato democratico qualsiasi

    Per battere Trump nel 2020 non basterà un candidato democratico qualsiasi

    Ripubblichiamo qui l’intervista al Prof. Roberto D’Alimonte apparsa su Luiss Open il 16 Luglio 2019

    Innanzitutto, da dove arriva il fenomeno Donald Trump?

    Alle radici della rivolta anti establishment, negli Stati Uniti e non solo, c’è un profondo e diffuso senso di sfiducia verso le istituzioni e verso le élites. All’indomani dell’elezione di Donald Trump, nel 2016, solo un cittadino americano su dieci riteneva che “il sistema” funzionasse; il 57% degli americani definiva il sistema “fallimentare”, il 33% era incerto (fonte: 2017 Edelman Trust Barometer). La fiducia dell’opinione pubblica nei confronti del governo federale di Washington, tra l’altro, era ai minimi storici alla vigilia delle scorse elezioni presidenziali.

    La situazione economica, per come percepita dalla maggior parte della classe media, contribuisce e rafforza i sentimenti anti establishment. Nel grafico qui sotto, sono raffigurati l’andamento della produttività e quello del reddito mediano reale di una famiglia negli Stati Uniti. Fino agli anni novanta produttività e reddito sono saliti di pari passo. Poi la produttività è continuata ad aumentare rapidamente, e il reddito reale invece no. Dietro questa divaricazione si nasconde la fortissima crescita della disuguaglianza che ha caratterizzato la società americana, e non solo, negli ultimi venti anni. Qui dentro ci sono i vincenti della rivoluzione tecnologica e della globalizzazione e ci sono i perdenti. È soltanto uno degli indicatori dell’indebolimento della classe media e medio-bassa.

    Per usare le parole di due analisti statunitensi, Dan McGinn e Peter D. Hart, all’indomani del voto del 2016: “Un ampio settore della nostra società è profondamente, visceralmente arrabbiato. Questa elezione ha costituito il segnale più evidente, per ogni istituzione statunitense, che la persona media si attende – e chiede – un posto a tavola. Quelli che hanno guidato questa rivoluzione sono persone comuni , si sentono ‘estranei’  al mondo di Washington, Los Angeles e New York. Non vanno da Starbucks, non accompagnano i propri figli a visitare i campus universitari, non guardano la televisione pubblica. Fanno shopping da Wal-Mart, mangiano da McDonald’s, e sono più interessati alle competizioni sportive del liceo dei loro pargoli che allo sport professionistico. Il loro reddito è in calo e non hanno risparmi su cui contare per andare in pensione.  Ritengono che i loro genitori e i loro nonni abbiano costruito questo Paese. E martedì notte hanno urlato: vogliamo riprenderci il  nostro Paese”.

    Quali sono i fattori che potrebbero far presagire una sconfitta di Donald Trump alle elezioni del 2020?

    Innanzitutto occorre ricordare che Trump deve la propria elezione a tre Stati in cui ha vinto in maniera relativamente inaspettata – Michigan, Wisconsin e Pennsylvania – e che complessivamente in questi tre Stati sono stati decisivi appena 77.000 voti. Parliamo di 77.000 voti su quasi 130 milioni di voti espressi in tutto il Paese. Non solo: in questi stessi tre Stati, i voti ottenuti da candidati “terzi” rispetto a Repubblicani e Democratici sono stati molti di più di 77.000. Sarebbe bastata una diversa distribuzione di questi voti per cambiare l’esito di quelle elezioni.

    Ricordato ciò, aggiungo che l’indice di gradimento di Trump, fin da subito dopo la sua elezione, è stato il più basso tra i Presidenti che si sono succeduti a partire da Eisenhower. Ecco una comparazione coi suoi predecessori.

    Né l’indice di gradimento verso di lui è aumentato di molto nel tempo. A ormai tre anni dalla sua elezione, il 50% sembra distante nella maggior parte dei sondaggi.

    Altro fattore che milita contro la rielezione di Trump è che il suo essere un politico polarizzante e divisivo spinge sempre più cittadini ad andare alle urne, come si è visto alle elezioni di metà mandato dello scorso anno, a partire  da alcune minoranze come gli afroamericani e dai giovani. Le consultazioni del 2018, negli Stati Uniti, hanno registrato una affluenza elettorale record in generale, come dimostra il grafico qui sotto, e soprattutto tra i giovani. Se questo fenomeno si ripeterà anche a Novembre 2020, ed è probabile, per Trump sarà dura

    Infatti, la maggiore affluenza ha spostato gli equilibri a favore dei Democratici in molti Stati. E’ successo in quelli in cui la candidata democratica del 2016, Hillary Clinton, era stata “competitiva”, cioè in grado di vincere e vincente, (Colorado, Maine, Minnesota, New Hampshire, Nevada, New Mexico e Virginia). Ma anche in quelli in cui Trump ha vinto per il rotto della cuffia (Arizona, Florida, Michigan, Pennsylvania e Wisconsin).  Come si vede nelle tabelle di seguito, sia negli uni che negli altri Stati i Democratici hanno strappato ai Repubblicani sia seggi al Congresso che Governatorati.  E’ così che il partito di Trump ha perso il controllo della Camera dei Rappresentanti.

    A ciò si aggiunga che Trump sembra aver perso un po’ della propria presa tra due constituency che si rivelarono decisive per la sua elezione, e cioè gli elettori indipendenti (tra i quali il suo indice di gradimento si ferma al 33%, secondo un sondaggio Gallup dello scorso maggio) e le donne bianche.

    Per i Democratici, quindi, la strada verso la Casa Bianca è spianata?

    Ad oggi per gli elettori e i politici di tendenza democratica, ma anche per noi analisti terzi, la domanda fondamentale è questa : “Può un qualsiasi candidato democratico sconfiggere Trump a Novembre del prossimo anno?”. Anticipo subito la mia di risposta: no, non basta un qualsiasi candidato del Partito democratico per battere Trump nel 2020. Aggiungo che proprio la diffusa convinzione che chiunque possa battere il Presidente in carica spiega l’elevato numero di candidati in corsa per le primarie del Partito Democratico e spiega pure la significativa presenza di candidati che sono espressione della sinistra più liberal e radicale. Questa è una convinzione pericolosa per i democratici perché potrebbe spingerli a fare una scelta sbagliata. Infatti  le rilevazioni di YouGov dimostrano che, per molti elettori, non basta un candidato qualsiasi per sconfiggere Trump. Il 40% degli elettori (il 38% negli Stati più contesi del Midwest) ritiene infatti che la scelta di votare Trump o uno sfidante democratico “dipende” dal candidato democratico che si troveranno davanti. Soltanto il 33% pensa che voterà “un candidato democratico qualsiasi” (mentre il 27% degli elettori afferma che voterà Trump “in ogni caso”).  Sono percentuali molto simili a quelle corrispondenti alle identificazioni di partito, cioè a chi si dichiara democratico, repubblicano o indipendente.

    Sarà dunque decisiva la scelta del candidato democratico. Se tra i militanti prevarrà la tesi che qualsiasi candidato può battere Trump, e quindi che questa sia la volta buona per cambiare radicalmente le cose, il rischio è che la scelta cada su un candidato troppo spostato a sinistra. Probabilmente già il prossimo 3 marzo sapremo chi sarà il vincitore delle primarie del Partito Democratico, visto tra l’altro che le primarie in California sono state anticipate a tale data e considerato l’alto numero di delegati assegnato in quello Stato.

    Quali sono i punti a favore di una rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca?

    Come ho detto, innanzitutto molto dipenderà da chi sarà il candidato del Partito Democratico. Un candidato ideologicamente spostato troppo a sinistra potrebbe fare la fortuna dell’attuale Presidente, spingendo una parte degli elettori indipendenti a votare per la continuità. Ciò si spiega anche con l’andamento positivo dell’economia. La percentuale di persone che ritengono “eccellente” o “buona” la propria situazione economica e finanziaria è infatti in crescita in tutta la popolazione (51%), con picchi tra i simpatizzanti Repubblicani (62%) e con un dato in aumento anche tra i simpatizzanti Democratici (44%). Quindi, perchè rischiare un cambiamento radicale quando le cose vanno bene?

    Oltre all’incertezza sulla scelta dello sfidante democratico e alla solidità dei risultati economici dell’attuale Amministrazione, Trump ha dalla sua parte un altro atout. Col passare del tempo, infatti, ha ampliato e fidelizzato il livello di consenso nella base repubblicana. Ha conquistato il proprio Partito, all’interno del quale all’inizio non mancava qualche scetticismo, come dimostra l’incremento della percentuale di Repubblicani che “approvano convintamente” il suo operato. Ha trasformato gli scettici in degli entusiasti, e quindi probabilmente nel 2020 riuscirà a mobilitare con efficacia la propria base e portarla alle urne.

    Le elezioni del 2020, anche se oggi sembrano a portata dei Democratici, sono tutt’altro che un discorso chiuso. Ne continueremo a parlare.

  • Nei comuni oltre 15.000 abitanti, centrodestra +33, centrosinistra -39

    Nei comuni oltre 15.000 abitanti, centrodestra +33, centrosinistra -39

    Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’11 giugno.

    I ballottaggi di domenica, insieme al risultato del primo turno di due settimane fa, hanno ridisegnato la mappa del potere locale in Italia. Ma solo in parte. Il centrodestra avanza ma non sfonda, il centrosinistra arretra ma non crolla, il M5S conferma la sua debolezza in questo tipo di competizione. PD e alleati hanno conquistato 113 comuni superiori ai 15.000 abitanti contro i 71 del centrodestra, ma ne governavano 152 mentre Forza Italia, Lega e FDI ne governavano 38. Il M5S aveva quattro comuni tra cui Livorno e Avellino. Li perde tutti ma conquista Campobasso. La novità è rappresentata dalla Destra, cioè da quegli schieramenti che combinano Lega e FDI escludendo il partito di Berlusconi. In passato avevano vinto in due soli comuni. Oggi ne hanno conquistati dodici, tra cui un comune capoluogo (Ascoli Piceno). Questa è la sintesi del risultato di queste amministrative.

    Più in generale, allargando lo sguardo alle elezioni comunali degli ultimi 4 anni (2016-2019), diventa ancora più evidente il cambiamento nella mappa del potere locale. In questo periodo infatti il centrosinistra ha perso molte posizioni, passando da 369 comuni superiori ai 15.000 abitanti a 236, mentre il centrodestra è cresciuto da 129 a 194 (Maggini 2016, Emanuele e Paparo 2017Emanuele e Paparo 2018). Il rapporto fra le due coalizioni è quindi passato da quasi 3 a 1 (per ogni 3 comuni del centrosinistra ce ne era solo uno del centrodestra) ad appena 1,2 a 1. Per il PD un dato positivo è che, a differenza di ciò che era avvenuto negli anni precedenti, quando era stato spesso rimontato al secondo turno, questa volta i ballottaggi hanno confermato l’esito del primo turno, con il partito di Zingaretti vittorioso in 59 comuni contro i 38 del centrodestra (che diventano 46 se consideriamo anche gli otto casi in cui vince una coalizione di destra priva di Forza Italia).

    Tab. 1 – Comuni superiori: riepilogo vittorie al primo turno, ai ballottaggi e vittorie totali, a confronto con le amministrazioni uscenti[1]pallottoliere221

    Ciò che emerge da questo voto, al di là dei rapporti di forza fra le due coalizioni principali, è il complessivo ritorno del bipolarismo a livello locale. In queste elezioni centrosinistra e centrodestra hanno conquistato l’83,6% dei comuni superiori in palio. Un dato ancora leggermente inferiore rispetto alla tornata precedente (86,4%), ma in netta crescita rispetto agli ultimi anni. Basti pensare che nel 2016, l’anno in cui il Movimento Cinque Stelle si affermò con forza a livello locale con le vittorie a Roma e Torino, la percentuale di comuni vinti da centrosinistra e centrodestra era del 56,8%. (Xanax) In altri termini, appena 3 anni fa quasi 1 comune su 2 veniva vinto da ‘terze forze’ (il M5S o candidati civici), mentre oggi appena 1 comune su 6 va a coalizioni alternative a centrosinistra e centrodestra.

    In questo contesto di ri-bipolarizzazione è interessante capire come hanno votato gli elettori del M5S. Lo mostriamo nella tabella in pagina, che riporta, per 7 capoluoghi di provincia che sono andati al ballottaggio, la percentuale di elettori del M5S che, rispettivamente: 1) ha votato per un candidato di centrosinistra; 2) ha votato per un candidato di centrodestra; 3) si è astenuto. L’analisi prende come riferimento sia l’elettorato pentastellato delle politiche 2018 (il momento di massima espansione del partito) sia quello – già drasticamente ridimensionato – delle europee del 2019. Il quadro, per quanto parziale, è chiaro. Come era prevedibile, sono tanti gli elettori pentastellati che hanno scelto di astenersi ma non sono pochi quelli che sono andati a votare. La maggioranza di quanti lo hanno fatto (tra gli elettori delle politiche 2018) hanno votato centrodestra. Infatti, nella media dei comuni analizzati qui, su 100 elettori del M5S del 2018, oggi 20 sono migrati verso i candidati di Salvini e di Berlusconi e solo 16 verso i candidati del PD. Nei ballottaggi del 2019, invece, dopo la defezione già avvenuta alle europee verso il centrodestra, l’elettorato pentastellato rimasto mostra un profilo molto più progressista. Infatti nelle 7 città analizzate, mediamente quasi 1 voto pentastellato su 3 va al centrosinistra e solo 1 su 8 al centrodestra. Come si vede nella tabella, le eccezioni significative sono Ferrara e Forlì, dove non a caso ha vinto il centrodestra.

    Tab. 2 – Destinazioni dei voti del M5S dalle politiche 2018 e dalle europee 2019 verso: centrosinistra, centrodestra e astensione in 7 capoluoghi di provincia al ballottaggio nel 2019sintesi flussi m5s

    Con tutti i limiti di un’analisi che riguarda solo alcuni contesti locali, questi flussi possono essere concepiti come una sorta di esperimento per capire come potrebbero comportarsi gli elettori del M5S di ieri e di oggi se, alle prossime elezioni politiche, si verificasse uno scenario (per nulla implausibile) in cui il M5S non fosse competitivo nei collegi uninominali del Rosatellum e l’ unica scelta realistica per incidere sul risultato fosse quella tra il candidato del centrosinistra e quello del centrodestra. L’ipotesi suggerita da questi dati, per quanto provvisori, è che la migrazione del voto pentastellato verso la Lega di Salvini è già avvenuta fra le politiche e le europee. Ciò che rimane del partito di Di Maio – i 4,5 milioni di voti delle europee – è un elettorato più tendente a sinistra che a destra. Un elettorato disponibile, come forse mai in passato, a considerare l’opzione di voto per il centrosinistra.

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2017), ‘Il centrodestra avanza, il Pd arretra: è pareggio. I numeri finali delle comunali ‘, in A. Paparo (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 191-198.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2018), ‘I numeri finali del voto: il centrodestra vince le comunali conquistando le roccaforti rosse’, in A. Paparo (a cura di), Goodbye Zona Rossa? Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press, pp. 217-226.

    Maggini, N. (2016), ‘Il quadro riassuntivo dei ballottaggi: arretramento del PD, avanzata del centrodestra e vittorie storiche del M5S’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 145-153.


    [1]  I comuni superiori ai 15.000 abitanti al voto in queste elezioni amministrative erano 221. Corigliano-Rossano è escluso dal conteggio delle precedenti comunali in quanto queste sono le prime elezioni del nuovo comune nato dalla fusione di Corigliano e Rossano che nelle precedenti comunali avevano eletto due sindaci di diverso colore politico.

  • Verso i ballottaggi: la mappa dei capoluoghi

    Verso i ballottaggi: la mappa dei capoluoghi

    Articolo pubblicato su Il Sole 24 Ore dell’8 giugno.

    Domani oltre 3 milioni e mezzo di elettori italiani saranno nuovamente chiamati alle urne per scegliere, nel turno di ballottaggio, il sindaco del loro comune. Andranno al voto 122 comuni superiori ai 15.000 abitanti. A questi vanno aggiunti due comuni della provincia di Trento (Borgo Valsugana e Levico Terme) in virtù della legge regionale che prevede il ballottaggio nei comuni superiori ai 3.000 abitanti, e dodici comuni con meno di 15.000 abitanti in cui i due candidati più votati al primo turno hanno ottenuto lo stesso numero di voti.

    Questa consultazione potrebbe rivelarsi un passaggio importante nella evoluzione del nostro sistema partitico, così come è avvenuto in altri momenti della nostra storia in cui le elezioni amministrative hanno anticipato tendenze che si sono poi manifestate a livello di elezioni politiche. In questo caso la tendenza è quella di un ritorno al bipolarismo pre-M5S. Infatti, in oltre il 60% dei ballottaggi (74 in tutto) la sfida è tra il candidato di centrosinistra (sostenuto dal PD) e quello di centrodestra (con Forza Italia) (Emanuele e Paparo 2019). A partire dal 2016 non si è mai registrata una percentuale di sfide bipolari di questo tipo superiore al 50 per cento (Emanuele e Maggini 2016, Emanuele e Paparo 2017, Emanuele e Paparo 2018). La novità è che in altri undici casi la sfida è fra centrosinistra e centrodestra senza Forza Italia. Sono i comuni in cui Lega e Fratelli d’Italia fanno le prove generali di quella alleanza che potrebbe essere riproposta alle prossime politiche.

    Sono due i fattori che decideranno l’esito di questi duelli. Uno è l’affluenza alle urne. L’altro è la capacità dei candidati in corsa di attrarre le seconde preferenze di quegli elettori i cui candidati preferiti non sono arrivati al ballottaggio. Nelle elezioni comunali degli ultimi anni, il centrosinistra si era imposto spesso come il polo più forte al primo turno, ma poi aveva pagato la sua scarsa capacità di conquistare al secondo turno altri voti, cioè seconde preferenze. E così i suoi candidati sono stati spesso sconfitti da quelli di centrodestra grazie alle seconde preferenze degli elettori del M5S, e da quelli del M5S grazie alle seconde preferenze degli elettori di centrodestra. Erano altri tempi. Il PD era al governo, mentre M5S e centrodestra erano entrambi all’opposizione. Oggi, dopo un anno di governo giallo-verde, sarà interessante verificare come stiano le cose. Si tratta di un dato importante in vista di eventuali nuove elezioni politiche, dato che i collegi uninominali del Rosatellum contengono un forte incentivo per gli elettori a votare in modo strategico quando il loro candidato preferito non è competitivo.

    Tra i comuni al voto quindici sono capoluoghi di provincia: nove governati dal PD, tre dal centrodestra con FI, due dal M5S, uno ( Potenza) dal centrodestra senza FI. I risultati del primo turno segnalano un’inversione di rotta rispetto alle precedenti elezioni. Innanzitutto solo ad Avellino il centrodestra non ha centrato il secondo turno mentre il centrosinistra targato PD è fuori dai giochi in quattro casi: Ascoli, Biella, Potenza e Campobasso. Quest’ultimo è anche l’unico caso di ballottaggio conquistato da un candidato del M5S , non solo fra i capoluoghi ma fra tutti i comuni superiori ai 15.000 abitanti. Inoltre, in dieci casi il centrodestra è arrivato primo, contro i cinque del centrosinistra. Per il centrosinistra non è proprio un quadro favorevole.

    Nei due terzi dei capoluoghi (dieci) la sfida è tra PD e alleati contro Lega, FI e FDI. In sei casi parte in vantaggio il centrodestra. A Potenza il centrodestra unito sfida un candidato appoggiato da forze di sinistra ma non dal PD. Ad Avellino la sfida è interna al centrosinistra, fra il candidato targato PD e un civico di area. Un caso simile si registra nel campo del centrodestra a Biella. Qui il candidato ufficiale della coalizione sfida il candidato che la stessa coalizione aveva presentato nel 2014 e che stavolta corre con una lista civica. Sfida in famiglia anche ad Ascoli, dove il candidato appoggiato da FI sfida quello della coalizione FDI-Lega.

    Molte sfide sembrano avere dei chiari favoriti, come ad esempio il centrosinistra a Reggio Emilia il cui candidato può contare su oltre 20 punti di vantaggio. La sfida bipolare più aperta è a Cremona, dove il centrosinistra ha meno di cinque punti di vantaggio. A Livorno il vantaggio è poco più grande, ma il centrosinistra può contare su molti voti affini. Verbania e Forlì sono i casi in cui il vantaggio del centrodestra è inferiore ai 10 punti. Politicamente il caso più interessante è forse Ferrara dove potrebbe vincere il candidato della Lega.

    Tab. 1 – Quadro sintetico dei risultati al primo turno nei 15 comuni capoluogo di provincia al ballottaggio (in giallo i candidati in testa dopo il primo turno, in arancione quelli giunti secondi)sintesi_cap

    Accanto alle seconde preferenze l’affluenza è l’altro fattore che deciderà l’esito di queste elezioni. I ballottaggi sono una lotteria che riserva spesso grandi sorprese. Nel 2014 il candidato di centrodestra a Pavia perse al ballottaggio dopo avere ottenuto quasi il 47 per cento dei voti al primo turno. Lo stesso è accaduto al candidato di centrosinistra a Potenza. E’ difficile per i candidati sindaco riportare al voto tutti i propri elettori del primo turno. Questo è un dato comune a tutte le elezioni comunali. In questo caso un ulteriore elemento di incertezza è rappresentato dalla concomitanza con le elezioni europee. Quale sarà l’effetto di trascinamento del risultato delle europee sulle comunali? Quale vantaggio trarrà la Lega dal suo successo in quella competizione?Il caso comparabile è quello di cinque anni fa. Anche nel 2014 si è votato contemporaneamente per le europee e per il primo turno delle comunali. Allora, due settimane dopo il 40% ottenuto dal PD di Renzi alle europee, il centrosinistra fece quasi cappotto nei ballottaggi – con qualche vistosa eccezione (Livorno). Oggi il vento spira dalla parte della Lega di Salvini. Vedremo che ruolo giocherà questa domenica.

     

    Riferimenti bibliografici

    Emanuele, V., e Maggini, N. (2016), ‘Calo dell’affuenza, frammentazione e incertezza nei comuni superiori al voto’, in V. Emanuele, N. Maggini e A. Paparo (a cura di), Cosa succede in città? Le elezioni comunali 2016, Dossier CISE(8), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 49-56.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2017), ‘Tutti i numeri delle comunali: scompare il M5s, il centrodestra torna competitivo, i civici sono il terzo polo’, in A. Paparo (a cura di), La rinascita del centrodestra? Le elezioni comunali 2017, Dossier CISE(9), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 51-57.

    Emanuele, V., e Paparo, A. (2018), ‘Il centrodestra avanza, il centrosinistra arretra ma si difende, il M5S è fuori dai giochi’, in A. Paparo (a cura di), Goodbye Zona Rossa? Le elezioni comunali 2018, Dossier CISE(12), Roma, LUISS University Press, pp. 65-75.

    Emanuele, V. e Paparo, A. (2019), ‘Comunali, torna il bipolarismo. Il PD arretra ma è in vantaggio dopo il primo turno’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/06/08/ballottaggi-comunali-conteggi/.

  • Lega-M5S: Sud chiave del ribaltone

    Lega-M5S: Sud chiave del ribaltone

    Una versione ridotta di questo articolo è stata pubblicata su Il Sole 24 Ore del 28 maggio.

    L’Italia è un mondo a parte. In Europa non è cambiato niente o quasi. Popolari, socialisti e liberali hanno riconquistato una solida maggioranza nel Parlamento Europeo con 435 seggi su 751. I sovranisti sono cresciuti ma poco. L’Ungheria e la Francia non fanno testo. La prima è un piccolo paese con pochi seggi dove il partito di Orbàn ha riconfermato la sua egemonia. La seconda è un grande paese in cui il partito della Le Pen è –di poco- il primo partito, ma rispetto alle europee del 2014 è scesa dal 24,9% al 23,5 mentre rispetto al primo turno delle presidenziali del 2017 è salita solo di due punti. A Berlino l’Alternativa per la Germania che aveva preso l’11,5% alle politiche del 2017 è scesa al 10,8. Vox in Spagna si è fermata al 6,2. Negli altri paesi, a cominciare dall’Olanda, è andata più meno allo stesso modo. L’eurogruppo sovranista (ENF), quello di Salvini, a Strasburgo conterà su 58 seggi, cioè meno dell’8%. Aggiungendo i sovranisti sparsi in altri gruppi (Orbàn per esempio, i polacchi, e quelli iscritti al gruppo di Farage) non si arriva al 20%. La differenza con il 2014 c’è, ma è modesta.

    In Italia invece è cambiato tutto. La vittoria della Lega di Salvini non è una sorpresa, visto che da mesi i sondaggi la indicavano come il primo partito del paese, ma i voti fanno più impressione delle intenzioni di voto. Un partito che passa nel giro di un anno da 5.705.925 voti (il 17,3%) a 9.153.634 (il 34,3%) in un contesto di affluenza molto più bassa è un fenomeno raro. Ci si aspettava un cambiamento dei rapporti di forza tra i due alleati di governo ma non di queste dimensioni. La Lega è raddoppiata e il M5S si è dimezzato. Resta comunque il fatto politicamente rilevante che insieme Lega e M5S superano ancora la maggioranza assoluta dei voti. L’Italia resta l’unico paese dell’Europa Occidentale dove questo accade. Per trovare un altro governo sovranista bisogna andare a Est.

    Il successo di Salvini è netto. La sua strategia di competere con un unico simbolo, quello della Lega, ma con due partiti diversi, Lega Nord al Nord e Lega per Salvini premier al Sud continua a funzionare. Non è ancora la Lega nazionale ma la direzione di marcia è quella. E comunque finché funziona perché cambiare? Con la Lega Nord Salvini è riuscito a superare il 40% dei voti in Veneto e Lombardia, a vincere le elezioni regionali in Piemonte. È diventato il primo partito in Emilia e Romagna. Con la Lega Sud ha triplicato la sua percentuale di voti nelle regioni meridionali passando dal 6,2% delle politiche al 23,5 delle europee.

    Salvini è stato abile. I temi della immigrazione e della sicurezza, che continuano ad essere sottovalutati dai suoi rivali, gli danno un enorme vantaggio competitivo. Ma ha avuto dalla sua anche una buona dose di fortuna. La coincidenza tra voto europeo e voto amministrativo lo ha nettamente favorito a scapito del M5S. Insieme alle europee si è votato nel 60% dei comuni del Nord e solo nel 25% dei comuni del Sud. Le elezioni comunali mobilitano più di quelle europee e questo ha certamente favorito la Lega grazie all’effetto di trascinamento.

    Per il M5S si tratta di una grave sconfitta che non si può spiegare solo con il fatto che sono relativamente pochi i comuni in cui si è votato al Sud, la sua roccaforte. C’è dell’altro. Siamo abituati a vedere i suoi alti e bassi, ma queste elezioni sembrano rivelare una frattura profonda con una parte significativa del suo elettorato. E sollevano seri dubbi sul suo futuro. Nel 2018 aveva preso 10.748.372 (il 32,7%) voti, adesso sono 4.552.527 (il 17,1%). Nelle regioni del Nord è sceso al 10%. In quelle meridionali è passato dal 43,4% delle politiche al 29. A distanza di un anno si ritrova al governo con un alleato che ha ribaltato completamente il rapporto di forza all’interno della coalizione. Una posizione scomoda. E in questa posizione dovrà decidere che fare quando si discuterà di TAV, di autonomia e soprattutto della prossima legge di bilancio e dei rapporti con l’Unione.

    Per il PD queste elezioni erano un passaggio delicato che è stato superato bene. Anche il PD si è avvantaggiato della coincidenza tra europee e amministrative in tanti comuni della ex zona rossa, ma questo non è l’unico fattore che ne spiega la ripresa. Zingaretti è riuscito a ridare una fisionomia e una unità al partito. Ma non devono ingannare le percentuali. Il PD di Renzi nel 2018 ha preso 6.153.081 voti, quello di Zingaretti 6.050.351. La strada per recuperare consensi è ancora lunga. Soprattutto è molto complicata la strada per tornare al governo. Con il suo 22,7% il PD di Zingaretti è tornato a essere il secondo partito italiano ma non è una alternativa di governo. Per questo deve trovare alleati e questa decisione cruciale è ancora in alto mare.

    Su Forza Italia c’è poco da dire. Continua l’erosione di quello che una volta era il maggior partito del centro-destra. Rispetto al 2018 è passata dal 13,9 al 8,8%. Si vedrà se il risultato di queste elezioni accelererà il cambiamento di leadership. Non è scontato che Berlusconi ceda il passo, ma se non lo farà il declino continuerà a tutto vantaggio della Lega. La tendenza è irreversibile. Ed è quello su cui conta Salvini. Adesso la sua posizione di seconda forza del centro-destra è addirittura insidiata da Fratelli d’Italia. Il partito della Meloni è arrivato al 6,5% rispetto al 4,4 del 2018. Come quello di Salvini è riuscito a conquistare nuovi elettori passando da 1.440.102 di allora a 1.723.232 di oggi.

    Cosa succederà ora a livello di governo? È la domanda del giorno ma al momento è impossibile rispondere. Dipenderà da molti elementi che si chiariranno nelle prossime settimane. I numeri ci dicono che una coalizione di centro-destra formata da Lega, Forza Italia e FDI conquisterebbe certamente la maggioranza assoluta dei seggi in caso di elezioni anticipate. La vera novità è che la coalizione di destra con Lega e FDI, e senza Forza Italia, è arrivata al 40%. Non basta per vincere, ma è una delle condizioni necessarie. L’altra è la percentuale di seggi uninominali da conquistare nelle regioni del Sud a spese del M5S. Alla luce del risultato di oggi anche questa condizione si potrebbe realizzare, visto il declino del M5S in questa zona. È probabile che il futuro del governo dipenda anche da questi calcoli, oltre che dalle reazioni del Movimento e dall’esito del prossimo scontro con l’Unione e con i mercati.

    In ogni caso è bene tener presente che questa volta hanno votato 27.652.924 elettori contro i 33.995.268 del 2018. Proiettare il risultato delle europee sulle politiche è sempre rischioso. Non si può dire cosa faranno domani i milioni di elettori che non hanno votato oggi. Ma anche con questa cautela non c’è dubbio che queste elezioni rappresentino un passaggio importante nella ristrutturazione del nostro sistema partitico.

  • Gli Italiani e l’Europa: un rapporto complicato

    Gli Italiani e l’Europa: un rapporto complicato

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 aprile

    Prima o poi l’Italia dovrà fare i conti con l’Europa. La questione non sarà risolta con un referendum come in Gran Bretagna. Lo scenario più probabile è quello di un governo che ci porterà in rotta di collisione con l’Unione e con i mercati finanziari. La prima avvisaglia c’è già stata lo scorso autunno sulla legge di bilancio per questo anno. Alla fine si è arrivati a un faticoso compromesso che assomiglia a un armistizio in vista dello scontro finale. Le prossime elezioni europee e il lungo processo che porterà alla formazione di una nuova commissione creano una situazione di attesa. Ma è solo questione di tempo. Dallo scorso autunno le posizioni non sono cambiate. Da una parte c’è l’attuale governo gialloverde che vuole spingere la crescita anemica dell’economia italiana facendo più debiti, dall’altra ci sono le regole dell’Unione che lo impediscono. In mezzo ci sono i mercati finanziari che prestano all’Italia denari al 2,6% contro l’1,2% del Portogallo che pure ha un debito pubblico di poco inferiore a quello italiano o l’1,1% della Spagna.

    L’esito più probabile dell’ennesimo scontro è l’ennesimo compromesso. Tanto più se nel bel mezzo della procedura di approvazione della legge di bilancio per il 2020 dovesse scoppiare una crisi di governo con o senza elezioni anticipate. L’esito più temuto invece è l’uscita dell’Italia dalla moneta unica. Ma questo evento che avrebbe ripercussioni drammatiche per il paese e per l’Europa, anche se non è escluso del tutto, viene considerato ormai molto improbabile. Fortunatamente non sono più i tempi di slogan del tipo ‘l ’euro crimine contro l’umanità’. Le strategie populiste sono cambiate e una delle ragioni è che gli italiani nel loro complesso non ne vogliono sapere di abbandonare l’euro, come i greci e come i francesi. Non per convinzione ma per paura. È quello che emerge dai dati di un recente sondaggio condotto da WinPoll[1].

    Agli intervistati sono state fatte due domande. La prima riguarda il giudizio sui benefici legati alla appartenenza all’Unione (Fig. 1). La maggioranza, per la precisione il 59%, ritiene che il bilancio per l’Italia sia poco o per nulla positivo. Il dato è una conferma di un fatto noto. Sono finiti i tempi in cui agli Italiani piaceva l’Europa. Colpisce invece la distribuzione di questa opinione nell’elettorato dei diversi partiti. La differenza tra partiti di governo e partiti di opposizione è netta. Nel caso degli elettori della Lega e del M5S si arriva rispettivamente all’88 e al 74% di giudizi negativi. Completamente diversa è invece l’opinione degli elettori del PD e di Forza Italia. Per l’85% dei primi e per il 65% dei secondi il bilancio complessivo è tutto sommato positivo.

    Fig. 1 – Risposte alla domanda ‘Secondo Lei quanto ha beneficiato l’Italia dalla sua partecipazione alla UE?’winpoll_apr19_1

    Al giudizio negativo sui benefici dell’appartenenza alla Unione non corrisponde però il desiderio di abbandonare la moneta unica (Fig. 2). Alla domanda ‘se l’Italia dovrebbe uscire dall’Euro e tornare alla Lira’ il 66% degli intervistati risponde di voler restare nella unione monetaria. La percentuale sale addirittura al 98% nel caso degli elettori del PD. Ma il dato che colpisce di più è quello relativo alla Lega e al M5S. Su questa questione gli elettorati dei due partiti si divaricano. La maggioranza dei primi (il 62%) è contro l’Euro. La maggioranza dei secondi no. Non era così fino a poco tempo fa. È vero che gli elettori pentastellati sono generalmente stati meno ostili di quelli leghisti nei confronti dell’Euro, ma la differenza non era così netta. Qualcosa è cambiato dentro il M5S. Visto che non sono cambiate sostanzialmente le posizioni della leadership, l’ipotesi più plausibile è che siano cambiati gli elettori. Se ne sono andati quelli più a destra e più euroscettici che lo avevano votato un anno fa, e che oggi votano Salvini, e sono rimasti quelli più di sinistra. È una ipotesi confermata dai flussi elettorali stimati nelle recenti elezioni regionali (CISE 2019aCISE2019b).

    Fig. 2 – Risposte alla domanda ‘Secondo Lei l’Italia dovrebbe uscire dall’Euro e tornare alla Lira?’winpoll_apr19_2

    In sintesi questi dati, insieme a tanti altri che vanno nella stessa direzione, dicono inequivocabilmente che gli Italiani, pur criticando l’Unione per quello che ha fatto e per quello che non ha fatto, non intendono correre il rischio di lasciarla. Come dicevamo non è la convinzione che li motiva ma è la paura. È stato così anche in Grecia nel momento peggiore della crisi. Ed è così in Francia dove anche la Le Pen ha capito che l’avere scambiato la sfiducia nell’Europa per la voglia di lasciarla è stato un errore politico. Forse lo ha capito anche Salvini. Lo vedremo il prossimo autunno.

    Riferimenti bibliografici

    Centro Italiano Studi Elettorali (2019a), ‘Flussi Abruzzo: a L’Aquila addirittura la metà dei voti della Lega proviene dal M5S’, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/flussi-abruzzo-a-laquila-addirittura-la-meta-dei-voti-della-lega-proviene-dal-m5s/

    Centro Italiano Studi Elettorali (2019b), ‘Regionali Sardegna, flussi Sassari: la Lega continua ad avanzare a danno del M5S, che si disperde in tutte le direzioni’, disponibile presso: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/26/regionali-sardegna-flussi-sassari-la-lega-continua-ad-avanzare-a-danno-del-m5s-che-si-disperde-in-tutte-le-direzioni/


    [1] Nota metodologica: Sondaggio effettuato da Scenari Politici – Winpoll Srls (diretto da Federico Benini) nel periodo 18-23 aprile. Il campione comprende 1.500 interviste con metodo misto CAWI-CAMI-CATI ed è rappresentativo della popolazione elettorale italiana per genere ed età. Le stime qui riportate sono inoltre state ponderate in funzione del ricordo del voto alle scorse elezioni politiche. L’intervallo di confidenza al 99% per un campione di pari numerosità in riferimento alla popolazione elettorale italiana è ±2,3%.

  • Regionali Basilicata: torna il centrodestra, ora Salvini è al bivio

    Regionali Basilicata: torna il centrodestra, ora Salvini è al bivio

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 26 marzo

    Anche la Basilicata è passata al centrodestra. Anche qui ha prevalso la voglia di cambiamento dopo un quarto di secolo di governi di centrosinistra. L’aumento della partecipazione elettorale dal 47,6% delle precedenti amministrative al 53,5% di oggi ne è una conferma indiretta. Così come il fatto che il nuovo presidente della regione sia una figura anomala, un ex alto ufficiale della guardia di finanza a guidare un governo regionale. Per Berlusconi, che lo ha scelto, è un successo che compensa parzialmente il risultato negativo di Forza Italia. Infatti il suo partito che aveva ottenuto il 12,6% alle politiche dell’anno scorso e il 12,3% alle regionali del 2013 si è fermato al 9,1%.

    All’interno del centrodestra il vincitore indiscusso è la Lega di Salvini. Quella Lega Sud che anche in questa parte del Paese ha scavalcato Forza Italia, come aveva già fatto l’anno scorso la Lega Nord nelle regioni settentrionali. Con il suo 19,1% ha mancato di poco il sorpasso sui Cinque Stelle che ne avrebbe fatto il primo partito in regione, come invece è successo in Abruzzo. Dopo il 27,5% ottenuto in Abruzzo (D’Alimonte 2019), e l’11,4% in Sardegna si può dire che la Lega di Salvini sta portando avanti con successo la sua strategia sudista a spese sia di Forza Italia che del M5S.

    Il centrosinistra ha perso male. Con il suo 33,1% però resta il secondo polo del sistema partitico lucano, pur essendo sceso di quasi 30 punti percentuali rispetto alle precedenti regionali. È stato così anche in Abruzzo e Sardegna, ma non in Molise (Plescia 2018). Tutto sommato in Basilicata è andata meglio in termini di distacco dal centrodestra: solo otto punti invece dei 15-17 registrati in Abruzzo e Sardegna.

    Per il M5S si tratta della quarta sconfitta consecutiva nelle regioni del Sud in cui si è votato dopo le politiche dell’anno scorso. È cosa nota che a livello locale il M5S non è competitivo  (De Sio, Emanuele, Maggini, Paparo, 2018Paparo 2018). È vero che rispetto alle regionali precedenti ha registrato un aumento significativo ed è altrettanto vero che è il primo partito in regione. Ma non si può non tener conto che soltanto un anno fa aveva preso il 44,4% contro il 20,3% di oggi.

    L’indicatore più adatto per misurare il rendimento del Movimento è il rapporto tra i suoi voti alle politiche e quelli alle regionali. In altre parole, si tratta di calcolare il tasso di conversione tra voto politico e voto amministrativo. Usando questo indicatore si vede che in Basilicata è andato male ma non tanto quanto in Sardegna. Lì era riuscito a convertire solo il 26% dei voti presi alle politiche. In Basilicata siamo intorno al 50%, più o meno come in Abruzzo (Angelucci 2019). In Molise invece era andata molto meglio (Plescia 2018). Pur non riuscendo a vincere, il tasso di conversione era stato l’86%. Anche questo confronto ci aiuta a capire che il M5S sta effettivamente scontando una perdita di consensi che non è legata solo al tipo di consultazione, ma proprio alla perdita di empatia con una parte dell’elettorato che lo aveva votato il 4 marzo 2018.

    Come dimostra l’analisi dei flussi elettorali a Potenza (CISE 2019) il centrodestra non avrebbe vinto senza un massiccio spostamento di voti a suo favore provenienti da coloro che avevano votato il Movimento alle politiche dello scorso anno. Per quanto siano flussi molto parziali, sono tuttavia indicativi di quanto sta succedendo. I Cinque Stelle che in passato prendevano voti da tutti, adesso li restituiscono a tutti, compreso- come si vede nel grafico- il centrosinistra. Lo stesso fenomeno era successo nelle altre regioni.

    Dopo la Basilicata ci sono le Europee. E dopo le Europee chissà. Continuano a circolare voci di crisi di elezioni anticipate. Per Lega e Cinque Stelle la continuazione dell’attuale governo ha costi e benefici. Quale sia il saldo saranno Salvini e Di Maio a deciderlo dopo le Europee. Noi ci limitiamo a dire due cose, alla luce dei risultati nelle tre regioni del Sud dove si è votato in questi mesi. Oggi si sono create le condizioni perché nuove elezioni politiche diano un risultato diverso da quello dell’anno scorso. L’evidente declino del M5S in generale, e al Sud in particolare, e la ritrovata competitività del centrodestra in questa zona del Paese rendono probabile una maggioranza assoluta di seggi per questo schieramento. La seconda osservazione riguarda la Lega. Nonostante abbia raddoppiato o addirittura triplicato i suoi voti al Sud, per vincere a livello nazionale non può fare a meno della alleanza con Forza Italia (oltre che con Fratelli d’Italia). Né più né meno di quanto accade a livello locale. Quindi, Di Maio o Berlusconi? Per Salvini, hic Rhodus, hic salta.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. (2019), ‘Regionali in Abruzzo: la Lega Nord alla conquista del Sud, cede il M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/regionali-in-abruzzo-la-lega-alla-conquista-del-sud-cede-il-m5s/

    D’Alimonte, R. (2019), ‘Regionali in Abruzzo: la Lega Nord alla conquista del Sud, cede il M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/12/la-lega-sbarca-al-sud-e-prende-anche-i-voti-degli-alleati-m5s/

    De Sio, L., Emanuele, V., Maggini, N., Paparo,A., (2018), ‘Il risultato? Ancora il clima del 4 marzo, ma il M5S (come nel 2013) non rende bene alle comunali’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE (12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 59-63.

    Paparo, A. (2018), ‘Le fatiche del M5S nei comuni: l’avanzata che non arriva e i sindaci che se ne vanno’, in Paparo, A. (a cura di), Goodbye Zona Rossa. Il successo del centrodestra nelle comunali 2018, Dossier CISE (12), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 227-234.

    Plescia, C. (2018), ‘Molise: ancora niente primo governatore per il
    M5S ‘, in Emanuele, V. e A. Paparo (a cura di) Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, 173-188.

    Redazione CISE (2019), ‘Regionali Basilicata, flussi Potenza: la vittoria del centrodestra grazie ai voti 2018 del M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile presso” https://cise.luiss.it/cise/2019/03/25/regionali-basilicata-flussi-potenza-la-vittoria-del-centrodestra-grazie-ai-voti-2018-del-m5s/

  • La Lega sbarca al Sud e prende (anche) i voti degli alleati M5S

    La Lega sbarca al Sud e prende (anche) i voti degli alleati M5S

    Pubblicato sul Il Sole 24 Ore del 12 febbraio

    È successo. L’Abruzzo è la prima regione del Sud in cui la Lega Nord per l’Indipendenza della Padania è diventata il primo partito. Sono elezioni regionali e non politiche, ma il fatto resta. La strategia di Matteo Salvini funziona. La Lega Nord sta diventando sempre più Lega Nazionale, senza cambiare statuto, ma solo cambiando il simbolo (D’Alimonte 2018). Questo è il dato politicamente più rilevante delle elezioni abruzzesi. Molto più significativo della vittoria del centrodestra.

    Cinque anni fa aveva vinto il centrosinistra con il 46,3% (Carrieri 2014), oggi ha vinto il centrodestra con il 48,0%[1]. La ruota gira, come è sempre successo in questa regione negli ultimi venti anni. Ma non era mai successo che in una regione meridionale la Lega Nord arrivasse prima. Certo, l’Abruzzo non fa parte del profondo Sud ma qui il partito di Salvini aveva preso 1.407 voti alle regionali del 2014, 102.283 voti alle politiche del 2018 e oggi – con una affluenza minore rispetto allo scorso anno – ne ha presi 165.008, il 27,5% contro il 14,0%.

    La Lega Nord raddoppia e il M5S si dimezza. Il Movimento di Di Maio aveva preso quasi il 40% alle politiche e oggi si è fermato al 19.7%. In valori assoluti è andata anche peggio. Da 288.834 voti è passato a 118.287. È vero che Il confronto tra elezioni diverse è sempre problematico. Ed è altrettanto vero che il M5S è sempre andato meglio alle politiche rispetto alle regionali. Il Molise è stato un caso simile in tempi recenti (Plescia 2018). A Campobasso si è votato per le regionali poche settimane dopo il clamoroso successo del Movimento alle politiche del 4 marzo e anche lì la regione è andata al centrodestra.

    Nel caso dell’Abruzzo il movimento di Di Maio può far pesare il fatto che il risultato di oggi non è molto diverso in termini percentuali da quello delle regionali del 2014 – il 19,7% di oggi contro il 21,4% di ieri, ma c’è un altro dato rivelatore di cui occorre tener conto confrontando il ciclo elettorale 2013-2014 con quello 2018-2019. Alle politiche del 2013 il Movimento aveva preso il 29,9%. (norvado.com) Alle regionali dell’anno dopo scese al 21,4%. Questo vuol dire che riuscì a convertire in voti regionali il 72% di quelli ottenuti alle politiche. Quest’anno invece la differenza tra il risultato delle politiche, 39,6%, e quello delle regionali, 19,7%, è ancora più ampia. Nella sostanza il tasso di conversione è crollato al 50%. E questo in un momento, a differenza di cinque anni fa, in cui il ciclo elettorale nazionale è favorevole, visto che siamo ancora nella fase della luna di miele con un governo che ha do poco approvato una misura simbolo come il reddito di cittadinanza.

    Il problema per il M5S si chiama Salvini. In Abruzzo, come altrove, il leader della Lega Nord ha dimostrato una notevole capacità di attrazione sull’elettorale pentastellato. Non sono ancora disponibili i flussi elettorali a livello regionale. Ma quelli che il CISE ha calcolato a L’Aquila e a Pescara mettono chiaramente in evidenza l’emorragia di voti dal Movimento alla Lega Nord. A L’Aquila il 31% di coloro che avevano votato M5S alle politiche ha votato Lega alle regionali. E non a caso in questa città il M5S ha preso solo l’8,4% dei voti di lista. Cambiando prospettiva, si può dire che a L’Aquila la metà dei voti di Salvini viene dal bacino elettorale del M5S. A Pescara è andata un po’ meglio per il M5S, ma il trend è lo stesso. Qui il 16% di chi aveva votato il Movimento alle politiche ha votato Lega Nord alle regionali. E questo si traduce nel fatto che il 30% degli elettori di Salvini viene dal Movimento.

    Insomma un bel pezzo della Lega Nord di oggi è un pezzo del M5S di ieri. Questa è la lezione dell’Abruzzo. Adesso aspettiamo di vedere se la Sardegna tra un paio di settimane confermerà questo fenomeno.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. (2019), ‘Regionali in Abruzzo: la Lega Nord alla conquista del Sud, cede il M5S’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/regionali-in-abruzzo-la-lega-alla-conquista-del-sud-cede-il-m5s/

    Carrieri, L. (2014), ‘Abruzzo, la “legge ferrea dell’alternanza”: il Pd riconquista la regione’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2014/05/28/abruzzo-la-legge-ferrea-dellalternanza-il-pd-riconquista-la-regione/

    Centro Italiano Studi Elettorali (2019), ‘Regionali Abruzzo: nei flussi a Pescara il 30% dei voti della Lega proviene dal M5S’ disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/regionali-abruzzo-nei-flussi-a-pescara-il-30-dei-voti-della-lega-proviene-dal-m5s/

    Centro Italiano Studi Elettorali (2019), ‘Flussi Abruzzo: a L’Aquila addirittura la metà dei voti della Lega proviene dal M5S’ disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/11/flussi-abruzzo-a-laquila-addirittura-la-meta-dei-voti-della-lega-proviene-dal-m5s/

    D’Alimonte, R. (2018), ‘Il successo della nuova Lega e le contraddizioni con la vecchia’, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2018/11/14/il-successo-della-nuova-lega-e-le-contraddizioni-con-la-vecchia/

    Plescia, C. (2018), ‘Molise: ancora niente primo governatore per il
    M5S ’, in Emanuele, V., e Paparo A. (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 173-178.


    [1] Per il quadro completo dei recenti risultati elettorali in Abruzzo, compresi anche quelli di queste regionali, si veda Angelucci (2019).

  • Oggi le regionali in Abruzzo: la scommessa di Salvini e la conta dei Cinque Stelle

    Oggi le regionali in Abruzzo: la scommessa di Salvini e la conta dei Cinque Stelle

    Pubblicato sul Il Sole 24 Ore del 9 febbraio

    L’Abruzzo, politicamente oltre che geograficamente, è una regione di frontiera tra Nord e Sud. Ai tempi della Prima Repubblica era una roccaforte democristiana come il resto del Sud. A partire dal 1994 il controllo della regione è ruotato tra centrosinistra e centrodestra. Alle ultime regionali, nel 2014, vinse il centrosinistra con il 46,3% (Carrieri 2014).

    Le politiche del 2013 segnano anche qui uno spartiacque. Il M5S diventa il primo partito con un sorprendente 29,9% (Camera) contro il 29,5% del centrodestra berlusconiano e il 26,2 del centrosinistra bersaniano. La Lega Nord prende 1.407 voti, lo 0,2%. Il copione si ripete, in termini di graduatoria, anche alle ultime politiche del marzo 2018: primo il M5S, secondo il centrodestra, terzo il centrosinistra con un misero 17,6%. Cambiano però le percentuali[1]. Cresce il M5S che arriva al 39,6, crollano Forza Italia e il PD. Ma soprattutto cresce la Lega Nord di Salvini che si maschera dietro il nuovo simbolo da cui il Nord scompare. Con i suoi 102.283 voti supera il PD e diventa il terzo partito nella regione dietro al M5S e a una incollatura da Forza Italia. Il risultato in Abruzzo non si è discostato sostanzialmente da quello nazionale, ma qualche differenza c’è. In particolare, il notevole successo del M5S lo ha portato ad avere qui una percentuale di voti più alta della media nazionale (il 39,6 contro il 32,7), ma non della media dei suoi voti al Sud che è stata del 42,3%. Questo è il passato. Il presente è il voto di oggi per le regionali.

    Si vota con un sistema proporzionale a turno unico con premio di maggioranza. La presidenza della regione andrà al candidato che otterrà un voto più degli altri. Al partito o alla coalizione che lo appoggia viene garantita – grazie al premio – una maggioranza di 17 seggi su 31. Per ottenere seggi occorre prendere il 4% dei voti a livello regionale o il 2% se collegati a una coalizione che supera il 4%. Si possono esprimere una o due preferenze. Se si esprime la prima preferenza per un uomo, la seconda deve andare a una donna o viceversa. Non è possibile il voto disgiunto. Queste sono le regole essenziali.

    I candidati alla carica di presidente di regione sono quattro. Ma la competizione è sostanzialmente tripolare visto che il quarto è il candidato di Casa Pound. Marco Marsilio di Fratelli d’Italia è il candidato del centrodestra che vede insieme Forza Italia, Lega Nord e Fratelli d’Italia più altre due liste. Si tratta di un centrodestra anomalo. La candidatura di un esponente di Fratelli d’Italia, il più piccolo partito della coalizione, è il frutto di un compromesso spartitorio. Il partito di Salvini ha rinunciato a pretendere di guidare la coalizione in Abruzzo in cambio della candidatura a presidente nelle prossime regionali sarde di Christian Solinas, senatore eletto a marzo 2018 nelle sue liste. In Abruzzo Salvini vuole puntare a essere il primo partito del centrodestra o addirittura il primo partito in assoluto. Sarebbe la prima volta in una regione del Sud. E questo è un primo motivo di interesse di questa consultazione.

    Il secondo riguarda il centrosinistra. Il suo candidato è Giovanni Legnini, ex vice-presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. La coalizione che lo appoggia ha un formato molto ampio in cui la presenza del PD è ‘nascosta’ da altre sette liste, di cui diverse civiche, che proiettano una immagine di inclusività e di novità. Tra l’altro con tutte queste liste sono tanti i candidati a caccia di preferenze che porteranno voti alla coalizione. Sarà interessante vedere se questa formula, basata su un centrosinistra unito ma non PD-centrico, avrà successo.

    Il terzo motivo di interesse è legato al risultato del M5S. L’Abruzzo è una ‘sua’ regione. È vero che questo tipo di consultazione non lo favorisce, ma questa volta c’è di mezzo il reddito di cittadinanza. Funzionerà in modo da compensare il vantaggio competitivo di cui Salvini gode sull’immigrazione? Non è un caso che sia stato proprio questo il tema più utilizzato dal leader della Lega Nord nei suoi comizi in Abruzzo. Alle ultime politiche la Lega Nord ha preso in questa regione il 14% contro il quasi 40% del M5S. È improbabile che riesca a colmare questo distacco, ma non è detto. In fondo il M5S alle ultime regionali del 2014, con la stessa candidata che presenta oggi Sara Marcozzi, ha preso il 21,4%. Va da sé che un brutto risultato potrebbe avere pesanti ripercussioni all’interno del Movimento.

    Insomma sarà interessante vedere i dati. I sondaggi dicono che il centrodestra è davanti agli altri due competitori, ma il suo vantaggio non è decisivo. Domenica si conteranno i voti veri. E in questi voti molti saranno tentati di vedere delle tendenze. Il problema è questi voti potrebbero essere pochi, forse molto pochi. Sulla carta gli elettori sono più di un milione, ma quanti andranno a votare? Alle ultime politiche sono stati quasi ottocentomila (il 75,3%). È probabile che oggi siano molti meno. E questo può fare la differenza sia per quanto riguarda l’esito del voto sia per quanto riguarda la sua interpretazione. Cagliari insegna (Angelucci e Paparo 2019D’Alimonte 2019).

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. (2019), ‘Verso le regionali in Abruzzo: il quadro della vigilia’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/02/01/verso-le-regionali-in-abruzzo-il-quadro-della-vigilia/

    Angelucci, D. e A. Paparo (2019), ‘Suppletive a Cagliari: nella smobilitazione vince il centrosinistra’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/01/21/suppletive-a-cagliari-nella-smobilitazione-vince-il-centrosinistra/

    Carrieri, L. (2014), ‘Abruzzo, la “legge ferrea dell’alternanza”: il Pd riconquista la regione’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2014/05/28/abruzzo-la-legge-ferrea-dellalternanza-il-pd-riconquista-la-regione/

    D’Alimonte, R. (2019), ‘Suppletive sarde: quando a vincere è chi non vota’, Centro Italiano Studi Elettorali, disponibile a: https://cise.luiss.it/cise/2019/01/22/suppletive-sarde-quando-a-vincere-e-chi-non-vota/


    [1] Per un approfondimento sulla recente storia elettorale in Abruzzo e le dinamiche dei risultati, si veda Angelucci (2019), che riporta anche i tutti i dati elettorali qui citati.

  • How the Populists Won in Italy

    How the Populists Won in Italy

    Roberto D’Alimonte, “How the Populists Won in Italy“, Journal of Democracy, vol. 30 no. 1, 2019, pp. 114-127. doi:10.1353/jod.2019.0009

    Per una breve intervista in cui il Professor D’Alimonte presenta questo suo articolo, cliccare qui.

    Italy’s March 2018 election saw two populist parties, the Five Star Movement (M5S) and Lega (formerly the Northern League), win a combined majority of votes and parliamentary seats, and these unique parties have joined forces to form a government. M5S is an internet-driven movement with the utopian mission of implementing direct democracy, while Lega is a onetime regionalist party that has replaced its former goal of secession for northern Italy with appeals to nationalism and the defense of Italian sovereignty. Having decided to step off the deficit-cutting path that Italy’s previous governments had agreed to follow, these two parties are now on a collision course with the European Union. The outcome of this conflict will determine the future direction of Italian politics. This article explains the nature of these two parties and the reasons behind their success.

  • Suppletive sarde: quando a vincere è chi non vota

    Suppletive sarde: quando a vincere è chi non vota

    Pubblicato su Il Sole 24 Ore del 22 gennaio

    Come abbiamo già avuto modo di mostrare (Angelucci e Paparo 2019), alle politiche del 4 marzo nel collegio uninominale di Cagliari avevano votato 161.361 elettori, cioè il 67,2% degli aventi diritto. Nella elezione suppletiva di domenica scorsa hanno votato in 39.101, cioè il 15,5%. Era lecito attendersi una diminuzione, ma non un dato simile. In pratica più di 120.000 elettori che erano andati a votare il 4 marzo hanno deciso di astenersi. Sono tanti. Nemmeno negli Usa o in Gran Bretagna, paesi dove storicamente si vota meno che da noi, si registrano tassi di affluenza così bassi nelle suppletive. Nelle ultime suppletive britanniche sono andati a votare in media il 30% degli aventi diritto. Anche ai tempi della legge Mattarella tra il 1994 e il 2001 ci sono stati diversi casi di elezioni suppletive. E’ vero che allora si votava di più, ma la differenza tra l’affluenza nelle elezioni generali e in quelle suppletive era comunque molto più contenuta di quanto è successo a Cagliari.

    È indubbio che la partecipazione elettorale in Italia è in costante diminuzione (Emanuele 2018). Così come succede nella gran parte dei paesi occidentali. Le ragioni sono molteplici (Legnante 2007; Tuorto 2010): l’invecchiamento della popolazione, il declino delle ideologie, la debolezza dei partiti, la disaffezione nei confronti della politica, la crescita della sfiducia nelle istituzioni. Ciò premesso, occorre distinguere. Ci sono elettori che sono diventati astenuti cronici. Gente che è uscita dal mercato elettorale e molto difficilmente vi rientrerà. Ci sono altri invece che sono astenuti intermittenti. Elettori che votano in determinate consultazioni e non altre. Un caso esemplare sono state le ultime elezioni regionali in Emilia e Romagna nel 2014. In una regione dove l’affluenza è stata storicamente alta sono andati a votare il 37,7% degli elettori (Maggini 2014). Il 4 marzo ha votato il 78,7%.

    A fare la differenza a Cagliari, oltre a una quota in crescita di astenuti cronici, sono stati gli astenuti intermittenti. Sono loro che sono rimasti a casa in massa. Molti di loro torneranno a votare il 24 febbraio quando si eleggeranno presidente della regione e consiglio. La posta in gioco più elevata di quella in palio in una suppletiva per la Camera, servirà da volano. Ma sarebbe una sorpresa se fosse uguale o superiore a quelle delle regionali del 2014 quando fu del 52,3%. Accanto a fattori di carattere generale, nel collegio sardo hanno giocato un ruolo importante fattori specifici. Da una parte la ben nota difficoltà del M5S a mobilitare i suoi sostenitori in una elezione locale. Non sono bastate a questo scopo le apparizioni di Di Maio e Toninelli. Dall’altra il disinteresse della Lega Nord per questa competizione. È vero che il centrodestra ha presentata una unica candidatura, quella di Daniela Noli di Forza Italia. Ma in realtà Salvini non ha fatto nulla per sostenerla. Le sue uscite nell’isola sono state finalizzate a sostenere il candidato del suo partito per le prossime elezioni regionali. Il solo Berlusconi si è impegnato a favore della Noli. Ma come si è visto con modesti risultati. Il 4 marzo il candidato di Forza Italia aveva preso 51.318 voti contro i 10.707 della Noli oggi. Un altro segno del declino del Cavaliere. Non mobilita più.

    In questo contesto la vittoria del candidato del centrosinistra Andrea Fraillis con il 40,5% dei voti validi non va sopravvalutata. È una piccola boccata di ossigeno per questo schieramento. Ma solo le prossime regionali in Abruzzo, Sardegna, Basilicata e poi le europee e le amministrative di maggio diranno se si tratta di un caso o dell’inizio di una inversione di tendenza.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, Davide e Aldo Paparo (2019), ‘Suppletive a Cagliari: nella smobilitazione vince il centrosinistra’, Centro Italiano Studi Elettorali. https://cise.luiss.it/cise/2019/01/21/suppletive-a-cagliari-nella-smobilitazione-vince-il-centrosinistra/

    Emanuele, Vincenzo (2018), ‘La sorprendente tenuta dell’affluenza’, in Vincenzo Emanuele e Aldo Paparo (a cura di), Gli sfidanti al governo. Disincanto, nuovi conflitti e diverse strategie dietro il voto del 4 marzo 2018, Dossier CISE(11), Roma, LUISS University Press e Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 101-103.

    Legnante, Guido (2007), ‘La partecipazione politica ed elettorale’, in Marco Maraffi (a cura di), Gli Italiani e la politica, Bologna, Il Mulino, pp. 235-264.

    Maggini, Nicola (2014), ‘In Emilia-Romagna record storico di
    astensioni, ma i rapporti di forza rimangono
    inalterati a vantaggio del Pd’, in Aldo Paparo e Matteo Cataldi (a cura di), Dopo la luna di miele: Le elezioni comunali e regionali fra autunno 2014 e primavera 2015, Dossier CISE(7), Roma, Centro Italiano Studi Elettorali, pp. 35-41.

    Tuorto, Dario (2010), ‘La partecipazione al voto’, in Paolo Bellucci e Paolo Segatti (a cura di), Votare in Italia: 1968-2008. Dall’appartenenza alla scelta, Bologna, Il Mulino, pp. 53-79.