Telescope

  • Elezioni in Liguria: crocevia d’autunno? Dati e scenari sullo scontro Bucci-Orlando

    Lo scandalo giudiziario, le dimissioni di Giovanni Toti, le elezioni anticipate con lo scontro serrato tra Marco Bucci e Andrea Orlando: la politica nazionale guarda al voto di domenica e lunedì in Liguria, crocevia importante per il centrodestra, che vuole confermare una Regione dove governa dal 2015, e per il centrosinistra, presentatosi unito con la formula del campo largo, eccetto per Italia Viva rimasta fuori dopo i dissidi tra Conte e Renzi. Sono tanti gli spunti d’interesse: dalle strategie diverse (anzi, opposte) prese dalle coalizioni nella scelta del loro candidato presidente, alla storia politica della Liguria, terra di conquiste bipartisan come poche altre nella Seconda Repubblica, fino alle possibili ripercussioni del voto a medio termine, in vista delle prossime tornate in Emilia-Romagna e Umbria.   Un’elezione bipolare? L’offerta politica e la legge elettorale Il sindaco di Genova Marco Bucci e l’ex ministro Andrea Orlando, stando agli ultimi sondaggi, vengono dati entrambi al 47%. Un acceso testa a testa. Eppure alla presidenza concorrono altri 7 candidati, tra cui diversi stimati allo 0,5%, con l’ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra intorno al 2,5%. Questi dati, se ribaditi dalle urne, confermerebbero la bipolarizzazione in corso nel sistema politico italiano: un fenomeno già evidenziato alle europee di giugno e, pochi mesi prima, alle regionali di Sardegna e Abruzzo. È un banco di prova rilevante in particolar modo per il centrosinistra: quanto può diventare competitivo con l’alleanza Pd-M5s? Alle precedenti regionali del settembre 2020 i due partiti si presentarono insieme a sostegno del giornalista Ferruccio Sansa, che perse però di 17 punti contro Giovanni Toti (56,1 contro 38,9%). Va ricordato che in quella tornata di regionali, svoltasi pochi mesi dopo lo scoppio del Covid, tutti i governatori uscenti candidati erano stati riconfermati (oltre Toti in Liguria, Zaia in Veneto, De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia). Stavolta il contesto è diverso. Quel che non è cambiato rispetto a quattro anni fa è che nessuna lista fuori dai due poli principali entrerebbe in consiglio regionale. La legge elettorale ligure prevede che 24 seggi su 30 siano ripartiti con metodo proporzionale tra le liste che abbiano superato il 3%, tranne se collegate ad un presidente con almeno il 5%. I restanti 6 seggi formano invece un premio di maggioranza ad assegnazione variabile per la coalizione del governatore vincente, garantendole però non più di 19 seggi in consiglio regionale.  
    Com’è divisa la Liguria? L’analisi territoriale Durante la Seconda Repubblica la Liguria spicca come una delle Regioni elettoralmente più contendibili e meno blindate, sulla falsariga dell’Abruzzo. Ciò non significa che manchino delle specificità territoriali. Storicamente, una chiara linea di demarcazione divide le province di Ponente, Imperia e Savona, e quelle di Levante, Genova e La Spezia. Le prime, in passato, erano caratterizzate da un’impronta democristiana, poi diventata di centrodestra. È evidente, in particolare, a Imperia, provincia dove la coalizione oggi al governo è sempre stata dal 2001 la più votata alle elezioni politiche, registrando scarti notevoli sul centrosinistra persino in contesti bipolari fortemente competitivi come nella sfida Berlusconi-Prodi del 2006 (+23,1%). Il comune di Imperia, non a caso, è il feudo elettorale dell’ex ministro berlusconiano Claudio Scajola, sindaco della città dal 2018 dopo esserlo stato già una prima volta negli anni Ottanta ed una seconda negli anni Novanta. Le province a est invece mostrano un orientamento più favorevole al centrosinistra: oltre al Pd, anche il Movimento Cinque Stelle ottiene qui solitamente i suoi risultati migliori, come successo alle politiche del 2018 e del 2022. Un ruolo importante, vista la dimensione demografica, lo ricopre la provincia di Genova, da dove arriva ben oltre la metà di tutti i votanti della Regione (circa il 55%). Vien da chiedersi cosa accadrà nella città, che è amministrata dal candidato di centrodestra Marco Bucci ma alle ultime europee ha visto i partiti del campo largo schierati ora con Orlando sfiorare il 60%.  
    Bucci vs Orlando: due diverse scelte strategiche I due principali candidati riflettono strategie molto diverse. Andrea Orlando, tre volte ministro, è un uomo fortemente di partito: guida una delle componenti del Partito Democratico, e aveva anche provato a diventare segretario nel 2017, perdendo contro Renzi. Il tema che si pone è se, oltre ai dem, gli altri partiti della coalizione lo sosterranno con la stessa forza, in primis il Movimento Cinque Stelle. La Liguria non è soltanto la terra del fondatore Beppe Grillo, ma l’unica regione del Nord Italia in cui alle ultime europee i pentastellati hanno oltrepassato il 10%. L’apporto del partito di Conte è quindi importante  e non va sottovalutato, nonostante una tradizione elettorale negativa nelle tornate locali.  Il ragionamento, al contrario, fatto dal centrodestra è stato di puntare su un federatore esterno ai grandi partiti: Marco Bucci, che forse potrebbe  rivelarsi, grazie a questo profilo, più attrattivo verso elettori indecisi e di orientamento moderato. Bucci, in passato, è stato sostenuto in giunta da liste centriste come Azione. I flussi elettorali ci diranno cosa accadrà, ora che Calenda sostiene Orlando.  Se il centrodestra vincesse, verrebbe depotenziato il valore nazionale dei successivi appuntamenti elettorali dell’autunno. L’Emilia-Romagna, per Meloni & Co., resta infatti un fortino difficilmente espugnabile, mentre l’Umbria da sola non stravolgerebbe granché. Se vincesse invece Orlando, la formula politica del campo largo, ancora lontana dall’essere praticata con continuità, verrebbe rilanciata, dando la “volata” alle altre due elezioni e aumentando le fibrillazioni politiche quando il dibattito sarà incentrato sulla legge di Bilancio. Nel tempo che rimane di questa legislatura il centrosinistra è chiamato a costruire un’offerta politica che lo renda competitivo alle prossime elezioni nazionali, di “farsi polo” come è riuscito al centrodestra negli ultimi anni, nonostante i cambiamenti nella leadership. È  prioritario evitare di ripetere gli errori del 2022, quando a prevalere fu proprio un Polo solo [Chiaramonte, De Sio 2024], quello di Meloni, Salvini e Berlusconi. Ancora una volta, quindi, una prova elettorale regionale ha importanti implicazioni nazionali.
  • Elezioni USA: testa a testa fino all’ultimo miglio. Analisi e scenari nella sfida Harris-Trump

    Paese vasto e complesso, gli Stati Uniti. Gli abitanti sono 333 milioni, con una composizione etnica e demografica in rapida trasformazione. Alle ultime presidenziali gli elettori sono stati oltre 158 milioni, con un’affluenza in netta crescita rispetto al passato (66,6%, +7,4%). Eppure, in questa moltitudine, a decidere il risultato delle elezioni sono ormai poche decine di migliaia di voti sparse in una manciata di Stati chiave. È successo nel 2020 con la vittoria di Biden, e ancor prima con quella di Trump nel 2016. Tutto lascia presagire che sarà così pure nel 2024, in circostanze inedite dopo il ritiro del presidente e il lancio della candidatura della sua vice. “Non ho mai assistito ad un’elezione del genere in vita mia”, ha dichiarato Douglas Rivers, Chief Scientist di YouGov e professore a Stanford. La nuova puntata di Telescope è realizzata grazie ai dati presentati da lui e da David Brady, anche lui professore a Stanford, durante l’evento dello scorso 2 ottobre alla Luiss. Ringraziamo entrambi per averci permesso di utilizzarli in quest’articolo, che spiega perché gli americani sono così divisi e le elezioni presidenziali sistematicamente incerte, sondando possibili scenari relativi alla vittoria di Harris oppure  di Trump.  
    Nel segno di Reagan: cos’è rimasto degli anni Ottanta?
    Non esistono più i democratici e i repubblicani di una volta. Gli elettorati dei due partiti (e la percezione dei partiti stessi) sono profondamente cambiati negli ultimi decenni. Guardando alla storia recente, la svolta più dirompente è avvenuta negli anni Ottanta sotto la presidenza di Ronald Reagan. Prima di allora, i presidenti democratici venivano considerati come quelli capaci di risolvere i problemi economici. Una convinzione, tuttavia, messa a dura prova sotto la presidenza di Jimmy Carter (1976-1980), quando il Misery Index - un indicatore che combina disoccupazione e inflazione - superò il 10%. Con Reagan il cambio di passo: i repubblicani hanno acquisito più credibilità sui temi economici, ed oggi a beneficiarne è Trump. La seconda ragione di questa trasformazione è culturale, legata a temi etici come ad esempio quello, di enorme attualità, dell’aborto. Nel 1972, ai tempi di Nixon, l’elettorato repubblicano era più pro choice (favorevole alla libertà di scelta delle donne) di quello democratico, tanto nel Nord quanto nel Sud del Paese. Sedici anni dopo, proprio al termine del mandato di Reagan (1988), questo rapporto si è invertito.  Il lascito principale degli anni Ottanta, dunque, è l’inizio dello spostamento a destra dei repubblicani, con molti meno elettori moderati e conservatori che dichiarano di identificarsi tra i democratici. La tabella 2 è in tal senso emblematica, mostrando il confronto tra 1980 e 1994, quando ormai alla Casa Bianca non sedeva più Reagan ma Clinton. Parallelamente, si osserva il fenomeno speculare: l’inizio dello spostamento a sinistra del partito democratico, a cui dichiarano di identificarsi molti meno moderati e conservatori (questi ultimi pian piano più vicini ai repubblicani).  
    La super polarizzazione: quanto c’entra Trump?
    Quest’evoluzione maturerà poi negli anni successivi, in prossimità della discesa in campo di Trump. Il tycoon ha contribuito quindi ad un processo già esistente, perché ha acuito il solco tra gli elettorati dei due partiti spingendo i democratici a spostarsi più a sinistra. Lo si riscontra nei grafici sull’ideologia dei partiti tra 2012 e 2020. I democratici hanno perso ulteriormente elettori moderati e conservatori, passando dal 49 al 33%, mentre le varie componenti liberal sono cresciute dal 51 al 67%. Gli elettori americani diventano sempre più polarizzati, distanti anni luce sulle questioni più importanti, pieni di pregiudizi gli uni verso gli altri. I repubblicani credono che il 38% dei democratici appartenga alla comunità LGBT (lo è solo il 6%) e che il 36% sia ateo o agnostico (dato vero: 9%). Viceversa, i democratici credono che il 44% dei repubblicani sia composto da cittadini anziani (che pesano in realtà per circa la metà) e che guadagni più di 250.000 dollari all’anno (si tratta di appena il 2%). In un contesto del genere anche prendere decisioni al Congresso diventa difficile, vista la poca o nulla propensione al compromesso.
     
     
    Convinzioni inossidabili? Lo (scarso) peso dei dibattiti
    È chiaro, di conseguenza, che oggi chi si considera democratico o repubblicano voterà molto probabilmente per il candidato del suo partito, a prescindere dagli eventi della campagna elettorale. Prendiamo i dati di YouGov sui due dibattiti televisivi. Nel primo, andato in onda lo scorso 27 giugno, la perfomance di Biden è stata decisamente negativa, tanto da costargli la rinuncia alla candidatura dopo le forti pressioni subite dal suo partito. Eppure, a fronte di tutto ciò, dopo il dibattito il presidente aveva perso appena l’1% nelle intenzioni di voto dei democratici. Significa che Trump, grazie a quell’evento, non ha guadagnato pressoché nulla sull’avversario. Lo stesso poi è successo il 10 settembre nel secondo dibattito, ma con Kamala Harris. La vicepresidente ne è uscita molto meglio di Trump, ciononostante le intenzioni di voto non hanno fatto registrare alcun spostamento. Si noti che, tanto nel pre quanto nel post dibattito, la percentuale di indecisi o non elettori è rimasta identica: 7%. È una cifra molto bassa, che contribuisce a rendere questa un’elezione iper-competitiva. Sembrerebbe che gli americani, addirittura già a due mesi dalle elezioni, avessero le idee chiare su chi votare. Un comportamento, questo, diverso da quello che si registra in Italia, dove una quota non marginale di elettori decide invece il giorno stesso delle elezioni (Ceccarini e Diamanti 2013). Tab. 4 - Percentuale di quanti ritengono che il dibattito TV sarà vinto (o sia stato vinto) da Biden/Harris o da Trump Tab. 5 - Come sono cambiate le intenzioni di voto ai candidati presidenti prima e dopo ciascun dibattito  
    Trump ed Harris: forze e debolezze
    Quel che cambia velocemente nella campagna elettorale americana sono le opinioni su specifiche caratteristiche dei due candidati. Su questo il dibattito ha influito. Trump ne è uscito venendo considerato più confuso (+4,2%) e radicale (2,1%), mentre Harris come più ambiziosa (+3%) e audace (+2,4%). Il problema di Harris, oltre a quello di far parte dell’impopolare amministrazione Biden, è di essere percepita very liberal, un’etichetta che si è rafforzata dopo essere stata designata candidata, come visibile nella seconda visualizzazione: a febbraio, quando era soltanto la vice di Biden, era definita così per il 36%, appena due punti in più del presidente. Ad agosto, a cambio ormai avvenuto, la cifra sale al 42%. La strategia di dipingere Harris come una pericolosa estremista potrebbe dunque giovare a Trump, dal momento che ancora oggi gli americani si considerano in maggioranza moderati (32%) o conservatori (20%). Tab. 6 - Percentuale di intervistati che ha menzionato ciascun aggettivo per descrivere i candidati prima e dopo il bibattito TV
    Possibili scenari nell’era dell’incertezza
    Gli Stati Uniti vivono questa elezione con fibrillazione. Per il Prof. Dave Brady due soli partiti non bastano in un Paese così vario, composito, con un’opinione pubblica sempre più cinica. Il rischio è di una reciproca delegittimazione tra i due schieramenti, che può sfociare persino nel non riconoscimento del risultato elettorale, come del resto è avvenuto con Trump nel 2020. Se volessimo tracciare degli scenari, potremmo semplificare l’analisi dicendo che “tutto” passa da Kamala Harris. Di Donald Trump ben conosciamo la forza, che verosimilmente gli permetterà di ottenere anche stavolta più di 70 milioni di voti ed essere in gioco negli Stati chiave. E sappiamo pure le debolezze, che lo rendono un candidato divisivo come nessun altro. Harris, quindi: continuerà o no il suo momentum, lo slancio che l’accompagna dall’estate dopo essere diventata candidata? Oppure, come parrebbe, l’entusiasmo diminuirà, assottigliando il suo vantaggio in diversi Stati cruciali? Ciò che è certo, è che se Harris dovesse far fatica nella Sun Belt (gli Stati della cintura meridionale), non prendendo il Nevada e senza spuntarla in almeno uno tra Arizona, Georgia e North Carolina, allora non potrà permettersi di perdere neppure uno degli Stati chiave del nel Mid-West. La partita decisiva è lì, in quegli stessi territori che avevamo individuato nella puntata Telescope di marzo: Michigan, Wisconsin e Pennsylvania. Come con Trump e Clinton nel 2016. Come con Trump e Biden nel 2020. A quel punto Harris sarebbe ad un soffio dalla Casa Bianca: 269 grandi elettori. Gliene mancherebbe soltanto 1. Dove potrebbe ottenerlo? Dal 2° distretto del Nebraska, in passato repubblicano ma maggiormente conteso nelle ultime tornate (hanno vinto qui sia Obama nel 2008 che Biden nel 2020). La città di Omaha, dove è nato il miliardario Warren Buffett, risulterebbe decisiva, scrivendo il finale dell’elezione più serrata nella storia americana.  
    nota: si ringraziano Doug Rivers e David Brady per aver messo a disposizione i dati con i quali sono stati costruiti grafici e tabelle di questo articolo
  • Evento – Neck and Neck in the Last Mile: The 2024 US Presidential Election

    Il Dipartimento di Scienze Politiche della LUISS ed il CISE ospiteranno una conferenza internazionale dedicata all'ultimo miglio delle elezioni americane. L'evento, interamente in lingua inglese, è previsto per mercoledì 2 ottobre alle 17:30 presso The Dome, nella sede Luiss di Viale Romania 32. Qui il link di registrazione.
  • La sinistra, quando governa, fa ancora la “sinistra”? L’analisi sulle disuguaglianze di 20 Paesi in 150 anni

    Militanti, dirigenti, commentatori, perfino avversari: in molti, sia in Italia che in Europa, rimproverano da anni ai partiti della sinistra al governo di non fare più cose di “sinistra”, cioè di non difendere e migliorare le condizioni dei meno abbienti. Ma è dimostrabile empiricamente? Vincenzo Emanuele e Federico Trastulli lo hanno verificato con una ricerca originale pubblicata ad agosto sulla rivista Perspectives on Politics, dei cui risultati diamo risalto in questa nuova puntata di Telescope. La sinistra, ci si chiede, è stata in grado di realizzare la propria missione di ridurre le disuguaglianze? Se sì, su che cosa e fino a quando? Se no, perché non lo fa più? È davvero tutta colpa di Tony Blair e della sua Terza via? Per rispondere l’articolo compie un’analisi storico-comparata che riguarda 20 paesi dell’Europa occidentale, 150 anni di storia e oltre 600 legislature. E le conclusioni non sono affatto scontate.

    Come misurare il potere?

    Per orientarsi con criterio lungo un secolo e mezzo di storia serve in primis valutare quanto potere sia stato in mano ai partiti della sinistra. Emanuele e Trastulli lo hanno fatto rivedendo e perfezionando l’‘indice di potere governativo’ [Bartolini, 1998]: un indicatore che varia da 0 a 10, composto da elementi essenziali come lo status del partito nel governo (in maggioranza o all’opposizione), e se sì in che ruolo (partner principale o secondario), distinguendo inoltre tra formule politiche diverse (partito unico, coalizione etc…). Questa misura permette di fotografare, nell’arco dei vari decenni, forza e rilevanza dei partiti della sinistra, come visibile nel primo grafico in basso. È interessante notare che dopo “l’età dell’oro” della socialdemocrazia degli anni ‘60 e ‘70 il declino dell’indice sia solo leggero, a fronte di un declino molto più marcato dei risultati elettorali (qui non mostrato). Com’è possibile? Una spiegazione è che questi partiti, una volta entrati nella stanza dei bottoni, acquistino una posizione di centralità nel sistema politico che fornisce loro una capacità negoziale tale da restare al governo anche senza grandi risultati nelle elezioni. La seconda visualizzazione, invece, mostra il valore medio dell’indice per Paese, con l’Italia che figura al quindicesimo posto su 20 (quindi tra i paesi con minore presenza di governo della sinistra).   

    Figura 1 - Potere governativo della sinistra in Europa occidentale (1871-2020)

    Figura 2 - Indice potere governativo della sinistra per Paese (valore medio 1871-2020)

    Le diseguaglianze: quali sono diminuite davvero?

    Il passaggio successivo è stabilire quali sono le diseguaglianze da valutare in questi 150 anni, non limitandosi a quelle di reddito tradizionalmente trattate dalla letteratura. Le diseguaglianze, infatti, non sono riducibili solamente alle condizioni economiche. Proprio per questo l’articolo ha individuato sette diverse forme di disuguaglianza (in ambito economico, sociale e politico): diseguaglianze di reddito e welfare; educativa e sanitaria; nella distribuzione del potere politico per posizione socioeconomica, gruppo sociale (etnico, linguistico, religioso) e genere (uomo/donna).

    Ebbene: la sinistra, quando è andata al governo, è riuscita a ridurle? Sì, ma non tutte. Ha indubbiamente contribuito a diminuire quelle legate al welfare e alla distribuzione del potere politico per gruppo sociale e status socioeconomico. Ha inoltre migliorato l’uguaglianza sociale relativamente a istruzione e assistenza sanitaria, seppure i dati mostrino che, al giorno d’oggi, ci sarebbero ancora ampi margini di miglioramento. Tuttavia, la sinistra al governo non è riuscita a ridurre davvero i divari di reddito, e di distribuzione del potere politico per genere. Insomma: in Europa occidentale, che pure è il luogo meno diseguale al mondo, esiste ancora ampio margine di intervento grazie a politiche pubbliche appropriate.

    Figura 3 -Disuguaglianze economiche, politiche e sociali in Europa occidentale (1871-2020)

     

     

     

    La svolta degli anni Ottanta: la forza dei vincoli esterni

    Ma c’è di più: la situazione è cambiata in modo significativo negli ultimi decenni. Se infatti è vero che la sinistra al governo ha certamente ridotto le diseguaglianze, ormai non lo fa più in maniera significativa dagli anni Ottanta. A partire da questo momento, infatti, la sinistra al governo appare indistinguibile dai partiti di centrodestra (che non hanno raggiunto obiettivi egualitari, non avendoli mai perseguiti). Questo ci permette di correggere il tiro su un tema di dibattito presente nel mondo progressista: non sono state per prime le soluzioni ispirate alla Terza via di Tony Blair a fermare improvvisamente il cammino della sinistra nella lotta alle diseguaglianze, bensì si è trattato di un processo politico lungo vari decenni. Tra le possibili spiegazioni discusse nell’articolo, quella che sembra emergere come più probabile è che la minore capacità della sinistra al governo di ridurre le disuguaglianze sia imputabile  soprattutto al peso crescente di vincoli esterni - come quelli richiesti dall’Unione Europea e dai mercati globali - sulle politiche nazionali, che limitano il margine di manovra dei partiti al governo in materia di politica economica e sociale, con effetti specialmente tangibili nelle aree di policy economica e sociale tradizionalmente associate alla sinistra.

    Figura 4 - Effetto marginale del potere governativo della sinistra sulle diverse diseguaglianze

     

    Conclusione

    Il risultato delle dinamiche pluridecennali descritte nell’articolo è che oggi i partiti di sinistra non sono più quelli giudicati più credibili nel correggere le diseguaglianze. Ad esempio, dati recenti sull’Italia (De Sio, Maggini e Mannoni 2024) ci dicono che il partito più credibile sulla lotta alle diseguaglianze (specie economiche) è stato negli ultimi anni il Movimento Cinque Stelle e ormai un’ampia letteratura vede i partiti populisti di destra sempre più premiati dai ceti più disagiati (anche se in realtà tra questi ultimi la sinistra è spesso ancora prevalente: Oesch e Rennwald 2018); addirittura alcuni studi hanno mostrano che importanti partiti populisti di destra hanno guadagnato voti, negli ultimi anni, per la loro credibilità su proposte economiche di protezione sociale, ovvero “di sinistra” (Angelucci e De Sio 2021). Quest’ultimo sviluppo non sorprende, anche alla luce del fatto che l’integrazione sovranazionale (sostenuta anche dalla sinistra) per certi versi ha tolto ai governi nazionali alcuni strumenti di governo dell’economia per combattere le diseguaglianze; di fronte quindi a una difficoltà a regolare l’economia, è inoltre anche il tema dell’immigrazione ad alimentare (tra i ceti più disagiati) il successo dei partiti populisti di destra (Bornschier e Kriesi 2012). Ma questa è un’altra storia.

    Riferimenti bibliografici

    Angelucci, D. e De Sio, L. (2021), "Issue characterization of electoral change (and how recent elections in Western Europe were won on economic issues)", in Italian Journal of Electoral Studies (IJES)84(1), 45–67. https://doi.org/10.36253/qoe-10836

    BartoliniS. (1998), "Coalition Potential and Governmental Power." in Comparing Party System Changes, Vol. 2, eds. Jan-Erik Lane and Paul Pennings3656London, Routledge.

    Bornschier, S. e Kriesi, H. (2012), “The Populist Right, the Working Class, and the Changing Face of Class Politics.” In Class Politics and the Radical Right, edited by Jens Rydgren, 28–48. Routledge. https://doi.org/10.4324/9780203079546

    De Sio, L., Maggini, N., Mannoni, E. (2024), "Al cuore della rappresentanza. I temi in discussione, tra domanda dell’elettorato e offerta dei partiti", in A. Chiaramonte e L. De Sio (a cura di.), Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022, Bologna, Il Mulino, pp.47-76.

    Emanuele, V., Trastulli, F. (2024) "Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020)", in Perspectives on Politics, 2024 pp. 1-20. https://doi.org/10.1017/S1537592724000628

    Oesch, D., Rennwald, L. (2018), "Electoral competition in Europe's new tripolar political space : class voting for the left, centre-right and radical right", in European journal of political research, 2018, Vol. 57, No. 4, pp. 783-807  - https://hdl.handle.net/1814/51132

     

     

     

  • Evento – After the General Elections in France and the UK: Results, Analyses, and Implications for Europe

    Proseguono gli appuntamenti di World Watch, la sezione di Telescope dedicata alle elezioni nel mondo. Stavolta organizzeremo un evento, in inglese e interamente online, dedicato all’analisi dei risultati elettorali di Francia e Regno Unito.

    Vi aspettiamo giovedì 11 luglio dalle 11:00 alle 13:00 con Bruno Cautrès e Oliver Heath; introduce e modera Lorenzo De Sio, ne discutono Vincenzo Emanuele, Marc Lazar, Sorina Soare e Mark Thatcher.

    Questo webinar sarà l'ultima iniziativa di Telescope prima della pausa estiva. Ci rivedremo a settembre.

    Qui il link per la registrazione.

    Link alternativo

Ricerca

  • Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020)

    To cite the article: Emanuele, Vincenzo, and Federico Trastulli. 2024. “Left Governmental Power and the Reduction of Inequalities in Western Europe (1871–2020).” Perspectives on Politics: 1–20. doi: 10.1017/S1537592724000628. The article is open access and can be accessed here. Abstract Despite considerable attention in the literature, existing studies analyzing the effect of left governmental power on inequalities suffer from three main limitations: a privileged focus on economic forms of inequality at the expense of political and social ones, inaccurate measurements of left governmental power, and the analyses’ narrow time spans. This article addresses such concerns through a comparative longitudinal analysis where the impact of left governmental power on different measures of political, social, and economic inequalities is investigated in 20 Western European countries across the last 150 years. Data show that, consistent with previous literature, the Left in government has significantly reduced most forms of inequalities. However, the equalizing effect of the Left in government has decreased over time and has become not significant since the 1980s. The Left is today incapable of accomplishing its historical mission of reducing inequalities. The article discusses the rationale and implications of these findings.
  • The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation

    To cite the article:

    Crulli, M., & Albertazzi, D. (2024). The ‘mainstream’ in contemporary Europe: a bi-dimensional and operationalisable conceptualisation. West European Politics, 1–30. https://doi.org/10.1080/01402382.2024.2359841

    The article is open access and can be accessed here.

    Abstract

    The aim of this article is twofold. Firstly, it offers a new definition of ‘mainstream’. Moving beyond understandings of the concept that focus exclusively on parties’ alternation in power, or their ideology/message, the article’s conceptualisation considers both supply and demand sides of politics. Hence, an attitudinal component to functional definitions is added. This implies that, to be called ‘mainstream’, certain attitudes must be shared by a majority of the public, and there must be no significant differences in their endorsement across political groups. Secondly, consideration is given to whether liberal-, social-democratic, and populist radical right (PRR) parties and attitudes meet this new reconceptualisation. While liberal- and, to a lesser extent, social-democratic parties and attitudes are indeed shown to be ‘mainstream’, the PRR is found to fall outside of the proposed definition, despite being ‘established’ on the supply side. The article concludes by underlining its wider theoretical implications.

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

    A. Chiaramonte, L. De Sio (a cura di)

    Un polo solo. Le elezioni politiche del 2022

    Bologna, Il Mulino, 2024 pp. 380

    ISBN 978-88-15-38818-6

    È disponibile in libreria "Un polo solo", l' ottavo volume della serie, dedicata alle elezioni politiche, iniziata dai ricercatori CISE a partire dall'elezione del 1994.

    Un approfondito studio delle elezioni politiche del settembre 2022, ricco di dati e analisi originali, di un gruppo di ricercatori riunito su iniziativa del Centro Italiano di Studi Elettorali (CISE). Dopo un'introduzione sul contesto pre-elettorale - la costruzione dell'offerta politica; le domande espresse dall'opinione pubblica; lo sviluppo della campagna elettorale - segue una dettagliata analisi dei risultati, con focus sulla partecipazione al voto, sui flussi e sui temi decisivi, sul rapporto tra territorio e voto, sul partito vincitore - Fratelli d'Italia. Una serie di contributi inquadra l'elezione in una prospettiva di lungo termine, analizzando gli effetti del sistema elettorale, la selezione della classe parlamentare e l'evoluzione del sistema partitico italiano. È sulla scorta di questa grande messe di dati e di analisi che si costruisce un'interpretazione complessiva che vede il «cambiamento» ancora protagonista, ma anche il ritorno in primo piano di una caratteristica del vecchio bipolarismo, per cui a fare la differenza nella competizione elettorale è stata la capacità dei partiti di «farsi polo». Ma è un polo solo che ha risposto a questo appello, decidendo così il risultato.

    Indice

    Premessa

    I. Partiti, coalizioni e alleanze: il ritorno del primato dell’offerta, di Matteo Boldrini, Marco Improta e Aldo Paparo

    II. Al cuore della rappresentanza. I temi in discussione, tra domanda dell’elettorato e offerta dei partiti, di Lorenzo De Sio, Nicola Maggini ed Elisabetta Mannoni

    III. Divergenti ma non troppo? Le priorità dei cittadini e le strategie dei partiti durante la campagna elettorale, di Luca Carrieri e Cristian Vaccari

    IV. Cronaca di una morte annunciata. La partecipazione elettorale in Italia, 2022, di Davide Angelucci, Federico Trastulli e Dario Tuorto

    V. Un polo solo, al comando: i risultati elettorali e i flussi di voto, di Davide Angelucci, Lorenzo De Sio e Aldo Paparo

    VI. Territorio e voto in Italia alle elezioni politiche del 2022, di Matteo Cataldi, Vincenzo Emanuele e Nicola Maggini

    VII. Fratelli d’Italia. Radici e dinamiche di un successo annunciato, di Davide Angelucci, Gianfranco Baldini e Sorina Soare

    VIII. Maggioritario di risulta. Gli effetti del nuovo sistema elettorale alla sua seconda prova, di Alessandro Chiaramonte, Roberto D’Alimonte e Aldo Paparo

    IX. La rivincita della politica? Il ceto parlamentare alla prova della riduzione dei seggi, di Bruno Marino, Filippo Tronconi e Luca Verzichelli

    X. Un sistema partitico deistituzionalizzato, di Alessandro Chiaramonte, Vincenzo Emanuele e Elisa Volpi

    Conclusioni: un polo solo, e poi?, di Alessandro Chiaramonte e Lorenzo De Sio

    Riferimenti bibliografici

  • Open selection for a 2-year post-doc position at CISE on social media analysis (deadline Apr 10)

    The selection is still open (until Apr 10). The figure we are looking for (details in the call for applications-see PDF below) will deal with quantitative social media analysis, also through computational methods, so that familiarity with Python and/or R (possibly including API access) is an important plus.

    The call for applications is for a two-year post-doctoral position at Luiss Rome within the CISE-run, nationally funded (PRIN) POSTGEN project - Generational gap and post-ideological politics in Italy. The position also offers interesting teaching opportunities; moreover, due to the geographically distributed nature of the project (the Luiss unit, headed by PI Lorenzo De Sio, coordinates three more units in Milan, Bologna and Pavia), applications by non-resident young scholars will be also very seriously considered.

    The project is highly innovative on several aspects, from theoretical framework to data collection and analysis, combining qualitative ethnographic interviews, questionnaire-based surveys, and social media analysis using algorithms and GenAI (see description below, or directly https://postgen.org/ ).

    Position description (from the call)

    The selected postdoctoral researcher will be in charge for specific tasks related to the project work package dedicated to social media, in terms of both data collection and quantitative analysis.

    The ideal candidate has:

    • a background in empirical social research with a quantitative approach;
    • familiarity with manual and automated collection of social media data (including access to social media APIs);
    • familiarity with quantitative analysis of social media data, both with human coding and with algorithmic (supervised and unsupervised) approaches;
    • familiarity with common data analysis software/programming languages (Stata, R, Python);
    • some record of scientific publications;
    • some previous participation to international research projects.

    The selected researcher will actively cooperate with the project team, and will be offered the possibility of a fully-fledged research experience within the POSTGEN project, including full participation to research activities and to the dissemination of the project, ranging from participation to international conferences to significant opportunities for scientific publications on international journals.

    Useful links

    Call for applications
    (legal document in Italian; includes English position description at the end)

    Application form
    (deadline: 14.00 CEST of April 10, 2024)

    POSTGEN in a nutshell:

    Background

    Recent, disruptive political change in the Western world (Brexit; Trump; challenger parties across Europe; the birth in 2018 Italy of the first “populist” government in Western Europe) has deeply challenged theories of voting behavior and party competition, leading most scholars to broad explanations based on populism and irrational publics.

    Recent comparative research (see the ICCP project; see De Sio/Lachat 2020) has shown more specific mechanisms: challenger parties thrive on an ability to mobilize conflict by leveraging issue opportunities across ideological boundaries. This reveals a de-ideologized context, where voters, relying less on traditional ideological alignments, reward innovative post-ideological platforms.

    Still, ICCP research only scratched the surface of a possible de-ideologization process, lacking processual focus (and missed the impact of the Covid crisis, potentially leading to further change).

    The POSTGEN Project

    POSTGEN fills this gap by offering – on the Italian case, lying at the forefront of disruptive political change – an in-depth analysis of the mechanisms and dynamics of possible de-ideologization. It adopts a generation-aware perspective (needed for understanding change) with emphasis on younger generations, and with innovative focus on:

    • time: tracing the (memory and) dynamics of the formation of political attitudes (at the individual, generational, and collective level) and their impact on political behavior;
    • meanings associated to different political issues, and the (lack of) overarching ideological organization thereof;
    • non-political actors and influencers, and their increasing influence in an age of crisis of epistemic authorities.


Volumi di ricerca

  • Un polo solo Le elezioni politiche del 2022

  • The Deinstitutionalization of Western European Party Systems

  • Conflict Mobilisation or Problem-Solving? Issue Competition in Western Europe

  • “La politica cambia, i valori restano” ripubblicato in Open Access

  • Il voto del cambiamento: le elezioni politiche del 2018

  • Cleavages, Institutions and Competition

  • Young People’s Voting Behaviour in Europe. A Comparative Perspective

  • Terremoto elettorale. Le elezioni politiche del 2013

  • Competizione e spazio politico. Le elezioni si vincono davvero al centro?

  • La politica cambia, i valori restano? Una ricerca sulla cultura politica dei cittadini toscani


Dossier CISE

  • Online il Dossier CISE “Le elezioni amministrative del 2019”

  • The European Parliament Elections of 2019 – individual chapters in PDF

  • The European Parliament Elections of 2019 – the e-book

  • “Goodbye Zona Rossa”: Online il Dossier CISE sulle elezioni comunali 2018

  • Dossier CISE “Goodbye Zona Rossa”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • “Gli sfidanti al governo”: Online il Dossier CISE sulle elezioni del 4 marzo

  • Dossier CISE “Gli sfidanti al governo”: Scarica i singoli articoli in PDF

  • The year of challengers? The CISE e-book on issues, public opinion, and elections in 2017

  • The year of challengers? Individual PDF chapters from the CISE e-book

  • “Dall’Europa alla Sicilia”: Online il Dossier CISE su elezioni e opinione pubblica nel 2017