Elezioni in Liguria: crocevia d’autunno? Dati e scenari sullo scontro Bucci-Orlando

Lo scandalo giudiziario, le dimissioni di Giovanni Toti, le elezioni anticipate con lo scontro serrato tra Marco Bucci e Andrea Orlando: la politica nazionale guarda al voto di domenica e lunedì in Liguria, crocevia importante per il centrodestra, che vuole confermare una Regione dove governa dal 2015, e per il centrosinistra, presentatosi unito con la formula del campo largo, eccetto per Italia Viva rimasta fuori dopo i dissidi tra Conte e Renzi. Sono tanti gli spunti d’interesse: dalle strategie diverse (anzi, opposte) prese dalle coalizioni nella scelta del loro candidato presidente, alla storia politica della Liguria, terra di conquiste bipartisan come poche altre nella Seconda Repubblica, fino alle possibili ripercussioni del voto a medio termine, in vista delle prossime tornate in Emilia-Romagna e Umbria.

 

Un’elezione bipolare? L’offerta politica e la legge elettorale

Il sindaco di Genova Marco Bucci e l’ex ministro Andrea Orlando, stando agli ultimi sondaggi, vengono dati entrambi al 47%. Un acceso testa a testa. Eppure alla presidenza concorrono altri 7 candidati, tra cui diversi stimati allo 0,5%, con l’ex presidente della Commissione parlamentare Antimafia Nicola Morra intorno al 2,5%. Questi dati, se ribaditi dalle urne, confermerebbero la bipolarizzazione in corso nel sistema politico italiano: un fenomeno già evidenziato alle europee di giugno e, pochi mesi prima, alle regionali di Sardegna e Abruzzo. È un banco di prova rilevante in particolar modo per il centrosinistra: quanto può diventare competitivo con l’alleanza Pd-M5s? Alle precedenti regionali del settembre 2020 i due partiti si presentarono insieme a sostegno del giornalista Ferruccio Sansa, che perse però di 17 punti contro Giovanni Toti (56,1 contro 38,9%). Va ricordato che in quella tornata di regionali, svoltasi pochi mesi dopo lo scoppio del Covid, tutti i governatori uscenti candidati erano stati riconfermati (oltre Toti in Liguria, Zaia in Veneto, De Luca in Campania ed Emiliano in Puglia). Stavolta il contesto è diverso. Quel che non è cambiato rispetto a quattro anni fa è che nessuna lista fuori dai due poli principali entrerebbe in consiglio regionale. La legge elettorale ligure prevede che 24 seggi su 30 siano ripartiti con metodo proporzionale tra le liste che abbiano superato il 3%, tranne se collegate ad un presidente con almeno il 5%. I restanti 6 seggi formano invece un premio di maggioranza ad assegnazione variabile per la coalizione del governatore vincente, garantendole però non più di 19 seggi in consiglio regionale.

 

Com’è divisa la Liguria? L’analisi territoriale

Durante la Seconda Repubblica la Liguria spicca come una delle Regioni elettoralmente più contendibili e meno blindate, sulla falsariga dell’Abruzzo. Ciò non significa che manchino delle specificità territoriali. Storicamente, una chiara linea di demarcazione divide le province di Ponente, Imperia e Savona, e quelle di Levante, Genova e La Spezia. Le prime, in passato, erano caratterizzate da un’impronta democristiana, poi diventata di centrodestra. È evidente, in particolare, a Imperia, provincia dove la coalizione oggi al governo è sempre stata dal 2001 la più votata alle elezioni politiche, registrando scarti notevoli sul centrosinistra persino in contesti bipolari fortemente competitivi come nella sfida Berlusconi-Prodi del 2006 (+23,1%). Il comune di Imperia, non a caso, è il feudo elettorale dell’ex ministro berlusconiano Claudio Scajola, sindaco della città dal 2018 dopo esserlo stato già una prima volta negli anni Ottanta ed una seconda negli anni Novanta.

Le province a est invece mostrano un orientamento più favorevole al centrosinistra: oltre al Pd, anche il Movimento Cinque Stelle ottiene qui solitamente i suoi risultati migliori, come successo alle politiche del 2018 e del 2022. Un ruolo importante, vista la dimensione demografica, lo ricopre la provincia di Genova, da dove arriva ben oltre la metà di tutti i votanti della Regione (circa il 55%). Vien da chiedersi cosa accadrà nella città, che è amministrata dal candidato di centrodestra Marco Bucci ma alle ultime europee ha visto i partiti del campo largo schierati ora con Orlando sfiorare il 60%.

 

Bucci vs Orlando: due diverse scelte strategiche

I due principali candidati riflettono strategie molto diverse. Andrea Orlando, tre volte ministro, è un uomo fortemente di partito: guida una delle componenti del Partito Democratico, e aveva anche provato a diventare segretario nel 2017, perdendo contro Renzi. Il tema che si pone è se, oltre ai dem, gli altri partiti della coalizione lo sosterranno con la stessa forza, in primis il Movimento Cinque Stelle. La Liguria non è soltanto la terra del fondatore Beppe Grillo, ma l’unica regione del Nord Italia in cui alle ultime europee i pentastellati hanno oltrepassato il 10%. L’apporto del partito di Conte è quindi importante  e non va sottovalutato, nonostante una tradizione elettorale negativa nelle tornate locali. 

Il ragionamento, al contrario, fatto dal centrodestra è stato di puntare su un federatore esterno ai grandi partiti: Marco Bucci, che forse potrebbe  rivelarsi, grazie a questo profilo, più attrattivo verso elettori indecisi e di orientamento moderato. Bucci, in passato, è stato sostenuto in giunta da liste centriste come Azione. I flussi elettorali ci diranno cosa accadrà, ora che Calenda sostiene Orlando. 

Se il centrodestra vincesse, verrebbe depotenziato il valore nazionale dei successivi appuntamenti elettorali dell’autunno. L’Emilia-Romagna, per Meloni & Co., resta infatti un fortino difficilmente espugnabile, mentre l’Umbria da sola non stravolgerebbe granché. Se vincesse invece Orlando, la formula politica del campo largo, ancora lontana dall’essere praticata con continuità, verrebbe rilanciata, dando la “volata” alle altre due elezioni e aumentando le fibrillazioni politiche quando il dibattito sarà incentrato sulla legge di Bilancio. Nel tempo che rimane di questa legislatura il centrosinistra è chiamato a costruire un’offerta politica che lo renda competitivo alle prossime elezioni nazionali, di “farsi polo” come è riuscito al centrodestra negli ultimi anni, nonostante i cambiamenti nella leadership. È  prioritario evitare di ripetere gli errori del 2022, quando a prevalere fu proprio un Polo solo [Chiaramonte, De Sio 2024], quello di Meloni, Salvini e Berlusconi. Ancora una volta, quindi, una prova elettorale regionale ha importanti implicazioni nazionali.