Autore: Aldo Paparo

  • Regionali Marche: l’uscente di centrosinistra è il candidato del centrodestra

    di Aldo Paparo

    Presentiamo qui l’ormai imminente consultazione per l’elezione del Presidente della regione e del Consiglio regionale nelle Marche. Si tratta di un caso estremamente interessante: la regione si colloca infatti al confine della zona rossa e recentemente ha fatto registrare una volatilità estremamente elevata. Sarà interessante testare il polso alla tenuta del Pd in questo momento, in una terra così tradizionalmente affine, anche alla luce di alcune particolarità relative all’offerta elettorale in campo. Ma dalle elezioni marchigiane si attendono riscontri importanti anche per il M5s (che qui nel 2013 sembrò poter rompere l’egemonia rossa) e per il centrodestra, in cui la Lega potrebbe fare segnare una forte avanzata al sud del Po proprio in questa regione così volatile, e Fi sperimenta qualcosa di inaudito nella candidatura alla presidenza.

    Ma andiamo con ordine. Come riportato dalla tabella 1, cinque anni fa, nella primavera del 2010, il Presidente uscente del centro-sinistra (Gian Mario Spacca) conquistò la riconferma a Palazzo Raffaello raccogliendo il 53,2% dei voti maggioritari. A sostenerlo una coalizione di sette liste, guidate dal Pd, che otteneva al proporzionale una quota di voti sostanzialmente pari a quella del candidato. Accanto al principale partito della coalizione, il più fidato alleato di allora, l’Idv, ma poi l’Udc e non i partiti di sinistra che pure avevano sostenuto la prima giunta Spacca. Già allora la scelta di alleanze di Spacca, che guardava al centro (-destra) più che a sinistra, aveva fatto discutere. Come vedremo la cosa si ripete in queste elezioni.

    Forse anche a causa di queste controverse scelte di alleanze, il Pd faceva registrare un calo di 10 punti rispetto alle politiche del 2008, fermandosi appena sopra del 31% dei voti. Lusinghiero, al contrario, il risultato dell’Idv che, sfiorando il 10% dei voti, raddoppiava il proprio risultato delle politiche di due anni prima. L’Udc si manteneva attorno al 6%, in linea con il risultato delle politiche e delle precedenti regionali, in cui aveva corso, rispettivamente, da sola e con il centro-destra. Entravano in Consiglio anche Verdi, Api e una lista unitaria formata da Psi e altri, con un seggio a testa.

    Lo sfidante di centro-destra, Erminio Marinelli si fermava appena al di sotto del 40% dei voti, mentre le quattro liste che lo appoggiavano superavano di misura nel complesso tale soglia. Da rilevare come, seppur per una manciata di voti, il Pdl si imponesse come la lista più votata. La Lega nord, inoltre, otteneva una notevole affermazione, andando oltre il 6% dei voti. Ovvero il triplo del risultato delle politiche del 2008, che a loro volta avevano visto il massimo storico fino a quel momento del Carroccio nella regione.

    A completare il quadro dei risultati del 2010 un candidato alla sinistra del Pd, Massimo Rossi, sostenuto da Sel e Fds. Questi veniva votato da circa un elettore su 15, facendo entrare entrambe le liste a sostegno in Consiglio con un seggio a testa.

    Il primo posto per un partito di centro-destra rappresenta senz’altro la principale novità riscontrabile nei risultati del 2010 rispetto alla storia elettorale regionale. Delle quattro elezioni della Seconda Repubblica con l’elezione diretta del Presidente, si tratta in effetti della prima occasione in cui ciò sia accaduto. Il risultato deludente del Pd era certamente un campanello d’allarme per l’egemonia regionale del centro-sinistra, ma ampiamente recuperato dal risultato della coalizione, che otteneva la maggioranza assoluta e confermava Spacca alla presidenza (seppur in calo di quasi 5 punti rispetto al 2005).

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni regionali 2010 nelle Marche

    Per inquadrare meglio questo predominio del centro-sinistra nella regione, basti dire che, dall’inizio della Seconda Repubblica, candidati del centro-sinistra non solo hanno sempre vinto le elezioni regionali nelle Marche, ma lo hanno fatto ottenendo percentuali al maggioritario comprese fra il 50 e il 58%. Solo nel 2000 la maggioranza assoluta dei voti è stata solo sfiorata. Fra il 1995 e il 2005 a guidare la Giunta regionale è stato il magistrato Vito D’Ambrosio, mentre negli ultimi dieci anni tale ruolo è stato di Gian Mario Spacca, precedentemente assessore alle attività produttive e Vicepresidente della regione nelle giunte D’Ambrosio.

    Ecco perché il risultato registrato nelle Marche alle elezioni politiche del 2013 è stato ancor più dirompente che nel paese nel suo complesso. Infatti, all’indomani del 25 febbraio non solo il Pd non era più la prima forza politica in nessuna provincia, ma il centro-sinistra nel suo complesso non era la prima coalizione nelle Marche (tab. 2). Il M5s da solo aveva raccolto più voti (32,1%) di Pd e alleati insieme (31,1%), che riuscivano appena a replicare il già misero risultato del solo Pd alle regionali. D’altro canto, la coalizione di centro-destra appariva anch’essa profondamente ridimensionata. Sostanzialmente dimezzata rispetto al 2010, si ritrovava ad avere poco più di un voto su cinque. Il partito guidato da Berlusconi poteva comunque ancora contare su un elettore marchigiano su sei, mentre la Lega non riusciva a confermare il risultato delle regionali e tornava sotto quota 1%. Il risultato della coalizione guidata da Mario Monti era in linea con quello nazionale: poco sopra il 10%, con Sc cannibale ai danni degli alleati. Molto deludente, infine, il risultato per la sinistra più tradizionale, con Rc appena sopra il 2% (addirittura al di sotto del risultato medio nazionale), quando invece alle regionali le liste che la componevano avevano sfiorato il 15%. In pratica un solo vincitore: Grillo; con tutti gli altri a leccarsi ferite assai dolorose.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni politiche 2013 nelle Marche

    Nelle elezioni europee dello scorso anno (tab. 3) il Pd guidato da Renzi otteneva nella Marche una riscossa analoga a quella del resto del paese. Oltre il 45% dei voti, con una crescita rispetto alle politiche pari sostanzialmente al 50%, appena al di sotto della crescita media nazionale. Il M5s aveva smarrito un quarto dei propri consensi, quasi il triplo della sua media nazionale, ma si confermava comunque assai forte, appena al di sotto del 25%. Le Marche riacquistavano il loro ruolo tradizionale nella geografia politica del paese, perfettamente in linea con le altre regioni della zona rossa. L’area di centro-destra nella sua accezione più larga manteneva il 20% abbondante dei consensi, ma la scissione del Pdl lasciava il più grande fra i partiti di tale area politica – adesso Fi – appena sopra un voto ogni otto, come alle politiche quasi doppiato dal M5s. Fdi e Lega facevano registrare una certa crescita, mantenendosi comunque attori marginali del sistema politico regionale. L’area politicamente alla sinistra del Pd rimaneva complessivamente sostanzialmente stabile, raccogliendo fra il 5 e il 6% dei voti.

    Tab. 3 – Risultati delle elezioni europee 2014 nelle Marche

    Veniamo ora all’offerta in campo in queste elezioni regionali. Cominciamo col dire che non si tratta di una corsa aperta, almeno in senso tecnico, dal momento che il Presidente uscente è in corsa per un nuovo mandato. Come vedremo, però, si tratta si un caso di corsa alla rielezione del tutto sui generis. Come riportato dalla tabella 4, i candidati in campo sono cinque, contro i tre di cinque anni or sono. Un chiaro segnale dell’emersione di una competizione multipolare avvenuta nel nostro sistema partitico negli ultimi cinque anni; vedremo poi in che misura i risultati confermeranno il cambiamento di schema competitivo rispetto al 2010, quando invece si era ancora nel pieno del quadro bipolare e i primi due candidati raccolsero quasi il 93% dei voti.

    Cominciamo la rassegna dei candidati in corsa dall’incumbent, Spacca, che insegue un terzo mandato[1]. Ma, e qui cominciano le peculiarità del caso, non è più il candidato del Pd. Dopo avere rotto con la sua coalizione nell’ultimo periodo della sua amministrazione, ha deciso di correre come indipendente. Singolare, ma non inaudito. Ancor più straordinarie, però, sono le seguenti circostanze: che nella sua lista civica (Marche 2000) siano confluiti anche candidati di Area Popolare e che, infine, Forza Italia – così come la Dc – abbia deciso di appoggiare la candidatura del due volte rivale.

    Il candidato del centro-sinistra, vincitore delle primarie, è l’ex sindaco di Pesaro Luca Ceriscioli, del Pd. Viene appoggiato da tre liste: Pd, Uniti per le Marche (Psi, Verdi, Idv) e Udc-Popolari Marche (comprendente anche Cd e altri). Il terzo candidato maggiore è Gianni Maggi, sostenuto dal M5s. Completano il quadro Edoardo Mentrasti, candidato di Altre Marche-Sinistra Unita (Sel, Prc, Pdci), e Francesco Acquaroli, appoggiato da Fdi-An e Lega nord.

    Riassumendo, cinque anni fa si sfidarono un candidato di centro-sinistra, uno di centro-destra e uno di sinistra. Stavolta c’è simmetria: infatti c’è una spaccatura anche nel centro-destra, che vede Fi e Lega andare divisi. Inoltre in più abbiamo il candidato del M5s.

    Le liste sono però in tutto dieci, in calo quindi rispetto alle tredici del 2010. Occorre qui introdurre un elemento importante: il Consiglio regionale ha recentemente modificato il sistema elettorale regionale. Certamente considerazioni strategiche in riferimento alla nuova normativa elettorale (in particolare all’innalzamento delle soglie effettive per l’accesso alla rappresentanza) possono spiegare, almeno parzialmente, questo schizofrenico aumentare dei candidati mentre le liste diminuiscono.

    Tab. 4 – L’offerta elettorale alle regionali 2015 nelle Marche

     

    Vediamo quindi qual è la normativa elettorale con cui si svolgeranno le imminenti elezioni. La recente riforma segna una netta divaricazione dalla dispositivo originale della legge Tatarella, comunque già abbandonato nelle Marche dal 2004 con l’approvazione di una legge elettorale regionale. Nella ultima riforma è stato in particolare ridotto il numero dei componenti il Consiglio, ed è stato limitato il potenziale distorsivo del premio di maggioranza.

    Il Presidente della regione è sempre eletto direttamente in turno unico. Chi ha più voti vince, mentre chi arriva secondo viene comunque eletto consigliere regionale[2]. I candidati alla presidenza sono sempre collegati alle liste dei partiti. Come già dal 2010 non ci sono invece i listini regionali collegati ai candidati Presidente, tipici della Tatarella.

    Sempre allontanandosi dal tracciato delle legge Tatarella, è stato abolito il voto disgiunto. Siamo quindi in presenza di un caso di voto fuso (Cox 1997; Chiaramonte 1998). A maggior ragione alla luce della previsione normativa per la quale, così come i voti espressi solo per una lista valgono anche per il candidato Presidente, i voti espressi per il solo Presidente contano anche come voti per la coalizione: le due arene sono fatte meccanicamente coincidere, così come avviene in Umbria e per le comunali di Val d’Aosta e TrentinoAlto Adige. E’ invece rimasta inalterata la previsione di un voto di preferenza da potersi esprimere fra i candidati della lista votata[3] .

    Come prima, il Consiglio regionale è eletto con un sistema proporzionale corretto da un premio di maggioranza. È prevista per le coalizioni una soglia di sbarramento al 5% su base regionale, salvo per quelle che pur non avendola raggiunta abbiano al loro interno una lista che abbia ottenuto almeno il 3% dei voti (sempre su base regionale). I seggi in Consiglio sono ora 31 in tutto (compreso quello del Presidente), contro i 40 del periodo 1995-2010 e i 43 dell’ultima legislatura.

    Il premio di maggioranza varia a seconda del risultato della coalizione collegata al candidato vincitore: dei 30 seggi “ordinari” (cui si aggiunge quello del Presidente), gliene sono assegnati 18 se raggiunge o supera il 40% dei consensi, 17 se è arrivata al 37% ma non al 40%; infine 16 se si è attestata su un risultato pari o superiore al 34% ma inferiore al 37%. Sotto il 34% i seggi vengono assegnati con un proporzionale puro. Dunque, l’attuale sistema elettorale non è majority assuring. Tenuto quindi conto del risultato della coalizione vincente, i seggi sono ripartiti a livello regionale fra le coalizioni attraverso il metodo D’Hondt; e poi, sempre su base regionale, fra i partiti di ciascuna coalizione con quozienti Hagenbach-Bischoff (sulla base dei seggi spettanti alla coalizione). I seggi sono poi sono calati nelle circoscrizioni provinciali, dove si calcolano dei quozienti Hagenbach-Bischoff, con recupero dei resti su base regionale; ma sempre facendo riferimento ai totali di seggi spettanti alle liste, così come calcolati a livello regionale, e alle circoscrizioni. Non sono quindi possibili slittamenti rispetto ai seggi originariamente attribuiti alle diverse province.

    Alla luce delle caratteristiche appena descritte del nuovo sistema elettorale regionale nelle Marche, possiamo affermare che esso si collochi all’interno del gruppo dei sistemi misti del tipo proporzionale con premio di maggioranza; non più un maggioritario a membro misto, quale era invece quello della legge Tatarella (Chiaramonte 2005). Merita inoltre di essere sottolineato come, con l’ultima recente riforma, il legame fra le due arene (quella maggioritaria per l’elezione del Presidente e quella proporzionale per il Consiglio) sia diventato eventuale: l’attuale sistema rientra quindi fra quelli misti a combinazione dipendente condizionale, e non più a correzione, secondo la tipologia proposta da Massicotte e Blais (1999, 347).

    Come abbiamo avuto modo di vedere, la storia elettorale della regione non lascia molti margini di dubbio circa l’esito di questa consultazione, per lo meno in riferimento a chi sarà eletto Presidente. Il vantaggio competitivo del centro-sinistra nelle Marche appare difficilmente colmabile dai rivali. Anche alla luce degli ultimi sondaggi pubblicati prima del blackout, Ceriscioli dovrebbe essere saldamente in testa, accreditato di percentuali comprese fra il 35 e il 40%. Staccati di una quindicina di punti, con percentuali assai vicine fra loro, sembrano Spacca e Maggi.

    Naturalmente la presenza di una soglia minima – del 34% – perché scatti il premio di maggioranza, impone al centro-sinistra di non fallire tale quota per potere governare da solo. Potrebbe apparire un risultato scontato: le liste che sostengono Ceriscioli valevano circa il 50% dei voti appena 12 mesi fa. Ma il generale appannamento dell’immagine del governo e di Renzi rendono ragionevole ipotizzare un arretramento rispetto alle europee. Inoltre occorrerà valutare la capacità del Presidente uscente Spacca di sottrarre voti alla sua ex coalizione. Gli stessi sondaggi che danno Ceriscioli nettamente al comando, d’altronde, lo accreditano di percentuali pericolosamente prossime alla soglia.

    Un risultato simile a quello ottenuto solo due anni fa della coalizione di Bersani condannerebbe il neo-Presidente alla sgradevole condizione di dover cercare il sostegno dell’incumbent per avere la maggioranza in Consiglio. Magari senza fare ricorso ai consiglieri di Fi, ma attingendo alla lista di ispirazione civica Marche 2000. Sempre che il risultato elettorale non ci riservi una sorpresa ancor più inaspettata…

    Riferimenti bibliografici

    Cataldi, Matteo, e Vincenzo Emanuele. 2013. “Lo Tsunami Cambia La Geografia E Strappa 50 Province a Pd E Pdl.” In Le Elezioni Politiche 2013, a cura di Lorenzo De Sio, Matteo Cataldi, e Federico De Lucia, 53–56. Dossier CISE 4. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.

    Chiaramonte, Alessandro. 1998. “I Sistemi Elettorali Misti. Una Classificazione.” Rivista Italiana Di Scienza Politica 28 (2): 229–70.

    ———. 2005. Tra Maggioritario E Proporzionale. L’universo Dei Sistemi Elettorali Misti. Bologna: Il Mulino.

    Cox, Gary W. 1997. Making Votes Count: Strategic Coordination in the World’s Electoral Systems. Cambridge: Cambridge University Press.

    Massicotte, Louis, e André Blais. 1999. “Mixed Electoral Systems: A Conceptual and Empirical Survey.” Electoral Studies 18 (3): 341–66.

    Paparo, Aldo, e Matteo Cataldi. 2014. “La Competizione Nelle Province: Dietro Al Pd C’è Ovunque Il M5s, Con Fi Terza.” In Le Elezioni Europee 2014, a cura di Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele, e Nicola Maggini, 129–34. Dossier CISE 6. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.


    [1] Ciò è possibile grazie ad una norma transitoria contenuta nella nuova legge elettorale regionale. Infatti il nuovo testo prevede (art.3bis) che non sia immediatamente rieleggibile chi abbia esercitato due mandati completi consecutivi, recependo così l’analogo dispositivo della legislazione nazionale. All’art.25, però, la nuova legge prevede di non considerare le elezioni regionali del 2005.

    [2] Venendo eletto al posto dell’ultimo seggio assegnato ad un partito della coalizione a lui collegata.

    [3] E’ previsto inoltre, a tutela della rappresentanza di genere, che le liste provinciali debbano essere composte per almeno un terzo da entrambi i generi. Naturalmente, in presenza di preferenze libere, questa disposizione è assai poco efficace, se non del tutto inefficace.

  • Prima crisi di consenso del governo, ma Renzi si difende bene

    Prima crisi di consenso del governo, ma Renzi si difende bene

    di Aldo Paparo

    Dai dati del sondaggio del nostro Osservatorio Politico di questa primavera sembra emergere un significativo calo della popolarità del governo Renzi. Come abbiamo già avuto modo di evidenziare, poco più di un terzo degli elettori esprime un giudizio positivo sull’operato del governo: si tratta di un calo di cinque punti rispetto alla nostra rilevazione dell’autunno scorso. Un analogo calo lo fa registrare anche la popolarità personale del premier: se sei mesi fa quasi il 46% del campione “promuoveva” Renzi, oggi la quota di coloro che gli assegnano un voto almeno pari al 6 è scesa sotto il 41%. Inoltre, anche le misure del Jobs Act sono apprezzate solo da una minoranza degli elettori, il 40,7%, ancor più ridotta di quella che in dicembre sosteneva una riforma dell’articolo 18. E’ in particolare sul terreno economico, infine, che il governo sembra pagare dazio al malcontento. Sono infatti ancora meno di un terzo coloro che esprimono un giudizio positivo su come il governo ha gestito l’economia.

    In questo articolo indaghiamo più a fondo le caratteristiche di questo distacco fra l’elettorato e il governo che si registra in questo momento, cercando di capire se possa trattarsi di una crisi passeggera o se invece sia un trend destinato a permanere.

    Cominciamo dall’analizzare come i giudizi favorevoli all’operato del governo si differenzino fra elettori diversamente caratterizzati politicamente. Il profilo del governo appare chiaramente di sinistra, anche se mantiene una certa trasversalità. Come possiamo osservare nella tabella 1, sostanzialmente il governo è apprezzato dalla metà degli elettori che si definiscono di sinistra: non si tratta certo di un dato particolarmente lusinghiero per un esecutivo guidato dal segretario del più grande partito di tale area politica. Neppure gli elettori di centro, che pure hanno partiti loro affini al governo, si dimostrano particolarmente favorevoli all’operato dell’esecutivo: sono infatti sostanzialmente in linea con il resto del campione. Fra gli elettori di destra poco più di uno su quattro apprezza l’operato del governo in generale. Infine solo il 14% dei non collocati sull’asse sinistra-destra esprime un giudizio positivo sul governo: questa è l’unica categoria che non giudica più benevolmente il governo in generale che non sull’economia.

    Un risultato interessante si evidenzia in riferimento al Jobs Act: il suo apprezzamento non cala linearmente spostandosi da sinistra a destra, come invece accade per il governo. Infatti gli elettori di destra si dimostrano leggermente più favorevoli a tali misure rispetto agli elettori di centro (39 contro 38%), dove occorre tenere presente si collocano oggi molti elettori del M5s. Infine anche un quarto dei non collocati esprime un giudizio positivo sul Jobs Act.

    Tab. 1 – Apprezzamento per l’operato del governo e le misure del Jobs Act per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Se guardiamo a come l’operato del governo venga valutato dagli elettorati dei diversi partiti alle scorse europee (tab. 2), osserviamo un quadro analogo. Di nuovo non si manifesta un particolare entusiasmo nei confronti del governo all’interno del suo bacino di riferimento. Il 35% degli elettori del Pd esprime un giudizio negativo sul governo, il 40% sulla gestione dell’economia e sul Jobs Act. Un quadro simile si registra per gli elettori dell’alleato di governo Ncd-Udc. Tuttavia, anche in un momento di difficoltà, il governo riesce a affascinare elettori in tutte le direzioni. Circa un quinto degli elettori di Fi esprime un giudizio positivo sull’operato in generale del governo, lo stesso fa oltre un quarto di coloro che un anno fa hanno votato per la lista Tsipras. Oltre un elettore del M5s su cinque apprezza le riforme del Jobs Act; queste sono poi approvate dalla maggioranza degli elettori leghisti, il gruppo più contrariato dall’operato del governo, e anche dal 40% di quanti non hanno votato alle europee. In questo gruppo, il 30% si esprime positivamente anche sul governo in generale.

    Tab. 2- Apprezzamento per l’operato del governo e le misure del Jobs Act per voto alle elezioni europee dei rispondenti

    Anche in riferimento alla figura del premier, emerge un profilo di sinistra, ma con una ancora più marcata trasversalità. Infatti, come possiamo osservare nella tabella 3, sei elettori di sinistra su dieci promuovo Renzi, così come oltre uno su tre sia fra quelli di centro che fra quelli di destra. Per tutte queste categorie l’apprezzamento per Renzi è superiore a quello per il suo governo: fra i 4 e i 9 punti. Fra coloro che invece rifiutano di collocarsi sull’asse sinistra-destra appena uno su otto promuove Renzi, meno ancora di quanti non esprimano un giudizio positivo sul suo governo.

    Tab. 3 – Giudizi almeno sufficienti per Renzi per autocollocazione ideologica dei rispondenti

    Venendo agli elettorati partitici (tab. 4), i giudizi ameno sufficienti per Renzi sfiorano i tre quarti di quanti hanno votato il suo partito alle europee, significativamente di più di quanti non apprezzino l’operato del suo governo. (Klonopin) Solo l’elettorato del M5s si dimostra decisamente ostile alla figura del primo ministro: appena uno su otto lo promuove. Al contrario oltre la metà di quelli di Ncd gli da almeno 6, così come il 40% di quelli di Tsipras; lo stesso fa il 30% dei leghisti, un quarto di quanti hanno votato Fi e un terzo di chi si è astenuto.

    Tab. 4 – Giudizi almeno sufficienti per Renzi per voto alle elezioni europee dei rispondenti

    Anche la percezione delle capacità di Renzi viene inevitabilmente coinvolta da questo generalizzato appannamento. Abbiamo nuovamente testato la sua percezione rispetto a quattro tratti fondamentali (Funk 1999; Kinder 1986). Quando aveva appena vinto le primarie, nel dicembre del 2013, l’allora sindaco di Firenze presentava un profilo di eccezionale apprezzamento: sostanzialmente quattro elettori su cinque gli attribuivano tutte e quattro le caratteristiche. Su guardiamo alla figura 1, ci accorgiamo di come nell’arco di un anno e mezzo Renzi faccia segnare un calo di quindici punti in energia e competenza, passando da quasi cinque elettori su sei che gliele attribuivano a poco più dei due terzi. Il calo è ancora più rilevante sotto il profilo dell’onestà: venti punti in meno, e tratto attribuito da tre elettori su cinque. Ma il vero crollo c’è in riferimento all’empatia. Già un anno e mezzo fra era il tratto che più frequentemente non gli veniva riconosciuto; ma la quota di coloro che gliela attribuivano era comunque superiore ai tre quarti: oggi è scesa di trenta punti, fermandosi al di sotto del 50%. Questo è l’unico tratto su cui Salvini, l’altro leader che abbiamo testato in questa rilevazione, risulta più apprezzato di Renzi, che al contrario è largamente preferito in termini di energia e competenza.

    Renzi mantiene comunque un profilo assai diverso da quello del tipico leader del centro-sinistra: poco energico, ma assai alto sugli altri tratti. Questo era, ad esempio, il profilo di Bersani alla vigilia delle elezioni 2013. E, per dire la verità, non appare neppure simile a quello di Berlusconi (cui non veniva riconosciuta l’onestà, oltre che l’empatia) o Monti (sostanzialmente solo onesto e competente). Così come differisce dall’immagine del precedente inquilino di Palazzo Chigi, al momento finale della sua esperienza di governo, Letta nel dicembre 2013: poco energico, come consuetudine per la sinistra italiana, ma anche inevitabilmente penalizzato sotto il profilo dell’empatia dall’esperienza al governo. Renzi è ancora percepito come un leader forte ed energico, e tutto sommato anche piuttosto onesto. Gli viene in questo momento rinfacciato di non capire i problemi della gente: come Monti e Letta prima di lui, paga l’inevitabile scotto dovuto allo stare al potere in tempi di crisi. Nel dicembre 2013 non si era ancora confrontato con i problemi della gestione del governo del paese: era un candidato segretario del Pd che diceva cose di buon senso, capace di parlare alla pancia del paese e apprezzato a 360°. Oggi è il capo di un governo che ha promesso tanto, fatto abbastanza, ma certamente non invertito la rotta su quel che più conta per gli italiani: la situazione economica. Almeno non tanto quanto gli italiani sembrano essersi immaginati.

    Fig. 1 – Percentuali dell’elettorato che attribuiscono i diversi tratti a Renzi e Salvini

    In ogni caso sempre nel nostro sondaggio ci sono elementi incoraggianti per il governo, e in particolare per la figura del suo primo ministro. Abbiamo visto come nonostante il significativo calo delle sufficienze ottenute, Renzi sia comunque il leader politico maggiormente promosso dagli elettori. Inoltre il partito da lui guidato, seppur in calo di circa tre punti dalla nostra rilevazione autunnale, si conferma largamente il primo partito. Anche dall’analisi delle caratteristiche dei leader, seppur registrando il vistoso appannamento dell’immagine di Renzi, questi si conferma più gradito del più in forma dei possibili sfidanti, Salvini.

    Un ulteriore elemento che emerge dai nostri dati rappresenta una indicazione positiva per il segretario del Pd. Nel nostro sondaggio abbiamo effettuato un esperimento: abbiamo chiesto a metà del campione di giudicare, dopo questo primo anno di attività, l’operato del “governo”, all’altra metà riguardo l’operato del “governo Renzi”[1]. Se andiamo ad osservare i dati disaggregati ci accorgiamo della presenza di un “effetto Renzi”. La menzione del suo nome ha un effetto positivo e statisticamente significativo sul giudizio nei confronti dell’esecutivo. Se infatti meno del 32% degli elettori esprime un giudizio positivo sull’operato del “governo” in generale, la quota sfiora il 39% per coloro cui è stato chiesto di valutare in generale l’operato del “governo Renzi”. L’effetto è quindi pari a poco meno di 7 punti. Ancor più alto l’effetto della menzione del nome del premier relativamente l’operato dell’esecutivo in campo economico, superiore ai nove punti. Su questo aspetto, infatti, i giudizi positivi per il “governo” sono poco meno del 27%, mentre sfiorano il 36% per il “governo Renzi”.

    Tab. 5 – Effetto della menzione del nome di Renzi sulle valutazioni circa l’operato del governo

    In conclusione, dai dati che abbiamo mostrato è evidente come ormai la luna di miele fra il governo Renzi e gli italiani sia da considerarsi definitivamente conclusa. D’altronde è un passaggio inevitabile che tocca ogni esecutivo al mondo. L’abilità del primo ministro è stata quella di fare certamente fruttare al meglio elettoralmente e politicamente la condizione di forza che questa gli stava garantendo. In virtù di ciò si ritrova adesso nella invidiabile condizione di potere osservare con relativa serenità questo – tutto sommato prevedibile – calo della popolarità sua e del suo governo. Con la consapevolezza di avere in mano le redini del gioco e che la concorrenza è ben lungi dall’essere pronta a mettere in campo una credibile alternativa. Sempre che la situazione economica, il vero motore delle scelte degli elettori, riesca a dare gli sperati segni concreti di miglioramento. E che il premier abbia sufficiente capitale politico per portare a casa la riforma del Senato. In quest’ottica le regionali acquistano un’importanza decisiva: Renzi ha bisogno di un nuovo alloro elettorale per ribadire la sua forza. Di qui, forse, il nervosismo mostrato verso quella parte della sinistra, definita “masochista”, che rischia di fare perdere qualche regione. Non ormai rimangono che due settimane a separarci dal test elettorale di questo 2015…

    Riferimenti bibliografici:

    Funk, Carolyn L. 1999. «Bringing the candidate into models of candidate evaluation». Journal of Politics 61: 700–720.

    Kinder, Donald R. 1986. «Presidential character revisited». Political cognition: 233–55.


    [1] Le due metà si dimostrano bilanciate: nessuna delle seguenti variabili ha infatti un effetto significativo sulla dicotomia trattamento (“governo Renzi”)/controllo (“governo”): genere, classe di età, titolo di studio, interesse per la politica, auto-collocazione ideologica, intenzione di voto, voto alle europee 2014 e voto alle politiche 2013.

  • Comunali di Aosta: la coalizione di centrosinistra vince al primo turno

    di Aldo Paparo

    Nel capoluogo valdostano è bastato il primo turno per eleggere i nuovi organi di governo comunale. Il ticket formato da Fulvio Centoz e Antonella Marcoz ha raccolto quasi novemila voti, oltre il 54% di quelli espressi. Come abbiamo discusso altrove, il sistema elettorale prevede infatti l’elezione diretta del sindaco e del vice-sindaco.

    La coalizione a sostegno del nuovo sindaco è imperniata nuovamente sui tre partiti locali che hanno fatto parte della precedente maggioranza di governo, l’Uv, la Sa e la Fa (quest’ultima sotto le insegne di Creare Vda). Rispetto a cinque anni fa, la grande novità risiede nella sostituzione del Pdl con il Pd nell’alleanza. L’amministrazione cittadina di Aosta torna quindi ad essere guidata da una coalizione di centro-sinistra, formata da Uv, Sa e (le forze da cui è nato il) Pd. Da quando c’è l’elezione diretta del sindaco è sempre stato così, tranne che – appunto – nel 2010. Si torna quindi alla normalità, dopo una legislatura in qualche modo sperimentale. Il cambiamento era già nelle scelte strategiche delle elite politiche cittadine: gli elettori si sono poi certamente espressi in suo favore. Vediamo nel dettaglio come.

    Per cominciare merita di essere evidenziato il dato della partecipazione elettorale. Seppur in forte aumento rispetto alle europee, quando però l’impossibilità di mettere la croce sui partiti regionali aveva fatto desistere la metà degli elettori aostani dal recarsi alle urne, l’affluenza in queste elezioni comunali si è fermata al 61,2%: cinque punti in meno di quella di cinque anni fa. Il calcolo è semplice: un calo di un punto all’anno. Certamente alto, ma in linea con quanto osservato in TrentinoAlto Adige, l’altre regione chiamata al voto domenica 10 maggio.

    Venendo quindi ai risultati, l’Uv si conferma largamente il primo partito: ottiene il 24,2%, in crescita di mezzo punto dal 2010. Certo un aumento marginale, ma tutt’altro che facile alla luce della presenza di nuovi attori in campo, quali il M5s e l’Uvp. Infatti nella coalizione di governo è l’unico partito in crescita: gli altri segnano tutti un arretramento. La Sa è quello maggiormente in calo: si ferma al 14,5%, quattro punti meno delle precedenti comunali. Creare Vda ottiene il 4%, sostanzialmente dimezzando il risultato della Fa cinque anni fa. Il Pd, nonostante il passaggio da una candidatura in proprio ad una di coalizione, è invece sostanzialmente stabile con l’11,5%, mezzo punto meno del 2010.

    Il calo più vistoso in assoluto lo fa segnare l’Alpe. Il suo tandem rimane comunque il secondo più votato, come cinque anni fa, ma ha raccolto solo un ottavo dei voti. Cìò significa avere smarrito un terzo dei propri voti del 2010.

    La Lega continua la sua ascesa: cinque anni fa era nella coalizione che vinse le elezioni ma non entrò in Consiglio, raccogliendo l’1,6%. Alle elezioni politiche del 2013 il suo candidato nel collegio aveva fatto registrare un risultato due punti migliore. L’anno scorso, alle elezioni europee il Carroccio ha raccolto poco meno 5%. In queste elezioni comunali il tandem sostenuto dalla Lega è stato scelto da oltre il 10% degli elettori aostani, risultando il terzo più votato. La lista leghista ha preso l’8,6% dei voti, mentre il resto dei voti per i candidati proviene da una lista civica.

    Il tandem sostenuto dal M5s si è attestato appena sotto il 10% delle preferenze, segnando certamente un brusco calo sia rispetto alle politiche (dieci punti in meno) che alle europee (otto punti) – gli unici confronti possibili visto che nel 2010 non era presente -. Tuttavia conferma una volta di più la propria persistenza come un attore rilevante, anche se forse non decisivo, anche in contesti periferici in cui il suo mancato radicamento territoriale potrebbe lasciarne presagire una scomparsa.

    I candidati dellUvp si fermano attorno al 7%, segnando un calo di dieci punti rispetto alle europee, e di circa quattro rispetto alle regionali del 2013, gli unici confronti possibili per questo partito regionale nato in vista delle politiche 2013. Entra in Consiglio anche Carola Carpinello, la candidata sindaco della lista unitaria di sinistra, che ha raccolto poco meno del 4%; un paio di punti in meno del 2010, quando la sinistra era alleata con l’Alpe.

    Fallisce invece l’accesso ai seggi la lista unitaria delle forze ex-Pdl, che ha raccolto appena il 2,6% dei consensi: circa un quarto del risultato delle precedenti comunali. Ancora lo scorso anno la sola Fi, alle europee, aveva raccolto più del doppio della Lega: in questo momento la tenuta del partito di Berlusconi sul proprio elettorale sembra estremamente fragile, soprattutto quando non c’è una campagna elettorale nazionale in cui il leader può fungere da catalizzatore.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni comunali 2015 ad Aosta

    Certamente i risultati di un solo comune non possono farci tracciare delle linee di tendenza di ampio respiro. Tuttavia, messi insieme con quelli visti in Trentino e Alto Adige, emergono alcune comuni occorrenze . A cominciare dal calo della partecipazione: sostanzialmente fra i 5 e gli 8 punti in tutti i casi analizzati. La capacità del Pd, seppur senza raccogliere risultati straordinari, di formare alleanze nei diversi contesti e quindi riuscire a entrare nella stragrande maggioranza delle coalizioni vincenti. L’arretramento del M5s rispetto a politiche ed europee, ma anche la sua capacità di mantenersi un protagonista importante, attestandosi dappertutto su risultati più che dignitosi, compresi fra il 5 il 10%, in realtà molto caratterizzate da specificità locali. La forte crescita della Lega: fra il 7 e il 15% in porzioni del nord tradizionalmente restie alla sua penetrazione. Cui fa da contraltare il crollo di Fi, ai limiti della sparizione: nei tre capoluoghi che hanno votato lo scorso 10 maggio non va oltre il 4%; ad Aosta, come in molti comuni più piccoli, il marchio di fabbrica non è neppure presente.

    Naturalmente queste sono solo indicazioni preliminari in attesa degli assai più indicativi risultati delle elezioni regionali. Tuttavia, seppur trattandosi di contesti locali caratterizzate da sistemi partitici del tutto peculiari, queste elezioni ci hanno offerta l’occasione per testare in qualche modo il polso ai principali attori politici nazionali in vista di tale appuntamento. Vedremo se le prossime decisive ultime settimane della campagna elettorale cambieranno qualche scenario, invertendo qualcuna delle tendenze evidenziate, o se invece queste saranno nuovamente osservate nei risultati delle regionali.

  • Comunali in Alto Adige: a Bressanone vince il Svp, al ballottaggio gli altri comuni

    di Aldo Paparo

    In questo articolo discutiamo l’esito delle elezioni comunali nei quattro comuni superiori dell’Alto Adige al voto nel 2015: il capoluogo Bolzano, Bressanone, Laives, e Merano. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare, qui si elegge direttamente il sindaco – in uno o due turni – proprio come nel resto del paese, ma senza premio di maggioranza in Consiglio: i seggi sono ripartiti infatti secondo un proporzionale puro.

    Guardiamo quindi ai risultati elettorali, iniziando dalla partecipazione al voto. L’affluenza è curiosamente calata in maniera straordinariamente omogenea rispetto alle precedenti comunali nei quattro casi considerati: fra i 7 e gli 8 punti percentuali. Si attesta così appena sotto i due terzi nei comuni in cui le precedenti elezioni comunali erano state maggiormente partecipate (Bressanone e Laives), dieci punti più in basso nei centri più popolosi, Bolzano e Merano, dove giù 5 anni fa l’affluenza era stata inferiore ai due terzi.

    Analizziamo adesso il risultato in ciascuno dei comuni considerati, iniziando dal più rilevante, il capoluogo Bolzano. Come riportato dalla tabella 1, sarà necessario il ballottaggio per scegliere il sindaco. A contendersi la poltrona di primo cittadino per i prossimi cinque anni saranno il sindaco uscente, Spagnolli, e lo sfidante di centro-destra Alessandro Urzì. L‘incumbent è saldamente in testa dopo il primo turno, avendo raccolto oltre il triplo dei voti del rivale: 41,6% contro il 12,7. Nella coalizione Spagnolli spiccano i risultati di Pd e Svp, primo e secondo partito a livello cittadino con il 17 e il 16% dei voti rispettivamente. Se per il partito di Renzi si tratta di una conferma del risultato di cinque anni fa, l’alleato fa invece registrare una flessione dell’ordine dei tre punti percentuali.

    Lo sfidante del ballottaggio, Urzì, è il leader e fondatore del movimento politico l’Alto Adige nel cuore, fuoriuscito da Fli al momento delle alleanze in vista delle politiche 2013 rifiutando la strategia di desistenze nei collegi imposta a livello nazionale nell’ambito dell’accordo con Monti. Tale lista raccoglie a Bolzano oltre il 6% dei voti, facendo meglio di Fi, che vede ridotto ad un terzo il risultato delle europee. In ogni la flessione complessiva dell’area dell’ex Pdl è confermata dal fatto che insieme raccolgono meno della metà del partito di Berlusconi alle comunali 2010.

    Il candidato leghista, Carlo Vettori, è stato battuto dal collega di area politica per un paio di punti percentuali, mancando così l’ammissione al secondo turno in quella che può essere vista come una sorta di primaria del centro-destra all’interno dell’elezione generale. Si tratta comunque di una notevole avanzata per il Carroccio: oltre il doppio sia rispetto alle comunali 2010, sia rispetto alle europee. Buono anche il risultato della candidata di sinistra, Cecilia Stefanelli, che ha raccolto oltre 10% dei consensi, andando oltre il già lusinghiero risultato della lista Tsipras l’anno scorso. Solo quinto, invece, il candidato appoggiato dal M5s (Rudi Rieder), che ha ottenuto meno del 10%: la metà del risultato delle politiche, poco di più rispetto alle europee, ma pur sempre oltre il doppio della lista Grillo alle comunali 2010. Infine appare certamente significativo il 7% raccolto da Benussi, il candidato sostenuto da Casapound.

    A prescindere da come andrà il ballottaggio, la maggioranza di governo cittadino dovrà emergere attraverso alleanze in Consiglio. Cinque anni fa non era stato così. Spagnolli aveva infatti vinto già al primo turno. La sua coalizione di centro-sinistra aveva quindi ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi. Stavolta non è stato così. Se alla fine dovesse spuntarla Spagnolli, i più probabili alleati di governo sembrano essere i consiglieri eletti nelle file delle liste di sinistra a sostegno della Stefanelli, ma si tratterebbe comunque di una maggioranza risicata, sempre sotto scacco. Se invece il secondo turno dovesse, certamente a sorpresa, premiare Urzì, questi avrebbe inevitabilmente grosse difficoltà a trovare una maggioranza affine in Consiglio.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Bolzano

    A Bressanone (tab. 2) Peter Brunner, assessore della giunta uscente e candidato del Svp, è il nuovo sindaco. Ha trionfato già al primo turno con oltre il 51,2% dei voti. Potrà così contare sulla maggioranza assoluta dei seggi in consiglio conquistata dal sua partito. Non era invece stato così durante la precedente legislatura comunale, quando il candidato dell’Svp aveva vinto solo al secondo turno ed era stato quindi costretto ad una alleanza post-elettorale con Pd e Verdi del Sudtirolo.

    Walter Blaas, per i Freiheitlichen si conferma il secondo candidato più votato in città con il 13% circa, anche se in calo di 3 punti rispetto al proprio risultato del 2010. Ma, alla luce della crescita del Svp, in calo sono un po’ tutti. Particolarmente i Verdi del Sudtirolo, la cui candidata, la stessa di cinque anni fa, l’assessore uscente Elda Letrari, arretra di circa quattro punti dalla precedenti comunali. Il Pd ottiene poco più del 10%: in linea con il risultato delle comunali 2010 e delle politiche, ma in calo di un terzo rispetto alle europee. Anche la Lega, infine, non riesce a fare segnare qui una avanzata e dimezza il risultato delle europee.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Bressanone

    A Laives la sindaco uscente del centro-sinistra, Liliana Di Fede, è risultata la candidata più votata, ma assai lontana da una conferma al primo turno. Ha raccolto infatti poco più di un terzo dei voti. Il Pd è primo partito il città con il 21,5%: un risultato sostanzialmente in linea con quello delle precedenti comunali –  e delle politiche. La candidata ottiene invece un risultato un punto migliore di quello del partito alle europee.

    A sfidare la Di Fede al ballottaggio sarà il candidato del centro-destra, Bianchi, che insegue staccato di quattro punti. Nella sua coalizione merita di essere sottolineato il lusinghiero risultato della Lega, che sfiora il 15% e raddoppia il risultato delle europee – a sua volta il massimo storico nel comune fino a quel momento; mentre la lista unitaria di Fi, Fdi e Alto Adige nel cuore fa poco meglio della sola Fi alle europee. Il Svp ha fallito l’accesso al secondo turno raccogliendo il 20% con il proprio candidato, pur essendo sostanzialmente pari al Pd come lista più votata.

    I risultati del primo turno per i tre poli principali sono straordinariamente simili a quelli di cinque anni fa, quando poi la Di Fede raccolse oltre il 60% dei voti al secondo turno, sfruttando evidentemente la maggiore vicinanza degli elettori popolari sudtirolesi. Sarà comunque molto importante anche  il comportamento al secondo turno degli elettori degli altri due candidati, tutt’altro che marginali. Castelli per il M5s ha raccolto oltre il 9%, comunque meno della metà del risultato di europee e politiche; mentre Volano, assessore della giunta Di Fede in quota Idv e candidato per i Verdi del Sudtitolo, ha preso il 7,5%. Bianchi dovrà assolutamente essere il preferito per lo meno fra gli elettori del M5s se vorrà avere chanches di scalzare la Di Fede dalla poltrona di primo cittadino.

    Comunque andrà al ballottaggio, le prospettive per la stabilità del governo cittadino non sembrano incoraggianti. Il migliore esito possibile sotto questo profilo sembra essere il ripetersi della travagliata legislatura appena conclusasi, caratterizzata da crisi nella maggioranza e rimpasti della giunta. Se dovesse confermarsi la Di Fede, il rinnovo della alleanza di governo con il Svp e un accordo con Volani garantirebbero una maggioranza. I numeri sarebbero comunque di nuovo molto stretti. Se poi il ballottaggio dovesse incoronare Bianchi, la maggioranza in Consiglio andrebbe probabilmente ricercata assai faticosamente sui singoli provvedimenti. Oppure la legislatura potrebbe avere una vita breve.

    Tab. 3 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Laives

    A Merano a sfidarsi al ballottaggio saranno due esponenti di movimenti politici locali: Gerhard Gruber per il Svp e Paul Rösch per i Verdi del Suditolo. Il primo ha ottenuto circa un quarto dei voti, il secondo un punto in più di un voto su cinque. Per quanto tale sfida di ballottaggio veda nuovamente in campo gli stessi attori politici di quello delle comunali precedenti, seppur con candidati nuovi, il quadro dopo il primo turno era allora assai diverso. Il candidato del Svp aveva infatti più del doppio dei voti di quello dei Verdi: un vantaggio poco inferiore ai venti punti mantenuto poi al ballottaggio. Stavolta, invece, i due competitor sono assai più vicini e la corsa alla poltrona di primo cittadino appare ben più incerta. Anche perchè si è allargata la porzione di voti non raccolta da nessuno dei due sfidanti del secondo turno: oltre la metà dei voti è stavolta sul mercato.

    Il vicesindaco uscente, Giorgio Balzarini, ha raccolto un voto su otto, in crescita di un paio di punti rispetto a cinque anni fa, e si propone come inevitabile partner di governo per chiunque vincerà il ballottaggio. Anche l’altro candidato indipendente, l’assessore uscente – in quota lista Genovese – Nerio Zaccaria, ottiene un buon risultato: supera il 10% e raddoppia il risultato della lista cui apparteneva cinque anni fa.

    In un contesto così fortemente determinato da specificità locali, i partiti nazionali ottengono inevitabilmente risultati piuttosto magri. Al primo posto c’è  la Lega, che raccoglie con il suo candidato il 7% dei consensi. Si tratta comunque di un risultato doppio di quello delle precedenti comunali, ed in crescita anche rispetto alle europee di un anno fa. Segue il Pd, che raccoglie appena oltre il 6% con il proprio candidato, in calo di circa un punto rispetto al 2010. Infine il candidato appoggiato dal M5s  è stato votato dal 5,4% dei votanti.

    Tab. 4 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Merano

    Sarà quindi necessario attendere i ballottaggi per capire chi sarà primo cittadino nella maggioranza dei comuni analizzati, e quale coalizioni di governo locale andranno quindi formandosi dopo il voto. I risultati qui presentati consentono in ogni caso di avanzare alcune considerazioni. Seppur in presenza di comuni politicamente molto diversi fra loro, si delinea nel complesso un quadro di sostanziale stabilità rispetto alle precedenti elezioni comunali, con alcune vistose differenze. A cominciare dal generalizzato calo dell’affluenza (7-8 punti in meno). Continuità si ritrova nelle scelte degli elettori al maggioritario: i due incumbent mancano la rielezione al primo turno, ma si presentano entrambi in testa al ballottaggio; l’unico vincitore al primo turno rappresenta il partito di maggioranza relativa della precedente giunta; mentre la corsa aperta che si deciderà al secondo turno vede in campo candidati sostenuti dagli stessi partiti del ballottaggio di cinque anni fa.

    Continuità si ritrova anche nei risultati del Pd, che ha sostanzialmente confermato le prove del 2010 in tutti e quattro i comuni. Anche se, in virtù di cali altrui, è diventato primo partito a Bolzano (scalzando il Pdl) e a Laives (ai danni della Svp). Quest’ultimo è in calo un po’ ovunque (tranne che a Bressanone): è questa una prima tendenza di variazione che osserviamo nei risultati. Proseguendo con queste, la Lega è al contrario in crescita dappertutto, con punte superiori al 10%; complice anche la sparizione di Fi, che presenta il suo simbolo solo nel capoluogo, raccogliendo comunque meno del 4%. Rispetto al 2010 è poi anche una novità la presenza del M5s: anche se non ha corso a Bressanone, si conferma una realtà rilevante anche in Alto Adige, seppur senza mai raggiungere la doppia cifra nella percentuale di voti raccolta.

  • Comunali in Trentino: il centrosinistra tiene ma perde ancora a Pergine ed è sotto scacco a Rovereto

    di Aldo Paparo

    Analizziamo qui i risultati elettorali nei comuni trentini con almeno 15.000 abitanti al voto in questo 2015: sono Trento, Pergine Valsugana, Riva del Garda e Rovereto.

    Iniziamo dalla partecipazione elettorale, che è generalmente calata, ma con alcune differenze. Nel capoluogo si è fermata sotto il 55%, la più bassa per un comune superiore in tutta la regione, segnando un calo rispetto alle precedenti comunali di poco superiore ai 5 punti. Leggermente superiore il calo a Rovereto, dove l’affluenza si è attestata appena sotto il 63%. Più alto il calo rispetto al 2010 fatto segnare a Riva del Garda: quasi 8 punti di partecipazione in meno e affluenza sotto quota 58%. In controtendenza il caso di Pergine Valsugana. Qui la partecipazione fa segnare un, seppur lieve, aumento rispetto alle precedenti consultazioni amministrative. Occorre però precisare che nel 2013 si votò per eleggere organi che sarebbero rimasti in carica solo per due anni. Fattispecie questa che può certamente avere indotto taluni elettori perginesi a non considerare la consultazione sufficientemente importante da recarsi alle urne. Se in effetti confrontiamo il dato del 2015 con le precedenti elezioni amministrative ordinarie – e non suppletive -, quelle del 2009, ci accorgiamo che il calo è decisamente in linea con il resto dei casi analizzati: poco superiore ai 5 punti.

    Si tratta in effetti di cali molto vistosi, in media superiori ad un punto di affluenza in meno per ogni anno che intercorre dalle precedenti elezioni omologhe: un ritmo più che doppio di quello “naturale” osservato nel nostro paese.

    Come abbiamo già avuto modo sottolineare, tutti e quattro i sindaci uscenti erano in corsa per un nuovo mandato da primo cittadino. Per adesso nessuno è stato rimpiazzato: anzi, tre hanno conquistato la maggioranza assoluta, riconfermando quindi la poltrona già al primo turno. Nel quarto caso l’incumbent è comunque in corsa al ballottaggio.

    Vediamo in dettaglio i diversi casi, cominciando dal capoluogo di provincia, Trento (tab. 1). Qui il sindaco uscente del centro-sinistra, Alessandro Andreatta, è stato rieletto già al primo turno con il 53,7% dei voti. Esattamente come sei anni fa il Pd ha raccolto poco meno del 30%: risultato poi confermato alle politiche, ma venti punti al di sotto di quello delle europee. L’Upt segna una battuta d’arresto: nonostante la lista unitaria con l’Idv, i propri voti rispetto alle precedenti amministrative di circa cinque punti. Buona affermazione invece per il Patt che  sfiora il 10%, raddoppiando il risultato delle predenti comunali. I Verdi confermano il 3% di sei anni fa ed entrano in Consiglio con un seggio.

    Secondo classificato lo sfidante di centro-destra, Claudio Cia, che ha raccolto il 31% dei consensi. Nella sua coalizione la Lega ottiene un buonissimo risultato: il 13%, cinque punti in più delle precedenti comunali, quasi il doppio delle europee e il triplo delle politiche. Fi si ferma invece al 4%, meno della metà delle europee, ed un terzo dei risultati del Pdl alle politiche e alle precedenti comunali.

    Il candidato del M5s, Paolo Negroni, non va oltre l’8,4%, calando di oltre sei punti rispetto alle europee, che già avevano segnato un analogo calo rispetto alle politiche. Antonia Romano, candidata da una lista unitaria di partiti di sinistra, non riesce a replicare il risultato alle europee della lista Tsipras – che però contava anche sul contributo dei Verdi -, ma riusciva comunque ad entrare in Consiglio ottenendo il 4,5% dei voti.

    Tab. 1 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Trento

    A Pergine Valsugana (tab. 2) Roberto Oss Emer, il sindaco uscente  – seppur al termine di un mandato biennale -, è stato anch’egli confermato al primo turno; mentre nel 2013 aveva avuto bisogno del ballottaggio per sconfiggere la resistenza del rivale di centro-sinistra (ma non appoggiato dal Pd) Osler. Analoga a quella del collega trentino anche la percentuale raccolta. Nella sua coalizione di liste civiche spicca il risultato della lista per Pergine, la più votata in città con quasi un quinto dei voti. Ma anche le altre quattro liste hanno ottenuto buoni risultati portando fra uno e tre candidati in Consiglio.

    Stavolta la coalizione di centro-sinistra si presentava compatta al primo turno, forte di sei liste a sostegno di Stefano Tommaselli, che però è rimasto sotto il 40%. Il Pd otteneva appena un voto su otto, in calo di un paio di punti persino sulle precedenti comunali – per non parlare poi di politiche ed europee. Il Patt segnava invece un leggero aumento, mentre l’Upt smarriva oltre un terzo circa dei suoi voti del 2010.

    Completa il quadro di una corsa a ranghi assai ristretti la candidata leghista, Donata Soppelsa, che ha raccolto meno del 7%, leggermente in calo rispetto ai risultati fatti registrare nel comune dal Carroccio alle politiche e alle europee.

    Tab. 2 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Pergine Valsugana

    Anche a Riva del Garda (tab. 3) il sindaco uscente (Mosaner) ha ottenuto la riconferma già al primo turno, raccogliendo quasi i due terzi dei consensi, in crescita di circa otto punti rispetto a cinque anni fa. Il Pd cresce di circa cinque punti rispetto alle comunali 2010, mentre il Patt triplica la propria percentuale. Qui anche l’Upt registra una crescita, nell’ordine dei due punti percentuali.

    Il candidato del centro-destra (Santorum) ha raccolto un voto su cinque; la Lega, superando il 10%, risulta in crescita rispetto alla già buona affermazione delle europee ed è il grande protagonista della coalizione, mentre Fi ottiene un risultato davvero modesto, inferiore al 5%, poco più di un terzo delle europee.

    La metà dei consensi di Santorum, uno su dieci, è stato raccolto da Prada, il candidato del M5s. Il partito di Grillo vede quindi dimezzarsi il risultato delle europee di soli dodici mesi fa. Chiude il quadro Franca Bazzanella, la consigliera comunale del Pd che ha provato la candidatura come indipendente: ha raccolto il 6,5% dei voti, sufficienti a mantenere il proprio posto in Consiglio.

    Tab. 3 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Riva del Garda

    A Rovereto, invece, il primo turno non  stato sufficiente a scegliere il prossimo primo cittadino. Tra due settimane andrà quindi in scena l’attesissima ripetizione della sfida di ballottaggio del 2010. Come possiamo osservare nella tabella 4, infatti, il sindaco uscente del centro-sinistra (Miorandi) e lo sconfitto di misura di cinque anni or sono (Valduga) sono risultati nettamente i candidati più votati. Allora prevalse Miorandi per meno di trecento voti (comunque quasi due punti percentuali alla luce della scarsa affluenza). Stavolta Valduga è in testa dopo il primo turno, di circa tre punti, in virtù del 38,4% dei consensi raccolti. Fra le liste che lo sostengono spicca il risultato della lista che porta il nome del candidato sindaco: seconda più votata con il 18,5%. I Verdi pagano forse un pegno alla scelta di coalizzarsi ed arretrano di un punto circa, scendendo sotto il 5%. Nella coalizione Miorandi i risultati sono in linea con quelli di cinque anni fa: Pd cresce di un paio di punti, pari all’arretramento dell’Upt, mentre risulta stabile il Patt.

    A risultare decisive potrebbero essere le scelte degli elettori che non hanno il proprio candidato al ballottaggio: vediamo di chi si tratta. Il candidato del centro-destra (Marco Zenatti) ha raccolto poco meno di un quinto dei voti, cinque punti meno del candidato di cinque anni fa di tale area politica. Nonostante ciò la Lega, complice forse anche l’assenza del simbolo di Fi dalla scheda, ottiene un discreto risultato: superiore al 10%, in leggera crescita sia rispetto alle europee che alle precedenti comunali. Il M5s si ferma al 7,5%, quasi dieci punti meno del risultato delle europee ed un terzo di quello delle politiche. Se cinque anni or sono Miorandi aveva potuto giovarsi dei voti di una serie di candidati minori di sinistra – oltre che su un lieve vantaggio al primo turno, stavolta non potrà però  essere così: Valduga sembra dunque potere ottenere la attesa rivincita.

    Tab. 4 – Risultati delle elezioni comunali 2015 a Rovereto

    Ricapitolando quanto accaduto in questa tornata amministrativa, Andreatta a Trento e Mosaner a Riva del Garda sono stati rieletti al primo turno per il centro-sinistra, oltre che il civico Oss Emer a Pergine Valsugana. Solo a Rovereto si andrà al ballottaggio. Le amministrazioni uscenti sembrano essere state premiate dagli elettori, anche se si registra un notevole calo della partecipazione elettorale. Venendo ai risultati dei partiti, il Pd, seppur in calo rispetto alle europee, risulta stabile rispetto alle precedenti comunali, il confronto più corretto anche per via delle diverse offerte in campo nelle elezioni di carattere nazionale. Eccezion fatta per Pergine, il partito di Renzi è ovunque la forza più votata con risultati compresi fra il 20 e il 30%. La Lega avanza, ottenendo risultati nella media intorno al 10%, mentre il M5s arretra (mai in doppia cifra) e Fi scompare (assente in due comuni, sotto il 5% negli altri). Per quanto concerne i partiti locali, il Patt fa segnare delle crescite, mentre l’Upt appare in flessione.

  • Comunali 2015 ad Aosta: offerta in campo e storia recente

    di Aldo Paparo

    Siamo a poche ore dall’apertura dei seggi per le elezioni comunali in Valle d’Aosta. Qui ci concentriamo, come sempre, sui comuni superiori, definiti come a livello nazionale quali quelli con almeno 15.000 abitanti. Solo il capoluogo Aosta soddisfa tale criterio. In questo articolo presentiamo il quadro delle candidature, inserendolo nel contesto della recente storia elettorale cittadina.

    Prima di entrare nel dettaglio dei candidati in corsa, discutiamo brevemente il sistema elettorale in vigore nella regione per le elezioni comunali. In Val d’Aosta sono addirittura tre i sistemi elettorali: uno per i comuni molto piccoli, fino 1.000 abitanti, uno per quelli con popolazione fra 1.001 e 15.000 unità, e uno per i comuni con più di 15.000 abitanti. Per quest’ultimo classe il sistema elettorale è piuttosto simile a quello nazionale, seppure con alcune significative variazioni. Rimane comunque un sistema misto del tipo proporzionale con premio di maggioranza (Chiaramonte 2005).

    Vediamo ora gli aspetti caratteristici del sistema valdostano. Innanzitutto si elegge direttamente non solo il sindaco, ma anche il vicesindaco: ciascun candidato alla carica di primo cittadino si presenta insieme ad un candidato vice, proprio come succede nei ticket presidenziali statunitensi. Questi sono, nell’ordine, i primi due eletti per la loro coalizione. Inoltre, il premio di maggioranza per la coalizione del sindaco (e vicesindaco) vincente è stabilito nei due terzi dei seggi – invece del 60% della legge nazionale -, e a prescindere dal fatto che al proporzionale essa abbia ottenuto almeno il 40% se il sindaco vince al primo turno. E’ però vietato il voto disgiunto, per cui è impossibile che ciò accada. Anche perché, come in Trentino a Alto Adige, è poi previsto un meccanismo per conteggiare anche al proporzionale i voti espressi al solo sindaco sostenuto da una coalizione. La formula architettata è diversa, ma l’esito è esattamente identico: ogni coalizione utilizza al proporzionale tutti i voti ottenuti dal candidato, i seggi spettanti sono poi ripartiti fra le liste coalizzate in ragione dei voti individualmente ottenuti da ciascuna di esse.

    Veniamo quindi alle candidature in queste comunali 2015. Come riportato nella tabella 1, i tandem sindaco-vicesindaco in corsa sono sette, sostenuti in tutto da undici liste. Vi sono solo due coalizioni: quella di centro-sinistra a sostegno della coppia formata da Fulvio Centoz e Antonella Marcoz, e quella leghista con Nicoletta Spelgatti e Andrea Manfrin candidati a guidare l’esecutivo comunale. Per il centro-sinistra le liste sono quattro: Pd-Sinista[1], Union Valdôtaine (Uv), Stella Alpina (Sa), Creare Vda (erede della Féderation Autonomiste – Fa). Per il tandem Spelgatti-Manfrin oltre alla Lega c’è una lista civica.

    Sono due la candidature rappresentative di partiti regionali: Etienne Andrione è candidato a sindaco per l’Union Valdôtaine progressiste (Uvp), con Daniela Piassot come vice; Loris Sartore (con Giuliana Lamastra) è invece candidato per Autonomie Liberté Participation Écologie (Alpe). Abbiamo infine tre candidature sostenute da una sola lista espressione di partiti nazionali. Sono quella di Luca Lotto come sindaco e Patrizia Pradelli come vice per il M5s, Luca Lattanzi (con Sylvie Spirli) appoggiati da una lista unitaria di Fi e Ncd, e infine Carola Carpinello (e Walter Manazzale) per L’altra Valle d’Aosta, lista erede della lista Tsipras.

    Tab.1 – Elezioni comunali 2015 ad Aosta: candidati e liste in corsa

    Cerchiamo adesso di capire quali di questi candidati possano essere favoriti guardando agli ultimi risultati elettorali fatti registrare nel comune. Nel 2010, alle precedenti elezioni comunali (tab. 2), la poltrona di sindaco era stata conquistata da Bruno Giordano, con Alberto Follien come vice. Questi erano sostenuti da una coalizione di centro-destra formata da cinque liste: due nazionali (Pdl e Lega) e tre locali (Union Valdôtaine, Stella Alpina e Féderation Autonomiste). Giordano e Follien passavano già al primo turno, sfiorando quasi il 60% dei voti. Oltre l’80% dei quali raccolti dalle liste locali. In particolare, l’Uv sfiorava il 24%, la Sa il 19 e la Fa l’8. Il Pdl risultava il quinto partito più rilevante di Aosta: non raggiungeva neppure il 10% ed era anche superato dal Pd (12%) per il primato fra i partiti nazionali.

    La competizione era stata allora assai meno affollata di oggi, con soli altri due tandem sulla scheda oltre quello vincitore: Michele Monteleone e Flavio Patania per il centro-sinistra, nella formazione esatta delle precedenti politiche (Pd e Idv); e Carlo Curtaz con Iris Morando per la Fds e l’Alpe. Questi ultimi raccoglievano quasi il doppio dei voti dei rivali di area politica (27% contro 14), soprattutto grazie ai voti dell’Alpe, che era il secondo partito più votato in città con il 19%. Buono comunque il risultato anche della lista di sinistra, sufficiente ad entrare in Consiglio. L’affluenza era stata di due elettori su tre.

    Tab. 2 – Risultati  alle elezioni comunali 2010 ad Aosta

    Per inquadrare il risultato delle politiche di due anni fa è necessario considerare il sistema elettorale: in Val d’Aosta si votava, infatti, in un collegio uninominale coincidente con il territorio della regione, in cui i candidati sono sostenuti da un solo contrassegno. Come possiamo vedere nella tabella 3, due anni or sono, in una elezione assai partecipata cui prendevano parte i tre quarti dell’elettorato (appena due punti in meno di cinque anni prima), il candidato più votato nel capoluogo fu Jean Pierre Guichardaz con il 26%. Questi era sostenuto dalla coalizione nazionale di centro-sinistra integrata dall’Alpe.

    I tre partiti regionali che sostenevano la giunta Giordano (Uv, Sa e Fa) correvano ancora insieme con Rudi Marguerettaz come candidato. Questi, vincitore del seggio per meno di duecento voti, era solo il secondo candidato più votato nel capoluogo, con poco meno del 23%. Il M5s, che come sempre presenta il proprio simbolo e non fa alleanza, otteneva il 20% con il proprio candidato Roberto Cognetta. Laurent Vierin, candidato dell’Uvp, raccoglieva un voto su sei. In assenza di Fi, otteneva un buon risultato per Fdi (6%), che schierava Giorgia Meloni come candidata; e anche la Lega registrava una crescita rispetto alle comunali. Nonostante l’assenza di Sc, invece, l’Udc non riusciva ad arrivare neppure al 3%.

    Tab. 3 – Risultati  alle elezioni politiche 2013 ad Aosta

    Vediamo infine quale è stato l’esito delle elezioni europee di un anno fa (tab. 4). La regione fa parte della circoscrizione nord-occidentale, in cui bisogna quindi presentare le liste; inoltre la ripartizione nazionale dei seggi preclude ai partiti regionali di ottenere seggi. Nessuno di essi si è dunque presentato. Se però i due partner del governo regionale, l’Uv e la Sa, non hanno chiuso alleanze né sostenuto nessun partito nazionale, lo stesso non vale per l’opposizione in Consiglio regionale. L’Alpe e l’Uvp hanno infatti siglato un accordo con il loro alleato alle regionali, il Pd, in virtù del quale un loro candidato è stato inserito nella lista circoscrizionale del principale partito di centro-sinistra (senza però risultare eletto).

    In virtù anche di questo accordo, il risultato maturato nel capoluogo segnava un chiaro successo del Pd, che raccoglieva il 47% dei consensi. Il M5s perdeva un paio di punti rispetto alle politiche, ma si affermava come la seconda forza più votata. Fi superava l’11%, un risultato davvero lusinghiero ad Aosta per il partito di Berlusconi: addirittura superiore a quello del Pdl alle comunali 2010. La lista Tsipras sfiorava poi il 10%. Guardando agli altri partiti del centro-destra, la Lega continuava la sua crescita elettorale nel capoluogo, sfiorando il 5%; l’Udc approfittava della federazione con Ncd per superare il 4%; mentre Fdi vedeva più che dimezzarsi il proprio risultato delle politiche.

    Risultava infine straordinariamente bassa la partecipazione elettorale: appena un paio di punti superiore al 50%, significativamente inferiore alla già molto bassa media regionale (Emanuele 2014). Certo, l’impossibilità di votare il proprio partito preferito può avere spinto molti elettori a disertare le urne in questa specifica occasione. Anche sotto questo profilo le imminenti elezioni si presentano come un interessante momento di verifica.

    Tab. 4 – Risultati  alle elezioni europee 2014 ad Aosta

    Ma assai più politicamente rilevante sarà la risposta dell’elettorato aostano in termini di voti espressi, soprattutto alla luce del mutato quadro delle alleanze. I partiti di governo a livello regionale (Uv e Sa), che allora erano in coalizione con il centro-destra berlusconiano, – e non avevano fatto accordi alle politiche e alle europee – sono oggi alleate con il Pd renziano. Che invece non è più alleato con l’Alpe, come era stato invece nelle due elezioni nazionali citate – e anche alle regionali 2013.

    Come abbiamo visto, rispetto a cinque anni fa si registra un notevole aumento della frammentazione, sia in termini di candidati che di liste presenti, che rende più difficile una vittoria al primo turno. In ogni caso, alla luce dei risultato dello scorso anno e del fatto di essere sostenuto dall’unica coalizione che integra forza locali e nazionali, il tandem Centoz-Marcoz si presenta come il front-runner. Ciò anche in virtù della separazione fra Uvp e Alpe. I tandem sostenuti da questi due partiti regionali sembrano i più accreditati per contendersi il secondo posto al ballottaggio, insieme con quello espressione del M5s. Più difficile che gli altri candidati  riescano ad essere competitivi. Sia per quello di sinistra che per i due del centro-destra sarebbe già una notevole affermazione riuscire a confermare i buoni risultati dei rispettivi partiti alle europee. Sarà dunque interessante verificare se la Lega si dimostrerà capace di crescere ulteriormente in una porzione del nord in cui ha sempre fatto molta fatica (magari pescando nel piuttosto ampio bacino di Fi alle europee), o se invece il partito di Berlusconi darà una inaspettata prova di salute, magari giovandosi dell’alleanza con lo scissionista Ncd..

    Riferimenti bibliografici:

    Chiaramonte, Alessandro.  2005. Tra Maggioritario E Proporzionale. L’universo Dei Sistemi Elettorali Misti. Bologna: Il Mulino.

    Emanuele, Vincenzo. 2014. “Affluenza, Un Calo Atteso. Al Sud 1 Su 2 Si Astiene.” In Le Elezioni Europee 2014, a cura di  Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele, e Nicola Maggini, 107–13. Dossier CISE 6. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.


    [1] Nella lista del Pd sono presenti anche personalità di spicco di altri partiti di centro-sinistra sul piano regionale, quali ad esempio il segretario regionali del Psi Antonio Crea e la coordinatrice regionale di Cd Vera Verducci. Ecco perché il nome della lista è Pd-Sinistra.

  • Comunali 2015: il quadro della vigilia in Alto Adige

    di Aldo Paparo

    In questo articolo ci concentriamo sui comuni superiori chiamati alle urne domani per rinnovare i propri organi di governo cittadino nella provincia autonoma di Bolzano. A differenza di quanto avviene in provincia di Trento, qui la soglia che distingue i comuni più grandi da quelli pi piccoli – a cui si applicano due diversi sistemi elettorali – è identica a quella nazionale: 15.000 abitanti. I comuni superiore altoatesini al voto sono dunque quattro: il capoluogo Bolzano, Bressanone, Laives e Merano. Il sistema elettorale, però, presenta fondamentali differenze rispetto a quello nazionale. In Alto Adige, infatti, non è previsto il premio di maggioranza alle comunali, così come per l’elezione dei membri provinciali del Consiglio Regionale. Chiaramente un sistema elettorale a premio di maggioranza mal si confà alle necessità di un territorio caratterizzato dalla presenza di due gruppi etnico-linguistici.

    Permane l’elezione diretta del sindaco, in due turni se nessuno ottiene la maggioranza assoluta; ma l’attribuzione dei seggi nell’arena proporzionale è del tutto separata dall’esito del maggioritario. Nello specifico, il sistema elettorale prevede l’assegnazione dei seggi fra le liste sulla base del quoziente naturale, con poi un recupero per coalizioni, sulla base dei resti, con il D’Hondt. Occorre inoltre rilevare come non sia possibile il voto disgiunto fra le due arene. Per di più, non solo il voto ad una lista conta automaticamente per il candidato sindaco sostenuto dalla lista, ma anche il voto per il solo candidato sindaco è sempre valido anche al proporzionale. Quando il candidato è sostenuto da una coalizione di liste, i voti al solo sindaco sono ripartiti fra le liste che la compongono pro quota, in proporzione ai voti ottenuti da ciascuna lista. In sostanza le due arena sono fatte meccanicamente coincidere: l’elettore può solo variare la scelta della lista preferita fra la coalizione votata, introducendo la possibilità di modulare il voto, seppur solo nelle quote scelte dagli altri elettori della coalizione. Il sistema elettorale per il Consiglio comunale in Alto Adige si pone come un unicum nel panorama dei sistemi elettorali nel nostro paese, in quanto  un proporzionale puro e non un sistema misto.

    Vediamo adesso in dettaglio l’offerta elettorale nei comuni considerati, iniziando dal capoluogo. A Bolzano sono in corsa nove candidati, sostenuti in tutto da diciannove liste; la media è quindi appena superiore a due liste per candidato sindaco. A guidare il numeroso gruppo di concorrenti è il sindaco uscente Luigi Spagnolli, del centro-sinistra. A sostenerlo la coalizione più ampia: cinque liste. Come cinque anni fa è sostenuto da Pd, Svp e Psi; a completare la coalizione, assai più asciutta di allora, due liste civiche. Il centro-destra di presenta diviso in tre: Fi sostiene Alessandro Urzì insieme ai partiti locali Alto Adige nel cuore [1] e Unitalia  [2] ; la Lega e Fdi corrono invece da soli, rispettivamente a sostegno di Carlo Vettori e Maria Teresa Tomada. Rudi Rieder è il candidato del M5s, mentre Cecilia Stefanelli è sostenuta da una coalizione di sinistra composta da Sel, Prc e Verdi del Sudtirolo [3]. A completare il quadro delle candidature, Ivan Benussi (Casapound), Dado Duzzi (Pens.) e il candidato civico Angelo Gennoccaro.

    A Bressanone abbiamo un candidato in meno rispetto al capoluogo, otto, ciascuno dei quali sostenuto da una sola lista. In questo caso la corsa è aperta, dal momento che il sindaco uscente (Albert Pürgstaller) non è più in corsa dopo avere completato due mandati completi. Abbiamo due candidati di partiti sudtirolesi: la Svp, che ha guidato la maggioranza uscente, sostiene Peter Brunner; Walter Blaas è invece il candidato dei Freiheitlichen. Sono due anche le candidature espressione di partiti nazionali: Mario Cappelletti per il Pd e Danilo Noziglia per la Lega. In qualche modo intermedia la candidatura di Elda Letrari per la Alternativa ecosociale dei Verdi del Sudtirolo, che sono proprio caratterizzati da una natura “trasversale”, rivolgendosi indistintamente a tutti i cittadini, senza distinzioni di carattere etnico-linguistico. Abbiamo poi due candidature di movimenti politici locali: Elisabetta Rella è la candidata sindaco per Alto Adige nel cuore; Roberto Spazzini è invece il candidato della lista Insieme per Bressanone, di matrice democristiana e alla sua terza prova elettorale in città. Completa il quadro una candidatura civica. Quest’ultima è quella di Barbara Mair per la lista Demos.

    A Laives i candidati sindaco sono cinque, con in tutto undici liste – come a Bolzano poco più di due in media per candidato. Di nuovo proprio come nel capoluogo è l’incumbent (Liliana Di Fede) a presentare la coalizione più numerosa, formata da quattro liste: Pd, Psi e due liste civiche. Il candidato del centrodestra Christian Bianchi può invece contare sul sostegno di tre liste: la Lega, una lista unitaria di Fi, Fdi e Alto Adige nel cuore, e una lista civica. Dario Volani è sostenuto da due liste: una lista unitaria di Prc e Sel, e una lista civica. Infine due candidati sono sostenuti da una sola lista: sono Paolo Castelli per il M5s e Giovanni Seppi per il Svp.

    A Merano, l’altra corsa aperta, senza il primo cittadino uscente in campo, si registra il massimo numero di candidati fra i casi considerati: sono addirittura dodici. Le liste al proporzionale sono tredici. Solo Sigmar Stocker è sostenuto da più di una lista: quella dei Freiheitlichen e quella dell’Unione per il Sudtirolo. Altri due i candidati sono espressione dei partiti tedeschi: Gerhard Gruber per il Svp e Sepp Mitterhofer appoggiato da Südtiroler freiheit. Sono due le candidature per partiti locali non tedeschi: Maria Cristina Cappello è la candidata dell’Alto Adige nel cuore, Paul Rösch quello dei Verdi del Sudtirolo. Cinque in tutto i candidati sostenuti da partiti nazionali. Tre di questi sono appoggiati da partiti di centro-sinistra: Diego Zanella del Pd, Marcello Ciaramella per l’Idv e Pippo Boninsegna sostenuto da una lista unitaria di Sel e Rifondazione. Gli altri due candidati “nazionali” sono Francesca Schir del M5s e Rita Mattei sostenuta dalla Lega. Infine Giorgio Balzarini e Nerio Zaccaria sono i candidati di liste civiche che portano il loro nome. Balzarini è il Vicesindaco uscente, eletto nel 2010 quando si era presentato con una lista dallo stesso nome. (Xanax bars)

    Guardiamo adesso al quadro delle amministrazioni uscenti. Iniziamo col dire che in tutti e quattro i casi presentati si vota alle comunali dopo la naturale scadenza quinquennale delle legislature locali. Cinque anni fa le poltrone di sindaco furono quasi tutte conquistate da candidati appoggiati dal Svp. A Bolzano, dove la coalizione comprendeva anche altre sette partiti di centro-sinistra, fra cui il Pd, Spagnolli era passato già al primo turno. A Bressanone e Merano i candidati del solo Svp avevano avuto invece bisogno del ballottaggio, cui erano comunque come più votati del primo turno, per conquistare il mandato. Solo a Laives il sindaco Svp ha fallito l’obiettivo, giungendo terzo al primo turno e mancando così l’accesso al ballottaggio. La sfida era quindi stata fra il candidato del centro-destra Bianchi e la candidata del centro-sinistra Di Fede, largamente vinta da quest’ultima.

    Guardando più in dettaglio ai risultati delle precedenti comunali, notiamo innanzitutto come la partecipazione sia stata abbastanza alta: circa due elettori su tre a Bolzano, sopra il 70% a Bressanone e Laives, dove però ai ballottaggi era scesa di circa venti punti, attestandosi fra il 50 e il 55%. Significativamente più bassa a Merano, specialmente al secondo turno, in cui ha votato meno del 43% degli aventi diritto. Il Svp faceva registrare risultati compresi fra il 20% circa di Bolzano e Laives, e il 43% di Bressanone, passando per il 37% di Merano. Il Pdl era primo partito a Bolzano con il 22%, aveva una percentuale analoga a Laives, era attorno al 10% a Merano, e sotto il 6% a Bressanone. Il Pd aveva il suo valore minimo a Merano (7%), faceva poco meglio a Bressanone (10%), raccoglieva un voto su sei nel capoluogo e oltre uno su cinque a Laives. La Lega faceva riscontrare buone performances, attorno al 5%, a Bolzano e Laives. Molto disomogenei i risultati dei Verdi locali: avevano circa il 15% a Bressanone e Merano, ma fra il 5 e il 6% a Laives e Bolzano. Interessante rilevare, poi, come già nel 2010 a Bolzano si fosse presentata una lista Beppe Grillo, raccogliendo oltre il 4%. I Freiheitlichen ottenevano un notevole successo a Bressanone, ma erano sostanzialmente assenti altrove.

    Tab.1 – Elezioni comunali 2010: Risultati nei comuni altoatesini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Alle politiche di due anni fa, il centro-sinistra di Bersani, di cui faceva parte anche il Svp, era risultato in tutti i comuni la coalizione più votata, con risultati compresi fra il 38% (Laives) e il 58% (Bressannone). Il Svp, partito egemone a livello provinciale (45%), faceva segnare ovunque risultati inferiori alla media dell’Alto Adige. Solo a Bressanone era comunque in linea con il risultato provinciale. A Merano era primo partito, con più del doppio del secondo più votato (il Pd, con il M5s vicinissimo), ma con meno del 30% dei voti. A Bolzano e Laives, invece, il Svp raccoglieva attorno al 15% dei voti, affermandosi come la quarta forza più rilevante. Il Pd era in tutti i comuni analizzati in doppia cifra percentuale e quindi più votato che nella media provinciale. A Bolzano e Laives andava ben oltre, superando quota 20%. Nel capoluogo il partito di Bersani era la lista più votata. Sel, che poteva contare sulla alleanza con i Verdi/Grüne/Vërc, raccoglieva buoni risultati: attorno al 6%, tranne a Laives, comunque lontani dai picchi degli ecologisti altoatesini alle comunali.

    Al di fuori del centro-sinistra, il M5s faceva segnare risultati piuttosto disomogenei: primo partito a Laives con il 23%, molto bene anche a Bolzano (19%), ma meno del 15% a Merano ed addirittura del 7% a Bressanone – risultato questo inferiore anche alla media provinciale (8,3%), la più bassa del paese. Risultati diametralmente opposti al M5s per i Freiheitlichen: più di un voto su 6 a Bressanone, leggermente meglio della media provinciale; 8% a Merano; 3% a Bolzano e Laives. La coalizione di centro-destra, quarta opzione politica a livello provinciale con appena l’8,1%, sfiorava il 20% a Laives e nel capoluogo, dove il Pdl si imponeva come terza lista più votata. Era poi attorno al 15% a Merano e addirittura sotto la media provinciale a Bressanone. La coalizione Monti, sotto il 7% nell’Alto Adige, raccoglieva risultati piuttosto omogenei: tutti superiori alla media provinciale, compresi fra il 9 e il 13%.

    L’affluenza era in tutti e quattro i comuni analizzati piuttosto alta, poco sopra all’80% ovunque tranne che a Merano. In ogni caso è sempre più bassa della media provinciale dell’82,1%, una delle più alte fatte registrare a livello nazionale (De Lucia e Cataldi 2013).

    Tab.2 – Elezioni politiche 2013: Risultati nei comuni altoatesini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Alle europee dell’anno scorso, complice anche la competizione nazionale e quindi una diversa offerta elettorale, il quadro appariva piuttosto mutato. I Freiheitlichen, che avevano raccolto un sesto dei consensi alle politiche, non sono presenti con il proprio simbolo. Hanno fatto un accordo con la Lega, in virtù del quale loro candidati vengono ospitati nelle liste del Carroccio e il loro simbolo compare – davvero molto piccolo e sostanzialmente impossibile da individuare – all’interno del simbolo dell’alleato. Certamente in virtù di questo accordo, la Lega fa registrare un risultati lusinghieri sia a livello provinciale (6%, contro l’1% delle politiche), sia nei comuni analizzati in particolare. Fatta questa doverosa premessa, guardando al risultato nel suo complesso osserviamo nei casi considerati le linee di tendenza registrate a livello nazionale in confronto alle politiche (Maggini 2014). Crollo della partecipazione; vistose avanzate del Pd targato Renzi, scomparsa del polo di centro, sostanziale tenuta del M5s, profonda crisi del blocco berlusconiano. Molto significativi anche i risultati fatti segnare dalla lista Tsipras, di cui facevano parte anche i Verdi del Sudtirolo: ovunque tranne che a Laives attorno al 10%, così come nella provincia nel suo complesso. Davvero bassa, infine, l’affluenza, seppur generalmente leggermente più alta del 52% medio dell’Alto Adige.

    Tab.3 – Elezioni europee 2014: Risultati nei comuni altoatesini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Le elezioni comunali altoatesine si preannunciano particolarmente incerte, soprattutto per via del sistema elettorale che, non incentivando a coalizzarsi per vincere il premio, produce una notevole frammentazione. Sempre il sistema elettorale, come tutti i sistemi proporzionali non corretti, rende impossibile prevedere quali coalizioni formeranno le maggioranze di governo nei diversi comuni. Saranno inevitabilmente gli accordi post-elettorali fra i partiti nei Consigli a determinarle.

    Alla luce dei dati presentati, solo a Bolzano l’alleanza fra Pd e Svp a sostegno dell’uscente Spagnolli potrebbe forse consentire una maggioranza autonoma di una coalizione pre-elettorale. A Bressanone tutto lascia supporre che Brunner sarà eletto sindaco: sarà interessante verificare se dovesse farcela al primo turno e, soprattutto, se il Svp riuscirà ad ottenere la maggioranza assoluta dei seggi. A Merano potrebbero essere Gruber e Zanella, sostenuti dai due più grandi partiti cittadini delle politiche e delle europee, a giocarsela al quasi certo ballottaggio, dall’esito quantomai incerto. Così come la maggioranza che sosterrà l’esecutivo del vincitore. A Laives è difficile anche precedere chi potrà partecipare al secondo turno. Forse la Di Fede, anche in virtù dell’incumbency factor può essere la favorita alla corsa per un posto al ballottaggio. Chi potrà affiancarla nella corsa a due per la poltrona di sindaco è difficile a dirsi: Svp e M5s sembrano potere contare su bacini elettorali assai simili; e non così grandi da potere escludere inserimenti di altri. Ormai non resta che aspettare poche ore per scoprire come andrà a finire. Almeno per la composizione dei Consigli comunali: non ci sarà infatti bisogno di aspettare i ballottaggi.

    Riferimenti bibliografici:

    De Lucia, Federico e Matteo Cataldi. 2013. “L’analisi dell’affluenza: una forte accelerazione del declino della partecipazione.” In Le Elezioni Politiche 2013, a cura di  Lorenzo De Sio, Federico De Lucia, e Matteo Cataldi, 47–52. Dossier CISE 4. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.

    Maggini, Nicola. 2014. “I risultati elettorali: il Pd dalla vocazione all’affermazione maggioritaria.” In Le Elezioni Europee 2014, a cura di  Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele, e Nicola Maggini, 115–24. Dossier CISE 6. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.


    [1] Movimento politico fondato dal candidato sindaco di Bolzano Alessandro Urzì. Questi è uno noto esponente locale di An, più volte Consigliere, poi confluito nel Pdl, ma fuoriuscitone per aderire alla scissione di Fli, a sua volta abbandonato nel in vista delle elezioni politiche del 2013 non essendo disposto ad accettare la desistenza col centro-sinistra avanzata nell’ambito della coalizione Monti.

     [2] Storico partito della destra bolzanina, fondato nel 1996 per una scissione da Alleanza Nazionale da quanti rifiutavano la linea del partito per l’Alto Adige dopo la svolta di Fiuggi.

     [3] Il partito dei Verdi del Sudtirolo (Verdi/Grüne/Vërc) è una delle componenti fondatrici della Federazione dei Verdi. Recentemente se ne è però allontanata. In particolare, come vedremo, nel 2013 non ha seguito il partito nazionale nell’esperienza di Rivoluzione Civile, ma ha fatto una alleanza con Sel; e nel 2014 è entrato nella lista Tsipras, insieme con Sel.

  • Comunali 2015: la situazione di partenza in Trentino

    di Aldo Paparo

    Siamo ormai alle porte della tornata elettorale che a fine mese coinvolgerà 7 regioni e oltre 1.000 comuni, di cui 20 capoluoghi di provincia ed un centinaio superiore ai 15.000 abitanti. Già questa domenica, però, gli elettori saranno chiamati alle urne per le elezioni comunali in Trentino-Alto Adige e Valle d’Aosta. Le regioni a statuto speciale godono di una particolare autonomia nell’organizzazione delle elezioni locali sul proprio territorio, che va ben oltre la scelta della data di svolgimento.

    In questo articolo ci dedichiamo alla presentazione delle imminenti elezioni comunali nella provincia autonoma di Trento. Preferiamo separare l’analisi delle due province del Trentino-Alto Adige per via di sostanziali differenze nel sistema elettorale. Infatti, anche il dispositivo della legge elettorale rientra nella competenza statutaria delle regioni a statuto speciale; e, nel caso in esame, la legge regionale prevede due normative diverse per i comuni del Trentino e dell’Alto Adige.

    Vediamo quindi quali sono le caratteristiche del sistema elettorale per le comunali nella provincia di Trento. Come tradizione del nostro paese, in realtà sono previsti due sistemi elettorali diversi per due diverse classi di comuni, definite in base alla relativa popolazione. A livello nazionale la soglia che differenzia i comuni grandi da quelli piccoli è di 15.000 abitanti. Come però già avviene ad esempio in Sicilia, in Trentino tale soglia è stata rivista: è qui abbassata a 3.000 abitanti. Ecco come mai, fra i 138 comuni “superiori” al voto in questo 2015, ve ne sono ben 25 trentini: perché in realtà molti superiori non sono, semplicemente votano come tali. In questo articolo ci concentriamo su quei comuni che superano il requisito nazionale, ovvero la cui popolazione sia di almeno 15.000 unità. Sono in tutto 4: Trento, Riva del Garda, Rovereto e Pergine Valsugana.

    Prima di procedere, dobbiamo ancora evidenziare una caratteristica rilevante del sistema elettorale per i comuni superiori in Trentino. Soprattutto dal momento che lo differenzia dal sistema della legge Ciaffi, comportando dunque che la divergenza fra legge elettorale nazionale e provinciale non si limiti alla soglia di popolosità cui si applicano i due diversi sistemi elettorali. In Trentino è infatti preclusa all’elettore la possibilità di votare disgiuntamente fra arena maggioritaria dove competono i candidati sindaco e arena proporzionale a concorrere sono invece le liste. Anzi è proprio previsto che le coalizioni usino come propri totali di voti quelli conseguiti dal candidato sindaco sostenuto. Può apparire un elemento marginale, ma non lo è: questa fusione del voto (Cox 1997; Chiaramonte 1998) cambia profondamente la natura della competizione elettorale, e dei rapporti fra candidato e liste. In ogni casi siamo sempre nell’ambito dei sistemi elettorali misti del tipo proporzionale con premio di maggioranza, secondo la tipologia proposta da Chiaramonte (2005).

    Vi sono poi alcune peculiarità relativamente al rinnovo degli organi comunali che interessano i nostri casi. In particolare, se insediatisi  per cause diverse dalla normale scadenza del mandato, gli organi comunali restano in carica limitatamente al rimanente periodo del quinquennio previsto per la generalità dei consigli comunali della regione. E’ questo il caso di Pergine Valsugana: dove il sindaco eletto nel 2009 si è dimesso nel 2013, e quello eletto nel 2013 vede scadere dopo soli due anni il proprio mandato. Qualora poi il rinnovo debba avvenire nel corso dell’anno immediatamente precedente quello di svolgimento del turno elettorale generale, il sindaco ed il consiglio comunale restano in carica fino alla scadenza del successivo turno elettorale generale previsto per i comuni della regione. Ciò accade a Trento, dove le precedenti elezioni sono state nel 2009 e quindi gli organi avrebbero dovuto essere rinnovati nel 2014. Poiché l’anno scorso precedeva di un anno la tornata ordinaria del 2015, ecco spiegata l’eccezionale durata della legislatura comunale a Trento.

    Vediamo ora le dalle amministrazioni uscenti nei quattro comuni considerati. A Riva e Rovereto, così come a Trento, esse hanno completato un’intera legislatura, mentre invece – come detto – a Pergine è stata in carica solo due anni. Come possiamo osservare nella tabella 1, i risultati delle precedenti elezioni comunali sono piuttosto variegati. A Trento e Riva, Andreatta e Mosaner sono stati largamente eletti al primo turno sostenuti da ampie coalizioni di centro-sinistra. A Rovereto è stato sempre il candidato sostenuto dal Pd a spuntarla, ma solo al ballottaggio e appoggiato da una coalizione assai più ristretta. La grande sorpresa si è registrata due anni or sono a Pergine, quando al ballottaggio Oss Emer, sostenuto da tre liste civiche, aveva sconfitto un candidato del centro-sinistra che si era conquistato il ballottaggio contro quello sostenuto dal Pd – e che quindi sembrava potere contare sulla convergenza al secondo turno di altri elettori di area politica affine.

    Alle precedenti comunali il Pd è risultato un po’ ovunque il partito più votato: nel capoluogo ha sfiorato il 30%, altrove ha raccolto fra il 15 e il 21%. Solo a Pergine, l’Upt faceva meglio del partito allora guidato da Bersani. Il partito di Dellai si confermava una solida realtà del sistema politico trentino, anche se piuttosto disomogenea, con risultati infatti compresi fra il 6% di Rovereto e il 17% di Trento. Lo stesso valeva per il Patt, anche se scala leggermente ridotta. Vedeva infatti un risultato in doppia cifra a Pergine, ma era sotto al 5% a Rovereto e nel capoluogo. Nel centro-destra il Pdl valeva attorno al 10%, con la Lega ovunque poco al di sotto dell’allora alleato nazionale. Solo a Rovereto, comunque, i due principali partiti di centro-destra sostenevano lo stesso candidato sindaco (Lorenzi). Questi faceva un po’ meglio dei colleghi di partito, raccogliendo circa il 25% (contro il 20%). Ciononostante era il terzo candidato più votato, fallendo così l’accesso al ballottaggio. La scarsa competitività del centro-destra nei casi in esame può essere sintetizzata così: in un momento di fulgore nazionale, in quattro comuni conquista zero sindaci e zero ballottaggi.

    Prima di procedere una nota sull’affluenza: davvero bassa, fra il 60 e il 68%. Addirittura inferiore al 50% al ballottaggio di Pergine nel 2013, ma anche a Rovereto nel 2010 al secondo turno era stata appena del 54% in una sfida che appariva davvero molto incerta.

    Tab.1 – Elezioni comunali: Risultati nei comuni trentini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Per cercare di inquadrare meglio le prospettive dei quattro comuni considerati verso queste comunali, allarghiamo un po’ l’orizzonte, guardando anche ad altre importanti elezioni recenti. A cominciare dalle politiche del 2013 (tab. 2). Possiamo osservare come l’affluenza sia stata dappertutto piuttosto alta, in linea con quella media della provincia: quattro elettori su cinque alle urne. Il centro-sinistra era in tutti i comuni la coalizione più votata, ma il M5s a Riva del Garda era primo partito. Il Pd riusciva sostanzialmente a confermare il risultato delle comunali a Trento (29,1%), mezzo punto meno del massimo fatto registrare a Rovereto; era comunque abbastanza stabile, fra il 23 e il 30%. Molto omogenei anche i risultati del M5s, fra il 20 e il 25%. Un po’ di maggiore relativa varianza la faceva segnare il Pdl: appena due punti e mezzo sopra quota 10% nel capoluogo, ma vicino al 20% a Riva. La Lega otteneva fra il 5 e il 7%, sostanzialmente in linea con le comunali. Molto lusinghieri i risultati della coalizione guidata da Monti, del resto in linea con il risultato del Trentino tutto (addirittura sopra il 20%, ad appena una cinquantina di voti dal M5s).

    Tab. 2 -Elezioni politiche 2013: Risultati nei comuni trentini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Guardando infine alle elezioni europee dello scorso anno (tab. 3), il primo dato che balza agli occhi è la bassa affluenza. Essa è piuttosto omogenea nei diversi casi, compresa fra il 53% – la media provinciale – e il 59%. D’altronde il Trentino-Alto Adige nel suo complesso ha fatto registrare la più bassa partecipazione elettorale del centro-nord, sostanzialmente in linea con quella del Mezzogiorno; e a livello nazionale il più grande calo rispetto alle politiche 2013 (Emanuele 2014). Nei nostri quattro casi, l’aumento del non voto è compreso fra i 4 e 10 punti rispetto alle precedenti comunali, e fra i 20 e i 25 dalle politiche.

    Venendo ai risultati, il Pd ha raccolto dappertutto più del doppio dei voti del secondo partito più votato, il M5s. Il partito di Renzi vale fra il 41 il 49%. Quello di Grillo fra il 15 e il 20. La Svp fa registrare notevolissime crescite rispetto alle elezioni politiche di un anno prima: il suo peso è più che raddoppiato, anche se solo a Pergine va in doppia cifra. La scissione del Pdl condanna Berlusconi a contare appena fra il 9 e il 13%, mentre la Lega – che cresce in tutti i comuni – fa meglio di Fi sia a Rovereto che a Pergine.

    Tab. 3 -Elezioni europee 2014: Risultati elettorali nei comuni trentini al voto nel 2015 superiori al 15.000

    Veniamo adesso all’offerta elettorale in campo in queste elezioni comunali 2015. Cominciamo col dire che tutti e quattro i sindaci uscenti sono in campo. A Trento Alessandro Andretta, che si ripresenta con un’ampia coalizione di centro-sinistra contenente Pd, Patt Verdi e una lista unitaria di Upt e Idv, dovrà vedersela con quattro rivali. Stando ai recenti risultati elettorali, il più accreditato dovrebbe essere Claudio Cia, sostenuto da Fi, Lega e Fdi. Terzo in comodo Paolo Negroni, il candidato del M5s. Completano la corsa Antonia Romano, sostenuta da Sel e Fds, e il candidato civico Paolo Primon.

    A Riva del Garda l’incumbent Adalberto Mosaner avrà tre rivali. I due principali sono Stefano Santorum, sostenuto da Fi, Lega e tre liste civiche, e Flavio Antonio Prada del M5s. E’ poi candidata, sostenuta da due liste civiche, Franca Bazzanella, attualmente in Consiglio per il Pd. Mosaner è appoggiato da 4 liste: Pd, Upt, Patt e una lista unitaria di Verdi, Sel e Prc.

    Anche a Rovereto il sindaco uscente, Andrea Miorandi, dovrà affrontare tre sfidanti: Paolo Vergano del M5s, Marco Zenatti (Lega, Fdi e una lista civica) e Francesco Valduga – figlio dell’ex sindaco sconfitto di misura del ballottaggio di cinque anni fa -, appoggiato da cinque liste fra cui i Verdi. A sostenere Miorandi una coalizione di sei liste fra cui Pd, Upt, Patt e una lista unitaria di Sel e Prc.

    Infine a Pergine Valsugana Roberto Oss Emer, eletto nel 2013 ad un mandato parziale, avrà due sfidanti. Si ripresenta sostenuto da una coalizione contenente le tre liste civiche della sua precedente elezione, integrate da due nuove liste civiche. Gli altri due contendenti sono il candidato del centro-sinistra Stefano Tomaselli (appoggiato da Pd, Upt, Patt, Psi, Verdi e una lista civica), e la candidata leghista Donata Soppelsa.

    Il Pd si conferma l’attore pivotale del sistema politico regionale. Basti guardare alla sua capacità di costruire alleanze: in tutti e quattro i casi è alleato con Upt e Patt. Inoltre la coalizione di centro-sinistra, seppur spesso sfidata a alla propria sinistra, riesce comunque a contare sempre sull’appoggio di almeno uno fra Verdi, Sel e Prc. Merita poi certamente una particolare sottolineatura che Forza Italia non sia ai nastri di partenza nella metà dei comuni analizzati: un chiaro segnale dello sfaldamento del partito di Berlusconi sul territorio. E’ quindi la Lega, sempre presente, il perno dell’alternativa di centro-destra; il Carroccio è alleato con Fi e Fdi nei comuni dove queste sono in campo. Infine, ma non è certo questa una sorpresa, il M5s presenta ovunque il proprio simbolo, e non fa alleanze.

    Riassumendo il quadro dell’offerta nei quattro comuni analizzati, possiamo innanzitutto osservare una generalizzata riduzione della frammentazione. Il numero dei candidati si è notevolmente ridotto: fra sei e otto nella tornata precedente, fra tre e cinque in questa. Lo stesso vale per le liste in competizione: calano in tutti e quattro i comuni. Sono oggi comprese fra undici e quattordici; erano fra tredici e sedici. Avremo quindi gare assai compatte e molto simili, secondo uno schema di competizione assai preciso: un candidato di Pd e alleati, uno del M5s e uno di Lega e alleati. A Trento, Rovereto e Riva vi è poi anche un competitor alla sinistra del Pd. Nel capoluogo abbiamo, infine, un candidato civico.

    Alla luce dei dati presentati, sembra improbabile un risultato diverso da quattro sindaci del centro-sinistra. Il principale dubbio pare piuttosto riguardare i casi in cui la vittoria arriverà al primo o al secondo turno. Soprattutto perché i ballottaggi sono sempre difficili da portare a casa, come dimostra il recente caso di Pergine Valsugana. Soprattutto in uno scenario tripolare, quale quello evidenziato analizzando l’offerta. In ogni caso, sarà interessante verificare la tenuta del centro-sinistra, e in primo luogo del Pd ad un anno dal trionfo delle elezioni europee.

    Riferimenti bilbiografici:

    Chiaramonte, Alessandro. 1998. “I Sistemi Elettorali Misti. Una Classificazione.” Rivista Italiana Di Scienza Politica 28 (2): 229–70.

    ———. 2005. Tra Maggioritario E Proporzionale. L’universo Dei Sistemi Elettorali Misti. Bologna: Il Mulino.

    Cox, Gary W. 1997. Making Votes Count: Strategic Coordination in the World’s Electoral Systems. Cambridge: Cambridge University Press.

    Emanuele, Vincenzo. 2014. “Affluenza, Un Calo Atteso. Al Sud 1 Su 2 Si Astiene.” In Le Elezioni Europee 2014, a cura di  Lorenzo De Sio, Vincenzo Emanuele, e Nicola Maggini, 107–13. Dossier CISE 6. Roma: Centro Italiano di Studi Elettorali.

  • Italicum: Come funzionerà in Trentino-Alto Adige

    di Aldo Paparo

    La notizia politica della settimana nel nostro paese risiede certamente nell’approvazione dell’Italicum. Lunedì il testo della nuova legge elettorale per la Camera è stato definitivamente approvato dall’aula di Montecitorio dopo essere stato licenziato – non senza affanni – dalla Commissione Affari Costituzionali nella medesima redazione approvata dal Senato a fine gennaio.

    Il governo ha posto la questione di fiducia sui quattro voti decisivi, vendendosela sempre accordare da maggioranze assolute dei componenti l’assemblea, seppur via via decrescenti (comprese fra i 352 sì del primo voto e i 334 dell’ultimo). L’esecutivo ha deciso di evitare in questo modo l’approvazione di emendamenti che, riportando il testo in Senato, avrebbero con ogni probabilità decretato il definitivo arrestarsi del percorso della riforma.

    Naturalmente, nel momento decisivo per l’approvazione di una legge tanto importante come quella elettorale, si sono levate innumerevoli critiche al testo della nuova legge. Le poste politiche in gioco erano estremamente elevate per tutti gli attori coinvolti, così come la pressione per ottenere il risultato desiderato. Alcune di queste critiche hanno un contenuto puramente politico, e non è questa la sede per affrontarle. Qui, invece, desideriamo confrontarci con alcune perplessità sollevate circa il possibile funzionamento della nuova legge elettorale. Critiche che potremmo definire di carattere tecnico. In particolare, ci concentreremo sulle speciali previsioni della nuova legge in riferimento all’elezione dei deputati in Trentino-Alto Adige.

    Prima di procedere, si impone una doverosa premessa. Appare infatti opportuno chiarire, magari al lettore non particolarmente esperto di normative elettorali, per quale motivo si prevedono disposizioni speciali per il Trentino-Alto Adige. La ragione risiede evidentemente nella particolare conformazione etnico-linguistica della regione, e nella necessità di garantire, in particolare in Alto Adige, la giusta rappresentanza alla minoranza nazionale di lingua tedesca, e contemporaneamente anche alla minoranza locale di lingua italiana, nel quadro di una legge elettorale con premio nazionale di maggioranza[1].

    Veniamo adesso all’analisi in dettaglio delle disposizioni dell’Italicum per il Trentino-Alto Adige. Riassumendone i tratti principali possiamo dire che si tratti di un sistema elettorale misto, con voto fuso e scorporo parziale – per favorire gli sconfitti del maggioritario. Procediamo con ordine. Innanzitutto, vengono riesumati i collegi uninominali della legge Mattarella, in vigore fra il 1994 e il 2001. Sono otto in tutto, quattro per ciascuna delle due province autonome della regione. Nella provincia di Trento abbiamo i collegi di Lavis, Pergine Valsugana, Rovereto e, appunto, Trento; in quella di Bolzano vi sono i collegi del capoluogo, Bressanone, Appiano sulla strada del vino e Merano. Nei collegi si svolgeranno competizioni uninominali fra candidati, i quali debbono essere collegati ad una o più liste proporzionali regionali. In ciascun collegio il candidato che avrà ottenuto il maggior numero di voti risulterà eletto. Questo a prescindere da quali liste lo sostengano, compreso quindi anche il fatto che esse accedano o meno alla ripartizione nazionale dei seggi.

    L’elettore avrà a disposizione un solo voto, da esprimersi su una scheda recante i nomi dei candidati con accanto i simboli delle liste che li sostengono. Tale voto è utile sia per la competizione fra candidati nel collegio, sia in quella proporzionale fra liste. La letteratura definisce questa modalità di voto come voto fuso (Cox 1997; Chiaramonte 1998, 239; Chiaramonte 2005, 51). Il voto può essere esercitato in favore di una lista, nel qual caso varrà sia per la lista al proporzionale sia nell’uninominale per il candidato sostenuto dalla lista. L’elettore può altresì votare per un candidato. In questo caso il voto sarà valido per l’uninominale, mentre conterà al proporzionale solo se il candidato è sostenuto da una sola lista. Il sistema descritto qui per il Trentino-Alto Adige si pone come un classico caso di sistema elettorale misto del tipo maggioritario a compensazione proporzionale, caratterizzato appunto dalla presenza di un voto unico che vale contemporaneamente in due arene più o meno distinte (Chiaramonte 2005, 89). Si tratta di un tipo piuttosto comune su piano comparato (Chiaramonte 2005, 77), ma non altrettanto nel nostro paese nonostante la pur variegata serie di normative elettorali miste sperimentate negli ultimi due decenni a vari livelli di governo. La normativa prevista per il Senato dalla legge Mattarella è l’unico antecedente dello stesso tipo nel nostro paese.

    La nuova legge dispone anche come dovranno essere assegnati gli ulteriori seggi che spettano al Trentino-Alto Adige in base alla sua popolazione, anche se non ne specifica il numero. Sul punto rimanda, come per tutte le altre regioni, ad un decreto presidenziale da emanarsi contestualmente alla convocazione dei comizi elettorali. Sulla base del censimento 2011, e quindi per lo meno in occasione delle prime elezioni da svolgersi con l’Italicum, i seggi totali spettanti alla regione sono undici[2]. Ve ne sono quindi tre oltre agli otto assegnati ai candidati vincitori nei collegi uninominali. L’assegnazione di questi tre seggi si svolge in ragione proporzionale: vediamo come.

    Scatta qui il primo collegamento fra arene di competizione distinte ma non del tutto separate previsto dalla nuova legge elettorale in riferimento al Trentino. Si tratta, in questo caso, del collegamento fra le due arene regionali, quella proporzionale e quella maggioritaria. In particolare di come il risultato del maggioritario influenzi l’esito al proporzionale. Abbiamo già detto che i candidati del maggioritario sono collegati con una o più liste dell’arena proporzionale. Se però l’arena maggioritaria è assoluta, nel senso che l’esito elettorale nei collegi è l’unica determinante per l’assegnazione dei relativi seggi, lo stesso non può dirsi per l’arena proporzionale. Il meccanismo per l’assegnazione dei seggi proporzionali è infatti estremamente simile a quello in vigore ai tempi della legge Mattarella, seppur mettendo insieme elementi di dettaglio allora previsti esclusivamente per la Camera o per il Senato (D’Alimonte e Chiaramonte 1993). Come allora in vigore per l’elezione dei deputati, vi è la previsione dello scorporo parziale[3]. Tale meccanismo prevede che il numero di voti con cui ciascuna lista partecipa alla distribuzione dei seggi proporzionali sia pari al totale dei voti ottenuti meno il numero di voti conseguiti, nei collegi vinti da candidati da essa sostenuti, dal secondo candidato più votato (aumentato di una unità)[4]. In questo senso possiamo parlare di meccanismo correttivo del maggioritario sul proporzionale (Massicotte e Blais 1999, 353). Infine, sempre come ai tempi della Matterella, le liste proporzionali regionali in Trentino-Alto Adige saranno bloccate.

    Per quanto non particolarmente immediato, né esattamente identico ad alcun precedente, il dispositivo descritto fin qui appare piuttosto familiare a chi ha dimestichezza con la storia della legislazione elettorale nel nostro paese. La necessità di armonizzare queste disposizioni speciali per il Trentino con la legge elettorale nazionale – una legge che prevede un vincitore nazionale, così come soglie, quote e premi nazionali – ha richiesto alcune ulteriori accortezze da parte del legislatore. Vediamo quali.

    Abbiamo qui il secondo anello di congiunzione fra arene diverse: quello che unisce, appunto, la competizione per gli undici seggi in Trentino-Alto Adige con l’elezione nazionale. In questo caso la connessione opera in entrambe le direzioni. In primo luogo occorre sottolineare come i voti conseguiti dalle liste in Trentino-Alto Adige siano conteggiati nei totali nazionali, utili alla determinazione della lista vincente e ai fini del superamento delle soglie (del 3% per l’accesso alla ripartizione e del 40% per ottenere il premio di maggioranza al primo turno)[5]. Inoltre i seggi ottenuti in Trentino-Alto Adige dalla lista vincente a livello nazionale sono computati nel suo totale di seggi, utile per la verifica del conseguimento o l’eventuale attribuzione dei 340 seggi.

    Nel senso inverso, il risultato nazionale influenza l’attribuzione dei seggi in Trentino-Alto Adige, in particolare nell’arena proporzionale. Innanzitutto partecipano alla ripartizione proporzionale regionale solo le liste ammesse sul piano nazionale, cioè quelle che hanno superato la soglia del 3% a livello nazionale[6]. Inoltre, se è scattato il premio – perché la lista vincente aveva ottenuto almeno il 40% dei voti ma non 340 seggi, oppure perché si è svolto il ballottaggio – l’assegnazione dei seggi proporzionali della regione avviene in misura di due terzi alla lista vincente nazionale, e il rimanente terzo da dividersi proporzionalmente fra le altre liste. Poiché, come abbiamo detto, questi seggi proporzionali sono in tutto tre, ciò significa due seggi alla lista vincente nazionale e uno alla lista ammessa con la più alta cifra elettorale utile.

    Riferimenti bibliografici:

    Chiaramonte, Alessandro. 1998. “I Sistemi Elettorali Misti. Una Classificazione.” Rivista Italiana Di Scienza Politica 28 (2): 229–70.

    ———. 2005. Tra Maggioritario E Proporzionale. L’universo Dei Sistemi Elettorali Misti. Bologna: Il Mulino.

    Cox, Gary W. 1997. Making Votes Count: Strategic Coordination in the World’s Electoral Systems. Cambridge: Cambridge University Press.

    D’Alimonte, Roberto, e Alessandro Chiaramonte. 1993. “Il Nuovo Sistema Elettorale Italiano: Quali Opportunità?” Rivista Italiana Di Scienza Politica 23: 513–47.

    Massicotte, Louis, e André Blais. 1999. “Mixed Electoral Systems: A Conceptual and Empirical Survey.” Electoral Studies 18 (3): 341–66.


    [1] In effetti la legge elettorale prevede disposizioni speciali per la regione Trentino-Alto Adige a partire dal 2005, quando il Porcellum introdusse appunto il premio nazionale di maggioranza. La previsione di disposizione specifiche per alcune circoscrizioni elettorali non era già allora una novità nella nostra storia elettorale. Con riferimento alla Valle d’Aosta è così dal 1948, quando fu istituito il collegio uninominale a fronte di una legge nazionale proporzionale, previsione che ha attraversato immutata ogni successiva riforma fino ad oggi. Inoltre, la stessa sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato il Porcellum illegittimo per diversi aspetti non ha sollevato questioni su questo punto.

    [2] Così sarebbe stato, d’altronde, in occasione delle elezioni politiche del 2013, se la circoscrizione regionale non avesse guadagnato il dodicesimo seggio per via del meccanismo dello slittamento possibile con il Porcellum.

    [3] Come detto, l’elettore avrà un solo voto: nella legge Mattarella era così per il Senato, mentre alla Camera l’elettore disponeva di due voti su due schede. Sempre come previsto dalla Mattarella per il Senato è stabilito che si usi il metodo d’Hondt – invece dell’Hare in vigore alla Camera – per l’attribuzione di questi seggi.

    [4] Ancora in analogia con la legge Mattarella, è previsto che qualora il candidato vincitore dell’uninominale sia sostenuto da più liste, lo scorporo avvenga pro quota. I voti da scorporare – sempre pari al numero dei voti uninominali del secondo candidato più votato –  vengono quindi ripartiti fra le liste che sostengono il candidato eletto in ragione della relativa forza elettorale nel collegio in questione. Infine è previsto, ancora una volta esattamente come con la legge Mattarella, che la quota di voti da scorporare non sia comunque inferiore al 25% dei voti validi nel collegio – sempre che il candidato vincente non ne abbia raccolti meno.

    [5] I voti della regione Trentino-Alto Adige non sono invece conteggiati per la distribuzione dei seggi nelle altre circoscrizioni.

    [6] Naturalmente fatte salve le liste rappresentative di minoranze linguistiche, che ottengano almeno il 20% dei voti in una regione a statuto speciale che preveda una particolare tutela per tale minoranza. Con ogni probabilità saranno presenti liste con tali caratteristiche in Trentino-Alto Adige. Il punto è che le liste che accedono alla ripartizione proporzionale sono stabilite dall’Ufficio Centrale Nazionale sulla base di un criterio nazionalmente omogeneo. Su questo aspetto, quindi, non ci sono disposizioni speciali previste per il Trentino-Alto Adige, almeno rispetto alle altre regioni a statuto speciale.

  • Focus sull’area grigia: chi sono gli elettori che non esprimono una intenzione di voto

    di Aldo Paparo

    Con il sondaggio dell’Osservatorio Politico del Cise svolto nelle scorse settimane, è possibile ricominciare ad indagare le evoluzioni nell’intenzione di andare a votare o meno in caso ci fossero le elezioni politiche. Nelle ultime rilevazioni avevamo interrotto questo monitoraggio, dal momento che si svolgevano nelle immediate prossimità temporali della precedente o successiva elezione di carattere nazionale, quindi la il divario fra partecipazione dichiarata e reale era chiaramente inferiore.

    Oggi, però, ci troviamo di fronte ad un 40% di rispondenti che non dichiara la propria intenzione di voto in caso di elezioni politiche immediate. Siamo quindi di nuovo nella spiacevole condizione di sapere che una porzione non trascurabile di questi rispondenti andrà poi alle urne, senza però potere con precisione indicare quali, né tantomeno cosa voteranno. Naturalmente si tratta di un problema tutt’altro che trascurabile se si desidera utilizzare le risposte sull’intenzione di voto come un possibile risultato elettorale.

    In questo articolo indaghiamo questa porzione dell’elettorato – che non dichiara una intenzione di voto -, confrontandola con quella che invece esprime un’intenzione di voto valida. Per comprendere al meglio la questione che andiamo ad affrontare, nella figura 1 riportiamo un diagramma che mostra la distribuzione percentuale del nostro campione fra le diverse possibili opzioni di voto. Come possiamo osservare, il 61% dichiara l’intenzione di votare un partito

    A ben guardare, non si tratta di uno squilibrio eccessivo rispetto a quella che potrebbe essere la presumibile affluenza in caso di elezioni politiche, specie in considerazione del fatto che queste si svolgerebbero dopo una campagna elettorale che certamente aiuterebbe alcuni elettori a formarsi una chiara idea su cosa votare. Avendo ormai a disposizione una certa serie storica, possiamo dire che ci troviamo assai vicini alla situazione della primavera del 2011, quando ancora il governo Berlusconi era in vigore, Monti non esisteva e Grillo festeggiava risultati vicini al 7%. Quando, insomma, lo scenario bipolare dei precedenti quindici anni sembra ancora essere l’architrave del sistema politico.

    Ecco, allora nei successivi dodici mesi assistemmo ad uno smottamento che portò oltre il 60% degli elettori a non sapere cosa votare. Uno contesto straordinariamente aperto a nuovi soggetti politici e sfruttato, più o meno brillantemente, dal M5s e da Scelta Civica. Oggi sembra del tutto fuori luogo prevedere un simile rivolgimento, ma alcune considerazioni giustificano per lo meno lo sforzo di continuare questo monitoraggio. In effetti nella primavera del 2011 ci trovavamo intorno alle metà circa del ciclo politico nazionale, in quello che al momento sembrava un sistema politico piuttosto strutturato. In questo senso, una certa smobilitazione degli elettori in tale momento del ciclo appare del tutto fisiologica. Del tutto anomalo è quello che è successo dopo, in termini di smottamento e ricomposizione. Ma oggi ci troviamo in un momento molto diverso. Le elezioni politiche si sono svolte un anno e mezzo fa e da allora lo scenario politico è stato in continua fibrillazione. Appena sei mesi fa, inoltre, si sono tenute le elezioni europee, un competizione fortemente nazionalizzata. Eppure, a così breve distanza, già registriamo una notevole volatilità nell’elettorato.

    Fig. 1 – Distribuzione del campione fra le diverse possibili risposte alle domande del sondaggio relative alle intenzioni di voto

    Guardiamo quindi alla distribuzione dei due gruppi di rispondenti –  a seconda che dichiarino o meno una intenzione di voto – in base ad alcune variabili classiche degli studi elettorali. A cominciare da alcune fondamentali caratteristico sociodemografiche (tab. 1). Come possiamo osservare, una prima notevole sproporzione si registra in merito al genere. Se infatti, contrariamente alla popolazione elettorale, i maschi sono la maggioranza fra quanti esprimono una intenzione di voto, il 57% dell’area grigia è formato da donne.

    Differenze meno marcate si segnalano con riferimento all’età e al titolo di studio. Nell’area grigia sono leggermente sovrarappresentate le fasce dai 30 ai 55 anni, mentre i più giovani ed i prossimi alla pensione sono più rappresentati nel bacino del voto valido. Coloro che hanno un titolo di studio inferiore al diploma sono più numerosi nell’area grigia, mentre chi ha almeno il diploma pesa di più nel gruppo di coloro che dichiarano l’intenzione di votare un partito. Ma si tratta di differenze davvero minime ed in nessun caso statisticamente significative.

    Qualcosa di più rilevante si osserva in merito alla collocazione geografica dei rispondenti. Se sia la zona rossa che il sud sono sostanzialmente rappresentati egualmente nei due gruppi, si registra una notevole sproporzione fra nordovest e nordest. Quest’ultima area del paese pesa un terzo del voto valido, ma appena un terzo dell’area grigia. Al contrario, il nordovest vale meno di un decimo del voto validi ma oltre un ottavo dell’area grigia. In questi due casi si tratta di differenze significative.

    L’ultimo dato riportato dalla tabella 1 segnala un forte squilibrio fra i due gruppi, ma appare del tutto comprensibile considerato la variabile in questione. Si tratta infatti dell’interesse verso la politica, che è naturalmente assai più alto per chi esprime la propria intenzione di voto. Così, quanti hanno un interesse basso compongono il voto valido esattamente nella stessa misura di chi ha un  interesse alto, mentre invece quanti dichiarano di interessarsi molto o abbastanza sono appena un quarto del totale dell’ara grigia.

    Tab. 1 – Caratteristiche sociodemografiche dei due gruppi di rispondenti classificati in base alle loro intenzioni di voto: chi dichiara l’intenzione di votare un partito e chi no

    Veniamo adesso a vedere se ci sono differenze fra i due gruppi con riferimento agli atteggiamenti verso gli oggetti politici (tab. 2).  Cominciamo col dire che nel voto valido sono nettamente sovrarappresentati gli elettori di destra e sinistra. Questi ultimi valgono il 44% del voto valido e solo un quarto dell’area grigia. Gli elettori che si definiscono di destra costituiscono la categoria del voto validi per un terzo, mentre pesano un quinto nell’area grigia. Non sorprende che i non collocati sull’asse ideologico siano maggiormente rappresentati fra coloro che non esprimono una intenzione di voto – sono infatti tradizionalmente sovrarappresentati nell’astensione reale -; merita invece di essere sottolineata la notevole sovrarappresentazione degli elettori di centro nell’area grigia. Ne costituiscono, infatti, un terzo, contro il quinto del voto valido.

    Se guardiamo ai ricordi di voto e anche ai ptv, l’unica categoria sovrarappresentata nell’area grigia è quella dell’astensione. Possiamo però sviluppare alcune considerazioni interessanti guardando alle sottorappresentazioni dei diversi partiti. In particolare, se guardiamo alla più alta propensione di voto dichiarata dagli elettori dell’area grigia, ci accorgiamo come il Pd sia sempre il primo partito, con il 34% dei ptv massimi esclusa l’astensione. Al secondo posto, però, non si colloca né il M5s né Fi. Ma la Lega, che ha il 15% delle propensioni di voto massime verso un partito. Si tratta di ulteriore conferma del buon momento attraverso dal partito guidato da Salvini. Si segnala poi il terzo posto di Sel: il 13% dei rispondenti dell’area grigia il cui ptv massimo non è per l’astensione danno al partito di Vendola la propensione più alta. Appaiati al quinto posto, con il 12% delle prime ptv valide M5s e Fi. Questo potrebbe indicare che Sel e Lega hanno maggiore possibilità di crescere nei prossimi mesi di quante ne non abbiamo M5s e Fi, per lo meno in termini relativi, vista anche la minore dimensione dei partiti di Vendola e Salvini. Naturalmente queste considerazioni sono legate alla rimobilitazione dal non voto: nulla esclude che M5s o Fi registrino una notevole crescita dovuta a elettori conquistati negli elettorati altrui.

    Le valutazioni economiche indicano che quanti considerano negativa la situazione economica sono più frequentemente privi di una intenzione di voto. Sia che ci riferisca alla performance economica passata o a quella futura. Analogamente, si segnala una notevole sproporzione fra i due gruppi in merito ai giudizi circa l’operato del governo Renzi. Se infatti fra coloro che dichiarano l’intenzione di votare un partito i giudizi positivi e negativi si equivalgono, il quadro è assai diverso nell’area grigia. In questo gruppo, appena un terzo scarso dei rispondenti giudica il governo positivamente. Questo sembrerebbe indicare, unitamente anche al risultato nei ptv più alti (sempre assai lusinghiero, ma significativamente inferiore a quota 40%) che il potenziale elettorale del Pd di Renzi sia molto vicino ad essere stato raggiunto. E che difficilmente in futuro ci possiamo aspettare nuovi guadagni elettorali. D’altronde, sarebbe difficile immaginare una ulteriore crescita: lo stesso primo ministro, crediamo, sarebbe ben felice di ottenere alle prossime politiche il risultato delle europee, o quello leggermente inferiore attribuito al suo partito dal nostro sondaggio.

    Tab. 2 – Atteggiamenti politici dei due gruppi di rispondenti classificati in base alle loro intenzioni di voto: chi dichiara l’intenzione di votare un partito e chi no

    Come abbiamo detto all’inizio di questo articolo, una porzione non marginale dell’attuale area grigia andrà in effetti alle urne alle prossime politiche. Questi elettori, al momento non convinti da nessun partito, potrebbero essere i più facili obiettivi della prossima campagna elettorale per tutti i partiti. Chi sarà più bravo nel convincerli potrebbe avvantaggiarsi in misura tutt’altro che trascurabile, visto anche il perdurante calo dell’affluenza.

    Riassumendo, possiamo provare a tracciare il profilo degli elettori che non dichiarano il partito che voterebbero in caso di elezioni politiche immediate come segue. Si tratta principalmente di donne, con una certa prevalenza di elettori del nordovest del paese. Come è più che lecito aspettarsi, sono per lo più scarsamente interessati alla politica e non collocati ideologicamente, anche se si segnala una notevole presenza di elettori di centro in cerca di collocazione. Di nuovo non pare sorprendente che quanti percepiscano più negativamente la situazione economica – passata o futura – siano più propensi a disertare le urne, in quanto magari sfiduciati verso la capacità della politica di fornire soluzioni. Potrebbe in qualche modo essere inquadrata in una simile prospettiva, appare comunque interessante, in conclusione, rilevare la notevole sovrappresentazione nell’area grigia di elettori insoddisfatti dell’operato del governo Renzi.